Messo sull’avviso dai suoi elettori, insospettiti di fan che scrivevano in cirillico, Moore chiese a Twitter di indagare.
Appello respinto al mittente: l’azienda spiegò di non poter violare la privacy degli utenti.
Diniego, anche questo, alquanto bizzarro: dal momento che da mesi la stampa e i servizi di informazione Usa denunciavano le manipolazioni russe sui social…
Ma al di là, Moore accusò il suo avversario Doug Jones di essere dietro quella manipolazione.
Il democratico negò, aggiungendo che l’antagonista cercava solo di sviare l’attenzione dell’elettorato dai suoi problemi.
“Moore dovrebbe verificare la cosa con Vladimir Putin, che condivide le sue opinioni”, concludeva il sarcastico comunicato del rivale.
Frase che, al di là delle intenzioni, convergeva con la manipolazione in atto, tesa a evidenziare legami tra il Grand Old Party e i russi.
Un’operazione destabilizzante
Insomma, l’operazione fu sventata dal repubblicano, anche per questo ricordare che non ebbe influenza sul voto non ha senso,
stante che svaporò prima del suo esito e rimase senza spiegazioni.
Ma la manipolazione in questione poteva avere conseguenze ben più destabilizzanti, che il
Nyt non prende in esame.
Da mesi, infatti, infuriava una campagna maccartista contro Trump per i suoi asseriti legami con la Russia, incentrata sulle manipolazioni delle presidenziali.
Se Moore non si fosse accorto dell’operazione in atto, i suoi avversari avrebbero potuto accusarlo dell’indebito supporto di Mosca.
Sarebbe stata la cosiddetta pistola fumante, la prova inconfutabile del sostegno russo al Grand Old Party e quindi a Trump.
Con conseguenze disastrose per il presidente degli Stati Uniti.
Omettendo la denuncia del candidato repubblicano e sminuendo la portata di quanto accaduto,
il
Nyt elude del tutto tale scenario, accedendo a una narrativa più che minimalista del caso.
Roba che ricorda la Pravda russa.
Le scuse di Morgan
Morgan, ovviamente, ha negato tutto, spiegando che al tempo aveva svolto solo
una innocua ricerca,
creando una pagina Facebook per vedere le reazioni sui social alle notizie mainstream.
Una marachella, magari, di cui si è scusato. Certo, egli scrive che la Knowledge aveva individuato manovre per manipolare quell’elezione.
Ma nonostante la sua azienda sia specializzata in cyber-manipolazioni russe, denunciate in maniera più che ossessiva via twitter,
non sembra aver avuto né interesse né modo di individuare i manipolatori in questione.
Spiegazione che appare in controtendenza rispetto a un suo
tweet del 10 novembre del 2017,
riportato da Russia Today (altro falso?), nel quale Morgan denunciava “troll russi” impegnati nell’elezione in Alabama, scoperti grazie al programma Hamilton68.
Ed elencava le parole chiave usate dai manipolatori, ovvero Moore, Roy Moore, etc. “Che sorpresa!”, chiosava Morgan nel suo twitt. Già, sorpresona…
Nelle dettagliate scuse di Morgan si rileva un cenno curioso: egli scrive di aver scelto l’elezione in Alabama
per la sua ricerca perché il risultato era scontato, dato che Moore era più che favorito e l’Alabama era sicuro appannaggio dei repubblicani.
Invece ha vinto il candidato democratico. Esito “clamoroso”, scriveva
Repubblica. Altra sorpresa.
Tutto sospeso
Non solo il
Nyt. Il 6 gennaio sulla vicenda è tornato il
Washington Post che riferisce di un documento in suo possesso che conferma quanto rivelato in precedenza.
L’operazione di manipolazione del web, che prendeva il nome di
Project Birmingham,
ha in effetti avuto luogo, anche se le responsabilità di Morgan e di altri soggetti coinvolti sono ancora da individuare.
L’articolo del giornale di riferimento della destra americana è meno evasivo dell’omologo del
Nyt,
anche se limita la portata dell’operazione solo alla effettiva incidenza dell’operazione sulle elezioni che si sono svolte in Alabama,
durante le quali il candidato repubblicano, ricorda il quotidiano, fu accusato da vari giornalisti di godere dell’indebito supporto dei russi.
Come detto, il punto della vicenda non ci sembra sia il risultato elettorale, come peraltro si accenna vagamente anche un passaggio dell’articolo in questione,
nel quale si riferisce che queste notizie confermano “gli avvertimenti degli esperti di disinformazione, i quali da molto tempo hanno osservato
che le minacce alla correttezza e alla trasparenza del dibattito politico nell’era dei social media possono provenire con la stessa probabilità sia da ambiti nazionali che stranieri”.
Tant’è. L’unica censura ricevuta finora da Morgan è stata la sospensione della sua pagina Facebook.
Forse ci sarà un’inchiesta approfondita e forse no.
Il caso, infatti, rischia di gettare ombre sulla narrazione corrente riguardo le influenze russe nelle elezioni d’Occidente,
accreditata dai servizi segreti di mezzo mondo. Insomma, tutto è sospeso in via provvisoriamente definitiva.
Detto questo, il progetto Alabama – o Birmingham – insegna che le manipolazioni via web hanno tante, sorprendenti, sfaccettature.
Come insegna il recente caso dell’hackeraggio dei dati sensibili in Germania, opera di un ragazzo tedesco.