"NIENTE" PER UNA DONNA NON E' UNA PAROLA... E' UNA DICHIARAZIONE DI GUERRA

...e come al solito ci facciamo fregare......

Roma incassa anche la decisione della francese Vivendi di nominare un manager non italiano alla guida di Telecom.

Intanto Palazzo Chigi fa sapere di aver avviato “il procedimento per l’eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria”
nei confronti di Vivendi per la mancata notifica del controllo di Telecom.
Segno che la partita fra Vivendi e il governo è ancora decisamente aperta.

Intanto resta il fatto che, per la prima volta, l’ex monopolista avrà un amministratore delegato israeliano, Amos Genish,
manager di lungo corso con un passato nelle telecomunicazioni brasiliane.
Al vicepresidente esecutivo Giuseppe Recchi “sono attribuite le funzioni vicarie – spiega una nota di Telecom –
nonché la responsabilità organizzativa della funzione Security preposta, fra l’altro, al presidio di ogni attività
e asset rilevante ai fini della sicurezza e della difesa nazionale all’interno di Tim e delle altre società italiane del gruppo, in particolare Sparkle e Telsy”.

Inoltre, come si legge nel comunicato di Telecom, il consiglio ha approvato a maggioranza
“il principio della creazione di una joint venture con Canal+”, la tv a pagamento di Vivendi.
La nomina di Genish era attesa da tempo
 
Questo governo è riuscito nell'impresa di consegnare una azienda strategica in mano straniera,
che la sta spolpando a dovere, poi quando rimarranno solo le ossa dovremo riprendercela pagandola come fosse sana..
Questi sono gli esperti politicanti Italiani..

Vivendi: apertura procedura comitato golden power è verso Tim
L'apertura del procedimento da parte del comitato sulla golden power di Palazzo Chigi
è avvenuta nei confronti di Tim, e non di Vivendi. Lo sostengono fonti vicine al gruppo francese.
 
Riflessione del venderdì mattina di fine settembre.
.....Dany, ma i visitatori di questa pagina, sono senza commenti ?
Non hanno un'idea oppure hanno timore ad esprimerla ?
 
E così, il terzo assunto di Huntington, quello per cui gli Stati Uniti hanno tra le possibilità quella di
“tentare di mantenere la società americana distinta dal destino degli altri popoli”, è scomparso dai radar del trumpismo.

Sostituito dall’interventismo in Siria, dalle prese di posizione sull’Iran, dalla continuazione dell’interruzione del dialogo con la Corea del Nord,
dai rapporti privilegiati con quelle petrolmonarchie che il trumpismo aveva più volte associato al terrorismo jihadista, all’origine dell’Isis e al sostegno economico ai democratici.

Tutto sparito nel dimenticatoio dei corridoi adiacenti allo Studio Ovale, con buona pace di chi, alle tesi indipendentiste, ci aveva creduto davvero.
Ma Trump si è spinto anche oltre. Queste sterzate, infatti, non hanno fatto sì che il partito repubblicano cominciasse a guardare al POTUS con maggiore simpatia:
Trump, nonostante la maggioranza parlamentare sia repubblicana, non riesce ad abolire l’Obamacare.

Per tale questione e per l’abolizione della legge di Obama sui dreamers, si è detto disponibile a cercare un compromesso con il Partito Democratico,
tagliando fuori dalle trattative il partito con il quale si è candidato.
Accordi che potrebbero anche divenire reali, nel momento in cui il Deep State che, non è un mistero,
è spesso stato etichettato come vicino al Partito Democratico, dovesse spingere in tal senso.

In questo ginepraio di logiche, però, esistono anche i cittadini americani.
Gli stessi che meno di un anno fa avevano optato per una presidenza annunciata come libera dai diktat del Pentagono e di Goldman Sachs.

I texani che il sabato vanno al poligono,
quelli che, con uno scatolone tra le mani, hanno dovuto abbandonare il loro posto di lavoro a causa della crisi,
i blue collar d’America,
coloro che sono stati disposti a votare Trump pur di tornare nelle viscere della terra ad estrarre carbone,
gli studenti ideologizzati,
i contadini rappresentati da American Ghotic di Grant Wood,
i suprematisti,
l’imprenditoria del mattone,
i Tea Party,
l’elettorato tradizionalista o evangelico che ha visto in Trump un argine al progressismo di Obama in materia di legislazione sulla famiglia e su questioni di genere.

Una massa solo apparentemente informe che potrebbe non accettare quello che suonerebbe come un tradimento di certe istanze.
Gli stessi cui continuano a guardare con attenzione Steve Bannon, i giornalisti di Breitbart, Milo Yannopoulos
e tutti gli altri custodi della rigidità dottrinale del trumpismo delle origini.

Per comprendere, una volta per tutte, se sia ormai consolidata l’esistenza di uno spazio politico in cui incanalare il sovranismo in salsa americana.
Se il trumpismo, insomma, sia in grado di scampare ai voltafaccia di Trump.
E se c’è, tra l’elettorato, come ai tempi della Restaurazione francese e dei suoi legittimisti, chi è rimasto più realista del re.

Le prossime presidenziali americane sono temporalmente lontane, più imminenti, invece, sono le esigenze quotidiane dei cittadini che Trump aveva promesso di affrontare.
 
Riflessione del venderdì mattina di fine settembre.
.....Dany, ma i visitatori di questa pagina, sono senza commenti ?
Non hanno un'idea oppure hanno timore ad esprimerla ?
avranno poco da dire :confused:
Torno domenica dalle vacanze, ma effettivamente scrivo poco anche io:(
buon week end a tutti:)
 
Bello così non l'avevo mai visto.
Valsassina.
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Kg. 1,8
 

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