Cellulari, in Asia e Africa le Vodafone del futuro
STEFANO CARLI
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Lo scenario mondiale della telefonia mobile è tornato in fermento come ai tempi del boom di dieci anni fa. Solo che questa volta il movimento è davvero globale e sta ridisegnando la geografia mondiale degli operatori cellulari. Se l’affermazione può sembrare eccessiva è perché si continua a guardare solo a quello che succede nella Vecchia Europa e negli States, mentre è ora di volgere l’attenzione ad alcuni movimenti di assestamento sui mercati asiatico, sudamericano, del Medio Oriente e perfino dell’Africa. I mercati emergenti stanno insomma crescendo le loro nuove Vodafone.
Certo, questo non vuol dire che il megamerger tra At&t e TMobile negli Usa sia da sottovalutare. Né potrebbe essere diversamente. Sia per l’entità dell’operazione, 39 miliardi di dollari. Sia perché grazie alle polemiche suscitate anche l’Europa ha scoperto che Obama sta per mettere all’asta ulteriori frequenze con l’obiettivo di incassare altri 27 miliardi di dollari nel prossimo decennio.Ma l’operazione americana non è stata l’unica. Quasi contemporaneamente c’è stato il definitivo via libera alla fusione tra la russonorvegese Vimpelcom e gli asset fuori dall’Egitto della Orascom di Naguib Sawiris, ossia Wind in Italia e le controllate in Tunisia, Algeria, Pakistan, Bangladesh ma con presenze anche in Zimbabwe, Namibia e Burundi. E’ quindi ufficialmente nato un gruppo da oltre 170 milioni di utenti.
Tutto questo movimento è però partito lo scorso giugno da Mombai, in India, quando è stata messa nero su bianco una delle maggiori operazione crossborder della nuova economia indiana: la Bharti Airtel ha acquisito per 10,7 miliardi di dollari le attività africane di Zain, la ex Mtc, la telecom mobile del Kuwait. Con questa operazione Bharti Airtel è diventata la terza compagnia mobile al mondo per numero di utenti: i suoi 208 milioni sono a ridosso dei 219 di Vodafone (calcolati assegnando solo gli utenti delle società controllate e non anche proquota quelli delle partecipate). Se At&tTMobile andrà in porto, la nuova società scavalcherà Bharti al terzo posto. «Ma non sarà per molto spiega Riccardo Monti, executive director di Value Partners e responsabile Global Telco Practice, che segue da anni progetti delle telco dei paesi emergenti, dagli Emirati all’Asia Già in tre anni, nel 2015, la differente velocità di crescita tra mercati emergenti e maturi avrà riportato gli indiani al terzo posto».
Le classifiche sono un modo comodo di raffigurare un mercato globale, ma dietro le metafore dei sorpassi c’è una sostanza reale. «La sfida delle tlc del prossimo decennio si gioca sui mercati emergenti afferma Monti e lì le regole sono diverse. Bisogna sapere cosa fare e come muoversi. E il caso Bharti ne è l’esempio migliore».
Le tlc indiane sono una palestra micidiale da questo punto di vista. Arpu (la spesa media mensile per utente) bassissimo, di pochi dollari al mese: ma la crescita è tutta lì. Bisogna saper gestire un modello di business basato su micropagamenti unitari infinitesimi ma moltiplicati per miliardi di operazioni. E’ proprio quello che ha saputo fare il gruppo Bharti. E’ il tipico gruppo indiano. Controllato e guidato dalla famiglia Bharti Mittal: un doppio nome per distinguerli dagli altri Mittal, i signori dell’acciaio. In India è il numero uno nel mobile, con 150 milioni di utenti, ma si occupa anche di connessioni fisse e di infrastruttura. Ha una joint venture con l’Alcatel e giusto un anno fa ha posato e inaugurato un cavo ottico sottomarino di 10 mila chilometri che arriva fino in Usa passando per il Giappone. Che è la prova provata che anche con margini così ridotti si fa cassa a sufficienza per investire e crescere. Bharti ha chiuso il bilancio 2010 (nel mese di marzo, quindi prima dell’acquisizione di Zain) con 8,8 miliardi di dollari di ricavi.
«Si è creata una sorta di specializzazione geografica commenta Monti La Cina va all’estero con le infrastrutture, vedi Huawei o Zte, mentre i suoi operatori telecom ancora non sono mai uscitie dai confini. L’India sembra muoversi soprattutto all’opposto».
Il che vuol dire che ci sarà da aspettarsi altre operazioni. Quanto a breve non è dato sapere oggi, ma la loro localizzazione è abbastanza certa: Africa e Medio Oriente.
In Africa ci sono situazioni che non possono restare ferme a lungo. In Kenya, per esempio, l’operatore mobile leader, la Safaricom, ha quasi l’80% del mercato domestico. Ma al di sotto si muovono appunto Bharti, con l’11%, Essar, secondo operatore indiano ora interamente controllato da Vodafone con il 7% e infine anche Orange, il marchio nei cellulari di France Telecom con il 2%.
Per il momento a crescere in Africa è però in particolare la sudafricana Mtn, che ai 100 milioni di utenti africani aggiunge anche altri 11nel Medio Oriente. Il fatturato 2010 di Mtn è stato di oltre 16 miliardi di dollari.
Oltre Bharti, Mtn e Essar altre novità potranno arrivare dagli altri operatori legati ai ricchi emiri arabi. «Gli operatori del Golfo hanno ancora grande voglia di investire all'estero. Non bisogna lasciarsi ingannare dal caso Zain, che ha venduto le sue partecipate Africane a Bharti spiega Riccardo Monti perché quello è un caso particolare. Zain è infatti l’unica tra le telecom mobili arabe ad essere di proprietà di una famiglia. Ricchissima, per carità, ma è in una situazione ben diversa rispetto agli altri tre operatori della regione: la saudita Stc, la Etisalat degli Emirati e la Qtel del Qatar. Queste tre fanno capo ai rispettivi fondi sovrani. Vuol dire che non hanno problemi finanziari a breve. I loro azionisti possono aspettare molto più tempo di un normale investitore, e per ora stanno alla finestra. Di sicuro non venderanno. Anche se per loro la difficoltà è la stessa che ha portato Zain a vendere i suoi asset non domestici Quando operi in uno dei più ricchi mercati del mondo, con un Arpu mensile superiore a 44 dollari, (mentre in Europa occidentale siamo a 29 e Italia a 26),mancano le capacità di competere in un mercato come quello africano, dove in molti paesi l'Arpu è sotto i 4 dollari al mese. Giusto come l'India che si attesta su 3,5 dollari».
Anche dall’altra parte dell’Atlantico ci sono però novità. Il consolidamento in atto sui grandi mercati dell’America di lingua latina, dal Messico fino al Cono Sud, fa emergere due protagonisti su tutti: l’America Movil del miliardario messicano Carlos Slim e la spagnola Telefonica. Adesso la fase dei contenziosi a protezione dei potentati locali sembra finita, come ha anche dimostrato la conclusione della complicata vertenza argentina che ha coinvolto Telecom Italia. E questo apre spazio ad un periodo di crescita e di ulteriori operazioni. Già tra 2009 e 2010 il mercato sudamericano è cresciuto di circa il 12% arrivando a sfiorare la soglia dei 500 milioni di utenti cellulari. E da questo punto di vista i 55 milioni di utenti che fanno capo a Telecom Italia, essendone un 10% abbondante, lasciano margine a qualche possibilità anche per l’operatore italiano, sempre al netto dei problemi interni, di governance e di debito, del gruppo guidato da Franco Bernabè. D’altra parte gli utenti sudamericani di Telecom Italia sono più del doppio di quelli del suo diretto concorrente, la Millicom, che ne ha 23. E Millicom, pur quotata al Nasdaq, è una tipica conglomerata scandinava in cui il buisness delle tlc mobili è solo una parte assieme a hotel, immobiliare, utility e finanza. E’ presente in una dozzina di mercati diversi e non è detto che non decida prima o poi di uscire.
Resta infine un capitolo a parte, tra le nuove e potenziali Vodafone: quello della «vera» Vodafone. A Vittorio Colao sta forse per riuscire quello che il suo predecessore ha per anni esitato a fare: mollare tutti i mercati in cui il gruppo è presente con una quota che non garantisce il controllo sulla gestione e le strategie. E’ così che è maturata l’uscita di Vodafone dalla Francia, con la cessione a Vivendi della sua quota del 44% in Sfr, secondo operatore mobile francese, per oltre 7 miliardi di euro. Così è uscita dal Giappone. Così potrà forse riuscire a disincagliarsi dalla partita Verizon negli Usa, dove da anni il suo 45% conta poco o nulla e ora, tra le aste per le frequenze e i costi per le nuove reti 4G, potrebbe anche smettere di fornire quel pur apprezzabile reddito in termini di dividendi. L’altra faccia di questa strategia di Vodafone è di prendere il controllo diretto delle sue filiali sui nuovi mercati a crescita più rapida. E’ per questo che ha appena liquidato il suo socio locale e di minoranza in India in Essar, secondo operatore mobile del paese. Dovrebbe essere una strategia vincente. Le previsioni di Value Parters al 2015 vedono infatti Vodafone ancora saldamente al secondo posto al mondo per utenti dietro China Mobile. Ma con un tasso di crescita perfino maggiore di quella del gigante cinese.