NON HO TEMPO DI ODIARE CHI MI ODIA...

«La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi»,
scrisse Karl von Clausewitz nel saggio “Della guerra”.

Il conflitto bellico «non è dunque, solamente un atto politico,
ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi».

Questo potrebbe contribuire a spiegare la natura squisitamente politica della guerra in corso,
mentre si minacciano gli ultimi cittadini liberi:

li si potrebbe braccare, stanandoli “casa per casa”,
se ancora si ostinassero a resistere a un ricatto imposto con la più spudorata delle menzogne,
quella della fanta-pozione che arginerebbe il fanta-morbo incontenibile.

Sotto questo aspetto è persino irrilevante, ormai, l’atteggiamento di chi seguita a discorrere di politica
(come se fossimo ancora in tempo di pace),
magari calandosi – come fanno tutti i partiti – nelle gustose, amene trame quirinalizie.


Diversi anni fa, oscuramente presagendo un’incombente catastrofe,
Giulietto Chiesa scomodava a sua volta la storia, naturalmente a modo suo:

avete idea, ripeteva, di cosa dev’esser stato il più impensabile degli eventi antichi, cioè il crollo dell’Impero Romano?

Perché si cada rovinosamente in una calamità di tale portata, deve occorrere un mosaico complesso di condizioni.

Non che ne manchino più molte, oggi.


Basta ascoltare il primo ministro italiano che sciorina numeri a caso, tra gli applausi,

riguardo all’ultima terribile “variante”

(sempre omettendo di citare le terapie negate, come in una recita sinistramente surreale).


L’ipnosi è quasi assoluta, quasi totalitaria.


Molti fondamenti-cardine del vecchio mondo, repubblicano, sono praticamente crollati o sono stati svuotati.


Un silenzio livido emargina la verità, lasciando sole milioni di persone.


La parola tradimento può suonare persino eufemistica,

mentre l’economia minuta – nel frattempo – non fa che franare nel caos e nella paura generalizzata.



Leggendo il libro “L’altra Europa”, di Paolo Rumor, si apprende che Paolo di Tarso
– considerato “l’inventore” della successiva narrazione cristiana –
agiva per conto del network occulto (“La Struttura”) a cui obbediva, ad esempio,
anche lo storico giudeo-romano Giuseppe Flavio, che avrebbe contribuito a trasferire nell’Urbe il nuovo “format”,
destinato infine a scardinare lo stesso impero dei Cesari.

Se Costantino sdoganò ufficialmente quella narrativa, per poi arrivare a imporla
fu comunque necessario il successivo, drastico editto di Teodosio: credo obbligatorio, religione di Stato.

Durissime sanzioni, nell’anno 380, furono poste sul capo della stragrande maggioranza dei cives:
solo il 15% di essi – si calcola, infatti – aveva aderito al monoteismo di San Paolo.

Guerra generalizzata contro i cittadini, Grande Reset ante litteram.

Guerra ideologica, persecuzioni, esercizio violento del potere.


Tutto, oggi come allora, è nelle mani dei decisori.

Tutto, tranne la nostra libera coscienza.
 
Radici sicule ?


Ha fatto esplodere un grosso petardo contro la finestra del cognato.

L’ex pilota di Formula 1 Jean Alesi è stato fermato a Villeneuve-lès-Avignon dopo essere stato sentito dalla polizia.


Con l’accusa è di aver danneggiato la proprietà altrui,
lo sportivo è stato arrestato ieri lunedì 20 dicembre 2021,
nel pomeriggio, intorno alle ore 16.


A dirlo è il vice procuratore di Nimes, Antoine Wolff.


Ad avvisare le forze dell’ordine sono stati i residenti del quartiere, di notte, verso le 22.

A quell’ora infatti diversi testimoni avrebbero riferito di aver sentito il rumore di un’esplosione.


Le ricerche della polizia sono state indirizzate da un vicino, che ha annotato la targa della macchina dell’ex pilota Ferrari.

Gli accertamenti sull’auto hanno portato al fratello di Jean Alesi, José, portato in un primo momento in carcere.

È stato Jean a scagionarlo.

Presentatosi in questura, ha spiegato di essersi avvicinato allo studio di architettura del cognato in auto, a bordo il figlio e un amico.

Avrebbe quindi infilato un grosso fuoco d’artificio acquistato in Italia nella cornice della finestra,
senza immaginare che gli effetti dello scoppio sarebbero stati così devastanti.

L’intenzione insomma sarebbe stata quella di fare uno "scherzo" al cognato,
che sta affrontando una separazione con la sorella,
senza tentare di intimorire l’uomo, con il quale Alesi sostiene di avere un buon rapporto.
 
Le premesse sono di un'altra presa per il kulo :

Un percorso che possa prendere il via senza mettere “a repentaglio”
la sostenibilità del sistema nel medio e nel lungo periodo ed all’interno del contesto europeo.


Mario Draghi
è tornato a incontrare i sindacati a Palazzo Chigi
pochi giorni dopo lo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil
ed ha aperto alla richiesta dei rappresentanti dei lavoratori su una modifica della legge Fornero.

Il premier vuole evitare il rischio sostenibilità del sistema.

Già nelle prossime ore, fanno sapere i sindacati, il governo invierà il calendario delle convocazioni per le trattative:
il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli e il consigliere economico Marco Leonardi
si occuperanno della parte tecnica, mentre i ministri dell’Economia Daniele Franco,
del Lavoro Andrea Orlando e della Pubblica amministrazione Renato Brunetta avranno la responsabilità del coordinamento politico.


Costruire un metodo di consultazione su più ambiti
è stato il primo punto al centro dell’incontro di lunedì pomeriggio a Palazzo Chigi
di Draghi con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, fa sapere palazzo Chigi.


Tre sono i temi sui quali si focalizzerà questo percorso:

flessibilità in uscita,

pensioni complementari

e precarietà giovanile.


“Avvieremo subito un programma operativo”, dice il premier a Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri.

“Possiamo lavorare su qualsiasi modifica, purché non sia messa a repentaglio
la sostenibilità nel medio e lungo periodo e all’interno del contesto europeo”.

Oggi “siamo di fronte a una dichiarazione ufficiale sulla disponibilità del Governo
a fare una discussione sulla riforma della legge Fornero, cosa che non era mai avvenuta in questi anni”,
dice il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini al termine dell’incontro.

Tuttavia, aggiunge Landini, il metodo della trattativa sulla riforma previdenziale
deve essere diverso da quello seguito dal governo per la riforma fiscale.


“Il confronto deve introdurre un metodo diverso, non come per il fisco quando ci hanno ascoltato,
hanno trovato una mediazione nella maggioranza e ci hanno comunicato la decisione”.

Il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, dà un “giudizio positivo” sull’incontro con il governo.
“Finalmente – ha detto Sbarra al termine della riunione – apriamo il cantiere della riforma
per arrivare alla revisione della legge Fornero nella prospettiva di rendere il sistema più flessibile, più equo, più sostenibile:
“oggi abbiamo stabilito le grandi priorità su cui dovrà articolarsi la trattativa.
Per noi bisogna discutere di pensioni di garanzia per giovani e donne, di flessibilità in uscita,
di come rendere l’Ape sociale strutturale per venire incontro al lavoro gravoso e usurante
e di come incentiviamo l’adesione alla previdenza complementare.
Abbiamo riaffermato – ha concluso Sbarra – che la previdenza
non può essere considerato un costo economico per il bilancio dello Stato perché c’è un tema di sostenibilità sociale”.


“Si è deciso di aprire finalmente un cantiere per discutere della riforma della legge Fornero”,
conclude il segretario della Uil, Pierpaolo Bombardieri.
“Abbiamo concordato un metodo e un calendario di incontri che ci sarà comunicato domani”.


“Con i sindacati abbiamo avuto un confronto costruttivo sulla riforma delle pensioni
– scrive in un post il ministro del Lavoro Andrea Orlando –
è l’inizio di un percorso attraverso il dialogo che continua, come ho sempre auspicato,
e che può contribuire a far fare passi avanti per i diritti di lavoratrici e lavoratori”, conclude.
 
Fateci caso.
Come si fa a "contenere" l'aumento demografico
e nel contempo a diminuire i costi della pensione ?

.......un bel virus che uccide gli anziani........non sono visioni.
Qui sotto è espresso.


Nel suo recente libro Stakeholder Capitalism:

A Global Economy that Works for Progress, People and Planet
,
il professor Klaus Schwab

afferma che il modello sociale, economico e politico attuale è giunto al capolinea.

Secondo il leader del Wef,
le prime avvisaglie di tale crisi erano già evidenti negli anni 1970,
a partire dal Rapporto Meadows del 1972,
commissionato dal “Club di Roma” di Aurelio Peccei,
che individuava i “limiti dello sviluppo”
nella crescita “eccessiva” della popolazione rispetto alle risorse disponibili.

I documenti e i programmi dell’ultimo mezzo secolo,
concretizzatisi nelle varie Conferenze dell’Onu incentrate sul cosiddetto “sviluppo sostenibile”
– dal Rapporto Brundtland della “Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo” (Wced) del 1987
(in cui venne introdotta la nozione di “sostenibilità”) fino ad arrivare “all’Accordo di Parigi” sul clima nel 2015
con l’approvazione “dell’Agenda Onu 2030”, nella quale sono definiti “17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile”

hanno portato avanti una visione neo-malthusiana,

in cui il focus iniziale sull’inadeguatezza delle risorse a sostenere il modello di crescita economica

si è progressivamente spostato sui presunti effetti negativi dell’uomo sull’ambiente.



A partire dal 1996, introdotta da Mathis Wackernagel e da William Rees,
si è diffusa, infatti, l’ipotesi della cosiddetta “impronta ecologica”,
che misurerebbe l’impatto negativo dell’uomo sulla Terra
mediante un complesso indicatore aggiornato periodicamente dal Wwf a partire dal 1999.


Per l’ideologia “verde” oggi dominante,

la popolazione è indubbiamente considerata come la principale minaccia per la “salute” stessa del pianeta,

anche al di là del solito tema dei presunti squilibri tra crescita della popolazione e risorse disponibili.


Il concetto di “sostenibilità” si inscrive quindi all’interno di un quadro di riferimento culturale che viene da molto lontano,
ostile alla vita e alla famiglia naturale
.


Benedetto XVI, in Caritas in veritate, non parlava mai di “sviluppo sostenibile” bensì di “sviluppo umano integrale”
che poi, in fondo, è l’unico sviluppo davvero “sostenibile”, anche sul piano materiale.

L’invecchiamento demografico congiunto al crollo della natalità, infatti,

comporta dei progressivi problemi di “sostenibilità” a livello economico e sociale

a causa dei crescenti costi – sanitari, previdenziali ed assistenziali –

che si scaricano su una popolazione in età lavorativa in costante contrazione.
 
Schwab si focalizza poi sulla svolta definita come “neo-liberista”,
iniziata negli anni 1980 con la Reaganomics e il Thatcherismo,
incentrata “maggiormente su fondamentalismo del mercato e individualismo
e meno sull’intervento statale o sull’implementazione di un contratto sociale”,
giudicandola “un errore”.

Egli afferma che il modello dominante
– che definisce shareholder capitalism perché la responsabilità delle imprese
è limitata alla produzione di utili per gli azionisti, senza ulteriori implicazioni “sociali” –
dev’essere urgentemente superato nella direzione di quello che definisce lo “stakeholder capitalism del XXI secolo”,
dove debbono essere presi in considerazione tutti i “portatori di interesse”,
dai clienti ai lavoratori, dai cittadini alle comunità, dai governi al pianeta,
in una prospettiva non più locale o nazionale ma “globale”, che richiede quindi un nuovo “multilateralismo”.


Quindi, oltre alla generazione di profitto per i propri azionisti,
servendo al meglio i clienti in una libera e leale concorrenza,
è equo che sostengano i costi delle eventuali esternalità
e si assumano responsabilità più ampie,
secondo il principio del bene comune a cui tutti sono tenuti a contribuire.


Che cosa si intende però esattamente col termine “stakeholder capitalism del XXI secolo”?

Al cuore di tale modello secondo Schwab vi sono due realtà: le “persone” e il “pianeta”.


Le “persone”:
Schwab scrive che

“il benessere delle persone in una società influisce su quello di altre persone in altre società,
e spetta a tutti noi come cittadini globali ottimizzare il benessere di tutti
”.

I “cittadini globali” astratti indicati da Schwab esistono però solo nelle visioni ideologiche:
le “persone” concrete hanno sempre relazioni, a partire dalla famiglia e dalla società circostante,
e sono sempre portatrici di una storia – e di una geografia –, nonché di una visione del mondo.

Non esistono i “cittadini del mondo”, se non tra le élite tecnocratiche apolidi
a cui si indirizza, evidentemente, il professor Schwab.


Nella prospettiva evocata, la sussidiarietà e la stessa sovranità nazionale

verrebbero sostituite da prospettive centralistiche e dirigistiche
.


Il “pianeta”:
Schwab lo definisce come
“lo stakeholder centrale nel sistema economico globale,
la cui salute dovrebbe essere ottimizzata nelle decisioni effettuate da tutti gli altri stakeholder.
In nessun altro punto ciò è divenuto più evidente come nella realtà del cambiamento climatico planetario
e nei conseguenti eventi climatici estremi provocati”.

La teoria del “riscaldamento globale” di supposta origine antropica
(l’acronimo inglese è “Agw”: Anthropogenic Global Warming)
e del più ampio concetto di “cambiamento climatico” che ne deriverebbe
– al centro dell’attività dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc),
un’agenzia dell’Onu dedicata allo studio dell’impatto umano sul cambiamento climatico –

è appunto soltanto una teoria, su cui molti scienziati autorevoli non concordano

(per es. gli scienziati di fama mondiale Antonino Zichichi e Carlo Rubbia, per restare all’Italia),

non una realtà, in quanto manca di conferme scientifiche certe.



A ben guardare, pur considerando l’uomo come il “cancro” del pianeta,
l’ideologia ecologista pecca paradossalmente per eccesso di “antropocentrismo”
perché attribuisce all’essere umano un potere che nei fatti è ben lungi da avere:

non è forse prometeico pretendere di abbassare la temperatura del pianeta come si fa col climatizzatore dell’ufficio

e pensare di potere cambiare il clima della Terra come se fosse quello della serra dell’orto di casa?


A ciò si aggiunga che tutte le previsioni catastrofistiche fatte in passato sull’evoluzione del clima

e sugli impatti sul pianeta e sull’uomo si sono rivelate erronee.


È ideologico, non scientifico, trasformare una teoria in una certezza,

su cui poi impostare azioni di portata colossale e con costi astronomici.

Nella prospettiva del cosiddetto “cambiamento climatico” – che è per definizione globale –

è chiaro che la sovranità nazionale dovrebbe cedere il passo

al multilateralismo e alla governance mondiale: a problemi globali soluzioni globali.


Cui prodest?


Schwab non ne parla nel libro citato, ma la “transizione ecologica” a guida Onu

non si limiterà alle tematiche di tipo “energetico”, con l’abbandono dei combustibili fossili

– che stanno già comportando fortissimi rialzi delle materie prime energetiche
con ricadute in termini di dinamiche inflazionistiche sui prodotti e sui servizi –,

ma si estenderà anche al cambio dei modelli alimentari,

incentivando, ad esempio,

la “conversione” al veganesimo

ed al consumo di “carne sintetica”;

per non parlare della “suggestione” ad avere preferibilmente un solo figlio per famiglia,

ad adottare uno stile di vita all’insegna dell’austerità,

rinunciando a viaggiare per non inquinare

oppure preferendo andare a piedi o in bicicletta e utilizzare solo i mezzi pubblici;

e chissà cos’altro in futuro, perché la rivoluzione verde, come tutte le rivoluzioni,

è un processo in divenire perenne, e quindi non può arrestarsi.



I costi saranno probabilmente stratosferici:

Bill Gates li stima in 5mila miliardi di dollari annui,

che potranno progressivamente scendere nel corso del tempo,

grazie all’innovazione tecnologica, fino a “soli” 250 miliardi di dollari annui di extra–costo nel 2050.



Tale extra–costo è indicato col termine “green premium”.


Sembra proprio che ogniqualvolta compare l’aggettivo “verde” dobbiamo preoccuparci:
i nuovi e pesanti costi, infatti, hanno già iniziato a scaricarsi su contribuenti e consumatori,
con inevitabili gravi alterazioni della concorrenza, e quindi delle stesse prospettive di crescita economica futura,
a danno dei più e a beneficio delle industrie favorite da tali progetti, oltre che della cosiddetta “finanza sostenibile”.

Per non parlare delle pesanti restrizioni alla libertà,
che abbiamo già iniziato ad “assaporare”:

una decrescita, insomma, davvero poco felice.
 
Se lo “stakeholder capitalism del XXI secolo” del professor Klaus Schwab
si fonda su questi due pilastri :

su “cittadini” ridotti a monadi

e su un “pianeta” da difendere dagli attacchi dell’uomo

– e quindi non più un “creato” che dell’uomo costituisce la dimora –, c’è da temere derive liberticide.



Mentre le società e l’iniziativa economica nascono logicamente e storicamente dal basso,
a partire dalle persone concrete, inserite in famiglie e in comunità,
per poi svilupparsi secondo logiche sussidiarie nei vari corpi intermedi,

qui ci troviamo di fronte a una visione distopica fondata su un’antropologia distorta,
e conseguentemente su una sociologia “rovesciata”.


Una prospettiva atomistica e materialistica, centralistica e dirigistica,

dove i “migliori” vorrebbero guidare dal centro e dall’alto,

come nella città ideale vagheggiata da molti utopisti

che si sono industriati, nel corso dei secoli, di immaginare un “mondo migliore”.



Con riferimento ai pretesi “eccessi di libertà” dei “privati”
che avrebbero portato fuori strada il paradigma di crescita impostosi nel secondo dopoguerra,
occorre poi fare una precisazione.


Di quali “privati” si sta parlando?

I Paesi contemporanei sono caratterizzati tutti, chi più chi meno,

da una presenza molto forte dello Stato nella vita economica e sociale,

da un livello di pressione fiscale e contributiva importante,

da un’elevata collusione dei grandi gruppi industriali e finanziari col potere politico – il cosiddetto capitalismo clientelare – e

da un monopolio statale sul denaro, la cui quantità viene manipolata ad libitum dalle rispettive banche centrali
che negli ultimi lustri intervengono in modo sempre più attivo e spregiudicato per orientare i sistemi finanziari, e quindi economici, dei propri Paesi.


Negli stessi Usa, considerati l’emblema dell’economia libera,
il potere politico è colluso con i grandi gruppi privati
e lo stesso andamento di Wall Street
– nell’immaginario collettivo icona del “capitalismo selvaggio” e del “turbo–capitalismo” –
dipende in realtà sempre più dalla politica,
in particolare dalle politiche monetarie ultra-espansive attuate dal 2009 dalla Federal Reserve statunitense,
solo formalmente indipendente dall’establishment politico-economico.


Non ci sono dubbi che esista una liaison malsana tra i grandi gruppi privati e la politica,

in forte crescita nell’ultimo quarto di secolo,

e ciò va denunciato col termine di “capitalismo clientelare”:

aumentando ulteriormente la spesa pubblica

non si farebbe altro che accrescere ancora la quota di ricchezza nazionale gestita da tali élite politico-economiche,

a tutto beneficio di chi è più vicino ai rubinetti della spesa

ed a danno di tutti gli altri che pagheranno il conto.



Lo vedremo, molto probabilmente, con l’implementazione del “Piano di rilancio europeo”
denominato Next Generation Eu (il cosiddetto Recovery Fund), per la ricostruzione post-pandemica,
a cui è collegato il piano di attuazione italiano (il cosiddetto Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr):

entrambi di tipo top-down,

basati sul debito

e calati dall’alto in modo dirigistico–accentratore.


Nel sistema che si sta disegnando, la piccola e la media impresa,

che già hanno poca voce in capitolo adesso, rischiano di essere ancora più marginalizzate.
 
Com’è noto, infatti, la prospettiva di Davos è quella del “Great Reset”

dei sistemi economici–sociali–politici attuali per andare verso un “New Normal”,

una sorta di governance mondiale,

dove delle “cabine di regia” sempre più alte, composte da organismi sovranazionali,

Stati, Banche centrali, grandi gruppi finanziari ed economici, media globali, think tank come Davos,

assumeranno il ruolo di direttori d’orchestra

per decidere dove andare,

con quali mezzi

e in che modo,

per “ricostruire il mondo in modo migliore”,

secondo lo slogan B3W-Build Back a Better World del presidente statunitense Joe Biden, condiviso dai Paesi del G7.



Ma come imporre tali cambiamenti?


In un suo libro precedente, molto conosciuto, Covid-19: The Great Reset,

il professor Schwab scriveva che l’epidemia Covid-19 costituisce una “grande opportunità”

per “ripensare, reimmaginare e resettare il nostro mondo”.


Il leader del Wef sottolinea che al di là dei dati di fatto, della “realtà”,

“le nostre azioni e reazioni umane sono determinate dalle emozioni e dai sentimenti:

le narrazioni guidano il nostro comportamento”,

lasciando cioè intendere che, con uno storytelling adeguato,

sarà possibile indurre un po’ per volta il cambiamento dall’alto,

creando il consenso con un mix di bastone e di carota.



L’importanza della “narrazione” per guidare il cambiamento era già stata indicata da Schwab
come una priorità in un altro suo testo del 2016 dedicato alla Quarta Rivoluzione Industriale,
The Fourth Industrial Revolution
:


il passaggio dalla narrazione alla propaganda rischia di essere molto veloce,

e particolarmente pericoloso se si aggiunge al controllo dei flussi finanziari,

a regolamentazioni sempre più rigide,

fino alla stessa limitazione della libertà di movimento personale.



L’attuazione della “iniziativa del Grande Reset”
verso il Brave New World post–pandemico
sembra procedere, in questi mesi, con quella “fretta” raccomandata da Schwab
come condizione di efficacia.

Schwab non ne parla ma è una strategia che ricorda molto quella della Fabian Society,
il più antico think tank politico britannico, fondata a Londra nel 1884
e da allora punto di riferimento della sinistra mondiale:

“For the right moment you must wait but when the time comes you must strike hard”,

cioè “devi attendere il momento giusto ma quando arriva devi colpire duramente”.



L’immagine scelta dai fabiani, un lupo travestito da agnello, completa il quadro.


In conclusione, lo “stakeholder capitalism del XXI secolo” del professor Schwab
sembra delineare una sorta di “socialismo benevolo”,
un’evoluzione su scala planetaria di quel mito evergreen
che è lo Stato assistenziale dei Paesi dell’Europa settentrionale.


La collaborazione stretta tra grande finanza, big-tech, media e capitalismo clientelare

è, ovviamente, necessaria alla realizzazione del progetto:

promesse di “salute” e “sicurezza”, garantite dall’alto

(nella forma di maggiori sussidi pubblici e di “reddito universale di cittadinanza”);

più tasse,

meno libertà (e meno responsabilità),

meno privacy

e meno scelta individuale.


Un “socialismo liberale”, insomma, un po’ gnostico e un po’ fabiano,
che intende mantenere la sovrastruttura liberal–democratica, ridotta però a un guscio vuoto,
mentre le risorse e le decisioni importanti sono destinate ad essere sempre più accentrate
presso “tecnici” e “competenti”, presso “cabine di regia” sempre più lontane.


Una prospettiva distopica che ricorda più quella evocata nel Nuovo mondo di Aldous Huxley (1894-1963)
che non quella paventata in 1984 di George Orwell (1903-1950).


Quos Deus perdere vult, dementat prius:

qualsiasi progetto contrario alla natura dell’uomo e all’ordine delle cose

è destinato inevitabilmente al fallimento finale, ma può tuttavia arrecare dei seri danni, per molti anni a venire.



Quando torneremo, dunque, alla normalità?

“Quando?


Mai”, scrive Schwab.

Ė scritto nero su bianco, basta prendersi la briga di andare a leggere e studiare quello che scrive.


Ciò non è rassicurante: occorre approfondire queste tematiche con un serio studio

in ordine alla realtà delle cose e ai costi sociali, insostenibili per gli uomini concreti,

che sono esigiti per la costruzione del “mondo migliore” immaginato da Schwab.
 
Questi sono i dati odierni per la Lombardia.

Non dimenticate mai che la LOMBARDIA ha 10.000.000 di abitanti

mentre la seconda regione italiana - per popolazione - il LAZIO - ne ha 5.700.000


In Lombardia sono 8.292 "i nuovi positivi" a fronte di 203.314 tamponi effettuati.

Lo riporta il bollettino di martedì 21 dicembre 2021 diramato dalla Regione.

Nelle ultime 24 ore sono stati segnalati 17 decessi: ieri erano state registrate 40 vittime.

Sul fronte dei ricoveri, aumentano i pazienti nei reparti ordinari, arrivati a 1.307,

diminuisce di poco il numero dei pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva.


La situazione negli ospedali lombardi :

nei reparti di area medica sono ricoverati 1.307 pazienti Covid.

Nelle terapie intensive degli ospedali lombardi sono invece ricoverati 161 degenti Covid contro i 163 di ieri (2 in meno).


Situazione Covid nelle province della Lombardia :

Secondo quanto comunicato, sono 3.548 i casi individuati nella provincia di Milano.
Nella provincia di Bergamo i casi sono stati 394, mentre sono stati 619 in quella di Brescia.
A Varese i casi sono stati 686, nel Mantovano invece sono stati 302.
Nel Lodigiano si sono registrati 253 casi, in provincia di Pavia 431.
In provincia di Monza e Brianza si sono avuti 772 casi, 195 nella provincia di Lecco e 189 in provincia di Cremona.
Nella provincia di Como se ne sono registrati invece 332 e infine 42 in provincia di Sondrio.


Capiamoci bene : 17 decessi - 1307 ricoverati - 161 in terapia intensiva.

Cosa significa ?

Significa che il virus è più "debole" rispetto a quello dello scorso anno.
Significa che il virus si sta adattando - per vivere - al nostro organismo.
Significa che negli ospedali NON C'E' EMERGENZA.

E questo è quello che conta.

Significa che più persone risultano positive, ma si creano gli anticorpi.
Tanti positivi - Tanta circolazione del virus. - Tanta immunità.

Lo hanno sempre detto i "soloni esperti del potere", oggi non vale più ?
 
1640111867391.png


Questi i dati dello scorso anno, nello stesso giorno.

Solo 950 positivi al virus.

MA 361 PERSONE IN TERAPIA INTENSIVA

E 4.232 PERSONE RICOVERATE.



Allora, 17 contro 41 decessi

161 in terapia intensiva contro 561

1307 ricoverati contro 4232


MI DITE DOVE STA QUESTA EMERGENZA ?


Dimenticavo. 203.314 tamponi contro 10.587
ne avessero fatti 200.000 lo scorso anno, chissà che dati avremmo avuto.

PERCHE' IL TAMPONE TI DICE SE SEI POSITIVO....non il siero genico.
 

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