LASSU'

Il dato reale consiste nel fatto che la mascherina chirugica HA PROTEZIONE ZERO.

E' un mero paliativo atto solo a gettare fumo negli occhi al popolo bue. E condizionarlo.



Soprattutto negli Stati Uniti molti stati e contee stanno tornando a imporre l’obbligo
di portare le mascherine protettive in luoghi chiusi, scuole etc,
il tutto dopo che il CDC è ritornato a consigliarle.


Però questi strumenti sono utili nella realtà?


Proprio la struttura federale americana e quindi il fatto che l’obbligo sia stato imposto in modo differenziato da zona a zona,
ci permette di confrontare scelte diverse e l’effetto che queste hanno avuto.


Iniziamo confrontando tre stati del sud: Louisiana, Missouri e Arkansas.

Questi tre stati hanno prima inserito e poi tolto l’obbligo a indossare le mascherine,
ma , durante l’ultima ondata ora in corso, solo la Louisiana ha reinserito l’obbligo di portare la protezione.


Vediamo l’andamento comparato:



maschere-1.png



L’effetto è nullo, anzi negativo: i casi sono aumentati maggiormente nel paese che ha rimesso l’obbligo,

ma questo non significa, automaticamente, un nesso causale.


Semplicemente non hanno ridotto il contagio. Sono inutili.


Altro caso il Nevada, dove alcune contee hanno deciso di reimmettere l’obbligo d’indossare le mascherine altre no.

Anche in questo caso le contee con l’obbligo delle mascherine hanno avuto un maggior numero di casi.


maschere-2.png




A questo punto perché continuare ad applicare questo obbligo,

soprattutto in luoghi non molto frequentali,

eppure si prosegue a volerne consigliare l’obbligo.


Il problema non è sanitario, ma di potere e di obbedienza:

da un lato i governi devono dimostrare di fare qualcosa,

dall’altro la maschera è la dimostrazione visibile dell’obbedienza inculcata nelle persone.



La questione non è sanitaria, ma di manipolazione della volontà popolare.
 
Il Washington Post riporta la notizia che a, domenica 15 agosto,
l’Ufficio per il controllo delle attività estere del dipartimento del Tesoro
sotto la direzione di Janet Yellen aveva preso la decisione
di eseguire il congelamento dell’oro della Banca Centrale Afgana (DAB Da Afghanistan Bank)


Tra le banche centrali del mondo, la DAB è sempre stata una delle più trasparenti
quando si tratta di divulgare informazioni sulle sue riserve auree.


Nell’ultimo bilancio annuale del DAB per l’anno terminato 30 Qaws dell’anno solare 1399 (che è il 20 dicembre 2020),
la nota 7.1 al bilancio afferma che la DAB detiene:


“703.004.944 once troy d’oro in lingotti provenienti dalla Federal Reserve Bank (FRB), New York come riserva internazionale della Banca.”


Queste 703.004.944 once sono circa 21,87 tonnellate d’oro.


Sempre secondo il bilancio della banca centrale sono però lingotti puri al 999,5,
ma non corrispondono allo standard London Delivery.

Si tratta probabilmente di vecchi lingotti dell’ufficio di analisi degli Stati Uniti, intoccati da chissà quanto tempo.


In breve, l’oro della banca centrale afghana presso la Fed di New York
sembra essere un mucchio di vecchi lingotti d’oro dell’Ufficio di analisi degli Stati Uniti.


Nello specifico, la nota 7.1 dice che:

Secondo FRB, questi lingotti soddisfano gli standard minimi di qualità
della London Bullion Market Association (LBMA) London Good Delivery (LGD),
ma non soddisfano i requisiti per le dimensioni.
Inoltre, alcune di queste barre presentano imperfezioni come rugosità superficiale,
crepe, fessure e fori che sono considerate inaccettabili da LBMA
“.



È abbastanza ovvio che i lingotti d’oro detenuti nell’FRB New York per conto degli afghani
sono vecchi lingotti d’oro a forma di mattone dell’Ufficio di analisi degli Stati Uniti.

Qualcosa rimasto dagli anni trenta del secolo scorso.


old-bar.png

Dato che non sono lingotti standard bisogna correggere la loro valutazione


In caso di dubbio, si chiama il BIS, la banca internazionale per i regolamenti,
che effettua una sua valutazione e che ha “Scontato” i lingotti di 2,25 dollari per oncia troy (circa 30 grammi)


Giuridicamente quest’oro è ora sotto sequestro da parte del Dipartimento del tesoro USA.

Si tratta di una cifra interessante, poco meno di un miliardo di euro.

Potrebbero diventare uno strumento di scambio con il governo dei talebani.
 
FABI, il maggior sindacato dei bancari italiani, ha condotto una ricerca sui bilanci delle banche italiane, per identificarne l’evoluzione.

I risultati sono interessanti perché mettono in evidenza cosa sta succedendo alle nostre banche,
la loro evoluzione e i pericoli che questi cambiamenti vengono a porre.


Il mutamento più evidente è da dove si originano gli utili bancari.

La teoria vorrebbe che la maggior parte dei profitti nel settore abbia origine dalla cosiddetta Intermediazione Finanziaria:
la banca prende i fondi dai risparmiatori e li reimpiega in prestiti, guadagnando dalla differenza fra interessi pagati e incassati.


Secondo quanto rilevato dalla FABI questo modello è in corso di superamento.


Attualmente il 50,5% del fatturato proviene dall’intermediazione,

mentre il 39,4% è generato dai servizi e dalle commissioni.



Non solo: l’attivo impegnato nel credito alla clientela è salito a 52 miliardi nel 2020 dai 40,7 del 2019.

Questo a causa dei 190 miliardi di crediti garantiti da parte dello stato che comunque, come possiamo vedere,
si sono tramutati in effettivi prestiti solo in minima parte e sono rimasti in gran parte non utilizzati.


Quindi le banche sono diventate dei “Negozi finanziari” che guadagnano dai servizi.


Se è vero che i tassi attivi sono bassi quelli passivi sono o a zero per la raccolta retail
o negativi se ci si rivolge alla BCE.

Quindi ci sarebbe comunque un certo spazio per allargare l’attività d’intermediazione, ma questa sembra non interessare alle banche.



Si tratta di una evoluzione comunque molto pericolosa

perché le innovazioni continue del settore fintech possono far sparire,

come in passato, fonti di reddito che apparivano solide e a lungo termine.


Inoltre le banche rivendono spesso prodotti di terzi, ponendosi in una dura concorrenza le une contro le altre.


Il settore quindi diventa rischioso e pericolosamente saturo.
 
L’indecente fretta con cui l’amministrazione Biden ha intrapreso il ritiro militare dall’Afghanistan

non solo aumenta la prospettiva di cedere il controllo del Paese all’intransigente movimento islamista talebano,

ma offre alla Cina un’opportunità d’oro per estendere la sua influenza su questo paese dell’Asia centrale strategicamente importante.



La Cina, che condivide con l’Afghanistan un esiguo confine di 47 miglia,
è da tempo che ambisce allo sviluppo di legami più stretti con Kabul,
non da ultimo a causa delle grandi riserve non sfruttate di ricchezza mineraria che l’Afghanistan possiede.


Ricco di rame, litio, marmo, oro e uranio
,

si stima che le risorse minerarie dell’Afghanistan superi oltre 1 trilione di dollari,

risorse che potrebbero facilmente rendere il Paese economicamente autosufficiente se mai dovessero essere pienamente sviluppate.


Dal punto di vista della Cina, l’accesso alle ricchezze minerarie dell’Afghanistan
fornirebbe una pronta fornitura di preziosi minerali che sono ritenuti vitali per l’obiettivo a lungo termine
del Partito comunista al potere di diventare la principale potenza economica mondiale.


Decenni di incessante conflitto in Afghanistan, a partire dall’invasione dell’Unione Sovietica nel 1979,
hanno fatto sì che, ad oggi, siano stati compiuti pochi progressi nello sviluppo delle risorse naturali del Paese.


La corruzione endemica tra l’élite dominante del Paese è un altro motivo del lento tasso di progresso,
con il risultato che si stima che il governo afghano perda ogni anno circa 300 milioni di dollari dall’estrazione mineraria.



L’ex presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump a un certo punto aveva preso in considerazione
l’idea di sviluppare la ricchezza mineraria dell’Afghanistan per contribuire a pagare il costo della coalizione militare guidata dagli Stati Uniti,
che si stima sia costata ai contribuenti americani, negli ultimi due decenni, 1-2 trilioni di dollari.


Ora, a seguito della decisione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden
di accelerare il ritmo del ritiro delle forze statunitensi dall’Afghanistan,
ci sono crescenti preoccupazioni che la Cina si muoverà rapidamente
per sostituire gli Stati Uniti come potenza dominante in questo Paese arretrato,
con tutte le implicazioni che potrebbero esserci per la sicurezza occidentale
poiché un certo numero di gruppi terroristici islamici, come l’ISIS,
cercano di usare il Paese come rifugio sicuro da cui pianificare attacchi contro l’Occidente.


Il modo in cui le truppe statunitensi si sono ritirate,

non fidandosi abbastanza dei loro alleati afgani per avvertirli previamente della loro partenza,

mostra una preoccupante mancanza di fiducia tra gli Stati Uniti e i loro alleati

nonostante il fatto che le due parti siano stati stretti alleati per quasi due decenni.



Gli Stati Uniti e altri alleati della Nato, come la Gran Bretagna,
hanno investito miliardi di dollari nell’addestramento e nell’equipaggiamento
delle forze di sicurezza afghane per difendere il Paese dalla minaccia dei talebani.

La decisione di Biden di accelerare il ritiro, con le operazioni di combattimento statunitensi che
si concludono due mesi prima della scadenza di settembre originariamente fissata dal presidente americano.


Come ha detto il portavoce del Pentagono John Kirby al programma televisivo “Fox News Sunday”,
Washington “guarda con profonda preoccupazione” ...........


La scena è pronta per Pechino per intervenire ed esercitare la sua influenza in un Paese
che era caduto nella sfera di influenza di Washington dalla fine degli anni Ottanta.

Pechino gode già di buoni rapporti con il vicino Pakistan, dove il carismatico primo ministro, Imran Khan,
un tempo era soprannominato “Khan, il talebano” per aver sostenuto il movimento islamista.


Il leader pakistano è stato anche criticato per aver definito il numero uno di al-Qaeda, Osama bin Laden,
un “martire”, dopo la sua uccisione da parte delle forze speciali statunitensi nel suo rifugio in Pakistan, nel 2011.


Come parte dell’impegno di Pechino volto ad approfondire e ampliare i suoi legami in Asia centrale,
la Cina sta anche concentrando le sue forze sull’espansione della sua influenza in Afghanistan,
una politica che ci si aspetta darà i suoi frutti ora che i talebani hanno raggiunto il loro obiettivo di prendere il controllo dell’intero Paese.


I precedenti tentativi di Pechino di costruire legami in Afghanistan sono stati ostacolati
dal terribile trattamento riservato dalla Cina alla sua minoranza musulmana uigura della provincia dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina.

Gli uiguri hanno storicamente goduto di stretti legami con i talebani: un certo numero di combattenti uiguri
sono stati inviati nella struttura di detenzione statunitense di Guantanamo Bay, a Cuba,
dopo essere stati arrestati dalle forze statunitensi in Afghanistan durante l’intervento militare americano nel 2001 dopo gli attacchi dell’11 settembre.


Nel tentativo di migliorare le relazioni con Pechino i talebani si sono rifiutati di condannare la persecuzione cinese dei musulmani nello Xinjiang
e hanno dichiarato che non daranno più rifugio ai militanti uiguri nel territorio da loro controllato.


Inoltre, i funzionari cinesi hanno aperto canali non ufficiali con i talebani per porre fine alla lunga guerra civile del Paese.


Il signor Biden, a giudicare dalla sua strenua difesa della decisione di ritirare le forze statunitensi dall’Afghanistan,

crede chiaramente che sia nell’interesse dell’America porre fine al suo coinvolgimento ventennale nel Paese.


Ma se il ritiro degli Stati Uniti apre semplicemente la strada alla Cina per diventare la nuova potenza dominante in Afghanistan,

allora Biden sarà responsabile di aver causato, per quanto riguarda l’Occidente, un disastro strategico di proporzioni epiche.
 
La “questioneafghana ha le caratteristiche di un conflitto di portata mondiale

e si allinea con un’altra “questione”, quella d’Oriente, riguardante l’area mesopotamica.


Le due vicende coprono un ambito di interesse geopolitico che annichilisce ogni considerazione sull’aspetto strettamente bellico.

Come sappiamo, la cronicità della “crisi afghana” ha rappresentato l’inizio della sua ultima “scena” nel 2001.

L’Afghanistan è un Paese musulmano, non arabo, confinate con il Pakistan;
quest’ultimo, in linea di principio, è alleato con gli Stati Uniti
ma in realtà sostiene la causa dei talebani, i quali a loro volta hanno “combattuto” contro gli Usa.


Questa lunga crisi, dalle cause profonde e relativamente antiche,
è soprattutto la conseguenza degli spettacolari attentati dell’11 settembre 2001,
commissionati a distanza dall’organizzazione araba islamista Al-Qaeda,
i cui leader e molti dei loro sostenitori arabi avevano sede a Kabul, insieme ai capi di altri movimenti jihadisti.

Queste realtà estremistiche hanno riconosciuto da tempo l’esistenza dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.

Il “loro” emirato era stato istituito da una organizzazione islamista afghana che proveniva dal Pakistan,
dove erano stati formati studenti guerrieri religiosi, i “talebani”: “taleb” in arabo significa “studente della scuola coranica”.

Questi talebani, intervenendo in una lunghissima guerra civile, iniziata dopo la partenza dell’esercito sovietico nel 1988
e mentre si ipotizzava che questo Paese avrebbe trovato un equilibrio pacifico,
si schierarono in tutta una serie di conflitti tra tribù, conquistando varie regioni dell’Afghanistan.


Per venti anni, durante la guerra contro gli Stati Uniti e il regime di Kabul, il movimento talebano è stato coperto da segretezza.

Infatti, non sono mai trapelate le identità vere dei suoi leader, né tantomeno la loro concezione di Governo.

Dopo la fulminea vittoria del 15 agosto, i nuovi padroni dell’Afghanistan stanno mostrando i propri “profili”,
definendo i contorni del loro nuovo Esecutivo e cercando di apparire in pubblico,
dandosi un’immagine di “statisti moderati” e cautamente aperti,
ma sottolineando l’imprescindibile applicazione della legge coranica, la sharia.

In questo quadro, che li vede ormai “ricercati” dalla diplomazia internazionale per i più disparati motivi,
e con la volontà di crearsi un’immagine di responsabilità e consapevolezza dei ruoli,
stanno manovrando per associare figure politiche non talebane nel futuro Governo ad interim e per ricostruire questo Stato fallito.


Ora i nuovi padroni giocano i loro rappresentanti più collaudati;

infatti il 16 agosto, all’indomani della caduta di Kabul, è stato il turno del mullah (erudito) Amir Khan Muttaqi,
membro del comitato politico del movimento e della delegazione incaricata a Doha, in Qatar, di negoziare con gli americani.


Il primo compito di Muttaqi è stato quello di aprire un confronto con l’ex presidente afghano Hamid Karzai
e con l’ex numero due del regime, Abdullah Abdullah, al fine di avviare il processo di transizione del potere.

Da Doha 2020 in poi Muttaqi ha avuto diverse occasioni di dialogo con Abdullah;
ricordo che Abdullah ha rivestito con i talebani le funzioni di capo dell’Esecutivo
e quella di presidente dell’Alto Consiglio per la riconciliazione nazionale.

Lo stesso Muttaqi è stato chiamato da Ishmael Khan, il potente signore della guerra che controllava la città e la regione di Herat,
per gestire la sua recente resa e la partenza per il vicino Iran.

Muttaqi era stato ministro dell’Informazione e della Cultura, poi dell’Istruzione, durante il primo Governo degli islamisti tra il 1996 e il 2001.


Gli “strateghi” talebani hanno “giocato” il 18 agosto il primo peso massimo del movimento, Anas Haqqani,
che si è recato a Kabul da Abdullah, per discutere con lui e Karzai della gestione della Nazione.

Questa operazione sta destando un forte interesse internazionale.

Anas Haqqani è uno dei figli di Jalaluddin Haqqani, membro della tribù Pashtun di Zadran, morto nel settembre 2018.

Jalaluddin Haqqani è stato il fondatore di una temuta rete islamista a cavallo del confine afghano-pakistano
e figura di spicco nella lotta contro i sovietici; era stato ministro del Governo talebano tra il 1996 e il 2001.


A marzo, Amir Khan Muttaqi, Hamid Karzai e Anas Haqqani si sono ritrovati a Mosca, con le rispettive delegazioni,
per partecipare a una conferenza che aveva lo scopo di facilitare i rapporti tra di loro
e gettare le basi per una collaborazione governativa, suggellando il determinate ruolo della Russia.



In questi giorni, Anas Haqqani si è mostrato nei video circondato da deferenza,
non nascondendo una certa soddisfazione della considerazione di cui gode in questo momento.

Haqqani oltre ad appartenere a un potente clan, è notoriamente vicino ai servizi segreti militari pakistani (Isi) e ad Al-Qaeda.

Membri della sua famiglia occupano dal 2016 un posto di rilievo nel movimento talebano.

Il 29 febbraio 2020 anche lui era presente a Doha per la cerimonia della firma dell’accordo bilaterale
tra Stati Uniti e talebani per organizzare il ritiro dei soldati americani.


Una breve descrizione dei nuovi padroni del martoriato Afghanistan,

che tuttavia pare poco controllino quella moltitudine di estremisti, emarginati, jihadisti e violenti soggetti,

che si nascondono sotto la definizione di “Taleb”, e che stanno nuovamente caratterizzando con omicidi,

vendette, rapimenti e stupri, gli estremi di questa nuova realtà afgana,

notoriamente matrice del terrorismo internazionale ed espressione del più tradizionale “tagliagolismo”.
 
ahahahahahah appena udita al TG.

Il nostro ministro degli esteri........

"eliminazione della coltivazione di oppio in Afghanistan ........."


Ahahahahahah e dopo come fa ?
 
Uno di là ....uno di qua.......oppio a volontà.


Sei giorni di Rave party con decine di migliaia di ebeti nostrani e di importazione provenienti da tutta Europa.

Una ghiotta occasione per le forze dell’ordine per compiere una maxi retata di nullafacenti,
dediti al vagabondaggio e allo sballo quotidiano, con il conseguente sequestro di droghe,
automezzi utilizzati per il trasporto e richiesta di risarcimento danni per i Comuni interessati e per i cittadini, vittime dell’orda barcollante di idioti.


Ma nulla di tutto questo.


Le postazioni della “cyber police” dedicata al costante monitoraggio del web, nei giorni precedenti al rave party,
erano probabilmente indirizzate da intercettare le losche trame dei Sindacati di Polizia, Carabinieri, Finanza,
piuttosto che quelle degli organizzatori del raduno.


E neanche l’afflusso costante di centinaia di automezzi e caravan verso l’area utilizzata

ha contribuito ad insospettire questure o comandi dei carabinieri impegnati in chissà quale altra attività.


O forse la realtà è diversa.



Il celebrato Capitano Ultimo, in un post diffuso sui social network, ha scritto:

“Purtroppo le Forze di Polizia non sono riuscite a prevenire l’ organizzazione del Rave party illegale.
Ministro Lamorgese, con rispetto la informo che ha un’arma poderosa, sconosciuta a molti,
utilizzi i funzionari della Sala Operativa del Comando Generale dei Carabinieri.
Svolgono un costante monitoraggio sui post dei social scritti dai sindacalisti militari
e con tempestività li inviano alle Procure Militari affinché i sindacalisti vengano sottoposti a processo
per reati di opinione o per presunte diffamazioni.
Sì, ignorando la sentenza 120/2018
della Corte Costituzionale sui diritti sindacali militari. Non si faccia sottrarre queste risorse.
Con loro sarà al sicuro da imbarazzi e le sapranno segnalare la preparazione dei rave party.
Certo dovranno distogliere l’attenzione dai pericolosissimi sindacalisti
che promuovono il mutuo soccorso e la resistenza agli abusi nelle caserme
.
Valuti lei, noi in tanti dentro e fuori dalle caserme l’abbiamo già fatto”.


Allora, forse una traccia esiste.


Ipotizziamo che più di una pattuglia di agenti abbia notato e segnalato l’afflusso all’area del raduno.

La Centrale operativa, ricevute le segnalazioni, avrà certamente provveduto a informare la scala gerarchica
che, a sua volta, sicuramente avrà reso edotti gli Enti preposti al mantenimento dell’ordine pubblico.


A questo punto il black out.


Nessun ordine,

nessuna disposizione per 6 lunghi giorni

durate i quali nell’improvvisato zoo toscano,

1 ragazzo è morto,

altri sono stati soccorsi per overdose

e qualche violenza carnale è stata compiuta

in un complesso di illegalità diffusa

che solo nel nostro Paese può sfuggire alle Autorità.



E poi, all’improvviso, il Ministro,

non contenta del disastroso arrivo di migliaia di clandestini nel silenzio istituzionale,

si sveglia dal torpore ma, ben lungi dal mostrare i muscoli di fronte all’immane disastro,

non ordina lo sgombero forzato, non invia gli idranti ad alta pressione

che magari avrebbero svegliato i “caduti dal seggiolone” che ciondolavano nei campi della Tuscia,

non invia reparti di ordine pubblico per ristabilire la legalità.


Ma “vigila sul deflusso”.


Da una parte un Ministro incompetente e inadempiente al suo mandato,

dall’altra Comandi dei carabinieri, competenti per territorio,

che inviano pattuglie di poveri disgraziati in tenuta da gran galà

(berrettino, camicia, pantaloni e mocassini….con 40°…)

a “vigilare (??) sul deflusso dei convenuti”.



Non c’è che dire, un bel misto di cialtroneria di Stato

mista a un diffuso anacronismo

che da sempre caratterizza un’istituzione che negli anni ha perso tutto il suo splendore

e, soprattutto, il pragmatismo che dovrebbe distinguere chi combatte il crimine e l’illegalità.


In mezzo, anzi di fronte, gli ebeti in infradito e gli agenti in mocassino,

tutti ugualmente sotto il solleone e in mezzo alla polvere dei campi oramai “sterrati”.




In ultimo, quel che resta è un’amara considerazione.


“Hanno impiegato meno tempo i Talebani a riconquistare l’Afghanistan

che la Lamorgese a sgomberare un rave party abusivo”
.


Tutto qui.
 
100 anni si festeggiano una sola volta nella vita.
Qui da noi, ci sarebbe stata una festa diluita su 7 giorni,
che avrebbe portato - secondo le stime del Comitato Ordine e Sicurezza -
50.000 turisti, per la maggior parte stranieri e diciamolo senza remore
- di una certa età - non certo giovani balordi diversamente pallidi -
a festeggiare la Moto Guzzi.

Ma il Comitato ha detto : NO

In altre parti dell'Italia, non si muove un dito, nonostante pericolosi precedenti :

Iniziamo il 25 luglio :

Intensa è stata l’attività della Polizia di Stato nelle ultime 24 ore
che ha tratto in arresto 3 persone e numerose altre denunciate in stato di libertà.


Era passata mezzanotte da poco quando equipaggi di volante e del reparto prevenzione crimine
intervenivano presso un locale di ristorazione sul lungomare di Riccione per una segnalazione di rissa.

Sul posto gli operatori notavano i due distinti gruppi (9 persone in tutto) che ancora erano a diverbio
e, nel tentativo riportare la calma, gli stessi venivano aggrediti dal più facinoroso,
un ragazzo albanese di 29 anni, che a fatica riuscivano a fermare e bloccare in sicurezza.


Per tale motivo veniva tratto in arresto per il reato di resistenza a pubblico ufficiale e rifiuto di fornire le proprie generalità,
nonché indagato per i reati di minacce aggravate (per aver minacciato di morte più volte i poliziotti),
rissa e per essere irregolare sul territorio nazionale.

Anche gli altri partecipanti allo scontro, tutti ragazzi dai 23 ai 30 anni,
venivano identificati dagli operatori di polizia intervenuti sul posto ed indagati in stato di libertà per il reato di rissa.


Continuiamo il 1 agosto :

Violenta rissa a Riccione nella notte tra sabato e domenica (1 agosto) dove bande di ragazzi, in tutto circa 200,
come riporta Il Resto del Carlino di Rimini, si sono scontrate violentemente sul Lungomare in prossimità dell’incrocio con viale Zandonai.

Erano circa le 2.40 quando un ragazzo è riuscito a fuggire dalla furia delle bande e a rifugiarsi dentro ad un albergo.

A quel punto il portiere di notte ha chiuso le porte e l’albergo è stato preso di mira dai ragazzi
che cercavano di sfondare le porte lanciando bottiglie, vasi e altri oggetti.

Quasi tutti armati, alcuni di loro feriti, gridavano: “Fallo uscire che lo ammazziamo!”
e il ragazzo lo implorava di nasconderlo da qualche parte o sarebbe stato ucciso.

Il portiere di notte dell’hotel Des Nations a quel punto è intervenuto,
cercando di placare gli animi bollenti, ma nulla da fare.

La banda pretendeva che gli venisse consegnato il ragazzo che si era rifugiato all’interno.

"Quello che ho visto è incredibile, quei ragazzi correvano come matti per strada filmando tutto – racconta il portiere –
ho esperienza anche come steward da stadio, ma non mi era mai capitato veder gente venirmi incontro con pezzi di bottiglie e coltellini.
Qualcuno era anche ferito, tant’è che mi ha sporcato di sangue.
Al ragazzo che si è rifugiato ho provato a dire che non poteva entrare, ma lui mi ha implorato,
dicendo che volevano picchiarlo e ucciderlo. Pochi secondi ed è arrivata la massa.
Avevo chiuso la porta che ho provato a bloccare con la mia forza, ma quelli erano tanti e mi hanno sovrastato.
Poi hanno cominciato a tirare di tutto anche un vaso rotto all’esterno contro le vetrate, intanto gridavano:
fallo uscire che lo ammazziamo. All’interno tiravano poltrone e sedie, il caos,
tant’è che i clienti hanno trovato vetri a terra fino al primo piano.
All'arrivo della Polizia tutti i ragazzi, tra loro alcuni stranieri, si sono dileguati.
Solo ora capisco quanto ho rischiato, ma forse sono riuscito a salvare la vita a quel ragazzo".

Non è prima volta che accade un fatto del genere. Al punto che i gestori degli hotel sono esasperati.


L'8 agosto poi :

Si è consumata ieri notte (domenica) sul lungomare di Riccione, all’altezza del Grand Hotel,
una rissa a colpi di bottiglia tra nordafricani.

Ad innescare la zuffa pare sia stata una bevuta negata.

Un gruppetto composto da 4-5 magrebini stava bevendo seduto sul marciapiede una birra che passava di mano in mano,
quando altri connazionali sono arrivati e avrebbero chiesto di poter unirsi a loro per bere insieme.

Davanti al rifiuto dei primi, gli animi si sono improvvisamente accesi e in un attimo è scoppiato il parapiglia.

Qualcuno ha afferrato la bottiglia di birra in vetro – oggetto del contendere -,
l’ha spaccata e utilizzata come arma per colpire i rivali.



Durante la colluttazione, uno dei nordafricani è stato colpito al braccio e alla testa ed è rimasto a terra sanguinante.

Poi è partito il fuggi fuggi generale.

Quando i carabinieri di Riccione sono arrivati sul posto hanno trovato solo il ferito.

Il giovane è stato trasferito per accertamenti all’ospedale Ceccarini, da dove è stato dimesso con 20 giorni di prognosi.

I militari dell’Arma sono al lavoro per risalire ai partecipanti della rissa e ricostruire le responsabilità di ognuno.


E si arriva al 23 agosto :

Scene di ordinaria follia.

I residenti le hanno definite così.

Le hanno documentate con foto e video,
manifestando indignazione sulle bacheche dei social network.

Una notte d'estate, a Riccione.

Una gang scatenata, che vandalizza tutto ciò che trova lungo il proprio percorso.

Il gruppo è composto da un centinaio di ragazzi,
secondo le prime ricostruzioni in gran parte minorenni e di origine nordafricana.
 
Si vedono decine e decine di ragazzi che si spostano dal Lungomare in gruppo verso via Martinelli:

saltano sulle auto, le prendono a calci,
si sfogano contro le vetrine dei negozi.

Il bilancio è di diverse vetture danneggiate, una vetrina rotta

e tanta paura tra residenti e turisti, che si sono barricati in casa e negli hotel.


Sull’episodio indagano i carabinieri.


Questi comportamenti sarebbero una reazione e una risposta alla cancellazione del concerto del rapper Baby Gang,
nome d'arte del 19enne Zaccaria Mouhib, cantante italiano di origine marocchina.

È proprio lui, infatti, a dare l'annuncio, con un post su Instagram, di come sia stato annullato il suo live,
che si doveva tenere al Byblos di Misano Adriatico.

La cancellazione dell'evento è dovuta alla chiusura della discoteca per cinque giorni, in seguito a balli e assembramenti senza mascherina.


“Ancora una volta e ancora per cause che non dipendono da me – scrive il rapper nel post – ci hanno annullato stasera il live al Byblos.
Questo vuol dire che da oggi in poi tornerò a zanzare i turisti in spiaggia a Riccione, perché altrimenti non vado avanti”.


E conclude con: “Non sto scherzano. Ciao”.


Questo annuncio, avrebbe causato una protesta dei fan, sfociata in veri e propri atti di vandalismo.
 

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