ma Deutsche Bank sta fallendo?

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Henry Tougha 3 giorni fa 3 commenti
Mappa dell’Epico Crollo di Deutsche Bank, la Banca dal Maggiore Rischio Sistemico
Zero Hedge rilancia l’infografica di Visual Capitalist sulla “epica” caduta della più simbolica banca tedesca e una delle più importanti banche europee.
Mentre la fine di Lehman Brothers è stata quasi fulminea, nota l’autore, quella di Deutsche Bank si è trascinata per quasi 10 anni, ma ora sembra a un passo dal termine dell’agonia.


di Jeff Desjardins, 8 luglio 2016

Ci sono voluti quasi 10 anni, ma il destino di una delle più importanti istituzioni finanziarie europee sembra ora segnato.

Dopo una lunga serie di scandali, cattive scelte ed eventi sfortunati, Jeff Desjardins di Visual Capitalist fa notare come le azioni di Deutsche Bank – banca tedesca con sede a Francoforte – siano scese a 12,60 dollari, vale a dire un crollo di -48% solo quest’anno, segnando un minimo storico.

Ma la spirale in discesa della banca tedesca, vista sul lungo termine, è ancora più impressionante.

Con una capitalizzazione di appena 15,8 miliardi di dollari sul mercato, le azioni di questa azienda vecchia di 147 anni si comprano a un misero 8% rispetto al valore al quale si compravano nel maggio 2007.

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L’INIZIO DELLA FINE

Se la morte di Lehman Brothers e di Bear Stearns sono state rapide e senza contorsioni, il decesso di Deutsche Bank è invece lungo e doloroso.

Nei tempi recenti il comparto di Deutsche Bank per gli investimenti finanziari è stato tra i più ampi al mondo, comparabile per dimensione a Goldman Sachs, JP Morgan, Bank of America e Citigroup. Tuttavia, a differenza di questi altri nomi, Deutsche Bank non ha mai smesso di zoppicare ferita dall’inizio della grande crisi finanziaria, dato che la banca tedesca non è mai riuscita a riprendersi del tutto.

Questo è ironico se si pensa che nel 2009 Josef Ackermann, amministratore delegato della banca, dichiarava audacemente che Deutsche Bank aveva abbondanza di capitali, e che stava resistendo alla crisi meglio dei suoi concorrenti. È emerso invece che la banca stava nascondendo perdite per 12 miliardi di dollari in modo da evitare un intervento pubblico di bailout.
Nel frattempo, molto del denaro che costituiva il reddito della banca in questo periodo turbolento per i mercati proveniva dalla manipolazione [fraudolenta] del tasso Libor. Questi “guadagni” erano destinati ad avere vita breve, dato che alla fine è arrivata una multa record da 2,5 miliardi di dollari.

Alla fine la banca è stata costretta ad ammettere di avere bisogno di maggiore capitale.

Nel 2013 ha raccolto un aumento di capitale per 3 miliardi di euro, dicendo di non avere bisogno di ulteriori fondi.
Poi, però, nel 2014 la banca ha dovuto raccogliere altri 1,5 miliardi di euro, e poi ancora altri 8 miliardi di euro.


UNA SERIE DI EVENTI SFORTUNATI

Negli anni recenti Deutsche Bank ha cercato disperatamente di reinventarsi.

Dopo aver cambiato diversi amministratori delegati dall’inizio della crisi finanziaria, l’ultimo tentativo di reinventarsi ha coinvolto una revisione delle operazioni e del personale, annunciata dal co-amministratore delegato John Cryan nell’ottobre 2015. La banca sta ora procedendo a licenziare 9.000 impiegati e a terminare le operazioni in 10 nazioni. È questo il punto dal quale abbiamo fatto iniziare la nostra cronologia [nella figura] dei più recenti sviluppi della banca – e gli ultimi sei mesi, in particolare, hanno visto un crollo sempre più frenetico.

Deutsche Bank ha iniziato il nuovo anno annunciando perdite record per 6,8 miliardi di euro avvenute nel 2015.

Cryan si è subito affrettato a dichiarare alla stampa che la banca era “solida come una roccia”. Si è scomodato perfino il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, che ha detto di “non avere preoccupazioni” riguardo Deutsche Bank.
Traduzione: Siamo in modalità “crisi totale”.


Nelle settimane successive è successo che:

16 maggio 2016: Berenberg Bank avvisa che i problemi di DB possono essere “insormontabili”, e nota che DB ha un leverage oltre 40:1
– 2 giugno 2016: Due ex impiegati di DB sono accusati nel contesto dello scandalo Libor USA, per manipolazione fraudolenta dei tassi di interesse. Intanto la Financial Conduct Authority britannica dice che ci sono almeno 29 impiegati DB coinvolti nello scandalo.
– 23 giugno 2016: La Brexit colpisce duramente DB. La banca è la maggiore banca europea con sede a Londra e riceve il 19% del suo reddito dalla Gran Bretagna.
– 29 giugno 2016: Il FMI fa una dichiarazione secondo la quale “DB sembra essere il maggiore contribuente netto al rischio sistemico”.
– 30 giugno 2016: La Federal Reserve annuncia che DB ha fallito gli stress test della Fed in USA, a causa di “scarsa gestione del rischio e scarsa pianificazione finanziaria”.

Non sembra esattamente “solida come una roccia”, no?

Ed ecco la vera questione: cosa succede al portafoglio dei derivati di Deutsche Bank, che ha un valore teorico di 52 mila miliardi di euro, se la banca diventa insolvente?
 
FLASH: DEUTSCHE BANK, ristrutturazione in corso!
Scritto il 18 luglio 2016 alle 11:49 da Danilo DT


Cambi di strategia? Contenimento dei costi? Oppure una necessità legata a qualche grosso problema aziendale?


Deutsche Bank reste sempre “la banca nel mirino” essendo da noi ( e non solo da noi!) considerata come il vero rischio sistemico bancario mondiale.
Tutta colpa dei derivati? Si e no.
I derivati NON devono essere criminalizzati. Deve invece esser monitorato con attenzione il metodo con cui vengono gestiti.
In passato (CLICCATE QUI) vi avevo spiegato dove sta il problema in Deutsche Bank e sulla sua esposizione sui derivati. Non tanto su quelli tradizionali, ma soprattutto su quelli illiquidi e sul metodo di utilizzo.
Difficile fare calcoli attendibili in questo ambito. Solo supposizioni non proprio positive. Malgrado tutte le rassicurazioni del caso, continuano ad esserci tanti dubbi. E oggi, gentilmente segnalata dall’amico Lampo, ecco una notizia che di certo non è proprio entusiasmante.

Deutsche Bank to close almost 200 branches
The closures are set to take place over the next few months , with 188 of Deutsche Bank’s 723 branches nationwide due to close their doors. On Sunday, Deutsche Bank published a list of the affected branches. (…) After recording colossal losses of around €7 billion in 2015, the Frankfurt lender is desperately seeking ways to cut costs. A series of scandals and litigation cases have sent Deutsche Bank shares into a long nosedive on the stock exchange and forced it to waive dividend payments to shareholders. Justifying the move to slash hundreds of branches, company spokesman Christian Sewing said that, with a growing number of customers doing their banking online, fewer people come to the branches to conduct business. The bank said it hopes to redirect funds to digital banking, in which it hopes to invest €750 million by 2020. Deutsche Bank has also announced plans to make 3,000 members of its full time staff redundant. (The Local)

Quindi Deutsche Bank decide di chiudere un quarto, e ripeto UN QUARTO, di tutte le sue agenzie in Germania. Oltre 200 sportelli.
Colpa della crisi, della digitalizzazione, di tutto quello che volete. Ma una ristrutturazione aziendale di queste dimensioni, per un big player come Deutsche Bank, non è certo normale. E mi fermo qui proprio perchè il di più…lo lascio dire a voi. Ovvio che sembra una “mossa della dispoerazione”. Di certo qualche problemino, cara Angelina, c’è…


…e per completare il tutto, c’è qeuta interessante video intervista….Forse è meglio cominciare a chiedersi seriamente che diavolo sta capitando “dietro le quinte” del colosso tedesco…

FLASH: DEUTSCHE BANK, ristrutturazione in corso! | IntermarketAndMore
STAY TUNED!

Danilo DT
 
lo stress test per le europee
Focus su Deutsche Bank e banche austriache
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Il caso del Monte dei Paschi di Siena e delle banche italiane in generale ha tenuto banco in queste settimane che precedono la pubblicazione degli stress test. Ma gli esami, si sa, valgono per tutti e anche diversi istituti di credito di altri Paesi europei sono esposti al rischio di una reprimenda da parte dell’Eba.

Sul banco degli imputati c’è chiaramente Deutsche Bank. Se per Mps il rischio è quello dei crediti inesigibili, i mali della banca tedesca sono altri. I cosiddetti titoli illiquidi come i derivati negoziati fuori dai circuiti regolamentati o i prestiti per operazioni di private equity. Alla fine di marzo il “fair value” a bilancio di questi asset era pari a 31 miliardi di euro.
C’è poi la voce «litigation cost», ossia le sanzioni per i diversi contenziosi legali per gli scandali (come quello sulla manipolazione del Libor) che l’hanno vista coinvolta. Nel bilancio 2015, chiuso con una perdita monstre (6,7 miliardi di euro), figurano ben 5,2 miliardi di accantonamenti sui contenziosi e l’ad John Cryan in occasione dell’ultima trimestrale ha fatto sapere che il conto potrebbe salire ancora. Il 30 giugno scorso le azioni della banca hanno toccato i minimi storici a 12,83 euro. Il Fondo monetario internazionale ha definito Deutsche quella che, tra le grandi banche, «più di tutte contribuisce ai rischi sistemici».

Deutsche Bank ha peraltro già fallito di recente uno stress test: quello condotto negli Stati Uniti dalla Fed sulla controllata americana che non ha passato la prova della cosiddetta Comprehensive Capital Analysis and Review per il terzo anno di fila (un primato di cui nessun altro istituto di credito si era mai macchiato).

Non se la passano troppo bene poi le banche austriache che, così come l’italiana Unicredit, pagano l’ambizione di voler diventare l’espansione nel mercato dell’Est Europa. Sotto esame dell’Eba ci sono Erste e Raiffeisen Bank international. Le grosse operazioni di pulizia di bilancio per questi due istituti sono arrivate nel 2014 quando hanno registrato rispettivamente svalutazioni per oltre un miliardo di euro e 482 milioni di euro. Per puntellare i requisiti patrimoniali la strada di Raiffeisen è stata quella delle cessioni delle attività estere: Slovenia a fine 2015 e oggi la Polonia per cui non si è ancora trovato un conpratore.

Al netto delle singole criticità resta poi un ben noto male comune di tutto il settore: quello della scarsa redditività. Un tallone d’Achille che è ben noto al responsabile della vigilanza comune: il presidente della Bce Mario Draghi che in occasione del direttivo di giovedì scorso non ha mancato di farne parola. La politica monetaria espansiva, che la Bce insieme alle altre banche centrali ha messo in atto in questi anni per far fronte alla crisi, ha provocato un deciso assottigliamento dei margini di guadagno degli istituti di credito. Da un’elaborazione che Il Sole 24 Ore ha fatto su banca dati S&P Capital Iq sui bilanci delle 20 big europee risulta che il margine di interesse aggregato sui crediti è passato da 669 miliardi di euro del 2008 agli attuali 433.
 
I test segnano una stangata sul patrimonio di Deutsche Bank: peggiora il CET1 fully loaded al 7,8%, in forte calo rispetto agli esercizi precedenti.

Niente panico, Deutsche Bank non sta fallendo

È la banca che più contribuisce al rischio sistemico nel mondo. Ma questo non vuol dire che sta fallendo. Ha un’esposizione lorda di 50mila miliardi. Ma conta quella netta che è molto inferiore. Motivo per cui nel 2008 non è esplosa, a differenza di Lehman Brothers
di Fabrizio Patti
Niente panico, Deutsche Bank non sta fallendo - Linkiesta.it
 

Niente panico, Deutsche Bank non sta fallendo

È la banca che più contribuisce al rischio sistemico nel mondo. Ma questo non vuol dire che sta fallendo. Ha un’esposizione lorda di 54mila miliardi. Ma conta quella netta che è molto inferiore. Motivo per cui nel 2008 non è esplosa, a differenza di Lehman Brothers
di Fabrizio Patti
Niente panico, Deutsche Bank non sta fallendo - Linkiesta.it
Con la malattia della Deutsche Bank forse si sta esagerando. Certamente ci sono dei fatti: le multe miliardarie, l’alto rischio sistemico certificato dal Fmi, la bocciatura della filiale americana negli stress test della Fed. E il rischio di una nuova bacchettata agli stress test europei di fine luglio. Rischio che ha fatto salire il valore dei Credit default swap ai livelli di febbraio, il doppio rispetto allo scorso dicembre. Tutto questo si accompagna alla discesa del titolo in Borsa nell’ultimo anno e alle valutazioni di analisti, come quelli di Barclays, secondo cui saranno necessarie nuove ricapitalizzazioni, dopo quelle degli scorsi anni. Insomma, tante gatte da pelare.
Ma, piuttosto che soffiare sul fuoco del panico, è meglio fermarsi e guardare con distacco quegli stessi dati. È quel che ha fatto con Linkiesta Nicola Borri, assistant professor di Economia alla Luiss e tra gli osservatori del mondo bancario più apprezzati in Italia. Da giorni studia DB per un’analisi per lavoce.info ed è convinto: «La situazione di Deutsche Bank non è diversa da quella di altre banche europee», tutte in difficoltà a causa dei tassi bassi della Bce. Tra la preoccupazione dei mercati e il trambusto che si sta facendo in Italia passa la battaglia politica di Matteo Renzi di usare la vicenda della banca tedesca per ottenere dei margini di manovra nelle regole sul bail-in. In altre parole per intervenire in Mps senza avviare una procedura di risoluzione che coinvolga anche gli obbligazionisti.

«Chi conosce la realtà delle cose, sa che la vera questione sulla finanza europea non sono gli Npl (non performing loans, ovvero crediti deteriorati, ndr) delle banche italiane, ma sono i derivati di altre banche», ha detto Renzi mercoledì 6 luglio, aggiungendo: «Se la questione degli Npl vale uno, quella dei derivati vale 100».
Partiamo quindi dall’esposizione ai derivati. Il dato al profano fa cadere la mascella: circa 54mila miliardi di euro di esposizione. Ma, attenzione, si tratta dell’esposizione lorda, altrimenti detta nozionale, che «conta poco o niente», dice Borri. Questo perché nel mercato dei derivati molte posizioni di segno opposto si cancellano l’un l’altra. Se per esempio un derivato è legato all’aumento dei tassi, un altro è legato alla loro discesa. Bisogna togliere dal calcolo questi annullamenti vicendevoli, con un processo che si in gergo si chiama “nettare”. A quanto ammonta l’esposizione netta? Nel bilancio 2015 della banca, si trovano due voci: il valore di mercato positivo (asset) per 634 miliardi; e un valore di mercato negativo (liabilities) per 615 miliardi. Per un valore di mercato netto di 19 miliardi, due in meno dei 21 dell’anno prima. È tanto o è poco? «È tanto ma è gestibile», commenta Borri. Questo anche «perché dietro ai derivati ci sono garanzie». C’è però un’eccezione che arriva subito. Se una sola delle controparti nella catena delle garanzie fallisce, ha messo in guardia - tra gli altri - il blog Zero Hedge, non ha più senso parlare di netto e lordo, perché si crea un effetto domino. La risposta - spiega Borri - sembra però stare nelle regole dei principi contabili internazionali (Ias), che vietano di “nettare” i derivati con la stessa banca. Cosa, che, invece, è possibile negli Usa, generando il rischio ventilato da Zero Hedge.

Il dato sull’esposizione lorda è impressionante: circa 54mila miliardi di euro. Ma conta quella netta. Che è molta, ma gestibile

C’è poi la questione del rischio sistemico denunciato dall’Fmi. Si rischia di andare sulla lana caprina, ma la questione è sostanziale. Il Fondo monetario dice che Deutsche Bank è la banca che più contribuisce al rischio sistemico nel mondo. «Ma non dice che è la banca più a rischio», puntualizza Borri. Se cadesse sarebbe una catastrofe su scala globale, questo non lo nega nessuno, ma da qui a dire che è in pericolo di fallimento è un altro paio di maniche.

Quanto alla bocciatura degli stress test della Fed, unica banca a non passare assieme a Santander sulle 33 esaminate? In questo caso le precisazioni sono due. La prima: non è stata bocciata tutta la Deutsche Bank, ma una filiale che opera negli Stati Uniti e che si occupa solo di investment banking. La seconda: la bocciatura è stata dovuta non a una mancanza di capitali ma ai sistemi di risk management. In questo giro di stress test erano i modelli di gestione sotto esame.

Quest’ultima precisazione, in realtà, un campanello d’allarme lo fa scattare eccome. La domanda da porsi è una: «Questi sistemi di risk management usati nella filiale statunitense e considerati inadeguati dalla Fed, sono gli stessi usati in Germania?». Ogni banca può avere dei propri sistemi di gestione del rischio, che hanno una certa discrezionalità soprattutto quando si parla di derivati di “livello 3”. Ossia di titoli, generalmente tossici o comunque altamente strutturati, di cui non si può fare una valutazione tecnica con parametri osservabili. In Deutsche Bank questi derivati valgono, al 31 marzo 2016, 30 miliardi, poco meno dei report precedenti (quelli di livello 2 sono 765 miliardi). «Gran parte della valutazione si basa su modelli interni, quella è la variabile di rischio». Non è che la banca faccia quello che vuole.
La supervisione e il controllo sui modelli di rischio spetta alla vigilanza della Bce. Da poco, però. Fino allo scorso anno, i controlli toccavano alle banche centrali nazionali e «c’è sempre il rischio che la vigilanza nazionale sia meno rigorosa di quella europea», commenta il docente della Luiss. La palla passa dunque alla Bce e dobbiamo fidarci sulla sua capacità di essere severa anche con la principale banca tedesca.


Ci sono altri punti che, in tutti i casi, non vanno sottovalutati. Il primo è la discesa dei valori di Borsa, segno che gli investitori sono pessimisti. Se si guarda l’andamento da un anno a questa parte, DB ha perso il 56,8% del valore. Il dato va comunque inserito in un contesto più ampio: l’indice europeo delle banche ha perso il 43% nello stesso periodo. In Italia il titolo di Mps in 12 mesi è sceso dell’82% e quello della banca italiana più solida, Intesa, del 47 per cento. Stiamo quindi parlando di un calo forte ma in un contesto di calo di redditività generalizzato che ha varie cause (come fattori tecnologici) e su tutte il basso livello di tassi di interessi fissati dalla Bce. Rispetto alle altre banche la DB può però pagare di più gli effetti della Brexit, perché fa molta attività di investment banking: se calano operazioni come quelle di fusioni e acquisizioni, non potrà che risentirne.

Più preoccupante è il valore dei Cds, swap usati come copertura dal rischio di fallimento. Più il tasso sale, più c’è preoccupazione. Quello a cinque anni di Deutsche Bank è salito a 243 punti, contro i meno di 100 del dicembre 2015. Tra le banche europee sta appena peggio di Unicredit e appena meglio di Banco Popolare. Il Cds di Intesa, che alla fine del 2015 era pure intorno ai 100 punti, oggi è a 165. Mps è invece quasi in vetta alla poco invidiabile classifica di settore europea, con 604 punti. Il nervosismo nei mercati quindi c’è e va oltre le interpretazioni spinte dei politici di casa nostra.

Infine c’è la questione degli stress test europei. Quelli degli anni passati hanno finito per attribuire poco peso all’esposizione ai derivati. Quelli che si concluderanno il 29 luglio ne daranno di più e peseranno anche le multe (sono rispettivamente rischi-mercato e rischi operativi). DB ne ha raccolte per molti miliardi, che hanno pesato sul bilancio in perdita del 2015 (-6,8 miliardi). L’episodio più noto è legato allo scandalo della manipolazione del tasso interbancario Libor, chiuso con una maxi transazione da 2,5 miliardi di dollari. Le multe nascono da una serie di condotte spericolate che sono state portate avanti già a partire dalla metà degli anni Novanta e che si sono accentuate con lo sbarco in forze (e con una vera campagna acquisti di trader) negli Stati Uniti. Artefice e simbolo di quell’approccio è Anshu Jain, l’ex ad di origine indiana che si è dimesso nel giugno 2015. DB ha preso molti rischi e, come ha certificato l’Fmi, è un rischio per gli altri. Ma nel 2008, quando Lehman Brothers falliva, la banca tedesca ne uscì in piedi, proprio perché l’esposizione netta non era elevata, in confronto a quella lorda. Un precedente che va considerato, in queste giornate di fibrillazione.

Se poi “le autorità europee” decidessero che Deutsche Bank deve ricapitalizzarsi d’urgenza, facendole fallire gli stress test anche nello scenario base, che accadrebbe? È la domanda che si è posto il blog Phastidio di Mario Seminerio, ipotizzando varie strade: una ricapitalizzazione sul mercato, dopo quelle degli anni passati; una ricapitalizzazione con soldi pubblici applicando il bail-in; oppure, caso estremo, una ricapitalizzazione con soldi pubblici e senza condivisione dell’onere con gli investitoti privati. Ossia ribaltando il tavolo dell’Unione bancaria. In nessun caso, comunque, l’Italia avrebbe da guadagnare dalla disgrazia di Db. Se non altro, scrive Seminerio, «perché noi non abbiamo capacità fiscale per intervenire su vasta scala sulle nostre banche. Non solo: se la Germania facesse saltare le regole del gioco, l’Italia sarebbe spazzata via dal darwinistico “liberi tutti” che si affermerebbe sul mercato un minuto dopo». Cosa succederebbe nella terza ipotesi alla Germania? Una risposta indiretta l’ha data a Linkiesta Alberto Gallo: «Ci sono tre sistemi finanziari in Europa che non hanno fatto le ristrutturazioni necessarie: quelli di Italia, Germania e Portogallo. La Germania ha un basso debito pubblico e volendo potrebbe risolvere tutto in poco tempo».
 

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