Titoli di Stato area Euro Paesi Baltici ed Est Europa: news, info, analisi

Ue: deficit, 'misure adeguate' da Malta, Lituania, Ungheria e Lettonia
Bruxelles, 27 gen. (Adnkronos/Aki) - Malta, Lituania, Lettonia e Ungheria hanno adottato "misure adeguate" per la correzione dei loro deficit. E' quanto ha dichiarato il commissario uscente agli affari economici e monetari Joaquin Almunia a nome della Commissione europea, che stamattina ha tirato le conclusioni sulle azioni intraprese da questi stati membri per la riduzione del loro deficit.
Per Malta e Lituania, si legge nel documento, "vista la deteriorazione significativa della situazione economica" e' stato accordato un anno in piu' per riportare il deficit sotto il 3%, quindi rispettivamente entro il 2011 e il 2012. Ungheria e Lettonia, invece, pur se sulla "buona strada" dovranno "proseguire i loro sforzi" per rispettare la data limite fissata per la prima nel 2011 e per la seconda nel 2012.
La Commissione Ue aveva proposto nella primavera del 2009 di avviare la procedura per deficit eccessivo nei confronti di Malta, Lituania e Lettonia, avendo questi paesi superato la soglia del 3% del rapporto deficit/Pil nel 2008. La correzione era stata fissata rispettivamente nel 2010 per Malta, nel 2011 per la Lituania e nel 2012 per la Lettonia. Per l'Ungheria, sotto procedura dal 2004, era stato fissato il 2011. Il Consiglio europeo aveva approvato le proposte della Commissione nel luglio 2009, ma data la congiuntura economica svaforevole dovuta alla crisi, durante la revisione odierna la Commissione ha deciso di rivedere la scadenza e di optare per un proglungamento delle deadline.
27/01/2010
 
MARTEDI' 2 FEBBRAIO 2010 (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Vilnius, 02 feb - L'economia lituana, dopo il pesante crollo subito a seguito della crisi finanziaria internazionale, sta registrando significativi segnali di ripresa. Nel III trimestre 2009, il PIL e' aumentato del 6,1 per cento rispetto al trimestre precedente. Resta pero' inferiore del 14 per cento rispetto ai livelli dell' anno precedente. Anche i dati relativi ai consumi ed agli investimenti dell'ultimo trimestre confermano l'inversione di tendenza in atto. E a novembre, l'indice dei prezzi della produzione industriale e' risalito dello 0,6 per cento. Resta invece preoccupante il dato relativo alla disoccupazione pari al 14,6% con una perdita di sei punti rispetto al 2008. Le aree piu' colpite sono quelle a vocazione industriale di Ignalina, Druskininkai e Mazeikiai. Secondo le previsioni prevalenti degli esperti economici, a partire dalla seconda meta' del 2010 l'economia lituana dovrebbe registrare una ripresa piu' rapida del previsto grazie soprattutto al buon andamento delle esportazioni che gia' nel secondo e terzo trimestre del 2009 hanno registrato un recupero del 23 per cento. Questo trend positivo dovrebbe continuare per tutto il 2010, con un ulteriore aumento valutato nell'ordine del 17 per cento del volume delle esportazioni. Occorre aggiungere che le esportazioni concorrono per il 40% alla formazione del PIL del Paese. Sul fronte dei conti pubblici un fattore positivo e' costituito dagli introiti dell'IVA che nei primi 11 mesi del 2009, hanno superato del 7 per cento le previsioni di bilancio. Incoraggianti anche i dati sul risparmio. In sostanza si prevede che il 2009 chiudera' con una contrazione su base annua del Pil pari all'11% ma che il 2010 registrera' un aumento dell'8 per cento. Secondo la rivista statunitense International Living, specializzata nel settore immobiliare, la Lituania si pone al 22esimo posto su 194 Paesi nella graduatoria sulla qualita' della vita. Al primo posto figura la Francia e al nono l'Italia. Embassy of Italy in Vilnius (RADIOCOR)

Visualizza altro *** Lituania: e' iniziata la ripresa dopo gli effetti della crisi | Radiocor, martedi' 2 febbraio 2010 (articolo 779331)
 
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Altra buona notizia

UPDATE S&P ups Lithuania outlook after tough budget cuts
2010-02-03 14:04:23 GMT (Reuters)

VILNIUS, Feb 3 (Reuters) - Lithuania got the Baltic region's first positive ratings news since the start of the financial crisis on Wednesday when Standard & Poor's raised its outlook on the country's ratings to stable from negative.
The news was a boost to Lithuania as it aims to raise another eurobond and came after it last week forecast a rise in gross domestic product (GDP) this year rather than a fall. GDP dropped 15 percent in 2009.
All three Baltic states have kept their currencies pegged at unchanged rates to the euro, despite deep recessions, but are pursuing domestic wage and price cuts in internal devaluations.
"The outlook revision reflects the government's successful and still ongoing implementation of substantial budgetary consolidation in the face of a severe external shock," S&P said.
S&P warned in a statement that a weakening of resolve on fiscal steps could press the BBB long-term and A-3 short-term ratings, which it maintained, though reforms that brought Lithuania closer to euro entry would be positive for ratings.
Prime Minister Andrius Kubilius, in the United States on a eurobond roadshow, was pleased. "The government's consistent work has yielded results. I hope that other ratings agencies will follow," he told Reuters by telephone.
Lithuania, Latvia and Estonia all slipped into deep recessions after years of credit-fuelled growth turned into a bubble which then burst. Latvia had to seek a 7.5 billion euro bailout at the end of 2008.
The region's troubles have caused the share prices of top Swedish banks to drop, particularly Swedbank and SEB, as they expanded aggressively in the boom years and have faced soaring loan losses.
Lithuania did not seek IMF or EU help, but has also carried out budget cut steps to stop its fiscal deficit ballooning.
"The ratings on Lithuania reflect clear commitment across all political parties to support and implement budgetary and structural policies which anchor the currency board regime and enhance the economy's flexible labor and goods markets," the ratings agency added.
S&P said Lithuania's internal devaluation was taking place via falling unit labour costs, improving competitiveness in the tradeables sectors.
It saw public finances stabilising in the long term and forecast a public sector deficit of 9.5 percent of GDP in 2009 and 8 percent in 2010, in line with government forecasts.
Lithuania's outlook upgrade, Estonia's hopes for euro zone entry in 2011 and Latvia's so far successful pursuit of its bailout programme have eased short-term fears of a collapse in the Baltic region, but long-term challenges remain.
Latvia also faces a parliamentary election in October and has to carry out a further 800-900 million lats of budget austerity measures, on top of about 1 billion lats done already. (additional reporting by Patrick Graham and Patrick Lannin; Editing by Andy Bruce and Toby Chopra)
 
Romania

Fitch Upgrades Romania Outlook To Stable On 2010 Budget, IMF

DOW JONES NEWSWIRES
Fitch Ratings upgraded its outlook on Romania to stable, saying several downward pressures have eased.
The Eastern European country announced an austerity budget last month to slash its deficit by almost 2% of gross domestic product this year. Fitch said the budget's adoption, combined with the expected resumption of its funding program with the International Monetary Fund and E.U., significantly reduced financing risk and the threat of larger economic instability.
However, some of the politically sensitive measures of the 2010 budget --- like wage freezes and lay-offs among public workers -- maintain some downside risks, especially in light of the government's narrow parliamentary majority.
But the agency said the upgrade also stemmed from improvement in external financial and economic conditions, the expectation 2009 current-account deficit narrowed more than predicted and the passing of political uncertainty after elections.
In December, a recount of annulled votes in Romania's presidential election failed to overturn the incumbent Traian Basescu's victory.
 
Romania

Romania: Banca centrale abbassa tassi di interesse
MERCOLEDI' 3 FEBBRAIO 2010

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Bucarest, 03 feb - La Banca nazionale romena ha deciso oggi un ritocco all'ingiu' dei tassi di interesse. Il taglio dello 0,50% fissa il nuovo limite al 7%, il livello piu' basso dal 2003. E' la seconda volta dall'inizio dell'anno che la Banca centrale riduce i tassi e l'operazione, seppur attesa dagli analisti, e' risultata comunque di entita' superiore al previsto.

 
Ecofin: richieste nuove misure correttive a Lituania, Malta e Romania

L'Ecofin oggi ha nuovamente chiesto a Lituania, Malta e Romania misure correttive del deficit, ma ha anche esteso di un anno i termini per il rientro nel parametro di un deficit al 3% del Prodotto interno lordo richiesto dalle norme comunitarie. Nel caso di Malta la scadenza per il rientro è stata spostata al 2011 invece che al 2010 e nel caso di Lithuania e Romania invece l'attuazione della normativa vigente è stata prevista per il 2012. Al 16 agosto di quest'anno è stata posta la scadenza per la presentazione delle nuove misure correttive previste dai tre paesi. (GD)
FTA Online News
16/02/2010 16.50.01
 
Lithuania

Lithuania’s economy grows for second quarter as exports recover

26.02.2010, 11:59
Lithuania’s economy grew for a second quarter in the final three months of last year on stronger industrial output and recovering exports, signaling the worst recession since independence in 1990 has passed, reported Bloomberg.
Output rose a seasonally adjusted 0.5 percent after expanding 1 percent in the third quarter, when it snapped a yearlong decline, the Vilnius-based statistics office said in an e-mailed statement today. Gross domestic product shrank a revised 12.8 percent from a year earlier, compared with a preliminary estimate of 13 percent, released on Jan. 28.
An easing slump in industrial production is signaling that the economy may be turning toward a recovery after enduring the second-steepest recession in the European Union last year. For all of 2009, GDP fell 15 percent after growing 2.8 percent in 2008.
The Baltic nation’s exports recovered in December, marking the first annual increase in 13 months, as demand in global markets strengthened. Exports increased 4 percent in the fourth quarter from the previous three-month period.
Industrial output, representing 20 percent of the economy, shrank an annual 8.3 percent in the quarter, improving from a 14.7 percent drop in the third. Production had faltered as businesses adjusted to tighter credit conditions by pushing through wage cuts to stay competitive.
The collapse of a credit-driven boom last year was exacerbated by the global financial crisis and the government’s austerity measures to curb a widening budget deficit. The government cut spending and increased taxes to save about 9 percent of GDP last year. Prime Minister Andrius Kubilius plans a further fiscal consolidation of 5 percent of GDP in this year’s budget.
Falling wages, growing unemployment and government austerity measures including tax increases are hampering consumer demand in the Baltic region. Neighboring Latvia contracted 17.7 percent in the fourth quarter, while Estonia’s output shrank 9.4 percent.
Retail sales fell an annual 26 percent in the fourth quarter after dropping 27 percent in the previous three months
 
LATVIA

La Follia neoliberista della Lettonia


Mentre la maggior parte della stampa mondiale si concentra sulla Grecia (e anche su Spagna, Irlanda e Portogallo) come la zona euro più in difficoltà, la più grave, devastante e assolutamente più micidiale crisi nelle economie post-sovietiche programmate per entrare a far parte dell’Eurozona è sfuggita in qualche modo all’attenzione generale.


E’ senza dubbio così perché la loro esperienza è un’accusa dell’orrore distruttivo del neoliberismo – e della politica dell’Europa di non trattare questi paesi come promesso, non aiutandoli a svilupparsi secondo delle linee dell’Europa occidentale ma come zone da essere colonizzate per essere mercati di esportazione e mercati bancari, spogliate dei loro attivi di bilancio, dei loro lavoratori qualificati e più in generale della loro manodopera in età lavorativa, del loro patrimonio immobiliare e dei loro edifici, e di qualsiasi altra cosa ereditata dal periodo sovietico.

La Lettonia ha subito una delle peggiori crisi economiche del mondo. Non si tratta soltanto di una crisi economica, ma anche di una crisi demografica. Il suo crollo del PIL del 25,5 per cento solamente negli ultimi due anni (quasi il 20 per cento lo scorso anno) è già la peggior flessione mai registrata in un periodo di due anni. Le rosee previsioni del FMI anticipano un’ulteriore decrescita del 4 per cento, il che collocherebbe il tracollo economico lettone davanti alla Grande Depressione degli Stati Uniti. Ad ogni modo, le brutte notizie non si fermano qui. Il FMI stima che il 2009 vedrà un disavanzo totale dei conti dei capitali e e dei conti finanziari per 4,2 miliardi di euro, e altri 1,5 miliardi di euro (equivalenti al 9 per cento del PIL) lasceranno il paese nel 2010.

Inoltre, il governo lettone sta rapidamente accumulando debito. Dal 7,9 per cento del PIL nel 2007, si stima che il debito della Lettonia arriverà al 74 per cento del PIL per quest’anno, stabilizzandosi presumibilmente,nello scenario migliore ipotizzato del FMI, all’89 per cento nel 2014. Questo la collocherebbe ben oltre i limiti del debito imposti da Maastricht per l’adozione dell’euro. Tuttavia, l’entrata nell’Eurozona è stato il principale pretesto della banca centrale lettone per le misure di austerità lacrime e sangue necessarie per mantenere il suo ancoraggio al tasso di cambio. Ma la tutela di questo ancoraggio ha bruciato montagne di riserve di valuta che altrimenti sarebbero state investite nell’economia nazionale.

Tuttavia nessuno, in Occidente, sta domandando perché la Lettonia abbia subito questo destino, così caratteristico nelle economie baltiche e nelle altre economie post-sovietiche ma solo un po’ più estremo. A quasi vent’anni di distanza dalla conquista della libertà, nel 1991, dalla vecchia Unione Sovietica, difficilmente si può incolpare il sistema sovietico come l’unica causa dei loro problemi. Inoltre non si può dare la colpa solamente alla corruzione – un retaggio dell’ultima fase della dissoluzione sovietica, per essere precisi, ma ingrandito, intensificato e addirittura incoraggiato nella forma cleptocratica che ha fruttato grossi raccolti ai banchieri occidentali e agli investitori. Sono stati i neoliberisti occidentali a finanziare queste economie con le loro “riforme per favorire le attività commerciali”, così tanto osannate dalla Banca Mondiale, da Washington e da Bruxelles.

Ovviamente sarebbero auspicabili livelli inferiori di corruzione (di chi altri si fiderebbe l’Occidente?) ma una sua forte riduzione potrebbe forse solo portare le cose al livello dell’Estonia che sta intraprendendo il cammino verso la schiavitù dell’euro-debito. Tutti questi paesi baltici confinanti hanno sofferto allo stesso modo problemi di disoccupazione, crescita ridotta, qualità in calo dei servizi sanitari e di emigrazione, in netto contrasto con Scandinavia e Finlandia.

Joseph Stiglitz, James Tobin ed altri economisti ben in vista in Occidente hanno iniziato a spiegare che c’è qualcosa di radicalmente sbagliato nell’ordine finanzializzato importato dai venditori occidentali di ideologie sulla scia del crollo sovietico. L’economia neoliberista non è stata sicuramente la strada che ha intrapreso l’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale. Si trattava di un nuovo esperimento, la cui prova generale fu imposta in origine al Cile sotto la minaccia delle armi dai ragazzi di Chicago. In Lettonia, i consulenti venivano da Georgetown ma l’ideologia era la stessa: smantellare il governo e consegnarlo a dei politici di fiducia all’interno.

Per l’applicazione post-sovietica di questo feroce esperimento, l’idea era quella di dare alle banche occidentali, agli investitori finanziari e verosimilmente agli economisti del “libero mercato” (così chiamati perché hanno regalato le proprietà pubbliche, esentasse, e hanno dato un nuovo significato al termine “pasto gratis”) carta bianca nella maggior parte dei paesi del blocco sovietico per progettare intere economie. E, per come si sono rivelate poi le cose, ogni progetto è stato lo stesso. I nomi delle persone erano diversi ma la maggior parte di loro era legata e finanziata da Washington, dalla Banca Moniale e dall’Unione Europea. Essendo sponsorizzati dagli istituti finanziari occidentali, ci sorprenderemmo se questi se fossero usciti con un progetto per un proprio tornaconto finanziario.

E’ stato un progetto che nessun governo democratico occidentale avrebbe approvato. Le aziende pubbliche sono state distribuite ad individui fidati per essere vendute rapidamente ad investitori occidentali e ad oligarchie locali che hanno poi spostato in modo sicuro i loro soldi in paradisi fiscali offshore in Occidente. Per chiudere ogni questione, sono stati creati sistemi di tassazione locale che hanno lasciato i clienti tradizionali delle due più grandi banche occidentali – monopoli del patrimonio immobiliare e delle infrastrutture naturali – quasi senza imposte. Questo ha “liberalizzato” le loro entrate e i loro prezzi di monopolio per essere pagati dalle banche occidentali sotto forma di interesse invece che essere utilizzati come tassa di base nazionale per la ricostruzione di queste economie.

Non c’erano quasi banche commerciali in Unione Sovietica. Invece di aiutare questi paesi nella creazione di banche proprie, l’Europa occidentale ha favorito le proprie banche nella creazione del credito e nel caricare queste economie di tassi di interesse – in euro e in altre valute forti per la protezione delle banche. Questo ha violato un assioma fondamentale della finanza: mai esprimere i tuoi debiti in valuta forte quando le tue entrate sono espresse in una più debole. Ma come nel caso dell’Islanda, l’Europa aveva promesso di aiutare questi paesi ad entrare nell’euro con politiche di assistenza adeguate. Le “riforme” sono consistite nel mostrare loro come spostare la tassazione sulle attività commerciali e sul patrimonio immobiliare (i principali clienti bancari) sulla manodopera, non utilizzando una tassa piatta ma con una tassazione uniforme sui “servizi sociali”, così da ripagare la previdenza e l’assistenza sanitaria come se fosse una tassa proveniente dalla forza lavoro invece che finanzata dal bilancio generale costituito in larga parte dalle fasce più alte di reddito.

A differenza dell’Occidente, non esisteva un’imposta patrimoniale significativa. Questo obbligava i governi a tassare la manodopera e l’industria. Ma a differenza dell’Occidente, non esisteva alcuna imposta progressiva sui redditi o sulla ricchezza. Nella maggior parte dei casi la Lettonia aveva l’equivalente di un 59 per cento di tassa piatta sulla manodopera (i presidenti delle commissioni parlamentari al Congresso e i loro lobbisti si sognano una tassa così punitiva sulla manodopera, un pasto davvero gratis per i loro più importanti contribuenti elettorali!). Con un’imposta del genere, i paesi europei non avevano nulla da temere dalle economie che emergevano senza tasse e con nessun peso sul patrimonio che gravasse sulla loro forza lavoro con tasse, bassi costi abitativi e bassi costi sul debito. Queste economie erano avvelenate fin dal principio ed è ciò che le ha rese un “libero mercato” e così “favorevoli alle attività commerciali” dalla posizione di forza dell’ortodossia economica odierna dell’Occidente.

Non essendoci la forza per tassare il patrimonio immobiliare e le altre proprietà – o addirittura per imporre una tassazione progressiva alle fasce più alte di reddito – i governi erano obbligati a tassare la manodopera e l’industria. Questa filosofia fiscale del trickle-down [1] ha fatto aumentare di colpo il prezzo della manodopera e del capitale, tanto da rendere così costose l’industria e l’agricoltura nelle economie neoliberalizzate da non essere competitive con la “Vecchia Europa”. In effetti le economie post-sovietiche furono trasformate in zone di esportazione per i servizi industriali e bancari della Vecchia Europa.

L’Europa occidentale si è sviluppata proteggendo la sua industria e la sua manodopera, e tassando le rendite fondiarie e le altre rendite che non avevano una controparte in un costo di produzione necessario. Le economie post-sovietiche hanno “liberalizzato” queste entrate da pagare alle banche dell’Europa occidentale. Queste economie – senza alcun debito nel 1991 – sono state gravate di debito espresso in valuta forte, non nella loro moneta. I prestiti delle banche occidentali non sono stati utilizzati per rinnovare i loro investimenti di capitali, gli investimenti pubblici e il tenore di vita. La maggior parte di questi prestiti sono stati concessi principalmente verso beni già esistenti, ereditati dal periodo sovietico. La costruzione di immobili è sicuramente decollata ma gran parte del settore ora è affondata in un equity negativo. E le banche occidentali chiedono che la Lettonia e i paesi baltici paghino spremendo ancor di più un avanzo economico per mezzo di ulteriori “riforme” neoliberiste che rischiano di spingere altra forza lavoro all’estero perché le loro economie si riducono e si diffonde la povertà.

Il modello di una cleptocrazia dominante al vertice e una forza lavoro indebitata (non o poco sindacalizzata, con poche protezioni sul posto di lavoro) alla base – fu elogiata come un modello di economia favorevole alle attività commerciali che il resto del mondo doveva emulare. Le economie post-sovietiche erano completemente “sottosviluppate”, presentavano irreparabilmente costi elevati e in generale erano incapaci di competere sotto qualunque aspetto con i loro vicini d’Occidente.

Il risultato è stato un esperimento economico apparentemente andato fuori controllo, una distopia per la quale viene data la colpa alle vittime. L’ideologia neoliberista del trickle-down – a quanto pare preparata per una sua applicazione in Europa e in Nordamerica con una retorica altrettanto ottimistica – era così distruttiva dal punto di vista economico che è come se queste nazioni fossero state invase militarmente. E’ dunque giunto il momento di iniziare a preoccuparsi se i paesi baltici siano soltanto una prova generale di quello che vedremo negli Stati Uniti.

La parola “riforma” sta ora avendo una connotazione negativa nei paesi baltici, come l’ha avuta Russia. E’ arrivata a significare la regressione verso la dipendenza feudale. Ma mentre i signori feudali di Svezia e di Germania dominavano le grandi tenute lettoni con la forza della proprietà terriera, ora controllano i paesi baltici grazie ai mutui in valuta straniera sul patrimonio immobiliare della regione. La schiavitù del debito ha sostituito in tutto e per tutto la servitù della gleba. I mutui superano di gran lunga i reali valori di mercato, che sono precipitati del 50-70 per cento nell’ultimo anno (a seconda del tipo di abitazione), e superano di gran lunga la possibilità che hanno i proprietari di casa lettoni di pagare. Il volume del debito in valuta straniera è ben oltre quello che questi paesi possono guadagnare esportando i prodotti della loro forza lavoro, della loro industria e della loro agricoltura in Europa (che difficilmente vuole delle importazioni) o in altre regioni del mondo in cui i governi democratici si sono impegnati a proteggere la loro forza lavoro, e non a svenderla e soggiogarla a programmi di austerità senza precedenti – tutto in nome del “libero mercato”.

Sono trascorsi parecchi decenni dall’introduzione dell’ordine neoliberista e i risultati sono disastrosi, a dir poco un crimine contro l’umanità. La crescita economica non c’è stata e i beni del periodo sovietico sono semplicemente stati gravati di debiti. Questo non è il modo in cui si è sviluppata l’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale, o anche prima – o la Cina negli ultimi tempi. Questi paesi hanno seguito il cammino classico della protezione dell’industria nazionale, una spesa in infrastrutture pubbliche, una tassazione progressiva, un servizio sanitario pubblico e una regolamentazione della sicurezza nei posti di lavoro, il divieto di insider dealing e di sciacallaggio – tutte eresie nell’ideologia neoliberista del libero mercato.

Quelli che vengono fortemente messi in discussione sono i presupposti dell’ordine economico mondiale. Al centro della crisi odierna delle teoria e della politica economica ci sono tutte le premesse dimenticate e i concetti trainanti dell’economia politica classica. George Soros, il professor Stiglitz ed altri descrivono un’economia globale da casa da gioco (nella quale Soros si è sicuramente arricchito facendo scommesse) in cui la finanza si è staccata dal processo di creazione della ricchezza. Il settore finanziario rivendica delle pretese assurde, addirittura impagabili nell’economia reale di beni e servizi.

Questa era la preoccupazione degli economisti classici quando si concentravano sul problema delle persone che vivevano di rendita, possidenti di proprietà e di privilegi speciali le cui entrate (senza alcuna controparte in un qualunque necessario costo di produzione) portavano ad un’imposta de facto sull’economia – in questo caso, imponendovi sopra del debito. Gli economisti classici riconoscevano la necessità di subordinare la finanza ai bisogni dell’economia reale. Questa era la filosofia che guidava la regolamentazione bancaria negli Stati Uniti negli anni Trenta, e che l’Europa occidentale e il Giappone seguirono dagli anni Cinquanta agli anni Settanta per favorire gli investimenti nell’industria manufatturiera. Invece di controllare la capacità del settore finanziario di cimentarsi in eccessi speculativi, gli Stati Uniti ribaltarono questa regolamentazione negli anni Ottanta. Da una quota di poco inferiore al 5 per cento dei profitti complessivi degli Stati Uniti nel 1982, gli utili del settore finanziario al netto delle imposte sono aumentati alla cifra senza precedenti del 41 per cento nel 2007. In effetti, questa attività a somma zero è stata una “tassa” generale sull’economia.

Insieme alla ristrutturazione finanziaria, lo strumento più importante nella valigia degli attrezzi dei classici era la politica fiscale. L’obiettivo era quello di ricompensare il lavoro e la creazione di ricchezza, e di raccogliere il “pasto gratis” risultante dalle economie sociali “esterne” come base fiscale naturale. Questa politica fiscale aveva il merito di ridurre il peso sul reddito da lavoro (salari e profitti). Il terreno era visto come un dono di natura senza costi di lavoro di produzione (e quindi, senza un valore di costo). Ma invece di renderlo la base fiscale naturale, i governi hanno permesso alle banche di caricarlo di debito, trasformando l’aumento del valore della rendita del terreno in oneri di interesse. Il risultato, nella terminologia classica, è una tassa finanziaria sulla società – entrate che si pensava che la società raccogliesse come tassa di base da investire nell’economia e nell’infrastruttura sociale per arricchire la società. L’alternativa è stata quella di tassare i terreni e il capitale industriale. E quello che hanno lasciato gli esattori delle tasse viene raccolto ora dalle banche sotto forma di aumento dei prezzi dei terreni – prezzi sui quali gli acquirenti pagano un interesse sul mutuo immobiliare.

L’economia classica avrebbe potuto prevedere i problemi della Lettonia. Senza alcun freno alla finanza o alla regolamentazione dei prezzi di monopolio, senza una protezione industriale, una privatizzazione dei beni pubblici per creare “economie del dazio” e una politica fiscale che impoverisce la forza lavoro e persino il capitale industriale mentre ricompensa gli speculatori, l’economia lettone ha visto uno scarso sviluppo economico. Quello che ha raggiunto – e per il quale ha ricevuto un fragoroso applauso da parte dell’Occidente – è stata la sua disponibilità ad accumulare enormi debiti per sovvenzionare il proprio disastro economico. La Lettonia ha un apparato industriale troppo scarso e una limitata modernizzazione agricola, ma oltre 9 miliardi di lati di debito privato – ora col rischio di essere spostati sul bilancio del governo, esattamente come è successo per i salvataggi bancari americani.

Se questo credito fosse stato esteso in maniera produttiva per costruire l’economia lettone, sarebbe stato accettabile. Ma questo credito è stato perlopiù improduttivo, concesso per alimentare l’inflazione sul prezzo dei terreni e sui consumi di beni di lusso, riducendo la Lettonia ad un stato di quasi schiavitù dal debito. In quella che Sarah Palin definerebbe una “roba da speranza e cambiamento”[2], la Banca di Lettonia indica che il fondo della crisi è stato raggiunto. Le esportazioni hanno finalmente iniziato a risollevarsi ma l’economia si trova ancora in disperata difficoltà. Se continueranno le tendenze attuali, non rimarrano più lettoni che possano ereditare un qualsiasi risveglio economico. La disoccupazione si attesta ancora ad oltre il 22 per cento. Decine di migliaia di persone hanno lasciato il paese e altre centinaia di migliaia hanno deciso di non avere bambini. Questa è la naturale risposta all’imposizione di miliardi di lati di debito pubblico e debito privato nel paese. La Lettonia non è sulla strada verso i livelli occidentali di ricchezza, e non c’è alcuna via d’uscita dall’attuale politica fiscale regressiva e dal neoliberismo anti-operaio, anti-industriale e anti-agricolo che è stato imposto in modo così coercitivo da Bruxelles come condizione per il salvataggio della banca centrale lettone in modo che possa ripagare le banche svedesi che hanno concesso prestiti così improduttivi e parassitari.

Albert Einstein diceva che “follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”. La Lettonia ha impiegato lo stesso Washington consensus “pro-Occidente” autodistruttivo, anti-governativo, anti-operaio, anti-industriale, anti-agricolo per quasi 20 anni e i risultati sono stati sempre peggiori. L’obiettivo imminente ora è quello di togliere l’economia della Lettonia dal suo cammino neoliberista verso la neo-schiavitù. Si potrebbe pensare che il cammino scelto dovrebbe essere quello tracciato dagli economisti classici del diciannovesimo secolo che hanno guidato la prosperità che vediamo in Occidente e ora anche in Asia orientale. Ma questo richiederebbe un cambiamento della filosofia economica – e richiederebbe un cambiamento di governo.

La domanda è: come risponderanno l’Europa e l’Occidente? Ammetteranno i loro errori? Oppure supereranno questo momento difficile comportandosi in modo sfacciato? I segnali non sono incoraggianti. L’Occidente sostiene che la manodopera non è stata impoverita abbastanza, che l’industria non è stata messa alla fame abbastanza e che il paziente economico non è stato fatto sanguinare abbastanza.

Se questo è ciò che Washington e Bruxelles vanno dicendo ai paesi baltici, immaginate quello che staranno per fare alle loro popolazioni!

Prof Michael Hudson and Prof. Jeffrey Sommers Fonte: GlobalResearch.ca - Centre for Research on Globalization Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=17627
Traduzione di JJULES per www.comedonchisciotte.org
 
Dal sito di PeaceReporter
una divagazione geopolitica :)

Lituania, tornano le richieste di risarcimento per i danni occorsi durante l’occupazione sovietica

In quest’epoca di crisi tornano in auge le richieste degli stati dell’ex blocco sovietico per i pregiudizi subiti negli anni dell’occupazione.Un interessante esempio di geopolitica d'annata. Una questione irrisolta che periodicamente torna a far notizia.
Prendendo spunto da un interessante articolo di Josafat S. Comin, pubblicato dal sito indipendente Rebelión, si può cercare di fare un quadro del dibattito mai sopito tra i Paesi baltici e l'ex madre Russia. Da un lato la Polonia che pretende che la Russia assuma la colpa per lo sterminio di 10 mila ufficiali polacchi in Katyn durante la seconda guerra mondiale, richiedendo migliaia di milioni di dollari di risarcimento. Dall'altro in Lituania, nell'occhio del ciclone della crisi economica, ha ripreso vigore il partito di chi pretende indennizzi per il periodo di occupazione vissuto dalla Repubblica nel periodo 1940-1990.
A fronte di richieste di risarcimento miliardarie (di dollari), provenienti da Paesi come Polonia e Lituania, una parte della stampa russa risponde ricordando alle nazioni dell'ex blocco sovietico che da un lato vi sono le quantificazioni dei danni e dall'altro i progressi dell'economia durante il protettorato di Mosca. Si viene così a conoscenza che esiste un rapporto preparato dal Ministero dello sviluppo economico della Federazione Russa in base a una petizione della Duma, la camera dei deputati. Il rapporto era la risposta alla legge Nº VIII-1727, approvata il 13 giugno 2000 dal parlamento lituano, avente per oggetto l'indennizzo derivante dal pregiudizio causato dall'occupazione sovietica.
Detto documento fu presentato al governo lituano e quantificava il pregiudizio in 20 mila milioni di dollari così suddivisi:

Danni derivanti dalla morte della popolazione del paese a causa dell'occupazione 7.500 Genocidio e repressione della popolazione lituana 1.800
Persecuzione della resistenza 171 Pregiudizio derivante dalla chiamata obbligatoria dei lituani nell'esercito sovietico
2.300 Pregiudizio derivante dalla nazionalizzazione e collettivizzazione forzosa 500 Danni causati alla chiesa cattolica 200 Cessazione forzata delle funzioni statali 1.400 Emigrazione forzata 6.000 Perdita economica del Pil 800 dati in milioni di dollari In merito ai progressi dell'economia lituana, la stampa russa risponde alle pretese del Paese baltico quantificando gli investimenti fatti nell'economia di Vilnius in circa 72 mila milioni di dollari. Dal 1940 al 1990 si realizzarono infatti, sotto la regia di Mosca, centrali atomiche, centrali idroelettriche, industrie petrolifere, dell'acciaio e altre ancora, permettendo alla Lituania di moltiplicare per 85 il volume della sua produzione industriale.
La controversia è ben lungi dall'essere risolta e ci sono i presupposti affinchè resti un fronte di discussione politica paragonabile a quello della riparazione dei danni nelle ex colonie. Alessandro Ingaria
 

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