Riforma del MES - con il suo no l’Italia ha fatto un favore all’Europa

Patuanelli presidente dell'associazione bancaria italiana dice che senza la riforma del MES faranno come hanno sempre fatto
saranno cioè gli Stati a salvare le banche ... e se non ce la faranno chiederanno aiuto al MES in vigore

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STOP AL MES/ Mangia: con il suo no l’Italia ha fatto un favore all’Europa

Pubblicazione: 22.12.2023 Ultimo aggiornamento: 14:59 - int. Alessandro Mangia

Ieri la Camera con 184 voti contrari ha respinto la ratifica del MES. Politicamente "è il no definitivo a una riforma pericolosa"​

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Il risultato della votazione che ha respinto il MES (LaPresse)

Stop al MES: capitolo chiuso. Il dossier doveva essere rinviato a gennaio, invece la Camera ha accelerato e deciso in fretta. E ha bocciato la ratifica del Trattato di riforma. La decisione di votare entro Natale dimostra che le differenze tra i partiti di maggioranza c’erano e ci sono, ma sono risultate superabili: Forza Italia si è astenuta, Lega e FdI hanno votato contro. Ai loro voti si sono aggiunti quelli di M5s, per un totale di 184 voti contro la ratifica, 72 a favore (Pd, Azione, Iv, +Europa) e 44 astenuti (Avs, FI e Noi moderati).
NUOVO PATTO DI STABILITÀ/ "Ue ancora più lontana dagli Usa, l'Italia senza carte anti-crisi"

Tempo di bilanci, dunque. Lo facciamo innanzitutto con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano, che iniziò ad occuparsi di Fondo salva-Stati nel 2012 per rispondere ad alcune domande del Sussidiario, da allora contrario, e che in un suo libro del 2020 ha definito il MES “trattato impossibile”.


Professore, la legge di ratifica del trattato di riforma del MES è stata respinta. Il dossier-MES è chiuso?
Di definitivo in politica c’è poco, però mi pare difficile negare che con il voto di ieri si apre un altro capitolo della vicenda MES, che va avanti dal lontano 2012. In teoria, a prezzo di grosse forzature del Regolamento della Camera, la questione non potrebbe essere riproposta prima di sei mesi. In realtà bisognerebbe ripartire da capo. Ma, questioni procedurali a parte, c’è una cosa molto interessante da notare.
Quale sarebbe?
Dopo la notizia dell’approvazione, guarda un po’, lo spread italiano non è salito, come vaticinavano alcuni interessati profeti di sventura, ma è sceso. Segno che con questo voto si è dato un messaggio chiaro ai mercati internazionali, i quali sembrano averlo accolto.


Ma questo è solo il quadro giuridico. Il minimo sindacale, direi.
Infatti. Il dato più rilevante è quello politico. Politicamente questo non è un rinvio a sei mesi – almeno – , ma il No definitivo ad una riforma inutile e pericolosa, sostenuta con argomenti risibili, di cui si parla dal 2017. Ed è un No che avvierà, plausibilmente, un processo di ripensamento di quel curioso animaletto ibrido che è il MES. Si ricorda l’audizione di Giampaolo Galli nel settembre 2019?

Definì la riforma del MES “una pistola puntata alla tempia dei risparmiatori italiani”.
Ecco, appunto. Ce lo ricordiamo il MES “sanitario”, gli esperti economici che parlavano di MES in diretta senza avere neppure sfogliato i trattati, gli economisti televisivi che credevano che una lettera semplice di Gentiloni e Dombrovskis valesse una legge?

Una pressione mediatica mai vista. Magari in buona fede, chissà.
Io non so se tutti questi signori fossero in buona fede o meno. E non mi interessa. Sono solo contento che da oggi si apra una fase nuova, in cui si potrà discutere di cosa fare di questo reperto archeologico dell’età del debito sovrano che dal 2014 tiene inchiodati 105 anni miliardi di euro a fare nulla. E cioè dall’età di Monti, per capirci, e dei suoi ministri.

Uno dei quotidiani pro-ratifica stamattina apre con il mega-titolo: “Mes, strappo con l’Europa”, un altro evoca il “gelido silenzio del Colle”.
Io credo che all’Europa – ad una certa Europa – con questo voto si sia fatto un favore. E da oggi in poi si potrà cominciare a ragionare su nuove basi di questo rudere istituzionale. E forse si riuscirà a trasformarlo in qualcosa di utile.

Anche Palazzo Chigi ha aperto a questa ipotesi. Lo si potrebbe trasformare in che cosa, esattamente?
In un fondo sovrano europeo che operi per lo sviluppo di un Continente che attraversa la crisi peggiore dai tempi della Seconda guerra mondiale, solo che non ce ne siamo accorti. Così come non ci si è accorti che, levando questa “pistola puntata alla tempia dei risparmiatori italiani”, abbiamo levato una pistola puntata alla tempia del sistema finanziario italiano. E del Paese. Ma è normale.
Che cosa è normale, scusi?
Bismarck diceva: “Quanto meno la gente sa come vengono fatte le salsicce e le leggi, tanto meglio dorme”. Ecco, è bene che sia così. Come è bene che da qualche parte ci sia chi opera per chi non ha tempo e voglia di capire cosa si è schivato con quel voto.
La preoccupava di più il MES o il negoziato sul Patto di stabilità?
Ero molto più preoccupato del MES. Mettiamola così: con quel voto qualcuno ha rimandato il Gurzo (mostriciattolo ibrido di Mai dire domenica, ndr) nella tana. Vediamo di farcelo restare.

Nell’Europa di Maastricht quasi tutto è vincolo esterno. Però il MES rappresenta ed ha preteso di esercitare il vincolo esterno in maniera nuova e originale, quella di un “Meccanismo” super-invasivo di disattivazione e controllo della sovranità economica e politica. Quale eredità ci lascia il Fondo salva-Stati?
Quella di un esperimento fallito. Prima lo si accetta, meglio è. In realtà all’Europa del MES interessa poco o niente. Ma interessa molto a certe parti della politica italiana che sollecitano interventi esteri per cavalcare la questione. E gli interessa non da oggi, perché la sponda europea è ciò che sorregge queste forze. Un poco interessa alle casse locali tedesche, ma hanno il peso che hanno. Si dice che interessi per la situazione non proprio rosea di Deutsche Bank, ma è un’affermazione poco credibile.
Perché?
Perché se salta Deutsche Bank il MES non è sufficientemente capitalizzato per intervenire efficacemente. Viene giù tutto. E allora alla BCE toccherebbe fare la Banca centrale. Proprio così: l’Europa è l’unica parte del mondo che non ha una Banca centrale, cioè una banca che garantisca illimitatamente risparmiatori e sistema bancario. Ce ne rendiamo conto? Siamo furbi noi e scemi gli altri, come si crede a Bruxelles e a Francoforte, oppure gli scemi siamo noi? È una cosa che mi ha sempre stupito.

Che cosa resta del MES, oggi, dopo il No alla sua riforma?

Guardi, se fosse un ente pubblico interno, il MES sarebbe stato definito l’inutile carrozzone che è, e se ne sarebbe chiesto lo scioglimento con gli stessi argomenti usati due anni fa per il taglio dei parlamentari. E cioè cricca, casta, corruzione. Solo che in questo caso sarebbero casta, cricca e inefficienza. Basterebbe spiegare – come hanno fatto bene Lidia Undiemi e Giuseppe Liturri nel convegno a Pescara di “a/simmetrie” due settimane fa – che lo stipendio medio, al MES, dall’usciere al direttore generale, è di 280mila euro. Altro che polemiche sul costo dei parlamentari.
E non c’è solo questo, vero?
Assolutamente no. Basterebbe spiegare che in tempi di tassi al 4,5%, in cui tutte le istituzioni finanziarie hanno guadagnato come mai negli ultimi anni, i funzionari del MES sono riusciti ad andare in perdita nella gestione del loro portafoglio. Mi sa trovare un’altra istituzione che può funzionare senza responsabilità e senza controlli che non siano “interni”? E cioè non-controlli? Senza responsabilità e controlli una istituzione finanziaria che stimolo ha ad operare? Una normale istituzione finanziaria deve rendere conto della sua gestione agli azionisti, il MES invece non risponde a nessuno. E i soldi che ha perso dormendo sono soldi nostri. Questo, se ci pensiamo, ha del clamoroso.
La nostra decisione parlamentare rischia di avere conseguenze da parte europea?
Quali conseguenze ha patito la Germania quando, ultima a ratificare nel 2012 ha imposto a tutti gli altri Paesi delle riserve – e cioè delle deroghe – mai passate nei parlamenti nazionali? In un trattato multilaterale c’è sempre un primo e un ultimo a ratificare. Stavolta è stata l’Italia. E, mi creda, ha fatto un favore a tutti gli altri.
Quindi che l’Europa sia bloccata dall’Italia che non ratifica il MES…
È semplicemente una stupidaggine che è stata messa in giro per fini interni anni fa. E che continua ad essere usata per fini interni. Una buona frottola non si butta mai via: serve sempre.
Il no al MES è la seconda di due novità importanti in meno di 24 ore. L’altra è stata il sì “inevitabile”, in uno “spirito di compromesso” – ha detto il ministro Giorgetti – all’accordo sul Patto di stabilità. Due domande. La prima: che cosa pensa della traiettoria di rientro del debito tratteggiata nelle informazioni al momento disponibili?
Questo è il punto vero. Le cose si chiariranno man mano nei prossimi mesi. Perché una cosa sono le dichiarazioni e i comunicati stampa, un’altra sono i testi normativi che si stenderanno ed entreranno in vigore. Si ricorda il PNRR del luglio 2020? Ci sono voluti quattro mesi perché venisse alla luce. Lo stesso succederà con questo “nuovo” Patto di stabilità. Ma, per una volta, posso farle una domanda io?
Prego.
Lei crede davvero che in un Paese che non fa investimenti infrastrutturali seri da almeno vent’anni ed in cui i nodi dei mancati investimenti in nome del pareggio di bilancio sono venuti al pettine, non ci si renda conto che, per gestire una situazione di crisi che li ha riportati al 2004, quando la Germania era il malato d’Europa, c’è bisogno di clausole di flessibilità?
Lei cosa dice?
Io, per metodo, non sono mai ottimista, ma non riesco a credere che siano così folli da non predisporre meccanismi di modulazione delle regole generali che scriveranno in rapporto ai cicli economici. Una cosa è la regola, un’altra le eccezioni che le consentono di funzionare in linea con la realtà. Vedremo quel che ci sarà scritto.
E la realtà è davvero poco promettente. Un mese e mezzo fa lei stesso parlava di una Europa costruita per funzionare senza politica, destinata alla recessione.
Lo confermo. Siamo in una Unione che non sa più cosa fare, ma non può sconfessare le politiche e le dichiarazioni degli ultimi quattro anni. Ecco, non mi pare che in questo quadro quella del MES sia una grande questione europea. È una questione italiana, europea solo in minima parte.
(Federico Ferraù)
 
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OPINIONI

Fabio Conditi: «Il Patto di stabilità resta sbagliato. Ma ho la soluzione»​


La riforma varata dal parlamento europeo non risolve i problemi del Patto di stabilità. L’economista Fabio Conditi ha un’idea alternativa, che illustra al DiariodelWeb.it

Fabrizio Corgnati

Pubblicato 5 ore fa il 22 Gennaio 2024
Da Fabrizio Corgnati

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Qualcuno sperava, forse ingenuamente, che la riforma del Patto di stabilità europeo potesse aprire la porta per uscire dalle regole dell’austerità. Le cose non sembrano essere andate così: la proposta di riforma varata nei giorni scorsi dal parlamento europeo, pur accogliendo alcuni dei princìpi indicati dall’Italia, non si scosta dalle vecchie logiche di base del rigorismo nei conti pubblici. Ma c’è chi ha pensato a una soluzione, concreta e applicabile, per uscire dalla gabbia di Bruxelles, senza dover abbandonare né l’euro né tantomeno l’Unione europea. «Io so come risolvere il problema: ho stilato un piano in cui dimostro come in dieci anni il rapporto debito/Pil può passare dal 145 al 90%, grazie al credito d’imposta cedibile», spiega al DiariodelWeb.it l’economista Fabio Conditi, presidente dell’associazione Moneta positiva.

Fabio Conditi, che cosa pensa della proposta di riforma del Patto di stabilità varata dal parlamento europeo?
Intanto dobbiamo chiarire che di proposta si tratta: il Patto non è ancora stato approvato definitivamente. Sta girando una bozza, all’interno della quale però sono stati ammorbiditi alcuni vincoli che in precedenza erano estremamente rigidi.

Quali, ad esempio?
Parliamo del rapporto debito/Pil, per il quale la necessità del rientro sarebbe molto più blanda: la percentuale si abbasserebbe a 1,5% all’anno. Oltretutto, nei primi anni si aprono grandi spazi di manovra: si dovrebbe escludere dal calcolo del debito alcuni tipi di investimenti ma anche le spese per interessi, che per noi rappresentano una cifra consistente. Significherebbe recuperare 100 miliardi all’anno, che non è pochissimo.

Questa trattativa si è svolta praticamente in contemporanea con la mancata ratifica del trattato del Mes da parte del parlamento italiano.
Che secondo me è stata enormemente più importante. Il Mes era davvero una gabbia, soprattutto per l’Italia, dalla valenza molto rilevante. Primo, perché imponeva agli Stati di finanziare pronta cassa il salvataggio del sistema bancario europeo, che oggi è prevalentemente incardinato in Germania e in Francia. Secondo, introduceva automatismi nella gestione del debito delle nazioni, per i quali rischiavamo che, anche se non avessimo voluto, saremmo comunque stati obbligati a prendere il Mes. Ci saremmo ritrovati legati mani e piedi.

Quindi ha ragione il ministro Giorgetti a parlare di «compromesso».
Sì e no. Ha ragione se il governo avesse chiari in testa gli strumenti che abbiamo proposto. Invece ha bocciato il credito d’imposta cedibile e non c’è verso di convincerli a riaprire la questione: non tanto per il Superbonus, che non ci interessa, ma per finanziare scuole, ospedali, strade e la ricostruzione post-alluvione in Emilia. Opere che normalmente comporterebbero un aumento del debito pubblico.

Cosa c’è che non funziona nel Patto di stabilità?
L’idea di base, che è sbagliata e si è dimostrata fallimentare nei vent’anni in cui è stata applicata. Quella secondo cui, per ridurre il debito, bisogna ridurre la spesa pubblica. Questa è la follia più assoluta.

Come mai?
Facciamo un po’ di matematica delle scuole medie. Il rapporto debito/Pil è una frazione che ha il debito al numeratore, 2800 miliardi per l’Italia, e il Pil al denominatore, 2000 miliardi. Se riduco il debito di 100, cioè la spesa pubblica, questo comporta come minimo la riduzione di 100 anche del Pil, se non di più, considerando i moltiplicatori economici. Risultato: il rapporto aumenta, non diminuisce.

Andando avanti su questa strada, in sostanza, rischieremmo altri tagli alla sanità, all’istruzione…
Certo. Però la soluzione c’è. Se individuo uno strumento per fare politiche espansive che non vengono conteggiate nel debito in base alle norme, allora posso mantenere stabile il numeratore e allo stesso tempo aumentare il denominatore, quindi il rapporto cala.

Come funzionerebbe in concreto questa misura?
Ipotizziamo che il governo voglia costruire un ospedale da 100 milioni di euro. Oggi come lo finanzierebbe? Ci sono tre possibilità. La prima, aumentare le tasse: ma siamo già a un livello tale che i cittadini non hanno i soldi per pagarle. La seconda, tagliare la spesa pubblica da un’altra parte: ma ci saranno centinaia di persone che rimarranno senza reddito.

Se la coperta è corta, per coprire il naso lasci scoperti i piedi.
Esatto. La terza modalità è quella di emettere Btp a dieci anni sui mercati finanziari. Ammesso che vada in porto, 100 milioni di Btp al tasso d’interesse attuale fanno 160 milioni di euro in dieci anni. Quindi lo Stato ha un aggravio della spesa pubblica del 60% su tutto quello che fa.

Qual è l’alternativa?
Faccio una gara che prevede che l’impresa vincitrice non sia pagata in euro, ma con un credito d’imposta, che può essere detratto dalle tasse dopo due anni. Però questo credito è cedibile, non solo alla banca, che lo cambia in euro, ma anche ai fornitori e ai dipendenti. A tutti gli effetti è uno strumento di pagamento: libero, gratuito, che non scade mai.

Lo Stato non ha speso niente per creare questo buono sconto sulle tasse, ma qual è il suo vantaggio?
Che l’impresa deve emettere fattura, quindi pagare Iva, dipendenti, contributi e fornitori, che a loro volta pagheranno Iva, dipendenti e contributi. Quei 100 milioni di euro di ospedale hanno generato un Pil di 300 milioni, e lo Stato incassa il primo anno le tasse su questi 300 milioni.

Se rendo questa moneta fiscale compensabile dopo due anni, ovviamente alla scadenza di tale periodo il debito aumenterebbe comunque, sotto forma di mancato gettito.
Ma a quel punto il calo del rapporto debito/Pil sarebbe già sufficiente a compensare ampiamente la misura. Oltretutto, posso emetterne altra per andare a pari. Se questa operazione lo Stato la fa tutti gli anni, avrà sempre prima il guadagno e dopo due anni la spesa, senza pagare interessi.

Sembra tutto molto semplice e chiaro. Allora, perché non viene messo in pratica?
Perché la maggior parte della classe politica è ignorante, non ha competenze economiche, o comunque ha studiato all’università dove queste cose non le spiegano. Oppure è addirittura in malafede: Mario Draghi, ad esempio, è sicuramente competente, ma è stato nominato premier appositamente per bloccare questa misura che avrebbe consentito allo Stato di fare spesa pubblica senza pagare dazio ai mercati finanziari.

Alle grandi banche e ai fondi d’investimento, ovviamente, questa misura non conviene.

Certo che no, perché loro guadagnano proprio quel 60% di interessi dall’acquisto dei Btp. Se vedono che lo Stato ne può fare a meno, faranno di tutto per bloccarlo.

Avete avuto interlocuzioni con l’attuale maggioranza di centrodestra?
Sì, abbiamo contatti sia con Fratelli d’Italia che con la Lega. Il problema è politico, perché il credito d’imposta è stato bloccato per partito preso, essendo una misura targata Cinque stelle, e un po’ per accreditarsi nei confronti dei poteri forti.

La Meloni ha operato in continuità con il precedente governo Draghi.
Ha proseguito nella logica secondo cui lo Stato è come una famiglia, quindi deve rientrare nei vincoli di bilancio, anche se il Patto di stabilità non era ancora stato riaperto, quindi avevano la possibilità di sforare per un altro anno. Siamo stati più realisti del re, questo è stato un grosso errore.

Ci sono i margini per un cambio di rotta?
La porticina è aperta, stiamo cercando di convincerli a utilizzare lo strumento in un’altra modalità. Un po’ come è avvenuto con il reddito di cittadinanza, che è stato reintrodotto in forma ridotta chiamandolo assegno di mantenimento.

Come vi state muovendo?
Abbiamo recentemente inviato due lettere alle istituzioni: una per presentare proprio la misura del credito d’imposta, l’altra per proporre una fusione tra il Mediocredito centrale e il Monte dei paschi di Siena, che doti la banca pubblica di sportelli nelle zone d’Italia in cui attualmente non li ha, evitando l’ingente spesa che dovremmo pagare per dismetterli.
 

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