NELLA VITA BISOGNA ESSERE UN PO' MATTI, ALTRIMENTI S'IMPAZZISCE

La parola V I A G R A nella sua interezza non viene accettata dal sistema.
Non facciamo ridere. Scusatemi ancora.
 
L'articolo 150 del Tuir (Dpr 917/1986) prevede che: a) per le Onlus, ad eccezione delle società cooperative, non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale; b) i proventi derivanti dall'esercizio delle attività direttamente connesse non concorrono alla formazione del reddito imponibile.
Dalla lettura della disposizione si evince che il legislatore ha operato una netta distinzione tra attività istituzionali, volte all'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale, e attività direttamente connesse svolte dalle Onlus. Le prime, infatti, sono del tutto escluse dall'area della commercialità ("decommercializzazione") e, quindi, sono completamente irrilevanti ai fini delle imposte sui redditi. Le seconde, invece, mantengono la natura di attività commerciali, ma ex lege non concorrono alla formazione del reddito imponibile.

Si ricordi che la nozione di attività direttamente connesse è fornita dal comma 5, dell'articolo 10, Dlgs 460/1997, che distingue due diverse fattispecie:
  • le attività direttamente connesse a quelle istituzionali, cioè le attività statutarie di assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell'arte e tutela dei diritti civili, svolte nei confronti di soggetti che non versino nelle condizioni di svantaggio stabilite dall'articolo 10, commi 2 e 3
  • le attività accessorie per natura a quelle statutarie istituzionali, in quanto integrative delle stesse.
Le attività direttamente connesse, quindi, non concorrono a formare il reddito d'impresa, ma, non essendo decommercializzate, in relazione a esse l'ente deve tenere le scritture contabili richieste dalla disciplina vigente per gli esercenti imprese commerciali.
Si ricordi, inoltre, che l'esercizio delle attività connesse è consentito a condizione che, in ciascun esercizio, le stesse non siano prevalenti rispetto a quelle istituzionali e che i relativi proventi non superino il 66% delle spese complessive dell'organizzazione (articolo 10, comma 5, secondo periodo, Dlgs 460/1997).

Per espressa previsione normativa, la disciplina dettata dall'articolo 150 del Tuir non si applica nei confronti delle Onlus costituite in forma di società cooperative, che, pertanto, sono assoggettate alla normativa Ires ordinaria delle società di capitali, fatta salva, ove ne ricorrano le condizioni, l'applicabilità delle agevolazioni previste con specifico riferimento alle cooperative (cfr circolare ministeriale 168/1998, paragrafo 3.3).

Dato che non possono esercitare attività diverse da quelle istituzionali (che sono non commerciali) e da quelle direttamente connesse (che, come detto, non concorrono alla formazione del reddito imponibile), le Onlus non producono reddito d'impresa (fatta eccezione per le Onlus parziali, che possono svolgere anche attività non riconducibili fra quelle proprie delle Onlus).
Da quanto detto sopra, si ricava che le Onlus sono assoggettate all'Ires relativamente ai soli redditi fondiari (terreni e fabbricati), redditi di capitale e redditi diversi.

L'articolo 26 del Dlgs 460/1997 dispone che alle Onlus si applicano, ove compatibili, le disposizioni relative agli enti non commerciali. Pertanto, il reddito imponibile delle Onlus deve essere determinato in base ai criteri generali previsti per tali enti. Anche con riferimento agli adempimenti richiesti per l'inizio dell'attività e ai fini dichiarativi, trovano applicazione le disposizioni in materia di enti non commerciali.

Anche ai fini Irap la base imponibile è determinata secondo le regole proprie degli enti non commerciali (le regioni, peraltro, possono prevedere esenzioni o aliquote agevolate per le Onlus).

L'articolo 16, comma 1, del Dlgs 460/1997, prevede che "sui contributi corrisposti alle Onlus dagli enti pubblici non si applica la ritenuta di cui all'articolo 28, comma 2, dPR 600/1973" (ritenuta del 4%).

Gli immobili delle Onlus adibiti allo svolgimento delle attività istituzionali (collegi, ricoveri, case di cura, ospedali) sono produttivi di reddito fondiario (cfr circolare ministeriale 244/1999).
Concorrono alla formazione del reddito complessivo, in base alle norme sul reddito fondiario, anche gli immobili di proprietà delle Onlus oggetto di locazione a terzi, anche se di tratta di immobili di interesse storico artistico, vincolati ai sensi del Dlgs 42/2004 (cfr risoluzione 6/2002).
 
D'altra parte così la penso.

L’incontro a Teramo tra un ambulante di colore e il ministro degli Interni Matteo Salvini
è stato occasione per una serie di post indignati su Fb in cui si vede il ragazzo,
che aveva cercato di vendere accendini al capo della Lega, trascinato via dalla scorta.

Da come è stata ricostruita la notizia dal Corriere della sera e da altri siti
sembra che Salvini abbia cacciato il ragazzo intimandogli: “Tu non ci puoi stare qui”.

L’episodio si è verificato il 5 gennaio a Teramo.

Il ragazzo si era messo in coda con decine di persone, che erano in fila per fare un selfie col ministro degli Interni.
Questa la foto che è diventata virale.

foto-ambulante-272x300.jpg


Ma se viene visionato il video, che lo stesso Salvini ha postato su Fb
per mostrare la calorosa accoglienza della gente di Teramo, al minuto 3 del video
si vede l’ambulante che si avvicina e Salvini e chiede di essere aiutato.

Il ministro risponde: “Che posso fare?”.
Il ragazzo vuole vendergli un accendino e a quel punto Salvini si rifiuta.
Non ordina di allontanare il ragazzo, portato via dalla scorta ma non certo con metodi feroci.

Poi il commento di Salvini: “Adesso anche gli accendini abusivi? E che ca..o”.

In effetti sarebbe stato ben strano se il responsabile del Viminale si fosse messo ad acquistare merce di dubbia provenienza.

In ogni caso la frase “Tu non puoi stare qui” non viene mai pronunciata.

L’esatta ricostruzione dell’episodio è di interesse per tutti perché mostra come vi sia la tendenza
sempre più marcata a trasformare qualunque vicenda, anche banale, in un segnale di razzismo e di discriminazione.

Guardando il video ciascuno può liberamente giudicare.
 
E comunque non ne ho mai visto uno che venga ad offrirti della merce su un vassoio.
La cosa puzza e non poco.
 
Queste sarebbero delle onlus, che lavorano per i cittadini.
Io le chiamo con altro nome.

In sei anni la retta minima media giornaliera a carico della famiglia di un anziano ospite in una delle 59 case di riposo
dislocate sul territorio dell’ATS della Brianza (le vecchie Asl di Monza e Lecco) è aumentata di ben 6.25 euro:
la cifra richiesta è salita infatti dai 60.97 euro del 2012 ai 67.22 euro del 2017,
quota quest’ultima ieri come oggi ben superiore alla media regionale passata da 52.68 euro a 59.17 euro.

Del tutto analogo il discorso per le rette massime medie giornaliere: più care delle realtà brianzole passate dal domandare a ciascun paziente,
dai 68.17 euro pretesi sei anni fa, la bellezza di 75.73 euro sono solo le RSA dell’area metropolitana milanese mentre, a livello regionale,
le strutture più economiche risultano essere quelle afferenti all’ATS della Montagna, con un rincaro della spesa per dì attestatosi,
a livello generale, in 6.72€ tra il 2012 e il 2017.

I conti sono presto fatti: sul nostro territorio, mediamente – e dunque con la possibilità concreta che ci siano picchi in alto
ed in basso a seconda delle tariffe poi realmente applicate dalle singole case – si spende tra i 2.016 euro e i 2.271 euro,
oltre ai costi “accessori” quali quelli spesso richiesti per servizi aggiuntivi come la lavanderia (non sempre inclusa nella retta),
il podologo, il parrucchiere e le “uscite”.

L’asticella si alza ulteriormente, poi, per i 196 ospiti sistemati nei così detti posti sollievo o solventi,
non a contratto dunque con la Regione, per i quali viene chiesto mediamente il versamento di 87.26 euro al giorno.

Venendo alla situazione reale del lecchese, la struttura più grande presente sul territorio sono gli Istituti riuniti Airoldi e Muzzi,
alle spalle dell’ospedale Manzoni, nel capoluogo, con 350 posti autorizzati e accreditati, di cui 3 usati per il “sollievo” a 103 euro al giorno, la retta più alta in provincia.

La Rsa più piccola è invece quella di Vendrogno, con 18 ospiti.

La tariffa più bassa in letti convenzionati – con il raffronto reso però labile vista la diversità di servizi compresi effettivamente nella quota richiesta
– è applicata dalla casa di riposo di Barzio (47 euro/giorno, con la lavanderia inclusa, dettaglio non scontato visti i 100 euro mensili chiesti dall’IRAM
e il pagamento extra fissato anche a Olgiate) mentre quella più alta dalla San Giorgio di Oliveto Lario (90 euro/giorno).
 
Una volta, all'Airoldi e Muzzi c'erano i lettti convenzionati nel reparto bisognosi.
Praticamente ti trattenevano la pensione che prendevi, anche la minima. E tutto funzionava.
 
Sarebbe ora che estendessero i controlli a tutti.

Alla fine toccherà a Virginia Raggi "sfrattare" Graziella Bartolucci, mamma della senatrice M5S
(e vicepresidente del Senato) Paola Taverna che da anni occuperebbe "abusivamente" un alloggio popolare alla periferia Est di Roma.

La donna vive in quell'appartamento dal 1994 con un canone tra i 100 e i 150 euro al mese.

Contro l'ipotesi di sfratto, l'80enne aveva presentato ricorso al Tar. Ma il tribunale amministrativo ha rigettato la sua istanza.
Rimandando quindi la questione al Campidoglio che ha ora il compito di eseguire lo sfratto.
A meno che lei non tolga il sindaco dall'imbarazzo lasciando spontaneamente l'alloggio.
 
Cosa dire. E' più facile spostare l'attenzione che dare spiegazioni.....

Ci sono casi in cui è meglio guardare il dito che la luna. Piccolo ma significativo esempio.
Ieri la conferenza stampa di Sanremo 2019 è stata un passaggio soporifero.
Tutto era noto, personaggi, ospiti, boutades, scherzetti e musichetti.
Il direttore artistico aveva ben poco di dire di musicale. Ma un modo di fare notizia l’ha trovato lo stesso.

Agenzie di stampa, Twitter, Facebook erano ingorgati con le dichiarazioni di Baglioni stesso sui migranti.

A quanto pare Baglioni ha deciso di riprendere cazzutamente il tema della donna/uomo di spettacolo
che dice la sua su argomenti politici, geopolitici, morali, umani.
In molti giornali si ricorderà la ricerca affannosa di una Mannoia che dicesse qualcosa su un qualche Governo.

Generale umanità. Generali idealità. Si parla della luna. Appunto.
Solo che poi scendendo dalla luna ci sarebbe il dito che la indica.
Perché Baglioni, nella bolsa conferenza sanremese, avrebbe potuto e dovuto dire qualcosa sul suo conflitto di interessi.
Parlare del suo dito, oltre che della luna. L’abbiamo scritto giorni fa su questo giornale.

L’edizione 2019 di Sanremo si caratterizza per un gigantesco conflitto di interessi:
il direttore artistico (Baglioni stesso) è legato a filo doppio, triplo, quadruplo, a matassa, con il manager che di fatto,
tramite due società ha in mano praticamente tutto il cast del festival dei fiori.
Forse solo il barista dell’Ariston, ma non ne siamo sicuri, non ha legami con Ferdinando Salzano.

E noi qui (e un bel po’ di pubblico) aspettiamo con curiosità la risposta dei vertici Rai sull'imbarazzante situazione.
Ma appunto Baglioni parla di problemi generali un po’ esorbitanti dal suo campo d’azione.
 
Oggi ovviamente ci occupiamo del fallimento cum “salvataggio pubblico” di Carige,
ch’è una specie di “inevaso” della recessione precedente, mentre sta già arrivando la prossima
.

I fatti son noti e le analisi dell’evento specifico mi sembrano siano già state correttamente fatte.
Riassumiamo in ogni caso i tre aspetti maggiormente rilevanti per concentrarci poi sul
problema di fondo che costituisce la vera causa non solo dei continui fallimenti bancari ma, soprattutto,
della trasformazione del sistema creditizio italiano da allocatore di risorse per la crescita a distruttore delle medesime.


La ricapitalizzazione d’urgenza e la garanzia sulle emissioni obbligazionarie – decise dal Consiglio dei Ministri in pochi minuti nella notte –
servono ad evitare, ancora una volta, che i responsabili dei fallimenti paghino e che coloro i quali, in Italia,
investono in azioni ed obbligazioni bancarie apprendano nei fatti che si tratta di attività potenzialmente redditizia ma anche rischiosa.
L’intervento governativo avviene in risposta a quello della BCE ed è teso ad evitare che quest’ultima faccia gravare le perdite
laddove dovrebbero gravare: azionisti ed obbligazionisti. La difesa dei depositanti e del risparmio sono bugie, in questo caso,
esattamente come lo erano nei casi precedenti. L’intero arco parlamentare si conferma essere al servizio non dei correntisti
bensì di lobbies di “banchieri locali”, ovvero azionisti ed obbligazionisti.
Che siano piccoli o grandi fa zero differenza, sempre proprietari di banche sono ed il sistema politico fa pagare le loro perdite
a tutti i cittadini. I profitti no: quando i profitti arrivavano i banchieri se li intascavano.


Il secondo punto è che non esiste alcun argomento economico per salvare ogni banca avviata al fallimento – piccola, media o grande che sia.
Questo è vero persino in quei casi in cui “salvare” non implica sussidiare banchieri parassitari (come si fa in Italia)
ma anche solo tenere in piedi la struttura operativa per evitare di distruggere il capitale organizzativo che essa contiene.
Questo secondo obiettivo, che ha valore sociale, si può tranquillamente raggiungere con una corretta applicazione della BRRD e permettendo che,
attraverso meccanismi di mercato, altre banche meglio gestite acquisiscano il capitale organizzativo invece di dissolverlo.

Il terzo ed ultimo punto è che nel caso di Carige l’uso del sistema bancario a fini politici giunge al paradosso estremo
d’introdurre banchieri di serie A (quelli che potrebbero votare per noi o lo hanno fatto o sono amici degli amici nostri) e banchieri di serie B
.
Infatti – e giustamente sia chiaro – mentre gli azionisti di MPS han perso il 99% del loro investimento quelli di Carige e delle due venete verranno rimborsati a spese di tutti i contribuenti.

Invece di adottare regole di mercato trasparenti ed uguali per tutti, dove chi sbaglia paga,
l’Italia scende sempre di più nel Medioevo economico dove gli amici del signorotto la fanno franca
e quelli dell’avversario vengono puniti; sino a quando la giostra gira e s’invertono i ruoli.
 
La notiza postata ieri, scritta da un altro giornalista con dovere di coerenza e verità.

Tre giovani che la notte fra il 19 e il 20 novembre 2016 avevano scatenato la rissa nella sala fumatori del “Dancing Lavello”
sono stati rinviati a giudizio dal Gip Paolo Salvatore. Si tratta di due fratelli – K.I.E. e O.I.E. – residenti a Calolziocorte e B.P., olginatese.

A scatenare il tutto sarebbe stata la richiesta di una sigaretta e il tentativo di corteggiamento di una ragazza:
all’arrivo del 22enne fidanzato lecchese di quest’ultima sarebbe scoppiata la rissa.
Uno dei due fratelli – sentitosi negare la sigaretta – si è alterato, ha iniziato a urlare e ha così rovesciato il cocktail addosso al ragazzo.

Da qui la situazione è degenerata e i tre indagati sono passati alle mani,
atterrando il giovane lecchese con un pugno, per poi continuare il pestaggio con i calci.
Il peggio è stato evitato dall’intervento dei buttafuori che hanno inoltre provveduto a chiamare i soccorsi.
Il 22enne è stato ricoverato al Manzoni con una prognosi di 25 giorni.

Ora i tre sono chiamati nuovamente davanti al giudice il prossimo 3 maggio.
 

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