ma Deutsche Bank sta fallendo?

La Germania ha un basso debito pubblico e volendo potrebbe risolvere tutto in poco tempo
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l'Italia ha un elevato patrimonio immobiliare e volendo potrebbe risolvere tutto in poco tempo :eeh:
patrimoniale
 
Crisi Deutsche Bank: ora anche i tedeschi chiedono la nazionalizzazione



Crisi Deutsche Bank: ora anche i tedeschi chiedono la nazionalizzazione
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Aggiunto da Salvatore Recupero il 11 agosto 2016.
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Francoforte, 11 ago – “Anche se è improbabile che la Deutsche Bank entri in bancarotta, l’istituto di credito di Francoforte non ha abbastanza risorse per affrontare una lunga e grave crisi”. Con queste parole l’analista Martin Hellwig (top economist presso il Max Planck Institute), ha definito lo stato di salute di una delle più importanti banche europee in un’intervista al giornale Express.
Fin qui, però, nulla di nuovo.
A far discutere, infatti, è la soluzione proposta dall’economista tedesco.
Secondo Hellwig: “Rendere le banche di proprietà pubblica attraverso i fondi pubblici non è solo possibile, ma anche necessario. Se una banca non è più capace di aiutare se stessa, il governo federale dovrebbe assumere delle iniziative ed esercitare le relative funzioni di controllo. In Svezia lo Stato è intervenuto nel 1992, ha scartato le divisioni non redditizie e ha lasciato delle aziende stabili”.
Le parole dell’analista tedesco suonano come una bestemmia sull’altare del neoliberismo. La soluzione per la crisi delle banche passa dunque per un intervento diretto dello stato? Prima di rispondere a questa domanda, cerchiamo di capire la situazione in cui versa la Deutsche Bank.

Il colosso bancario tedesco non naviga certo in acque serene.
L’argomento è già stato affrontato su questo sito lo scorso trenta luglio all’indomani dell’esito degli stress test della Bce.
Per fare chiarezza proviamo a fornire qualche numero.
Un dato su tutti: i derivati. La Deutsche Bank ha “in pancia” derivati per un valore nozionale di cinquantaquattro mila miliardi di euro: una cifra equivalente a quattordici volte l’intero prodotto interno lordo della Germania. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha ammesso che questo è “il principale elemento di rischio sistemico”.

Sull’anomalia della Deutsche Bank è importante citare Giorgio Vitangeli, in suo recente articolo su La Finanza sul Web. Vitangeli ricorda come: “Il presidente dell’Asso -Tag (l’Associazione dei periti e consulenti tecnici di nomina giudiziaria) Alfonso Scarano, ha recentemente inviato una lettera al presidente della BCE Mario Draghi, chiedendo maggiore chiarezza sui rischi insiti nei derivati finanziari, sottolineando come appaia “incomprensibile l’attuale discriminazione di trattamento tra la puntuale analisi dei rischi del credito commerciale da un lato e dall’altro la mancata puntuale analisi del rischio insito nei derivati finanziari in possesso delle banche, in particolare della classe 3” (su questi derivati, com’è noto, sono le stesse banche a stabilirne il valore in bilancio)”.
Quanto detto è utile per capire che c’è una carenza di controlli e di regole.

Torniamo, dunque, alle valutazione del’analista blasfemo Hellwig. L’economista tedesco ricorda come: “Dal di fuori si ha l’impressione che negli ultimi venti anni i banchieri abbiano prosciugato la vitalità della Deutsche. Una nazionalizzazione in caso di emergenza potrebbe essere un passo verso una maggiore razionalità nel mondo bancario”.

Ma, Hellwig non è il solo a denunciare la schizofrenia della finanza. L’esperto di finanza Max Keiser ha recentemente affermato che la banca più grande della Germania è “tecnicamente insolvente”. In brevis, la Deutsche Bank si regge su un modello economico di vendita truffaldino che promette forti guadagni alle vittime a patto che queste reclutino nuovi “investitori”, a loro volta vittime della truffa.
Lo schema Ponzi, in pratica.
Forse, il paragone può sembrare esagerato. Ma, in realtà non lo è. Il meccanismo è semplice: ti vendono una cambiale facendoti credere che si tratti di un lingotto d’oro. Siamo ancora sicuri che la nazionalizzazione di una banca sia un pessimo affare per la collettività?




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Deutsche Bank secondo uno studio di Zew eseguito su 51 banche, eseguito con la metodologia Fed, non ha una situazione patrimoniale adeguata. La banca presenterebbe un 'buco' di capitale pari a 19 miliardi in caso di una pesante crisi finanziaria. DB ha un valore di Borsa di circa 17 miliardi e muove derivati per 20 volte il PIL tedesco.
Société Générale (13 miliardi di buco) e Bnp Paribas (10 miliardi) hanno invece una capitalizzazione superiore al potenziale buco.

Adriano Rossi - Deutsche Bank, secondo uno studio di Zew... | Facebook
 
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Banche: che stress
Il buco nero di Deutsche Bank
Ma scherza, se DB fallisse l’onda d’urto investirebbe anche Marte e Plutone. «DB is too big to fail»

DB è a leva sul sistema bancario. Ma il suo vero tallone d’Achille non è la liquidità bensì il capitale. Un peccato originale che risale al 2008 quando i suoi competitor americani vennero ricapitalizzati de jure mentre DB rifiutò di ricevere – a differenza di altre banche tedesche – qualsiasi tipo di iniezione di capitali pubblici. Ora i nodi vengono al pettine».
Rischia di fallire?
«Ma scherza, se DB fallisse l’onda d’urto investirebbe anche Marte e Plutone. «DB is too big to fail», è troppo grande per fallire, salterebbe l’intero sistema finanziario del pianeta. Vede, se la Deutsche non fosse stata tedesca, si sarebbe già trasformata in un oggetto narrativo, protagonista di film, libri e documentari. Ma la Germania la salverà e finalmente finirà la stupida retorica sul divieto agli aiuti di Stato».

Lo scenario è quello di una nuova crisi finanziaria sistemica «con un declino del mercato azionario globale del 40 per cento in sei mesi». Sotto esame c’è un campione di cinquantuno grandi banche europee. E Deutsche Bank avrebbe un buco di capitale pari a 19 miliardi euro. A prospettare questa catastrofe è lo Zew, Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung, istituto economico con sede a Mannheim, in Germania. Lo studio (qui) è stato condotto dal team del professor Sasha Steffen, sulla base dei parametri della Federal Reserve Usa (CCAR 2016), diversi da quelli usati per gli stress test dell’Autorità bancaria europea (Eba) nel 2014.

Il deficit di capitale delle banche passate al setaccio da Zew raggiungerebbe quota 123 miliardi di euro: in testa DB con 19 miliardi di euro, dalle francesi Société Générale con 13 miliardi e BNP Paribas (10 miliardi).

«Le banche europee non hanno capitale a sufficienza per compensare le perdite previste nel caso di un’altra crisi finanziaria», ha fatto sapere l’istituto in una nota riportata da Reuters.
Se è vero che dagli stress test dell’Eba del 29 luglio scorso non è risultato nessun bisogno di un’iniezione di capitale (in particolare per Deutsche Bank che ha respinto i numeri snocciolati dallo Zew), è vero anche che – come ha spiegato Steffen, co-autore insieme ai professori Viral Acharya e Diane Pierret – «il principale scopo degli stress test recenti era quello di aumentare la trasparenza sull’adeguatezza in termini di capitalizzazione in caso di pressione, non quello di rivelare effettivi ammanchi sui quali si sarebbe dovuto intervenire immediatamente».

Secondo Steffen, una soluzione per uscire dall’impasse ci sarebbe ed è di natura politica. «Gli Stati Uniti hanno tratto le loro conclusioni e implementato misure globali per la ricapitalizzazione del settore bancario americano già nel 2008. La mancanza di volontà politica ci dice che questo in Europa non è ancora avvenuto».

Proprio di questo aveva parlato il raider Bruno Livraghi nella fantaintervista con i Diavoli del 6 luglio scorso:

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È fondamentale guardare altrove, e non soltanto dove qualcuno vuole che l’attenzione si concentri. C’è qualcosa d’impronunciabile che riguarda l’Europa. Tutti guardano al Sud dove il fascio di luce illumina le banche italiane. Invece per me bisogna concentrarsi sulla Germania. Gli stress test potrebbero tradire non poche difficoltà per una grande banca tedesca. E sto usando un eufemismo. Per la prima volta le verifiche includeranno rischi-mercato ‎e rischi operativi, ovvero derivati e multe! Sono sicuro che in Europa qualcuno all’apparenza insospettabile è troppo esposto in questo senso e potrebbe uscirne male.



In Europa o in Germania?
Diciamo che se le cavie da laboratorio sono l’Italia e il Portogallo, il vero malato è in Germania: la grande banca di cui parlo.

Sembra una posizione ideologica oppure una specie di vendetta contro la rigidità tedesca da parte di un italiano. Sta cercando di occultare la crisi strutturale del vostro sistema bancario?
L’attenzione sull’Italia è determinata da cause precise e ampiamente note dal momento in cui è emerso il problema dei crediti deteriorati. Ciò che, invece, rimane oscuro è il bilancio della grande banca tedesca e l’ammontare esatto dei contratti derivati. Potrebbe trasformarsi in una voragine di perdite senza precedenti. Uso un’immagine forte: quello – a mio avviso – è il vero buco nero della finanza globale. E peraltro concentrarsi lì, nel cuore dell’Europa, e non sui soliti noti della periferia, potrebbe favorire una riflessione finalmente seria, o addirittura dettare un processo di riforma dell’intero sistema.

Eppure dalla Germania continuano ad arrivare segnali di rassicurazione e da più parti si dice che gli istituti bancari tedeschi hanno un’esposizione netta molto limitata sui derivati.
Guardi, ancora una volta è la prospettiva da cui si guarda a fare la differenza. A me non interessa la posizione netta, bensì quella lorda. A ogni contratto derivato è legato un profitto o una perdita e di conseguenza un rapporto di credito o debito con la controparte con cui è stato negoziato il derivato. La grande banca tedesca, quindi, pur non essendo esposta alla direzionalità dei mercati, è esposta massicciamente alla fragilità del sistema. E non c’è collaterale che tenga. Immaginate un transatlantico che deve manovrare per attraccare in un porto. Il luogo è protetto, certo. Ma se sopraggiunge un imprevisto capace di alterare anche di poco la velocità o la rotta, non è come in mare aperto… È questione di pochi metri, ma in una manovra simile pochi metri sono decisivi: direi che sono tutto. Il rischio è una collisione rovinosa. Ecco, i collaterali sono i parabordi. Ma se sopraggiungono condizioni impreviste nella manovra di attracco, beh, allora non c’è parabordo che tenga.

In altre parole?
In altre parole questa banca potrebbe avere crediti per miliardi legati ai derivati con controparti semi-fallite e debiti equivalenti per altrettanti miliardi con altre controparti. Se una controparte creditrice non dovesse pagare, potrebbe scattare un effetto-domino, l’inizio di una vera e propria valanga. Di fatto un contratto derivato potrebbe trasformarsi in un credito deteriorato a leva. Mi permetta di farle io una domanda…

Prego.
Ha idea dell’esposizione dei Tesori nazionali verso le banche d’investimento legate ai derivati?

Ricordo il caso del Tesoro italiano e di una celebre banca d’affari americana.
Ecco, quello è un esempio perfetto. Ora moltiplichi quell’esposizione per milioni e avrà un’idea dell’entità del rischio sistemico legato al mondo dei derivati emessi negli ultimi vent’anni. La grande banca tedesca ha una fetta enorme di quel rischio.

E adesso cosa fa il raider Bruno Livraghi?
Quella banca tedesca l’ho venduta allo scoperto da tempo. È uno short strutturale, e non ho intenzione di ricoprirmi. Semmai comprerò altre banche.

È salito sul carro in buona compagnia. Non le sembra che il carro sia già troppo affollato?
Sì, inizia a essere affollato: meglio così… È importante attrarre l’attenzione mediatica. I rischi aumentano, ma sono pronto a sopportare un’alta volatilità. Mi creda, non ci sarà happy ending se non prima di una durissima resa dei conti…

E come finirà con le banche italiane?
Se i tedeschi decidessero di fare delle deroghe al loro fondamentalismo, potrebbero accendere la green light per l’immissione di capitale pubblico in una banca privata. Potrebbe tornargli utile qualora dovessero salvare qualcosa che gli sta molto a cuore.

Da Lo stress test è al cuore dell’Europa. Il Tredicesimo Piano
 
Tontolina scusami ma quando rispondi , avresti la gentilezza di rispondere in breve, senza pubblicare enciclopedie ?
Grazie
 
Guerra commerciale
Gli Usa chiedono risarcimento alla Deutsche Bank. Incalza la Trade War fra le sponde dell’Atlantico


I fatti
16 Settembre 2016 – Deutsche Bank chiamata a risarcire 14 miliardi di dollari dal governo americano per la “crisi dei subprime” del 2008. Questo è il primo risultato dello scontro legale che ha visto contrapporsi gli Usa alla banca tedesca. “Deutsche Bank non ha alcuna intenzione di onorare cause civili di questa entità”, ha detto la società in un comunicato stampa oggi a Francoforte. “I negoziati sono solo all’inizio. La banca si aspetta un esito simile a quelli di altre banche, alle quali sono stati notificate sanzioni sostanzialmente inferiori “.

John Cryan, Chief Executive Officer di DB afferma di mirare a risolvere importanti questioni legali in sospeso il più presto possibile, come parte della sua più ampia opera di revisione. Deutsche Bank aveva già stanziato 5,5 miliardi di euro per liquidazioni e multe alla fine di giugno. Ma, oltre alle indagini sui mutui Subprime negli Stati Uniti, la banca si trova di fronte a contenziosi e indagini regolamentari in materia di questioni come la manipolazione dei tassi di valuta estera e metalli preziosi destinati alla negoziazione. Secondo il suo rapporto annuale 2015 pubblicato a marzo 2016, DB ha in corso 47 azioni civili riguardanti la determinazione di parametri di riferimento sui prestiti interbancari.
“Ovviamente non mi piace questo importo, è troppo alto e sembra che ad ogni accordo, il Dipartimento di Giustizia americano voglia ottenere di più dalle aziende europee”, ha detto Andreas Domke, gestore di portafoglio presso Allianz Global Investors.

Dopo la multa ad Apple in Europa, ora, Deutsche Bank negli Stati Uniti. Trade war?

«Nessuna matassa è inestricabile. Tutto comincia e si conclude con un filo. Basta trovare quello giusto. “Trade War” è solo un modo di vedere e chiamare le cose. Il modo di chi guarda tutto dall’alto, come il personaggio del film. Io non sto in alto e non mi sono immedesimato nel funambolo. Io sono uno coi piedi sulla strada e la testa in su, a guardare il numero sul filo. Io non trattengo il fiato, per i volteggi dell’uomo a 110 metri dal suolo.» Da La Dolce Vita delle multinazionali. Il Tredicesimo piano

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«Le inchieste, e quelle in corso da tempo su Amazon in Lussemburgo e Apple in Irlanda… Davanti alle auto che si trascinano sul Lungotevere, davanti ai platani che perdono le foglie, penso che se aggiungo il caso Volkswagen riesco a vedere una guerra commerciale a colpi di sentenze. In Europa attaccano alcune platform tecnologiche, in America rispondono con lo scandalo delle emissioni. Una guerra invisibile, combattuta sopra le teste di milioni di lavoratori. E gli effetti si abbattono come una valanga sulle vite di troppa gente
 

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