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Tlc, le nobili decadute dei listini internazionali
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I nobili decaduti. Gli ex monopolisti pubblici dei telefoni non sono più protagonisti del mercato finanziario. France Telecom, Deutsche Telekom, Telefonica, Telecom Italia e British Telecom hanno seguito sentieri analoghi nell’ultimo decennio, spesso incrociandosi e altrettanto spesso scontrandosi.
Le scelte di azionisti e management, la competizione internazionale e i differenti ambiti regolatori hanno prodotto risultati diversi, ma tutti ora appaiono dei giganti esausti: piegati sotto il peso di debiti altissimi e dalla necessità di continuare ad investire su rete e applicazioni per rimanere al passo con i tempi. Nulla del valore creato dalla crescita della telefonia mobile, dell’esplosione del traffico sulla banda larga sembra essere rimasto "attaccato" alle valutazioni di questi giganti. Non solo, le vecchie tlc hanno lasciato ad altri (fornitori di contenuti e servizi) le fette più ghiotte del traffico ospitato sui loro network, ma hanno anche fallito nel più tradizionale ruolo di titoli difensivi. Tutti gli ex monopolisti sono cresciuti meno degli indici di appartenenza nelle varie borse europee, una performance peggiore sia nel 2009, sia negli ultimi cinque anni (su questa distanza riesce a salvarsi solo Telefonica che "pareggia" la crescita dell’Ibex).
Per gli altri invece il confronto con gli indici è davvero impietoso: France Telecom è stato uno dei pochi titoli del Cac 40 a non chiudere l’anno con il segno positivo (9%) quanto il resto del listino è rimbalzato del 25%, nei cinque anni successivi all’abbandono del controllo da parte dello Stato (ora possiede il 27% a livello diretto e indiretto) la società ha perso il 28% del suo valore. Ancora più divergente il comportamento di Deutsche Telekom rispetto al Dax, il +29% del listino ha lasciato Dt a languire a – 3,4%, sui cinque anni le perdite salgono a 37,12% quanto a Francoforte si viaggia a +42%.
Per tutti la profittabilità rimane alta, si passa dal 20% di margine operativo sul fatturato di France Telecom al 10% di Deutsche Telekom e Bt group, così come il cash flow non ha paragoni con altri settori: 11 miliardi per Dt nei primi 9 mesi del 2009, France Telecom si aspetta di chiudere il 2009 con 8 miliardi di euro. Ma gran parte di questa massa di denaro non arriva a sostenere gli investimenti: viene risucchiata dai dividendi, necessari a sostenere i titoli, e per servire il debito. È ormai chiaro, dopo anni di tentativi da parte di tutte le società coinvolte, che i margini di manovra finanziaria non sono così ampi come sembrava. Deutsche Telekom ha visto tornare la propria esposizione a 46 miliardi di euro, come nel 2006. France Telecom che in cinque anni è riuscita a scendere dalle vette di 50 miliardi del 2005 ai 41 del 2009, ma ha pagato lo sforzo con deprezzamento della società. Bt Group sta uscendo da una pesante ristrutturazione (un miliardi di sterline di costi tagliati e 1,5 miliardi di investimenti rimandati) per riparare ad un buco da 12,5 miliardi di sterline di deficit del proprio fondo pensionistico.
L’altra pesantissima zavorra per gli ex monopolisti è la prospettiva industriale: sia nel fisso che nel mobile per gli incumbent i vantaggi derivanti dal proprio dominio sembrano un ricordo del passato. France Telecom e Deutsche hanno da poco annunciato una joint venture paritaria per il mercato inglese, unendo le due controllate diventerebbero il primo operatore del Regno Unito con il 37% del mercato e staccando la O2 di Telefonica al 27%. Ma le prospettive di un aumento dei profitti sono molto vaghe per gli azionisti sono molto vaghe.
La sfida è ritrovare un nuovo equilibrio tra gli obblighi di servizio pubblico nei propri paesi d’origine e il ruolo di operatori globali. Un dilemma che ha delle ricadute politiche e sociali: in Francia, anche sull’onda dell’emozione dell’ondata di suicidi che ha colpito i dipendenti di Ft, politici e sindacalisti hanno sottolineato come la società pur ottenendo più del 50% del proprio fatturato in Francia ha investito molto di più all’estero. Una strategia che non ha premiato né gli azionisti né gli utenti. Argomenti analoghi risuoneranno presto in tutte le capitali d’Europa.
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I nobili decaduti. Gli ex monopolisti pubblici dei telefoni non sono più protagonisti del mercato finanziario. France Telecom, Deutsche Telekom, Telefonica, Telecom Italia e British Telecom hanno seguito sentieri analoghi nell’ultimo decennio, spesso incrociandosi e altrettanto spesso scontrandosi.
Le scelte di azionisti e management, la competizione internazionale e i differenti ambiti regolatori hanno prodotto risultati diversi, ma tutti ora appaiono dei giganti esausti: piegati sotto il peso di debiti altissimi e dalla necessità di continuare ad investire su rete e applicazioni per rimanere al passo con i tempi. Nulla del valore creato dalla crescita della telefonia mobile, dell’esplosione del traffico sulla banda larga sembra essere rimasto "attaccato" alle valutazioni di questi giganti. Non solo, le vecchie tlc hanno lasciato ad altri (fornitori di contenuti e servizi) le fette più ghiotte del traffico ospitato sui loro network, ma hanno anche fallito nel più tradizionale ruolo di titoli difensivi. Tutti gli ex monopolisti sono cresciuti meno degli indici di appartenenza nelle varie borse europee, una performance peggiore sia nel 2009, sia negli ultimi cinque anni (su questa distanza riesce a salvarsi solo Telefonica che "pareggia" la crescita dell’Ibex).
Per gli altri invece il confronto con gli indici è davvero impietoso: France Telecom è stato uno dei pochi titoli del Cac 40 a non chiudere l’anno con il segno positivo (9%) quanto il resto del listino è rimbalzato del 25%, nei cinque anni successivi all’abbandono del controllo da parte dello Stato (ora possiede il 27% a livello diretto e indiretto) la società ha perso il 28% del suo valore. Ancora più divergente il comportamento di Deutsche Telekom rispetto al Dax, il +29% del listino ha lasciato Dt a languire a – 3,4%, sui cinque anni le perdite salgono a 37,12% quanto a Francoforte si viaggia a +42%.
Per tutti la profittabilità rimane alta, si passa dal 20% di margine operativo sul fatturato di France Telecom al 10% di Deutsche Telekom e Bt group, così come il cash flow non ha paragoni con altri settori: 11 miliardi per Dt nei primi 9 mesi del 2009, France Telecom si aspetta di chiudere il 2009 con 8 miliardi di euro. Ma gran parte di questa massa di denaro non arriva a sostenere gli investimenti: viene risucchiata dai dividendi, necessari a sostenere i titoli, e per servire il debito. È ormai chiaro, dopo anni di tentativi da parte di tutte le società coinvolte, che i margini di manovra finanziaria non sono così ampi come sembrava. Deutsche Telekom ha visto tornare la propria esposizione a 46 miliardi di euro, come nel 2006. France Telecom che in cinque anni è riuscita a scendere dalle vette di 50 miliardi del 2005 ai 41 del 2009, ma ha pagato lo sforzo con deprezzamento della società. Bt Group sta uscendo da una pesante ristrutturazione (un miliardi di sterline di costi tagliati e 1,5 miliardi di investimenti rimandati) per riparare ad un buco da 12,5 miliardi di sterline di deficit del proprio fondo pensionistico.
L’altra pesantissima zavorra per gli ex monopolisti è la prospettiva industriale: sia nel fisso che nel mobile per gli incumbent i vantaggi derivanti dal proprio dominio sembrano un ricordo del passato. France Telecom e Deutsche hanno da poco annunciato una joint venture paritaria per il mercato inglese, unendo le due controllate diventerebbero il primo operatore del Regno Unito con il 37% del mercato e staccando la O2 di Telefonica al 27%. Ma le prospettive di un aumento dei profitti sono molto vaghe per gli azionisti sono molto vaghe.
La sfida è ritrovare un nuovo equilibrio tra gli obblighi di servizio pubblico nei propri paesi d’origine e il ruolo di operatori globali. Un dilemma che ha delle ricadute politiche e sociali: in Francia, anche sull’onda dell’emozione dell’ondata di suicidi che ha colpito i dipendenti di Ft, politici e sindacalisti hanno sottolineato come la società pur ottenendo più del 50% del proprio fatturato in Francia ha investito molto di più all’estero. Una strategia che non ha premiato né gli azionisti né gli utenti. Argomenti analoghi risuoneranno presto in tutte le capitali d’Europa.