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È partito il riscatto dei paesi periferici
Qualcosa di nuovo è successo a gennaio sui mercati finanziari. Lo s'è intravisto a Wall Street, dove alla strategia di assecondare la Fed, ossia cavalcare la politica ultra accomodante della banca centrale, s'è aggiunta e in parte sostituita la maggiore attenzione per i fondamentali delle aziende. E lo s'è visto lucidamente in Europa, dove le borse dei paesi "periferici" hanno corso ben più delle altre e, per una volta, anche Piazza Affari ha potuto fregiarsi d'essere stata una delle migliori al mondo. Il comun denominatore tra Vecchio e Nuovo continente è l'aumentata propensione al rischio con la conseguente, graduale disaffezione per i titoli di stato e una corsa piuttosto sostenuta verso le azioni.
In Europa, la svolta è improvvisa e violenta e data 11 gennaio. In quella seduta cominciano a scendere i differenziali di rendimento tra i titoli di stato dei paesi considerati a rischio e il Bund tedesco. Il decennale italiano è quello che, in termini relativi, taglia maggiormente lo spread riducendolo a 134 punti. Segue la Spagna (a 189 punti), la Grecia, il Portogallo e l'Irlanda. E, sempre in quella seduta, iniziano a impennarsi le borse di questi paesi: +15% Madrid (contro il +2,7% dell'indice Stoxx), +13% Milano, +23% Atene. Come corollario, volano i titoli bancari che, a Piazza Affari, guadagnano il 25,5% contro l'11% di quelli europei.
«La crisi finanziaria è finita e pure quella dell'euro», ha commentato entusiasta un broker milanese. È difficile dirlo, ma sicuramente la creazione del fondo "salva stati" ha attenuato alquanto la percezione dei rischi sui debiti sovrani. Così come il discreto stato di salute delle banche, l'esplosione dei bonus negli Stati Uniti e la tendenza tra i maggiori istituti di riprendere gli antichi affari che s'usavano fino al 2007 hanno fatto dimenticare la crisi finanziaria peggiore degli ultimi 80 anni.
Si sa che il bello stabile è solo un'illusione. E, malgrado la maggior consapevolezza maturata recentemente dai governi e dalla banca centrale europea, la questione dei debiti sovrani è lungi dall'essere risolta nel Vecchio continente e probabilmente non ancora affrontata negli Usa, dove il deficit pubblico è cresciuto ben oltre le previsioni che si facevano mesi fa. In ogni caso, la riscossa delle borse periferiche in Europa è tutt'altro che irragionevole e tanto più lo è per l'Italia che è stata trattata dagli investitori con eccessiva severità. La svolta di gennaio ha tuttavia solo mitigato il precedente, disastroso andamento dei mercati periferici, ma non ha pareggiato i conti. Il saldo degli ultimi 13 mesi vede ancora Piazza Affari negativa del 2%, contro un rialzo del 13% per lo Stoxx, e il settore bancario italiano in profondo rosso (-18%) contro la sostanziale parità di quello europeo. È probabile che la ritrovata propensione al rischio continui a spingere gli investitori, in Europa come negli Usa, verso le azioni, specie se relativamente sottoquotate. Del resto chi l'ha detto che, con la minaccia d'inflazione proveniente dalle materie prime e dalle derrate alimentari, siano sicuri i Bund o i Treasury al 3,5 per cento?