NULLA SI CREA. NULLA SI DISTRUGGE. TUTTO SI INCASINA.

Alle ragioni del “no” al referendum, esposte in questi giorni da svariati commentatori, desidero aggiungere quest’altre, dal mio punto di vista.

La prima.


Molti sprovveduti, persino direttori di giornali, si sono spinti a sostenere
che l’eliminazione di un terzo dei parlamentari debba considerarsi addirittura indispensabile
per avvicinare le Camere agli standard di produttività degni di un moderno Parlamento.


Questa pseudo argomentazione è semplicemente falsa in fatto e in diritto.


Il nostro Parlamento è forse il più prolifico del mondo intero.

Produce una quantità impressionante di leggi, leggine, leggi-provvedimento e persino leggi ad personam.

Il diluvio della legislazione viene costantemente deprecato proprio da quelli, ma non solo,
che oggi invocano un Parlamento rimpicciolito per modo che, accelerando, possa approvare ancora più leggi ancora più presto.

Gli sprovveduti sono persuasi, a torto, che il Parlamento sia tanto migliore quanto più efficiente nell’approvare leggi.

Ma sbagliano di grosso non solo perché il Parlamento attuale ci riesce purtroppo benissimo,
ma anche perché il Parlamento né è né deve essere una catena di montaggio
la cui efficienza debba basarsi su una sorta di taylorismo normativo.


La seconda.


Il “Parlamento amputato” (così mi piace chiamarlo e invito a chiamarlo!)
concentrerebbe i poteri legislativi e di controllo in un numero notevolmente inferiore di mani.



Se la sovranità popolare, esercitata nella forma rappresentativa, confluisse in un organo di tanto ristretto, accadrebbe questo paradosso:

le funzioni parlamentari specifiche incontrerebbero maggiori difficoltà nello svolgimento ordinario
mentre ne sarebbero incentivati i modi dannosi e pericolosi di esercizio.

Esempio, la sede legislativa/deliberante delle commissioni.

Insomma, detto in breve, il “Parlamento amputato” aumenterebbe i difetti del parlamentarismo attuale e ne diminuirebbe i pregi.

Un autolesionistico risultato, tanto deprecabile quanto incontestabile, che i benintenzionati amputatori non devono aver valutato.



La terza.


Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe in modo assoluto, hanno insegnato i classici della politica.


Il “Parlamento amputato” accentuerebbe certi caratteri di pericolosità insiti nella rappresentanza ristretta,
che saranno viepiù accentuati dalla legge elettorale che paventiamo:


una proporzionale con soglia di sbarramento e liste bloccate.

In sostanza, un Parlamento autocratico
.


Il “Parlamento amputato” appare fin d’ora come un esperimento di genetica istituzionale realizzato in un laboratorio politico impazzito,
un mostro al comando dei partiti così come sono, anziché aggiogato al popolo in comando, se la democrazia continua ad avere un senso.

Elettrici ed elettori faranno bene a votare “no” o al “Parlamento amputato” se non desiderano automutilarsi.

Sono millantatori quelli che hanno voluto l’amputazione per becero antiparlamentarismo e presunta economicità.

Di più, costoro nel profondo vagheggiavano la maggioranza assoluta, convinti di stravincere
e così asservire un Parlamento immeschinito e impaurito e manipolabile per realizzare le loro distruttive politiche.


La quarta.


Non è la prima volta nella storia che una classe politica trascina alla rovina l’istituzione che incarna.

Nel caso del “Parlamento amputato” non mancano i connotati del fratricidio
perché chi ha perpetrato l’amputazione dei parlamentari stupidamente conniventi non la subirà,
mentre assumerà viepiù il controllo dei riammessi in Parlamento soprattutto per benevolenza nel candidarli.


Concludendo, il voto avrà effetti profondi e duraturi sulla vita politica.

Il Parlamento, che il popolo già oggi sente lontano, si allontanerà sempre più, inevitabilmente.

Poniamoci la domanda cruciale: possiamo davvero credere che una riforma che ci sottrae un potere costituzionale sia fatta per il nostro bene?
 
Alle ragioni del “no” al referendum, esposte in questi giorni da svariati commentatori, desidero aggiungere quest’altre, dal mio punto di vista.

La prima.


Molti sprovveduti, persino direttori di giornali, si sono spinti a sostenere
che l’eliminazione di un terzo dei parlamentari debba considerarsi addirittura indispensabile
per avvicinare le Camere agli standard di produttività degni di un moderno Parlamento.


Questa pseudo argomentazione è semplicemente falsa in fatto e in diritto.


Il nostro Parlamento è forse il più prolifico del mondo intero.

Produce una quantità impressionante di leggi, leggine, leggi-provvedimento e persino leggi ad personam.

Il diluvio della legislazione viene costantemente deprecato proprio da quelli, ma non solo,
che oggi invocano un Parlamento rimpicciolito per modo che, accelerando, possa approvare ancora più leggi ancora più presto.

Gli sprovveduti sono persuasi, a torto, che il Parlamento sia tanto migliore quanto più efficiente nell’approvare leggi.

Ma sbagliano di grosso non solo perché il Parlamento attuale ci riesce purtroppo benissimo,
ma anche perché il Parlamento né è né deve essere una catena di montaggio
la cui efficienza debba basarsi su una sorta di taylorismo normativo.


La seconda.


Il “Parlamento amputato” (così mi piace chiamarlo e invito a chiamarlo!)
concentrerebbe i poteri legislativi e di controllo in un numero notevolmente inferiore di mani.



Se la sovranità popolare, esercitata nella forma rappresentativa, confluisse in un organo di tanto ristretto, accadrebbe questo paradosso:

le funzioni parlamentari specifiche incontrerebbero maggiori difficoltà nello svolgimento ordinario
mentre ne sarebbero incentivati i modi dannosi e pericolosi di esercizio.

Esempio, la sede legislativa/deliberante delle commissioni.

Insomma, detto in breve, il “Parlamento amputato” aumenterebbe i difetti del parlamentarismo attuale e ne diminuirebbe i pregi.

Un autolesionistico risultato, tanto deprecabile quanto incontestabile, che i benintenzionati amputatori non devono aver valutato.



La terza.


Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe in modo assoluto, hanno insegnato i classici della politica.


Il “Parlamento amputato” accentuerebbe certi caratteri di pericolosità insiti nella rappresentanza ristretta,
che saranno viepiù accentuati dalla legge elettorale che paventiamo:


una proporzionale con soglia di sbarramento e liste bloccate.

In sostanza, un Parlamento autocratico
.


Il “Parlamento amputato” appare fin d’ora come un esperimento di genetica istituzionale realizzato in un laboratorio politico impazzito,
un mostro al comando dei partiti così come sono, anziché aggiogato al popolo in comando, se la democrazia continua ad avere un senso.

Elettrici ed elettori faranno bene a votare “no” o al “Parlamento amputato” se non desiderano automutilarsi.

Sono millantatori quelli che hanno voluto l’amputazione per becero antiparlamentarismo e presunta economicità.

Di più, costoro nel profondo vagheggiavano la maggioranza assoluta, convinti di stravincere
e così asservire un Parlamento immeschinito e impaurito e manipolabile per realizzare le loro distruttive politiche.


La quarta.


Non è la prima volta nella storia che una classe politica trascina alla rovina l’istituzione che incarna.

Nel caso del “Parlamento amputato” non mancano i connotati del fratricidio
perché chi ha perpetrato l’amputazione dei parlamentari stupidamente conniventi non la subirà,
mentre assumerà viepiù il controllo dei riammessi in Parlamento soprattutto per benevolenza nel candidarli.


Concludendo, il voto avrà effetti profondi e duraturi sulla vita politica.

Il Parlamento, che il popolo già oggi sente lontano, si allontanerà sempre più, inevitabilmente.

Poniamoci la domanda cruciale: possiamo davvero credere che una riforma che ci sottrae un potere costituzionale sia fatta per il nostro bene?

la scelta è S E M P L I C E.......... mortadella (romano prodi :jolly:) vota NO.......... aveva detto che con euro saremmo stati meglio.................:sad:
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sia chiaro che i guasti veri per l’Italia, più e prima del covid, l’hanno portati i giallorossi a partire da un anno.


e lo hanno pure dimostrato: quando cendrodestra vuole cambiare il fisco per abbassare le tasse i soldi non ci sono mai, ricordo la lotta di berlusconi per togliere IMU sulla prima casa................erano BRICIOLE rispetto ai soldi usciti ora con il covid QUINDI QUESTI SINISTROIDI HANNO SEMPRE MENTITO!!!

E i principali giornali hanno sempre tirato acqua al mulino delle tasse che la sinistra inventa balzello su balzello
Votare SI.....per tenere alto il numero di tasse.....prego in allegato leil principali voci....siete pazzi o masochisti?
 

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ops........noto che il distanziamento veniva rispettato :rotfl:e che tutti portavano le mascherine :rotfl::rotfl::rotfl:



Non solo costa Smeralda, anche Cortina d'Ampezzo, una delle mete più apprezzate dai radical-chic,
in queste ore deve fare i conti con i contagi da Covid, dopo il Summer Party dello scorso 20 agosto.

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Le discoteche erano già state chiuse in tutta Italia, dove non si può ballare, ma è possibile organizzare feste con 500 persone invitate sui prati di Socrepes.

L'organizzazione era stata meticolosa da parte dell'agenzia che ha curato l'evento
e così personaggi molto in vista dello sport e della tv si sono presentati a Cortina d'Ampezzo con lederhosen e dirndl,
tipiche vesti locali, con tanto di monili e di accessori.

Ed ecco che tra gli invitati c'è il primo contagio.

Ora è iniziata la corsa al tampone a Cortina, per individuare altri eventuali contagi.


Tutto è nato da un giovane 27enne di Roma, arrivato a Cortina dalla Sardegna

. Il ragazzo avrebbe manifestato tipici sintomi da Covid durante la permanenza nella lussuosa località di montagna e così,
trasportato d'urgenza all'ospedale San Martino di Belluno, gli è stata diagnosticata una tipica polmonite da Covid.

I sintomi erano uguali a quelli riscontrati nei pazienti di marzo, la polmonite pure.

Diffusasi la notizia, a Cortina d'Ampezzo è esplosa la paura.

All'indomani della festa, gli organizzatori non lesinarono ringraziamenti e complimenti
per come tutto si era svolto nel rispetto delle "misure di sicurezza", grazie alle quali "si è potuto celebrare l'evento più amato della stagione".

Sono bastati pochi giorni per far serpeggiare il panico tra i 500 partecipati del Summer Party di Cortina d'Ampezzo,
che su indicazione del sindaco della cittadina sono stati chiamati a effettuare il tampone.

L'amministrazione comunale ha disposto il punto drive-in alle spalle dello stadio del ghiacchio
ed è qui che tantissime vetture di lusso si sono messe in coda per ore per richiedere il controllo con tampone nasofaringeo.

La meta invernale preferita dall'intellighenzia con ampie disponibilità economiche, quest'anno è stata presa d'assalto anche d'estate,
nella vana illusione che il contagio non arrivasse a quelle quote.

Ora si attendono i risultati di tutti i tamponi, anche se i partecipanti non sono stati obbligati all'esecuzione ma solo consigliati,
pertanto è possibile che qualcuno dei partecipanti non si sia presentato al drive-in di Cortina.
 
Ridotti male male. Cosa non si fa per avere della visibilità........

Oggi, a distanza di pochi giorni dalla tragica scomparsa,
Andrea Bocelli e sua moglie sono finiti nel mirino dell'Associazione italiana per la difesa animali e ambiente,
che ha fatto un esposto alla procura della repubblica di Tempio Pausania contro ignoti per "abbandono di animali e negligenza colposa".

La denuncia penale dell'Aidaa è stata fatta formalmente contro ignoti ma Andrea Bocelli e la moglie Veronica Berti
sono stati citati espressamente come persone informate dei fatti.

Solo loro, infatti, possono ricostruire nei dettagli la vicenda di quanto accaduto sulla barca
e sulle eventuali motivazioni per le quali Pallina, la loro cagnolina, è stata lasciata sola.

A causarne la possibile caduta e la conseguente morte sarebbe proprio stato l'averla lasciata sola.

"Dalle ricostruzioni fatte dalla stampa e dai servizi nazionali televisivi - si legge nell'esposto dell'Associazione -
il cagnolino sarebbe caduto in acqua in un momento in cui nessuno lo osservava
e della sua scomparsa ci si sarebbe accorti solo successivamente, fatto questo che ne avrebbe provocato la morte".

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Mi sorge una domanda. Dal profondo.

com'è che i clandestini che si imbarcano con i figli, a rischio della vita dei minori, non vengono denunciati per negligenza colposa?
 
La crisi fra Russia e Bielorussia è rientrata per via dell’improvviso e inaspettato scoppio di una duratura insurrezione post-elettorale
che, in piedi dalla sera del 0 agosto, non mostra ancora segni di declino e/o di interruzione.

I disordini, sui quali sin da subito ha iniziato a gravare l'ombra di una interferenza straniera,
per via degli arresti di dimostranti provenienti da Polonia e Ucraina,
poi confermata dal protagonismo del duo Varsavia-Vilnius e dell'Unione Europea,
hanno convinto Aleksandr Lukashenko a sospendere la politica di avvicinamento all'occidente,
riportandolo saldamente a riaffermare il posizionamento geopolitico di Minsk all’interno della sfera d’influenza russa.


L’episodio più eclatante della crisi, che sarebbe culminata in una vera e propria rottura in assenza del maldestro tentativo di cambio di regime,
è stato indubbiamente l’arresto di trentatre mercenari del gruppo Wagner, avvenuto il 29 luglio.

L’operazione aveva avuto luogo grazie alla soffiata ricevuta da alcuni servizi segreti esteri,
secondo i quali i militari privati si sarebbero trovati nel Paese con l’intento di attuare un piano di destabilizzazione alla vigilia delle elezioni.

A distanza di un mese da quella controversa operazione, il Cremlino ne ha ricostruito i retroscena ed è giunto ad una conclusione:
l’intera vicenda sarebbe stata orchestrata da Washington e Kiev con l’obiettivo di accelerare la spaccatura fra Minsk e Mosca.


Il 27 agosto il canale televisivo Rossia 24 ha trasmesso un’intervista a Vladimir Putin durante la quale si è parlato,
tra le altre cose, degli eventi che stanno scuotendo la Bielorussia.

Il presidente russo si è concentrato, in particolare, sulla maxi-operazione del 29 luglio che aveva condotto all’arresto
di trentatre soldati del gruppo Wagner, lanciando delle accuse all’indirizzo di Washington e Kiev.

Secondo Putin, “questa operazione è stata condotta congiuntamente dai servizi segreti statunitensi e ucraini.
[…] Alcuni dei partecipanti nel processo – persone ben informate e osservatori – non lo stanno neanche nascondendo”.

Il gruppo avrebbe dovuto recarsi in America Latina e Medio Oriente, ma sarebbe stato
“trascinato in territorio bielorusso e dipinto come una forza per destabilizzare la situazione durante la campagna presidenziale, cosa assolutamente non vera”.

Le dichiarazioni di Putin hanno riportato alla luce una teoria circolata negli ambienti mediatici russi
sin dalle fasi immediatamente successive all’arresto dei mercenari, condensata in un approfondimento del 6 agosto
firmato dal giornalista investigativo Aleksandr Kots per Komsomolskaya Pravda e in seguito ripreso da Yuri Butusov,
capo redattore del portale d’informazione ucraino Censor.net.

Secondo Kots, l’intera operazione sarebbe stata diretta dai servizi segreti ucraini con lo scopo di deteriorare ulteriormente i rapporti fra Minsk e Mosca,
che all’epoca erano particolarmente fragili per via dell’agenda filo-occidentale di Lukashenko.

In breve, stando alle informazioni raccolte dal giornalista, nei mesi precedenti all’inizio dell’estate
alcuni agenti ucraini sotto copertura avrebbero contattato dei reclutatori al servizio del gruppo Wagner
con la scusante di dover proteggere dei presunti siti petroliferi in Siria e in Venezuela.

La messinscena sarebbe stata organizzata in maniera scrupolosa: costruzione di alias credibili,
fornitura di dettagli sulle attività da condurre una volta ingaggiati, origine di telefonate e messaggistica alterata
in maniera tale da essere ricondotta alla Siria in luogo che all’Ucraina.

L’intera operazione sarebbe stata supervisionata dai servizi segreti ucraini dall’inizio alla fine, tappa per tappa.

Kots ha scoperto, rivolgendosi alla Turkish Airlines, che i biglietti aerei che avrebbero dovuto portare i mercenari russi fra Damasco e Caracas
erano stati acquistati da un’agenzia viaggi con sede a Kiev e aperta di recente, a gennaio – prova, quest’ultima, di quanto fosse stato studiato meticolosamente il piano.

I mercenari, giunti a Minsk fra il 24 e il 25 luglio, avrebbero dovuto prendere un volo per Istanbul il 25 pomeriggio,
da dove avrebbero poi dovuto raggiungere America Latina e Medio Oriente.

Una volta atterrato nella capitale bielorussa, il gruppo era stato informato dell’improvvisa cancellazione del volo
e invitato ad attenderne uno nuovo, previsto entro una settimana, il 30.

Come è noto, quel secondo volo era un’invenzione, e alle prime luci dell’alba del 29
il gruppo era stato tratto in arresto dalle forze di sicurezza bielorusse, avvertite da una soffiata della presenza sospetta di turisti russi,
vestiti in abiti militari, alloggiati in un complesso turistico nei pressi di Minsk.

Ad ogni modo, il governo ucraino ha respinto le accuse provenienti dal Cremlino e dalle inchieste indipendenti di Kots e Butusov,
sostenendo la totale estraneità ai fatti dei propri servizi segreti ucraini.


Lo scoppio dell’insurrezione post-elettorale, che ha rapidamente assunto i caratteri di un tentativo di rivoluzione colorata pilotato dall’esterno,
ha convinto Lukashenko a ripiegare su Mosca e ad assumere una postura difensiva nei confronti dei suoi presunti registi,
fra i quali Polonia, Lituania e Ucraina, mettendo da parte il proposito del cambio di rotta geopolitico.

In definitiva, si può sostenere che il tentato cambio di regime si è rivelato controproducente, un’occasione mancata, perché frutto di un grave errore di calcolo:
Lukashenko era realmente intenzionato a rompere con la Russia e ad inaugurare un nuovo corso diplomatico e geopolitico
e con molta probabilità avrebbe mantenuto le promesse fatte in sede elettorale.

Il presidente bielorusso aveva dato prova della serietà delle sue intenzioni ben due volte:
a giugno, dirigendo una campagna di arresti ai danni della Belgazprombank,
e a fine luglio, con l’operazione-farsa che aveva condotto all’incarcerazione di trentatre soldati del gruppo Wagner,
accusati di essere entrati nel Paese “per destabilizzare la situazione in vista delle elezioni presidenziali”.

Ad ogni modo, quei mercenari di cui non è dato sapere se fossero realmente coinvolti in un piano antigovernativo,
se siano stati vittime di una trama ucraino-americana o, più semplicemente, dell’ennesima provocazione di Lukashenko per sfidare il Cremlino
ed inviare un messaggio all’Occidente, sono stati rimpatriati nel più totale silenzio il 14 agosto;
proprio come loro, anche il presidente bielorusso ha fatto ritorno a Mosca.
 
confindustria spinge per togliere il rdc, e viene da chiedersi SENZA questo sussidio con il covid cosa sarebbe successo :oops:
le ricette le conosciamo, il problema italiano era e resta il lavoro!

Perché chi riceve il reddito di cittadinanza non trova lavoro

e incentivare il lavoro non è secondario..............:rolleyes:
 
Ultima modifica:
Lo avevamo scritto quasi un mese fa, e le peggiori previsioni si sono realizzate:

la nuova Punto non solo NON sarà costruita in Italia, ma non utilizzerà nessuna piattaforma italiana,
affidandosi alla CMP, la common modular platform della PSA.


Quindi di italiano in quella macchina non c’è ASSOLUTAMENTE NULLA, a parte forse l’inutile tricolore sul muso.


Per il luogo di produzione c’è la scelta fra la Polonia (Tichy, dove si producevano le FIAT),
o Saragozza, dove c’è uno stabilimento PSA, ormai il vero dominus industriale del gruppo.


Quindi di italiano non c’è nulla nella futura Punto, che, bontà sua , sarà solo elettrica.

Inoltre la Fca abbandonerà tutto il segmento A, quello delle utilitarie,
nonostante attualmente costituisca il maggior volume delle vendite e sia anche parte della storia della società.


Alla fine alla FIAT non resterà praticamente nulla, se non la prosecuzione residuale nella produzione della 500.


Tra l’altro anche la piattaforma della futura piccola SUV dell’Alfa Romeo non sarà italiana,
ma del gruppo PSA, in comune con la Opel Mokka (brrrrrrr) e la Peugeut 2008
.


Avremo un’Alfa elettrica che di italiano, e di Alfa Romeo, non avrà praticamente nulla.


Alla fine gli Agnelli Elkann sono riusciti nel loro disegno perseguito con grande insistenza dagli anni novanta:

distruggere dalle fondamenta l’industria automobilistica italiana, riducendola ad un mucchio di macerie,

ma nascondendo il tutto dietro “L’Italian Sounding”
,

un po’ come per una mozzarella tedesca che venisse chiamata “Sorrento”.


Tra l’altro si vede proprio che il “centro stile” di Torino è stato chiuso
perchè la Punto sembra la brutta copia di qualche auto coreana o giapponese.


Sottolineiamo la brutta copia.


Festeggeranno le aziende dell’indotto FIAT del Nord Italia ed i loro dipendenti in cassa integrazione o licenziati,
tanto per loro Gualtieri ha preso il SURE da Bruxelles, pagato ovviamente coi nostri soldi.


Esattamente come sono i nostri soldi che hanno permesso a Fca di ottenere un prestito per 6,5 miliardi da Intesa SanPaolo,
ma garantiti dallo Stato.


Un grande affare per chiudere le fabbriche italiane.


A proposito: il governo però compra 27 milioni di mascherine dagli Elkann.


Questa è la crescita industriale e tecnologica per il nostro paese.


Vivissimi complimenti al MISE ed al governo tutto.
 
Qualcuno, anche nell’immediato, questo dubbio lo aveva sollevato:


possibile che nel pieno dell’emergenza Covid, tutti i decessi siano avvenuti a causa del coronavirus?



I numeri, infatti, sembravano troppo alti, e qualche conto non tornava.


E così è bastato spulciare un po’ meglio le cartelle cliniche e i dati per capire che non tutto era come sembrava.


E, ahinoi, continua a essere così.

“Non importa di cosa si muore, se nella vita si è stati almeno una volta positivi al Covid,
al momento del trapasso (per altre malattie, vecchiaia o incidenti stradali) si finirà nella casella delle vittime della pandemia”.



Sembra incredibile, ma è vero.


Ed è scritto nel bollettino della Protezione civile che spiega il singolare picco di morti del Veneto, registrato in questo ultimo mercoledì agostano.




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A raccontare tutto è Fabio Amendolara in un suo pezzo per La Verità.

“Si trattava di pazienti contagiati dal virus nei mesi scorsi, nel frattempo negativizzatisi,
ma che su indicazione del ministero della Sanità vanno registrati comunque come soggetti con infezione da Covid.
Se nella prima fase dell’emergenza questa pratica poteva avere un senso, perché non si conosceva ancora la durata della malattia,
questi criteri oggi rischiano di falsare tutte le statistiche. Per il ministero della Salute, quindi, tutti i positivi al virus (guariti compresi)
deceduti per qualunque motivo vanno sommati al totale dei soggetti uccisi dalla pandemia. Un pasticcio statistico che spiega il picco del Veneto”.



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Il bollettino con i dati del Veneto diffuso dalla Protezione civile di mercoledì svela che nel conteggio dei decessi per coronavirus
finiscono perfino i guariti e i negativizzati.

Persone morte a casa loro, probabilmente per l’aggravarsi di patologie preesistenti.

“Ma siccome nella loro storia clinica è presente il coronavirus, secondo il ministero della Salute devono sommarsi ai deceduti per Covid.
Ora, paradossalmente, se un ex paziente Covid, magari asintomatico, si pianta con l’auto contro un guard rail
e ci lascia le penne il suo nome viene piazzato, per volere del ministero della Salute, tra i morti per coronavirus, andando a rimpolpare la già non esigua statistica”.

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Seguendo questo principio, tutti i “casi accertati”, saranno in futuro tutti morti per coronavirus.

Anche tra un anno, due, tre.

Dall’ufficio stampa dell’Iss, contattato dalla Verità, dopo una veloce consultazione con gli esperti dell’Istituto, fanno sapere che

“è una malattia ancora in fase di studio, che non si conoscono bene le conseguenze a lungo termine di questo virus
e che i pazienti contagiati, seppur negativizzati, potrebbero morire dopo diverso tempo comunque per i danni causati dal coronavirus”.


Questo è il motivo.

Ed ora i dubbi sulla gestione dei numeri e della reale portata di questo virus non fanno che aumentare.

Si attendono chiarimenti dal ministero.
 

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