QUANDO QUALCUNO GIUDICA IL TUO CAMMINO, TU PRESTAGLI LE TUE SCARPE

Non me vogliano quelli dei 5stelle, ma buffone 2 è riapparso .......e domani un governo con buffone 1 ? gianni e pinotto ahahahah

"Se devo essere il responsabile e il capo politico, lo farò e prenderò le mie decisioni.
Bisogna che qualcuno prenda delle decisioni. Quando c'era Gianroberto le prendeva lui, le prendevamo insieme.
Ci sono a tempo pieno, non posso fare un passo di lato. Voglio stare con il movimento fino alle elezioni".

Le parole, pronunciate a Palermo, sono la certificazione dell'ennesimo dietrofront. Una sorta di autosmentita, persino nei termini.

Sì, perché per anni il Movimento 5 Stelle e lo stesso Grillo si sono dedicati all'educazione lessicale
dei giornalisti spiegando che parole come "partito" e "leader" sono pertinenti alla politica tradizionale
e non si addicono quindi ai grillini, precisando inoltre che non esistono capi all'interno del Movimento
ma che sono tutti portavoce e Grillo è il megafono.

Ora invece il megafono si autoproclama "capo politico".
 
A vostra e nostra memoria conviene ricordare chi sono quelli che veramente alimentano la macchina del fango,
dai loro ufficetti puliti, con la loro coscienza di buon giornalismo, con quella arietta perbene da fustigatori dei corrotti,
con la pretesa di essere scrittori e non travet in attesa dell'Inpgi. Ma andate tutti a quel paese.

«CASO MARCEGAGLIA E SCHIZZI DI MERDA. La merda che schizza sempre più veloce dai ventilatori
induce ad amare riflessioni su una certa stampa italiana, in particolare su quella più vicina al premier».
E ancora: «L'uso violento dell'informazione basato su atteggiamenti intimidatori nei confronti dei dissidenti,
per quanto mascherato da giornalismo investigativo, deve far riflettere tutti coloro che hanno a cuore la stampa libera e civile»

Chissà oggi, tra una parolaccia e l'altra, se avrà la voglia questo signore frustrato e che si sente giovane
grazie all'uso della volgarità di chiedere scusa non al sottoscritto, ma a chi gli ha pagato lo stipendio per anni.
 
Barbara Spinelli, sempre angosciata di dover meritare il suo cognome, parla, senza sapere, di «Violenza inaudita».
Il Corriere della Sera e il Sole 24 ore titolano in prima pagina. «Dossier contro la Marcegaglia».
Non presunto, come buona regola del giornalismo avrebbe dovuto far dire. Dossier vero e proprio.

Eppure come dirà al processo il portavoce della Marcegaglia, la parola dossier non era stata mai pronunciata dal sottoscritto
ed era una «libera interpretazione» proprio di Rinaldo Arpisella. All'epoca non si poteva sapere?

Eppure i giornali il giorno stesso del fattaccio disponevano di tutte le mie intercettazioni telefoniche per di più in audio.
Neanche dovevano fare la fatica di leggere: erano presenti sul sito del Fatto quotidiano.
Chissà da dove sono arrivate?

Per l'Eco di Bergamo e tanti altri giornali fotocopia il titolo era: «Dossieraggio contro la Marcegaglia. Blitz al giornale».

Repubblica e Roberto Mania colgono la palla al balzo e virgolettano la presunta vittima:
«Le cose sono andate così, è stato davvero sgradevole, pago le critiche al governo».

Mario Orfeo, si scatena sul suo telegiornale e accosta il caso Marcegaglia al caso Boffo.
È lo stesso Orfeo che ha ordinato a Uno mattina di non intervistare mai il sottoscritto e ha censurato una mia intervista a Tv Sette.
Me ne sono fatto una ragione, e con il tempo ho capito che andare allo stadio nel posto giusto e selezionare gli ospiti in tv rende.

La Marcegaglia ottiene solidarietà addirittura dal presidente della Repubblica Napolitano che fa una nota ufficiale,
dai tre segretari dei sindacati, da Bersani, Enrico Letta, Giorgio Squinzi, Moratti,
Emilio Riva (che nonostante ciò ho difeso per quello che poi gli succederà) Sergio Marchionne, i Garrone e tanti altri.

Tra le poche eccezioni ci fu quella di Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle, che conoscevano bene il giro Marcegaglia e i loro vittimismi.
All'epoca non era facile disubbidire e li ringrazio.
 
La sciura piagnucola: «Io vado avanti. Non riusciranno a fermarmi» e ancora: «Non cambio la mia linea».
Furbetta: nessuno, come poi si è visto dal processo, si è mai sognato non solo di minacciarla, ma anche solo di pensarlo.

E la stampa, il cane da guardia della libertà di informazione, tra il potente industriale e il giornalista propende per il primo

Per Peter Gomez sul Fatto il dossier (poi rivelatosi inesistente) era «stato chiesto dalla proprietà al giornale»:

Giuseppe D'Avanzo su Repubblica pontifica: «Questo non-giornalismo è soltanto la vetrina della collera di Berlusconi.
Si nutre di calunnia e di menzogna. Diffama e pretende di distruggere ogni reputazione.
Contamina ogni rispettabilità. Umilia e ferisce. È artefice di un linciaggio violento, permanente e senza vincoli che si alimenta degli odi del padrone.
È soltanto lo strumento di una lotta politica declinata come guerra civile. Una guerra dichiarata unilateralmente da Berlusconi contro tutti.
Oggi anche contro la Marcegaglia e Confindustria»

Ma di che sta parlando?
Nessuno di questi fenomeni giudiziari che si chiede per quale motivo il telefono del portavoce di Emma Marcegaglia fosse intercettato dalla procura di Napoli.

La storia finisce con una assoluzione. Sono stato fortunato

Ps: Sono stato fortunato, molti politici, amministratori, semplici cittadini, non hanno avuto la possibilità di urlare al pubblico la propria innocenza.
Anche quando certificata da un magistrato che li ha prosciolti.
 
Sono sei anni che aspettavo. Sono sei anni che tenevo nel mio archivio i ritagli dei giornali che mi descrivevano come un mostro.
Due giorni fa il pm e il giudice mi hanno assolto con formula piena dal reato, poi derubricato, di tentata violenza privata nei confronti di Emma Marcegaglia.

Nicola Porro
 

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