News, Dati, Eventi finanziari sara' vero................




Scritto il 12/3/14 • Fonte: http://www.libreidee.org/2014/03/non-crea-una-banca-pubblica-e-io-denuncio-lo-stato/




Per «dolosa omissione governativa», coperta da «combutta del silenzio tra massmedia, istituzioni,politica», l’avvocato Marco Della Luna annuncia che, insieme a Loris Palmerini, sta lavorando alla redazione di una denuncia alla Corte dei Conti per “danno erariale”. Un buco colossale, da 80 miliardi dieurol’anno. E’ quanto lo Stato potrebbe “risparmiare”, tagliando di colpo ildebito pubblico, semplicemente facendo ricorso all’articolo 123 del Tue, il Trattato di Maastricht, fondativo dell’Unione Europea. Il trattato, scrive Della Luna nel suo blog, «consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la Bce ai tassi che questa pratica allebanche, cioè ora allo 0,25%». Risultato: «Lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno». Perché nessuno si decide a imboccare questa strada? Germania e Francia già lo fanno, evitando di tassare a morte i cittadini e svendere il patrimonio nazionale a colpi di privatizzazioni.
A far impennare i tassi di interesse, il deficit e l’indebitamento pubblico, scatenando il declassamento del nostro paese, ricorda Della Luna, è stata innanzitutto la scelta, già nel 1981, di rinunciare alla sovranità pubblica della Banca d’Italia, che garantiva lo Stato, costringendo in tal modo il governo a finanziare il propriodebito pubblicosui mercati finanziari speculativi internazionali. «Prima, ildebito pubblicoera sotto controllo. Da allora in poi, e sempre più, l’impennata dei rendimenti sta operando un massiccio trasferimento di redditi e asset, attraverso le tasse e i tassi, dalla popolazione generale e dal settore pubblico alla comunità bancaria-finanziaria sovrannazionale». L’Italia ha un forte avanzo primario. E il suo deficit, gonfiato dagli interessi passivi, è arrivato a 2.100 miliardi. Tutto questo serve solo a «“mungere” illavoroe il risparmio degli italiani, anche attraverso un artificioso liquidity crunch che li costringe a svendere e a svendersi».
Questo drammatico travaso, continua Della Luna, è aggravato in modo decisivo dal sistema dell’euro: la Bce ha infatti prestato migliaia di miliardi allo 0,50% non più allo Stato ma allebanche. Denaro col quale gli istituti di credito comprano Btp che rendono anche oltre il 4%. Se questa è la regola aberrante dell’Eurozona – privilegiare lebanchee colpire lo Stato – è pur vero però che il Trattato di Maastricht concede una scappatoia: lo Stato può farsi prestare glieurodirettamente dalla Bce attraverso una banca pubblica, o di cui sia comunque azionista di maggioranza. Perché i governi non vogliono approfittarne, salvando le finanze pubbliche senza più imporre “sacrifici umani”, super-tasse e tagli ai servizi vitali? «Perché sono al servizio degli stessi beneficiari di questo travaso», si risponde Della Luna, secondo cui l’ormai lontano divorzio tra Tesoro e Bankitalia resta una tappa fondamentale, sulla via della soppressione della sovranità monetaria e quindi della democrazia, insieme a Maastricht, all’euro, al Fiscal Compact.
Una tappa fondamentale «non solo per la destabilizzazione finanziaria permanente dell’Italia e il suo perpetuo sfruttamento», ma anche per «la sottomissionepoliticadell’Italia alpoteree all’interesse finanziario: è il grande golpe iniziale, rispetto a cui quelli recenti e ripetuti di Napolitano sono solo sotto-golpe attuativi». Due analisti indipendenti come Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni hanno ottenuto conferma dalla Bce: se solo volesse, l’Italia potrebbe ottenere denaro a interesse bassissimo dalla Banca Centrale Europea, tagliando il debito di decine di miliardi l’anno, proprio in base all’articolo 123 del Tue. Obiettivo teoricamente a portata di mano, ma secondo Della Luna in realtà non realizzabile, perché «va contro gli interessi e i poteri che hanno, con successo e profitto, realizzato quanto sopra, acquisendo il dominio delle istituzioni nazionali ed europee».
Per «dolosa omissione governativa», coperta da «combutta del silenzio tra mass media, istituzioni, politica», l’avvocato Marco Della Luna annuncia che, insieme a Loris Palmerini, sta lavorando alla redazione di una denuncia alla Corte dei Conti per “danno erariale”. Un buco colossale, da 80 miliardi di euro l’anno. E’ quanto lo Stato potrebbe “risparmiare”, tagliando di colpo il debito pubblico, semplicemente facendo ricorso all’articolo 123 del Tue, il Trattato di Maastricht, fondativo dell’Unione Europea. Il trattato, scrive Della Luna nel suo blog, «consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la Bce ai tassi che questa pratica alle banche, cioè ora allo 0,25%». Risultato: «Lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno». Perché nessuno si decide a imboccare questa strada? Germania e Francia già lo fanno, evitando di tassare a morte i cittadini e svendere il patrimonio nazionale a colpi di privatizzazioni.
A far impennare i tassi di interesse, il deficit e l’indebitamento pubblico, scatenando il declassamento del nostro paese, ricorda Della Luna, è stata innanzitutto la scelta, già nel 1981, di rinunciare alla sovranità pubblica della Banca d’Italia, che garantiva lo Stato, costringendo in tal modo il governo a finanziare il proprio debito pubblico sui mercati finanziari speculativi internazionali. «Prima, il debito pubblico era sotto controllo. Da allora in poi, e sempre più, l’impennata dei rendimenti sta operando un massiccio trasferimento di redditi e asset, attraverso le tasse e i tassi, dalla popolazione generale e dal settore pubblico alla comunità bancaria-finanziaria sovrannazionale». L’Italia ha un forte avanzo primario. E il suo deficit, gonfiato dagli interessi passivi, è arrivato a 2.100 miliardi. Tutto questo serve solo a «“mungere” il lavoro e il risparmio degli italiani, anche attraverso un artificioso liquidity crunch che li costringe a svendere e a svendersi».
Questo drammatico travaso, continua Della Luna, è aggravato in modo decisivo dal sistema dell’euro: la Bce ha infatti prestato migliaia di miliardi allo 0,50% non più allo Stato ma alle banche. Denaro col quale gli istituti di credito comprano Btp che rendono anche oltre il 4%. Se questa è la regola aberrante dell’Eurozona – privilegiare le banche e colpire lo Stato – è pur vero però che il Trattato di Maastricht concede una scappatoia: lo Stato può farsi prestare gli euro direttamente dalla Bce attraverso una banca pubblica, o di cui sia comunque azionista di maggioranza. Perché i governi non vogliono approfittarne, salvando le finanze pubbliche senza più imporre “sacrifici umani”, super-tasse e tagli ai servizi vitali? «Perché sono al servizio degli stessi beneficiari di questo travaso», si risponde Della Luna, secondo cui l’ormai lontano divorzio tra Tesoro e Bankitalia resta una tappa fondamentale, sulla via della soppressione della sovranità monetaria e quindi della democrazia, insieme a Maastricht, all’euro, al Fiscal Compact.
Una tappa fondamentale «non solo per la destabilizzazione finanziaria permanente dell’Italia e il suo perpetuo sfruttamento», ma anche per «la sottomissione politicadell’Italia al potere e all’interesse finanziario: è il grande golpe iniziale, rispetto a cui quelli recenti e ripetuti di Napolitano sono solo sotto-golpe attuativi». Due analisti indipendenti come Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni hanno ottenuto conferma dalla Bce: se solo volesse, l’Italia potrebbe ottenere denaro a interesse bassissimo dalla Banca Centrale Europea, tagliando il debito di decine di miliardi l’anno, proprio in base all’articolo 123 del Tue. Obiettivo teoricamente a portata di mano, ma secondo Della Luna in realtà non realizzabile, perché «va contro gli interessi e i poteri che hanno, con successo e profitto, realizzato quanto sopra, acquisendo il dominio delle istituzioni nazionali ed europee».



Pubblicato da Nicoletta Forcheri a 12:45
 
Il pericolo TTIP con i pareggi di bilancio






Fonte: giacintoauriti.com
TTIP-OBAMA.jpg



Mentre l’Europa chiede agli Stati di rinchiudersi nei loro pareggi di bilancio, contemporaneamente sigla il TTIP , Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti, per l’abolizione dei dazi doganali con l’America e per eliminare gli ostacoli nel commercio transatlantico.
http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/about-ttip/index_it.htm
Ai nostri occhi questo si rivela un vero e proprio assurdo economico-politico, un’ennesima scellerata decisione che rovinerà le economie e gli Stati Europei, Italia in primis.
Prima di illustrare le perverse conseguenze del TTIP ( con questo sistema monetario )è bene ricordare che viviamo in una situazione assurda in cui 17 Paesi adottano una moneta unica elargita in prestito dal sistema bancario europeo, entità giuridica sovranazionale, autonoma ed indipendente dai governi , “impunibile” ed “inviolabile” (come sancito nei trattati europei).
Questi 17 Paesi hanno un “liquido” comune ma sono separati in compartimenti stagni che sono i loro bilanci di Stato. Questo comporta che all’interno degli stessi Paesi dell’area Euro ogni scambio tra essi si traduce in in uscita ed entrata monetaria per ogni Paese a seconda se si importi o si esporti. Sappiamo tutti che a beneficiare dell’Euro è stata solamente la Germania per via del cambio favorevole con altre divise al momento dell’istituzione della moneta unica e quindi sta facendo la parte del “leone esportatore” che incamera Euro ponendo gli altri Stati nella ricerca continua di nuova liquidità con emissioni di titoli che le stesse banche tedesche comprano con gli Euro incassati con le esportazioni verso gli stessi Paesi in difficoltà di liquidità. Appare assurdo costringere gli Stati dell’area Euro a avere bilanci di Stato separati ed in equilibrio piuttosto che unificarli sotto un unico bilancio. Ma anche se ciò avvenisse resterebbe il problema del prestito di moneta all’emissione, come nell’ipotizzato caso degli Eurobond.
A questa situazione assurda, iniqua ed innaturale aggiungiamoci l’apertura al mercato americano con il TTIP in cui è prevista l’abolizione dei dazi doganali e nessun “potere politico” di impedire il trasferimento di capitali. Come fu conveniente per la Germania, sarà altrettanto conveniente per l’America attirare flussi monetari in Euro grazie al dollaro svalutato. Se per imprese europee sarà conveniente acquistare prodotti dall’America, questo comportamento si tradurrà in un processo inversamente proporzionale tra la “fuoriuscita” di Euro dai bilanci nazionali ed il continuo reperimento di liquidità monetaria con indebitamento ad interessi composti da parte degli Stati. A meno che qualcuno non ci voglia far credere che saremmo gli unici esportatori del mondo , cosa alquanto impossibile viste le diverse condizioni normative, fiscali e sociali degli altri Paesi come proprio l’America o la Cina ( che non hanno neanche gli obblighi dei trattati di Kyoto ).
Inoltre, il TTIP prevede la tutela degli investimenti e potranno esserci multinazionali americane vincitrici di appalti pubblici europei che aumenterebbero la nostra emorragia monetaria. Guai ad avere un sussulto di nazionalismo per le nostre casse requisendo aziende estere operanti in Europa. Il TTIP prevede che le multinazionali non possono essere espropriate se non con un “giusto” compenso.
Gli estensori del TTIP ci rassicurano scrivendo che i benefici saranno reciproci sia per l’America che per l’Europa. Prevedono milioni di posti di lavoro (sottopagati?) e incrementi di PIL ma, sappiamo bene che, finora le previsioni sono state solo chimere perché con questo sistema monetario non può essere altrimenti. Sappiamo anche molto bene che con il cambio favorevole al dollaro ,e con normative del lavoro precarizzato, chi ne beneficerà sarà soltanto l’America. E’ proprio sulla diversità dei cambi, manipolata e pianificata artificialmente dalle banche centrali, che le multinazionali saranno sempre protagoniste nella speculazione finanziaria. Ce lo diceva anche Auriti nel suo magnifico testo accademico ,“ L’ordinamento internazionale del sistema monetario” di cui riportiamo questo lungimirante passaggio:<< Nell'ambito del sistema monetario internazionale, assume particolare importanza il regime dei cambi. Questo regime non può dare stabilità e certezza dei valori monetari costituenti oggetto delle transazioni internazionali, perché la moneta è una unità di misura oscillante nella entità del suo valore, ossia del suo potere d'acquisto, non solamente per iniziative degli organi monetari, ma anche per le più varie cause operanti sul mercato (produzione, consumo, offerta e domanda di merce o di denaro, prezzo dei petrolio ecc.), per cui non è facile a volte individuare
le cause delle spinte inflazionistiche o deflazionistiche(…)A titolo di esempio facciamo il caso che venga instaurato il cambio fisso tra lira e marco tedesco nel, rapporto di 400 a 1. Se al momento in cui il cambio fisso viene
adottato, una unità di merce costa 400 lire in Italia ed 1 marco in Germania, per l'acquirente sarà indifferente acquistare l'unità di merce nell'una o nell'altra nazione. Se però, malgrado il mantenimento del cambio fisso le spinte inflazionistiche interne sono di diversa entità, e se l'inflazione in Italia è del 50 per cento ed in Germania dello 0 per cento, avviene che la medesima unità di merce potrà essere acquistata in Italia al prezzo di 600 lire e in Germania sempre al medesimo prezzo di 1 marco. A questo punto l'operatore economico italiano avrà interesse ad acquistare il detto prodotto in Germania, in quanto in virtù del cambio fisso sarà messo in condizione di ottenere 1 marco per 400 lire, pagando al vecchio prezzo il prodotto in Germania.
Questo esempio sta a significare che con il cambio fisso si determina la
predisposizione del mercato con moneta sopravalutata (nel nostro esempio l'Italia) all'importazione, con il conseguente fermo produttivo e ristagno economico; mentre invece il mercato con moneta sottovalutata (nel nostro esempio la Germania) è predisposto all'incremento produttivo ed alla esportazione.
Queste considerazioni mettono in evidenza che la modifica dei rapporti di cambio monetari è tutt'altro che neutra nello scambio internazionale. E ci si spiega come strumenti monetari, che ad una visione unilaterale ed incompleta possono apparire idonei ad eliminare alcuni inconvenienti (ad esempio la instabilità dei cambi propri del libero mercato), presentano per altro verso altri inconvenienti di non minore rilievo di quelli che si erano voluti eliminare. Per questi motivi la politica monetaria si è orientata su formule di compromesso fra lo schema della rigidità e quello della libera fluttuazione dei cambi, adottando lo schema semi rigido con limiti di oscillazione sufficientemente ampi da evitare fenomeni imponenti di artificiosa sopravalutazione o sottovalutazione monetaria (…)
Su queste premesse ci si può spiegare il fenomeno delle società multinazionali che si sono ormai affermate come protagoniste su tutti i mercati dei mondo.

Si tratta, come è noto, di società per azioni, o per meglio dire di gruppi di società anonime che operano contestualmente su differenti mercati in posizione di assoluta preminenza. Tanto è vero che il fenomeno si è imposto all'attenzione dei legislatori oltre che della dottrina e della giurisprudenza per tentare di arginare l'enorme potenzialità di conquista dei mercati e di dirompente concorrenza.
La vera ragione della maggiore vitalità di questi gruppi di imprese sta nel fatto che, potendo operare su mercati di diversa nazionalità e sotto differenti sistemi monetari, sono in condizione di sfruttare le favorevoli congiunture monetarie: ad esempio incentivando la produzione e la esportazione, nei paesi con moneta sottovalutata, e disincentivando i procedimenti produttivi e promuovendo l'importazione, nei paesi con moneta sopravalutata.(…)
La loro potenza economica è data dunque dal fatto che sulle loro vele soffia sempre il vento favorevole dei rapporti di cambio delle monete, cui va aggiunto il privilegio di una disponibilità praticamente illimitata di finanziamenti.E' ovvio che ciò è possibile perché sono controllate dalle medesime società strumentalizzanti il sistema monetario>>
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giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare." Albert Einstein
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12 luglio 2014

IL COMPLOTTO DEL BRITANNIA...



La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni in Italia: il saccheggio di un'economia nazionale Documento diffuso dall'Executive Intelligence Review e dal Movimento Solidarietà.
Il 2 giugno 1992, a pochi giorni dall'assassinio del giudice Giovanni Falcone, si verificava in tutta riservatezza un altro avvenimento che avrebbe avuto conseguenze molto profonde sul futuro del Paese. Il «Britannia», lo yacht della corona inglese, gettava l'ancora presso le nostre coste con a bordo alcuni nomi illustri del mondo finanziario e bancario inglese: dai rappresentanti della BZW, la ditta di brockeraggio della Barclay's, a quelli della Baring & Co. e della S.G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa regina Elisabetta II d'Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni esponenti di maggior conto del mondo imprenditoriale e bancario italiano: rappresentanti dell'ENI, dell'AGIP, Mario Draghi del ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell'IRI, Giovanni Bazoli dell'Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della Banca Commerciale e delle Generali, ed altri della Società Autostrade.

Si trattava di discutere i preparativi per liquidare, cedere a interessi privati multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro paese. Draghi avrebbe detto agli ospiti inglesi: "Stiamo per passare dalle parole ai fatti". Da parte loro gli inglesi hanno assicurato che la City di Londra era pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico italiano sono troppo minuscole per poter assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni. Ergo: dovete venire a Londra, dove c'è il capitale necessario.
Fu poi affidato ai mass media, ed al nuovo governo Amato, il compito di trovare gli argomenti, parlare dell'urgente necessità di privatizzare per ridurre l'enorme deficit del bilancio. Al grande pubblico, sia il governo che i mass media hanno risparmiato la semplice verità che il "primo mobile" dietro tutto il dibattito sulle privatizzazioni è costituito dalle grandi case bancarie londinesi e newyorkesi. L'obiettivo è semplicemente quello di prendere il controllo di ogni aspetto della vita economica italiana sfruttando le numerose scuse di ingovernabilità, corruzione, partitocrazia, inefficienza, ecc.

Prima di esercitarci a calcolare quante lirette il ministero del Tesoro potrebbe ottenere dalla svendita dell'ENI, dell'IRI ecc., cerchiamo di mettere in luce i presupposti filosofici dei banchieri londinesi e dei loro associati newyorkesi della Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers e dei loro sostenitori nel Fondo Monetario Internazionale, nell'OCSE e nel mondo dei mass media. Queste grandi finanziarie di New York e Londra su cui si fonda il potere anglo-americano gestiscono il gioco della liberalizzazione dei mercati internazionali. Ne scrivono e riscrivono le regole per massimizzare di volta in volta i profitti. A Bruxelles contano su sir Leon Brittan, fratello del Samuel Brittan direttore del Financial Times. Fino al gennaio 1993 Leon Brittan è stato Commissario della CEE per la Politica di Concorrenza ed è l'autore delle regole bancarie ed assicurative che hanno favorito Londra, tanto criticate sia dalla Germania che dagli altri paesi membri della CEE. Sir Leon era un esponente del governo della Thatcher quando improvvisamente, nel gennaio del 1986, si dimise per andare a Bruxelles.
Nonostante le illusioni di grandeur, Parigi è un centro finanziario che non può tener testa alla prepotenza anglo-americana, e lo stesso discorso vale per i finanzieri di Francoforte, così come quelli del Sol Levante. Pur disponendo delle maggiori istituzioni bancarie e assicurative, il Giappone non è in grado di offrire una valida resistenza alle manipolazioni finanziarie anglo-americane.

La globalizzazione e il "Big Bang" londinese
La formula che gli anglo-americani tentano oggi di spacciare ai governi di tutto il mondo, convincerli cioè a svendere i patrimoni dello stato per ottenere qualche liquido con cui far fronte al dissesto del bilancio ed al tempo stesso "promuovere la competitività", fu collaudata dalla finanza londinese alla fine del 1979, in particolare dalla N.M. Rothschild & Co., che coordinò la svendita generale per conto del governo della "Lady di Ferro".
Così un ristretto gruppo di finanzieri ha dominato per quasi 12 anni l'economia inglese. Principalmente si tratta di esponenti della Società Mont Pelerin, come i consiglieri della Tatcher Karl Brunner, sir Alan Walters, lord Harris of High Cross ed altri ancora. La Società Mont Pelerin è stata presieduta internazionalmente fino a poco tempo fa dall'economista arciliberista Milton Friedman, ascoltatissimo dal Presidente Ronald Reagan.

Friedman è l'architetto della politica economica imposta al Cile dalla dittatura di Augusto Pinochet. Essa si riduce all'idea di tenere il governo fuori da ogni intervento e lasciare che gli interessi privati facciano il bello e cattivo tempo. Friedman fece scalpore quando propose che l'eroina e gli altri stupefacenti venissero considerati alla stregua di una "merce" normale, in modo da permettere al consumatore di "scegliere liberamente" se acquistarla o meno.
Sotto la rivoluzione "liberistica" imposta dalla Thatcher sono state messe all'asta le imprese migliori dell'Inghilterra, dalla British Petroleum alle compagnie del gas e dell'acqua, fino alla industria militare Vickers. Da quando la Thatcher è stata costretta ad andarsene vengono pian piano alla luce informazioni sempre più precise di come ad arricchirsi spudoratamente in quella "privatizzazione" furono principalmente gli amici della Lady di Ferro.

D'altro canto quel "collaudo" dimostra come non sia affatto vero che l'industria, una volta privatizzata, diventi più efficiente. Dopo 13 anni di thatcherismo, quella britannica è la più arretrata tra le grandi economie europee. Negli investimenti per la Ricerca e Sviluppo del settore macchine industriali ed automobile, l'Inghilterra è stata superata anche dall'Italia. L'essenza del "liberismo" thatcheriano è dare la priorità assoluta alla finanza, a scapito dello sviluppo industriale dell'economia nazionale.
Questa degenerazione britannica toccò il fondo nell'ottobre del 1986, quando il governo decretò la completa deregolamentazione finanziaria della City di Londra, che fu chiamata il "Big Bang". Poco meno di un anno dopo, la borsa di Londra crollò insieme a tutte le altre, travolte dalla frenetica spirale di speculazioni e truffe da essa iniziata.

In Inghilterra il “problema” delle ditte di proprietà statale, come la British Leyland o la Jaguar, non era il fatto che esse fossero di proprietà dello stato, ma piuttosto che questo stato, amministrato dal governo della Thatcher, non volle impegnarsi in una oculata politica di pianificazione degli investimenti industriali, cosa caratteristica ad esempio del MITI in Giappone, perché quel governo esprimeva gli interessi dell'alta finanza e non quelli delle capacità produttive del paese. Oggi però dovrebbe essere chiaro anche ai non addetti che la deregolamentazione finanziaria londinese ha inesorabilmente portato alla rovina economica nazionale. L'Inghilterra versa nella peggiore crisi economica dagli anni Trenta, con la disoccupazione che è tornata ai livelli del 1979, quando si insediò la Thatcher. Il deficit del bilancio lievita ad un tasso annuale del 7% del PNL.
Però, contrariamente alla situazione del 1979, oggi il governo britannico non dispone più di una propria base industriale con cui mettere in moto tutta una serie di investimenti nel settore industriale.

Ma, a prescindere dal saccheggio compiuto da sir Jimmy Goldsmith, Jacob Rothschild, lord Hanson e compagnia dietro il paravento del "liberismo ad oltranza", la privatizzazione decisa della Thatcher va collocata nel contesto della strategia anglo-americana per aprire altre regioni economiche a forme molto sofisticate di saccheggio neo-coloniale, perpetrato con la "mano invisibile" tanto cara alle teorie liberistiche. Questa "mano invisibile" anglo-americana regola i meccanismi di fusioni ed acquisizioni operate da altri governi nella misura in cui questi sono così stupidi e sprovveduti da richiedere e pagare profumatamente "consulenze finanziarie" proprio a quella cricca di finanzieri.
Alla fine degli anni Settanta, quando a Londra la Thatcher cominciò lo scontro col sindacato per ridurre i salari e cominciò a svendere le imprese statali ai suoi amici, a Wall Street gente come Donald Reagan, presidente della Merrill Lynch, e Walter Wriston, capo della Citicorp, si impegnarono a lanciare una "rivoluzione finanziaria" sulla stessa falsariga che in America fu chiamata "deregolamentazione dei mercati finanziari".

Quando Ronald Reagan diventò presidente nel 1981, e prestò ascolto a Milton Friedman, la deregulation fece innumerevoli proseliti a Washington. Nei 12 anni che seguirono, fino alla sconfitta di George Bush nel novembre del 1992, Washington voltò le spalle ad una ben dosata politica di supervisione e regolamentazione governativa di attività particolarmente importanti come quella delle compagnie aree e degli autotrasporti, per non parlare dell'economia in generale. Le leggi che erano state escogitate negli anni della Grande Depressione per proteggere la proprietà di piccoli risparmiatori e azionisti furono abrogate o ignorate negli anni Ottanta per fare spazio alla "legge del Far West" che prevede la sopravvivenza del più cattivo.

Negli anni ruggenti della deregulation la filosofia negli USA era "tutto è ammesso, dillo con i soldi". Così al crimine organizzato fu permesso di reinvestire i proventi illeciti nei regolari flussi finanziari, per poterli così usare nelle scalate speculative a Wall Street condotte da gente come Mike Milken, Ivan Boesky ed altri. Grazie al proliferare delle "obbligazioni spazzatura", o altre tecniche speculative, si potevano acquisire imprese sane i cui nuovi proprietari trascuravano la politica di sviluppo a lungo termine su cui cresceva l'impresa, cercando solo di realizzare profitti a breve termine. Fu così che la TWA Airlines finì in mano a Carl Icahn, uno speculatore della banca Drexel. In questi anni Ottanta, i principali istituti finanziari di Londra e New York, come la S.G. Warburg, la Barclays, la Midland Bank, la Citicorp, la Chase Manhattan, la Goldman Sachs, la Merrill Lynch, la Salomon Bros., lanciarono la "globalizzazione dei mercati finanziari". Il presupposto di partenza era che se tutti i paesi avessero abolito i controlli sui flussi di capitali ed altri meccanismi, la nuova finanza anglo-americana avrebbe potuto accedere a nuovi, grandi spazi economici, altamente profittevoli. I grandi nomi della finanza erano alla caccia di nuovi organismi sani su cui esercitare la propria distruttiva opera parassitaria, e così sedussero molti ambienti bancari, sia europei che giapponesi, a rinunciare alla naturale diffidenza per unirsi al gioco speculativo anglo-americano e "vincere".

Uno dei sofismi utilizzati a questo proposito era quello che descriveva il sistema finanziario del paese preso di mira come "superato", "obsoleto", "non abbastanza dinamico"; insomma, da riformare per promuovere la nuova ondata di finanza creativa. Così l'intera Europa fu accusata di soffrire di "Eurosclerosi". Tutti i trucchi sono buoni per costringere le economie nazionali a sollevare le barriere protettive e permettere alla finanza anglo-americana di dilagare su ciò che essa definiva mercati "arretrati" o "provinciali" e sfruttare la maggiore scaltrezza finanziaria per saccheggiarli.

La grande speculazione e la finanza angloamericana
Il vero e proprio inizio di questa dissennata corsa alla deregulation e alla "globalizzazione" dei mercati finanziari in stile thatcheriano, a cui assistiamo attualmente in Italia, risale alla fine degli anni '60, inizio anni '70. A partire da quel periodo, le grandi banche internazionali americane, come la Chase Manhattan e la Citicorp, iniziarono a cercare nuovi impieghi del capitale che fruttassero alti profitti, in quanto gli investimenti nell'economia interna americana non erano così profittevoli come quelli all'estero. Nel 1971, decine di miliardi di dollari avevano già abbandonato gli Stati Uniti ed erano approdati in Europa. L'astuto Sir Siegmund Warburg, presidente della omonima e celebre banca britannica (la stessa a cui il ministro del Tesoro Barucci si è recentemente rivolto per stimare il valore immobiliare dell'IMI), si recò allora a Washington per convincere il Tesoro e il Dipartimento di Stato USA a far rimanere all'estero quei capitali, in modo che Londra potesse usarli per ripristinare il ruolo di "banchiere mondiale" che la City aveva svolto fino al 1914. È ironico che il primo prestito in "Eurobbligazioni" sottoscritto da Siegmund Warburg fosse quello di 15 milioni di dollari lanciato dalla Società Autostrade dell'IRI.

La vera trovata di Warburg fu però l'uso dei dollari espatriati in Europa, i cosiddetti "Eurodollari", che si rivelarono l'innovazione finanziaria più destabilizzante degli anni settanta. Il Presidente Nixon, seguendo il consiglio di George Shultz e Paul Volcker, annunciò il 15 agosto 1971 che da quel momento in poi Washington e la Federal Reserve, la banca centrale USA, si sarebbero rifiutate di riscattare in oro i dollari posseduti dalle altre banche centrali. Washington stracciò, con atto unilaterale, gli accordi di Bretton Woods del 1944 che stabilivano l'ordine monetario postbellico. Di colpo, il mondo si ritrovò ostaggio di un regime di "tassi di cambio fluttuanti" che trasformò il sistema monetario basato sul dollaro in una gigantesca arena speculativa.
Nel maggio 1973, sei mesi prima che scoppiasse la "crisi petrolifera", l'oligarchia politico-finanziaria angloamericana si riunì segretamente nella località svedese di Saltsjoebaden per discutere la fase successiva del "ricatto" esercitato per mezzo del dollaro sull'economia mondiale.

Tra gli ospiti di quel ristretto gruppo di potenti, riuniti sotto l'egida del Club Bilderberg, c'era il Presidente della FIAT Gianni Agnelli. Si discusse che bisognava persuadere l'OPEC ad aumentare il prezzo del petrolio del 400%. Dato che dal 1945 il petrolio si acquistava solo con dollari, la mossa avrebbe automaticamente quadruplicato la domanda di dollari sul mercato internazionale.
Henry Kissinger, un altro ospite della riunione segreta del Bilderberg, battezzò l'idea col nome di "riciclaggio dei petrodollari". I suoi interlocutori, come Lord Richardson della British Petroleum, Robert O. Anderson dell'americana Atlantic Ritchfield Corporation (ARCO) o lo svedese Marcus Wallenberg, non erano interessati a discutere come impedire i catastrofici effetti sull'economia mondiale derivanti da un quadruplicamento del prezzo del petrolio, ma, piuttosto, l'intera discussione in quella sperduta località della Svezia ruotò attorno all'idea di come assicurare che poche, scelte banche americane controllassero la nuova ricchezza dei "petrodollari" in mano araba. Si trattava quindi di come aumentare il potere nelle mani delle banche di Londra e New York, del cartello petrolifero e dei loro amici europei, alle spese del resto del mondo.

Negli anni '80, dopo due crisi petrolifere e l'equivalente shock della stretta creditizia pilotata da Paul Volcker alla guida della Federal Reserve (1979-1982), la deregulation finanziaria di Thatcher e Reagan creò, nel contesto di un valore "fluttuante" del dollaro e del riciclaggio di prestiti in petrodollari che rifinanziavano il deficit dei paesi del Terzo Mondo, la cornice per un nuovo riciclaggio, quello dei narco-dollari. La liberalizzazione delle transazioni finanziarie in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni è servita infatti ad aprire le porte al riciclaggio dei proventi illeciti della droga, che nel 1990 si stimava in un valore tra i 600 e i 1000 miliardi di dollari.

La Lugano connection
A questo punto occorre dedicare qualche riga alle finanziarie di Wall Street che svolgono un ruolo decisivo nella "privatizzazione" delle imprese pubbliche italiane. Sono tre le ditte impiegate all'uopo come "consulenti" del governo Amato: Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers. Lo stesso ministro dell'Industria Giuseppe Guarino, contrario a una "svendita" del patrimonio industriale raccolto nelle ex Partecipazioni Statali, sembra riporre fiducia in queste tre finanziarie, i cui dirigenti incontrò il 17 settembre scorso nel corso di un viaggio a New York.

Sono molti attualmente a ritenere la Goldman Sachs la più potente finanziaria di Wall Street, posizione conquistata almeno a partire dal 1991, quando scoppiarono gli scandali di "insider trading" che la coinvolgevano assieme alla Salomon Brothers. Il presidente della Goldman Sachs, Robert Rubin, sarà il capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale del Presidente Clinton. Quel posto dovrà essere un "ufficio di guerra economica" in stile britannico, per fronteggiare quelli che l'ex capo della CIA William Webster chiamò "gli alleati politici e militari dell'America che sono i suoi rivali economici". Rubin non è il primo dirigente della Goldman Sachs che ricopre una carica nel governo americano. Prima di lui l'attuale vicepresidente, Robert Hormats, fu consigliere di Henry Kissinger al Dipartimento di Stato e un altro "senior partner", John Whitehead, fu sottosegretario di Stato con Ronald Reagan. La Goldman Sachs é uno dei più influenti manipolatori del prezzo del petrolio e del valore delle monete, che determina tramite la sussidiaria J. Aron & CO., che opera sul mercato delle merci e dei "futures". La Goldman Sachs ha rafforzato la sua presenza in Italia aprendo nel 1992 un "ufficio operativo" a Milano. Più avanti vedremo il ruolo cruciale che essa ha svolto nella crisi della lira e nella partita delle privatizzazioni.

La Salomon Brothers domina, assieme alla Goldman Sachs, il commercio di greggio mondiale. La Salomon possiede anche la svizzera Phibro (Philipp Brothers), che opera nel settore delle materie prime. Nel 1989 la Phibro fu coinvolta in un caso di riciclaggio di milioni di dollari ricavati dalla vendita di cocaina negli Stati Uniti. I soldi venivano riciclati dalla banda chiamata "La Mina", che lavorava per il cartello della coca colombiano, nella Phibro Precious Metal Certificates.
Dopo gli scandali di "insider trading" e speculazione su Buoni del Tesoro USA scoppiati nel 1991, a cui abbiamo accennato sopra, ci fu un completo rinnovo dei vertici della finanziaria. Il nuovo presidente, attuale azionista di maggioranza, è Warren Buffett, originario di Omaha, Nebraska.

Buffett, oltre ad essere amico intimo di George Bush, è anche il principale azionista del Washington Post e della rete televisiva ABC. Egli possiede vasti interessi anche nell'American Express (del cui consiglio di amministrazione fa parte Henry Kissinger) e nella Wells Fargo Bank.
Lo stesso Buffett si dice sia implicato in uno scandalo di pedofili del Nebraska che facevano capo, fino alla fine degli anni '80, al finanziere repubblicano Larry King, della banca Franklin Credit Union. Buffett era il patrocinatore e il sostenitore di King. La Warren Buffett Foundation, la fondazione intestata a suo nome, finanzia cause antidemografiche, come quelle lanciate da organizzazioni americane come Negative Population Growth, Planned Parenthood, l'Associazione per la Sterilizzazione Volontaria e il Population Council.

La Merrill Lynch è famosa per il ruolo che svolse in una sensazionale operazione di riciclaggio del denaro tra l'Italia, la costa orientale degli Stati Uniti e Lugano. Si tratta della "Pizza connection", che portò al processo in cui la famiglia mafiosa newyorchese dei Bonanno fu accusata di aver riciclato circa 3,5 miliardi di dollari fino a quando fu arrestata, nel 1984. I Bonanno avevano usato, per i loro traffici, la sede centrale di New York e gli uffici di Lugano della Merrill Lynch. L'aspetto più sconcertante del processo sulla “Pizza connection” in Svizzera e a New York è che essi ignorarono completamente la complicità dei vertici della Merrill Lynch. All'epoca del processo il ministro del Tesoro americano, responsabile per le ispezioni sul riciclaggio del denaro, era l'ex presidente della Merrill Lynch Donald Reagan. Il processo si concluse con alcune multe nei confronti di funzionari minori della sede luganese della finanziaria americana, e la storia finì lì. Come è noto, la Merrill Lynch é stata incaricata dall'IRI, il 9 ottobre scorso, di preparare la privatizzazione del Credito Italiano.

Abbiamo fin qui identificato alcuni fatti poco noti che riguardano le tre finanziarie di Wall Street chiamate a svolgere un ruolo decisivo nella valutazione e nella stessa privatizzazione delle imprese pubbliche italiane. Queste finanziarie accedono a dati di grande importanza e delicatezza che riguardano alcune delle più valide imprese europee e si posizionano in assoluto vantaggio come "consiglieri per la privatizzazione". Naturalmente, tutto secondo una rigida etica professionale e senza conflitti di interesse!

Moody's e la guerra della lira
Quasi in contemporanea con la nomina del governo Amato, l'agenzia di "rating" newyorchese Moody's annunciò, con la sorpresa di molti, che avrebbe retrocesso l'Italia in serie C dal punto di vista della credibilità finanziaria. Questo, senza che le cifre del debito italiano fossero cambiate drasticamente (la tendenza al deficit era nota almeno da due anni) e senza alcun rischio di insolvenza da parte dello stato. La giustificazione di Moody's fu che il nuovo governo non dava sufficienti garanzie di voler apportare seri tagli al bilancio dello stato. Negli ambienti finanziari internazionali, Moody's è famosa perché usa come arma "politica" la sua valutazione di rischio, tale che beneficia interessi angloamericani a svantaggio di banche rivali o, come nel caso dell'Italia, di intere nazioni. Il presidente della Moody's, John Bohn, ha ricoperto un'alta carica nel ministero del Tesoro USA sotto George Bush.

La mossa di Moody's costrinse il governo Amato ad alzare i tassi d'interesse sui BOT per non perdere gli investitori. Essa segnalò anche l'inizio di una guerra finanziaria contro la lira. Secondo fonti ben informate, i più aggressivi speculatori contro la lira, nell'attacco del luglio scorso, furono la Goldman Sachs e la S.G. Warburg di Londra. Ribadiamo che la speculazione ebbe un movente principalmente politico, non finanziario, e che, purtroppo, ebbe successo. L'Italia fu costretta ad abbandonare lo SME e il governo varò un piano di tagli e annunciate privatizzazioni per ridurre il deficit.
Ciò che Amato non ha mai detto è che la svalutazione della lira nei confronti del dollaro ha dato agli avventurieri della Goldman Sachs e delle altre finanziarie di Wall Street un grande "vantaggio". Calcolato in dollari, l'acquisto delle imprese da privatizzare è diventato, per gli acquirenti americani, circa il 30% meno costoso. Lentamente, specialmente dopo l'ultimo attacco speculativo dell'inizio dell'anno, la lira si va assestando sul valore "politico" di circa 1000 lire a marco, esattamente il valore indicato dalla Goldman Sachs nel luglio scorso come “valore reale” della moneta italiana.

Come mai questa "coincidenza"? Come mai la finanziaria newyorchese ha appena aperto un ufficio operativo in un paese che secondo i suoi criteri sprofonda nella crisi? Come mai un economista come Romano Prodi, "senior adviser" della Goldman Sachs, suggerisce di privatizzare alla grande, vendendo tutte e tre le banche d'interesse nazionale (Banca Commerciale, Credito italiano, Banca di Roma), più il San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena e l'Ina (Convegno presso l'Assolombarda il 30 settembre 1992)?

Lo stesso Prodi, che nel passato è stato a capo dell'IRI, oggi sembra aver sposato completamente la causa neoliberista angloamericana, tanto da aver proposto, a metà novembre, che l'Europa applichi verso i paesi dell'est una politica simile a quella dell'accordo di libero scambio siglato tra Stati Uniti, Messico e Canada (NAFTA). Un tale trattato darebbe il via libera alle grandi imprese per trasferire le loro attività all'est, dove la forza lavoro costa meno (è quanto è avvenuto ai confini tra Stati Uniti e Messico). Ciò aggraverebbe la crisi all'ovest e condurrebbe, nel medio-lungo termine, ad un abbassamento della produttività anche all'est, dato che la manodopera sottopagata è anche meno qualificata.

Il governo italiano deve scartare una simile politica, così come deve abbandonare il circolo vizioso dei tassi d'interesse alti che, per difendere la moneta, alimentano lo stesso deficit che si dichiara di voler combattere. Tra il giugno e il settembre scorso, i tassi sono aumentati paurosamente, da circa l'11% al 20% prima che la lira abbandonasse lo SME. Tuttora la Banca d'Italia mantiene il tasso d'interesse al 13%. Tenuto conto che ogni punto di aumento degli interessi si traduce in 15.000 miliardi in più sul debito dello stato a breve termine, il governo italiano è stato messo alle corde dagli speculatori angloamericani (e dai loro complici italiani) aumentando la pressione per privatizzare a prezzi di svendita.

Andando avanti su questa strada, l'Italia commetterà un suicidio economico. La sola via d'uscita è l'adozione di una politica creditizia nazionale del tipo che ai tempi di Enrico Mattei si sarebbe considerata ovvia. Occorre ripristinare il controllo sui cambi, congelare una parte del debito con una moratoria di 10-15 anni (salvaguardando naturalmente gli interessi dei piccoli risparmiatori), parallelamente all'avvio di una aggressiva politica di investimenti, favorita da crediti agevolati, nelle infrastrutture moderne, in concerto con i partner europei. Per far ciò, occorre che lo stato si riappropri della piena sovranità monetaria, il che significa che per finanziare gli investimenti esso non debba bussare alla porta della Banca d'Italia, la quale ha finora, incostituzionalmente, battuto moneta a nome dello stato per poi rivendergliela a tassi "di mercato", cioè da usura. I motivi che hanno portato al "divorzio" tra il Tesoro e la Banca d'Italia, e cioè l'improduttivo finanziamento del debito, esistono, ma combattere il malgoverno non significa eliminare il governo. Perciò occorre porre fine al "divorzio" tra Bankitalia e Tesoro.
Una efficace repressione dell'attività di riciclaggio del denaro da parte della mafia, compreso quello investito nei BOT, accompagnata da un astuto cambio della moneta (la famosa “lira pesante”), darebbe alle istituzioni dello stato una posizione di forza e la credibilità e la fiducia popolare. L'alternativa è il caos e la guerra civile.


28 giugno 1993 Come difendere l’industria nazionale dalla speculazione e dalle svendite indiscriminate
Ampia rappresentanza delle forze politiche italiane alla conferenza del Movimento Solidarietà e dell'Executive Intelligence Review
Il Movimento Solidarietà e la Executive Intelligence Review hanno tenuto il 28 giugno 1993 a Milano, presso la sala FAST, una conferenza sul tema dell'economia, affrontando in particolare aspetti come le moderne tecniche di speculazione finanziaria, le privatizzazioni ed i grandi programmi di sviluppo.
La caratteristica forse più singolare della conferenza è stata la partecipazione dei rappresentanti di numerose forze politiche, anche disparate o divergenti, animati dal comune interesse di approfondire la conoscenza del pensiero economico dell'economista americano Lyndon LaRouche e di misurarsi con questo.

Da qui l'opportunità di dedicare il primo numero del bollettino della nuova associazione alla pubblicazione degli atti del convegno, per mettere a disposizione di un più vasto pubblico le analisi e le documentazioni che gli specialisti dell'EIR William Engdahl e Claudio Celani hanno esposto nelle loro relazioni, come pure gran parte dei numerosi contributi con i quali parlamentari, giornalisti e altri partecipanti hanno arricchito e animato il convegno.
"La speculazione selvaggia sui mercati internazionali e la «geopolitica» britannica sono le due facce della stessa medaglia oligarchica", ha affermato nella sua breve introduzione ai lavori il giornalista dell'EIR Paolo Vitali, moderatore della conferenza. Vitali ha sottolineato che le speranze di milioni e milioni di persone, a seguito della caduta dei regimi comunisti del 1989, non sono state tradite dal fatale sprigionarsi di eventi e forze che non subivano più le strettoie della divisione del mondo in rigide sfere d'influenza, come asseriscono certe teorie sociologiche, ma sono state negate da un preciso piano di destabilizzazione "geopolitico", che è partito ancor prima del crollo del muro di Berlino, e dalla incapacità e codardia delle forze politiche ed élite europee di reagire a questa nuova e precisa minaccia.

"L'economista e politico americano Lyndon LaRouche, che sconta innocente in un carcere del Minnesota da quasi cinque anni una montatura giudiziaria orchestrata dall'amministrazione Bush" - ha continuato Vitali - "ha tracciato tempo fa il paragone tra le situazione post 1989 con il periodo che precedette la Prima Guerra mondiale. A quel tempo l'oligarchia imperiale britannica sviluppò il concetto della «geopolitica» per far fronte alla minaccia rappresentata dalla potenzialità di sviluppo economico e sociale in tutta l'Europa continentale, l'«Eurasia». Due guerre mondiali, il Trattato di Versailles e l'accordo di Yalta, furono le dirette conseguenze di questa strategia «geopolitica»".

"Con l'avvicinarsi del crollo della Cortina di Ferro nel 1989, i circoli oligarchici anglo-americani decisero che bisognava a tutti i costi impedire che la riunificazione tedesca costituisse un trampolino di lancio per una nuova politica di indipendenza, integrazione e sviluppo economico per tutto il continente, ripristinando il progetto de Gaulle di «un'Europa dall'Atlantico agli Urali». Gli attacchi alla Germania come «Quarto Reich», partiti dalle più alte sfere londinesi, e fatti propri dai nazi-comunisti serbi, l'aggressione del Panama, la guerra del Golfo, le atrocità interminabili nell'ex Jugoslavia, la destabilizzazione economica dell'Est europeo con le folli «terapie d'urto» dei liberisti, l'eliminazione fisica di chi proponeva un piano alternativo di sviluppo, come il Presidente della Deutsche Bank Alfred Herrhausen, sono tutti aspetti di questa complessa e articolata strategia di destabilizzazione".


"Questa è la stessa trama destabilizzatrice che in Italia, soprattutto con gli eventi dell'ultimo anno, mira a frantumare le fondamenta stesse del nostro essere nazione sovrana indipendente. Guerre e destabilizzazioni, politiche economiche super liberiste, una speculazione selvaggia che ha trasformato i mercati finanziari internazionali in un'unica casa da gioco d'azzardo, sono elementi solidali di una strategia oligarchica, come contiamo di dimostrare, che o è fermata e sconfitta o può farci sprofondare, in un futuro tutt'altro che lontano, in un altro catastrofico conflitto".

La piaga della "finanza derivata" e l'economia dell'illusione Discorso di William Engdahl, esperto economico dell'EIR di Wiesbaden, autore di «A Century of War», un libro che descrive il ruolo del petrolio come un'arma fondamentale nella politica anglo-americana dei Nuovo Ordine Mondiale.
L'Italia è vittima di una destabilizzazione sistematica ad opera di forze coordinate interne ed estere. La componente solitamente meno compresa è quella estera, rappresentata da un cartello di speculatori stranieri impegnati a distruggere il paese con denaro preso a prestito.
Nel 1948 l'Italia era considerata di importanza strategica nella NATO per arginare il diffondersi del comunismo in Europa, in particolare nei Balcani e nel Mediterraneo. In questo contesto di strategia geopolitica una crescita economica del Paese era ritenuta una componente essenziale.

Un discorso differente è invece quello che riguarda l' indipendenza dell'Italia. Howard K. Smith, un "insider" americano, parlò apertamente della spartizione del bottino della seconda guerra mondiale nel 1949 affermando: "Fino al 1946 le potenze vittoriose si sono disputate gran parte del vuoto lasciato da Hitler (...) l'Italia, occupata dalle potenze occidentali, sarebbe diventata un'area in cui avrebbe predominato l' influenza britannica".
Questo predominio fu rappresentato principalmente dall'influenza che la Mediobanca avrebbe assunto sotto Enrico Cuccia. La Mediobanca fu posta sotto il controllo di fatto della Lazard Freres di Londra, una banca che è proprietà di un raggruppamento estremamente influente dell'establishment britannico, il Pearson Group PLC. Il Pearson Group controlla anche la rivista «Economist» ed il quotidiano «Financial Times», che si sono recentemente distinti nella campagna di attacchi alle istituzioni economiche e politiche italiane.

Dal 1989 però, e dalla fine del regime comunista di Mosca, l'establishment anglo-americano si è reso conto del fatto che un'Italia economicamente stabile e collegata ad un'Europa continentale che si rafforza attorno ad una Germania riunificata e pro- spera non serviva più agli scopi di un'egemonia globale atlanticista, anzi, rappresentava una minaccia.
La crisi finanziaria in cui sia l'America che l'Inghilterra versavano nel 1989 si avvicinava alle dimensioni della Grande Depressione degli anni Trenta. Per far fronte all'erosione della propria egemonia gli anglo-americani adottarono ulna dottrina tanto semplice quanto folle: cercare in ogni modo di distruggere la stabilità dell'Europa continentale per impedire che essa potesse fungere da polo antagonista all'egemonia globale anglosassone.
Questo è il contesto in cui si colloca tutto ciò che viene fatto contro l'Italia ed il resto dell'Europa.

George Soros e la finanza derivata
Il crac della borsa di Wall Street, nell'ottobre del 1987, coincise con il lancio di una strategia radicalmente nuova da parte delle grandi finanziarie, quali la Salomon Brothers, Merrill Lynch, Morgan Stanley e di grandi banche americane quali la Citicorp, Bankers' Trust, J.P. Morgan & Co. Il crollo record di 508 punti dell'Indice Dow Jones, verificatosi il 19 ottobre 1987, fu causato da un'incredibile innovazione introdotta nelle transazioni finanziarie. Le grandi finanziarie acquistavano contratti a termine, i "futures", non di ditte specifiche, ma su interi indici delle azioni borsistiche. Le finanziarie di Wall Street ricorsero ad un trucco, acquistando le "futures" ad un costo inferiore del 10% rispetto alle azioni stesse, ed influenzando così un rialzo del prezzo delle azioni sul mercato di New York. Ma poteva funzionare anche nel- la direzione opposta. Questo portò alla bolla speculativa che esplose il 19 ottobre, con l'effetto acceleratore dei sistemi computerizzati.

I computer di Wall Street erano stati preprogrammati in modo da vendere automaticamente al verificarsi di una caduta dei mercati. Fu un gioco che spinse i mercati finanziari verso una paralisi irreversibile, ma a quella paralisi non ci si arrivò solo grazie al precipitoso intervento stabilizzatore da parte delle Banche Centrali. Proprio qui stava il trucco escogitato a Wall Street: avevano inventato un sistema di gioco d' azzardo in cui non si rischia di perdere! Molto meno rischioso della gestione di un casinò a Las Vegas.
Il gruppo di Wall Street cominciò allora a sperimentare quest'arma terribile sulla borsa di Tokio. Nel novembre del 1989 l'Indice Nikkei Dow toccava i record storici di 39 mila Yen. Ma all'inizio dell'estate successiva quel valore era già dimezzato. A scatenare il tracollo furono le stesse case americane: Salomon Bros. Morgan Stanley, Merrill Lynch, Bankers Trust, Goldman Sachs, con un nuovo apporto dei brokers londinesi.

Una conseguenza delle operazioni per approfittare del drastico ribasso della borsa di Tokio (le cosiddette "put options" o "short-selling") fu il ritiro pressoché completo degli investimenti giapponesi nel resto del mondo, mentre le banche del Sol Levante versavano nella crisi peggiore del dopoguerra.
Nel frattempo Washington e Londra esercitavano notevoli pressioni sulle altre capitali del Gruppo dei Sette perché favorissero la "liberalizzazione" dei mercati finanziari e la partecipazione al "gioco globale". All'Uruguay Round dei negoziati GATT per la prima volta si discusse il libero scambio dei servizi finanziari.

Parallelamente alla "globalizzazione" dei mercati finanziari mondiali si verificò senza chiasso uno sviluppo estremamente importante.
Il direttore della Central Intelligence Agency William Webster decise di istituire una nuova sezione della CIA, il Directorate V. Annunciando la decisione a Los Angeles, Webster sottolineò l' importanza della tendenza alla "globalizzazione dei mercati finanziari internazionali" come un'area d'interesse per la nuova CIA. Finita l'era della guerra fredda, Webster vedeva una nuova missione per la CIA nello spionaggio contro "gli alleati politici e militari dell'America che al tempo stesso sono nostri concorrenti economici".
Dopo cinque anni di collaudi e affinamenti condotti a Tokio ed a Wall Street le tecniche innovative di Wall Street venivano sottoposte alla prova più ambiziosa: far crollare le valute nazionali, ad onta delle più autorevoli autorità bancarie centrali, mettendo i governi con le spalle al muro. A Wall Street furono introdotti nuovi strumenti finanziari che non avevano alcun collegamento concreto con il flusso reale di scambi commerciali e di investimenti. A questi strumenti fu dato il nome di "derivatives", o finanza derivata.

A Wall Street svilupparono le operazioni nel regno dei tutto astratto dei contratti finanziari a termine, che poi furono estese anche alle valute; si stabilì così un mercato di "futures" tra vari paesi e non solo nell'ambito di una sola borsa. Si scommette sul prezzo futuro di una valuta rispetto ad un'altra, ad esempio il marco rispetto al dollaro, oppure sul valore di un titolo di stato di un paese rispetto a quello di un altro, ad esempio entro una scadenza di 90 giorni.
Si tenga ben presente però che l'oggetto della compravendita non è un Buono del Tesoro italiano e un qualsiasi altro corrispettivo straniero, ma si scommette, così come si fa alle corse, sul loro valore entro una data scadenza.
Le grandi finanziarie di Londra e di Wall Street si attrezzarono con i sistemi di Contrattazione computerizzata che collegarono con le principali piazze finanziarie internazionali realizzando così la globalizzazione finanziaria di cui parlava Webster.

I nuovi contratti furono chiamati "derivati" in quanto il loro prezzo deriva da un titolo azionario o finanziario reale, o da una merce, ma non esiste un collegamento con la sua diretta proprietà. A Chicago, ad esempio, iniziarono la contrattazione di contratti a termine dell'indice del Nikkei Dow di Tokio, e lo stesso fecero da re. A Tokio non svolgevano contrattazioni simili e non ne capivano l'importanza. Gli sforzi del ministero delle Finanze nipponico per ottenere la cooperazione di Singapore a sospendere tali scambi fallirono in blocco. Gli organi d'informazione statunitensi e britannici criticarono quell'iniziativa giapponese come "passata di moda".

La Moody's crea l'ambiente controllato
Nei giorni successivi al "no" danese nel referendum del 2 giugno 1992 sul Trattato di Maastricht gli "insider" di Wall Street prepararono il grande attacco. Nel luglio 1992 gli operatori più importanti furono messi al corrente del fatto che "entro la fine dell'anno ciascuna moneta dello SME in Europa avrebbe cominciato a fluttuare liberamente". I manager delle finanziarie decisero pertanto di sbarazzarsi dei titoli e delle valute europee. Tra i candidati più ovvi per tale svendita spiccavano l'Italia, come pure l'Inghilterra.
Ciò di per sé però non bastava. Il rischio era troppo alto e bisognava andare invece sul sicuro, perché sullo SME vegliava uno schieramento di alcune tra le più potenti banche centrali del mondo, a partire dalla Bundesbank, legate da un patto di reciproca difesa. A questo punto si ricorse ai servigi della Moody's Investor Service, una ditta che stabilisce il "rating" a Wall Street, stabilisce cioè il grado di affidabilità dei titoli.

Anni addietro l'Italia aprì le porte agli investimenti stranieri, e vi fu costretta per finanziare il deficit, dando anche agli stranieri l'opportunità di acquistare Buoni dei Tesoro. Bastava allora convincere questi investitori stranieri che il debito statale italiano valesse poco più di quello di un paese come la Bolivia, ed essi si sarebbero precipitati a liquidare quei titoli, costringendo così la Banca d'Italia ad offrire tassi di interesse sostanzialmente più alti per i nuovi Bot.

Questo è il compito che la Moody's ha assolto a partire dal giugno dello scorso anno. Iniziò annunciando di aver posto il debito italiano nella lista del "credit watch", cioè sotto osservazione per una probabile retrocessione, benché non si stesse verificando alcuna crisi di solvibilità. Poi ci fu la serie di retrocessioni del debito italiano decretate dalla Moody's seguite ogni volta da un rialzo dei tassi di interesse che il Tesoro era costretto ad offrire agli acquirenti dei suoi titoli.
Ogni aumento dell'l% del tasso d'interesse sul vasto debito pubblico italiano significa un aumento medio del deficit governativo di circa 17 mila miliardi di lire, che in pochi minuti brucia i disperati tagli effettuati sulla spesa pubblica. Le nuove emissioni a tassi maggiorati erano interpretati dalla Moody's come un nuovo segnale di "inaffidabilità", e giù un altro votaccio sulla pagella dell'Italia. Si tratta evidentemente di un circolo vizioso deliberatamene messo in moto dalla Moody's che culminò nel settembre scorso!

Ma cos'è questa Moody's, questo ente privato che ha finito col decidere il destino di nazioni e governi sovrani? Chi gli conferisce tanta autorità? Perché ad esempio non ha dato pollice verso anche agli Stati Uniti, visto che il debito pubblico di quel paese ha superato i 4 mila miliardi di dollari?
Nel mondo finanziario la Moody's è famosa come "la più politica" agenzia di "rating". È presieduta da John Bohn, che nell'amministrazione di Bush era un funzionario ad alto livello del Tesoro. Mentre votava una retrocessione dopo l'altra dell'Italia l'estate scorsa la Moody's dava un rapporto molto positivo sulle grandi banche, come la Citicorp, che avevano esteso prestiti all'impero immobiliare canadese Olimpia & York di Paul Reichmann finito in una bancarotta clamorosa. I Reichmann erano legati politicamente ad Henry Kissinger, a lord Carrington ed all'oggi famoso George Soros. La Moody's e premurosa con gli amici.

La cosa è persino più palese. Proprietaria della Moody's è la Dun & Bradstreet Inc. che è anche proprietaria del Wall Street Journal. Nel consiglio d'amministrazione della Dun & Bradstreet figurano i principali direttori delle più importanti finanziarie di Wall Street che hanno condotto la speculazione contro la lira, e che sono anche quelle che al tempo stesso "prestavano consulenze" al governo italiano su come condurre il delicato processo di privatizzazione delle imprese di stato. II conflitto d'interessi è ovvio.
Nel consiglio d'amministrazione della M.J. Evans, strettamente legata alla Moody's, figura un personaggio che al tempo stesso è nel consiglio di amministrazione della Morgan Stanley ed un altro ancora, R.A. Hansen, figura nella direzione della ,J.P. Morgan e della Merrill Lynch! Un altro ancora è Charles Raikes, che è stato consigliere della Federal Reserve dal 1958.
George Leung, amministratore delegato della Moody's Investors Service, dichiarava su Financial World del 18 febbraio: "La gente è sempre più disillusa nei confronti del governi, sempre più preoccupata degli imbrogli e problemi che vede nei governi e finisce col cercare qualcuno che possa indipendentemente far luce su tanta confusione. Questo è il nostro ruolo". Questa dichiarazione d'intenti è anteriore alla campagna della Moody's contro l'Italia. Chi ha affidato alla Moody's il potere di decidere sulle nazioni? Nessuno. Moody's ha colmato il vuoto creatosi con la paralisi dei governi, costringendo ad accettare i propri diktat con la minaccia di voti sfavorevoli sul debito. La Moody's però ha solo preparato il terreno. L'attacco alla lira è stato sferrato dalla speculazione della finanza derivata, diretta a colpire il "fianco debole" dello SME.

George Soros ed i suoi amici
Con l'avvicinarsi in Francia della scadenza referendaria su Maastricht del 19 settembre,un raggruppamento di banche e speculatori di Wall Street, diretto da George Soros, uno strano personaggio di origine ungherese, lanciò una formidabile ondata speculativa per costringere la lira a svalutare ed uscire di conseguenza dallo SME.
Ecco come funzionò.
La finanza derivata, teniamolo presente, consiste in scambi in cui non si cedono o acquistano azioni o titoli reali, ma che rappresentano solo un accordo tra le due parti a compiere pagamenti ad una futura scadenza in rapporto al rendimento di una merce o una valuta. L'esempio tipico è dato da una banca che compie un'operazione commerciale "derivata" mettendo a disposizione soltanto il 10% dei valore nominale del contratto, cioè il deposito di garanzia. Grazie ai collegamenti personali con banche come la Citicorp di New York, George Soros è stato capace di far crollare la lira e la sterlina, come pure la corona svedese, il tutto soltanto con denaro preso a prestito, senza versare più del 5% per il margine di garanzia collaterale!

In sostanza Soros ha dato come garanzia soltanto 50 milioni di dollari di titoli per ottenere una linea di credito, dalla Citicorp ed altre banche, di un miliardo di dollari. Un prestito a tempi brevissimi, per scommettere sulla svalutazione forzata della lira nei giorni in cui in Francia si teneva il referendum! Il rapporto speculativo del suo denaro è stato di 20:1. Dal canto loro la Bundesbank, la Banca d'Italia e le altre banche per difendere la propria valuta hanno invece dovuto sborsare il prezzo completo degli acquisti. Si stima che la Bundesbank abbia speso a settembre 60 miliardi di dollari nelle varie operazioni di difesa delle monete dello SME. Utilizzando i "derivatives", Soros e Wall Street hanno potuto spuntarla sulla Bundesbank con soli 3 milioni di dollari (20:1) !

In una tipica operazione di swap con i "derivatives" condotta da Soros lo scorso autunno si sono acquistate lire con i dollari, le lire sono poi state convertite in marchi tedeschi al tasso fisso di cambio dello SME. Poi è stata la volta della Moody's a declassare l'Italia, mentre gli organi di informazione internazionali si davano da fare a descrivere la gravità della crisi economica e politica del paese. Le corporation hanno avuto paura ed hanno cominciato a vendere lire. La valuta italiana è così passata da 765 lire contro il marco all'inizio di settembre alle 980 lire solo quattro settimane più tardi.
A quel punto Soros poteva acquistare lire fortemente scontate (il 28% in meno) e ripagare il suo debito iniziale, prima che scadesse la data del suo contratto, per il quale aveva inizialmente versato solo il 5%. II profitto che ne ha ricavato si calcola sul 560%, cioè circa 280 milioni di dollari. Ma nessuna autorità di vigilanza sarebbe potuta intervenire perché l'operazione è stata condotta "fuori registro", o come si suoi dire "Over-the-Counter", direttamente tra le due parti interessate senza altre formalità.

Naturalmente, se la lira si fosse rivalutata del 5% l'impero di Soros sarebbe stato spazzato via all'istante. Soros però non è soltanto un giocatore d'azzardo "fortunato".
Intendo infatti spiegare che Soros è riuscito a condurre le sue recenti operazioni speculative in grande stile perché ha accesso alle informazioni più riservate dei centri di potere. Nel caso della crisi dello SME, come poteva sapere Soros quale delle 12 valute sarebbe stata colpita in quale giorno preciso?
Ex funzionari della Federal Reserve USA spiegano privatamente che Soros ha ricevuto informazioni riservate da parte di un amico che nella Federal Resene di New York lavora nel settore delle valute internazionali. La Fed di New York dispone, minuto per minuto, delle informazioni sull'andamento delle monete direttamente dalle banche centrali europee. Se Soros può disporre di tali informazioni il suo gioco è garantito.

Ma chi c'è dietro questo personaggio misterioso? Soros opera attraverso la Quantum Fund NV, una compagnia off-shore registrata nelle Antille Olandesi.
Opera insieme ad un raggruppamento internazionale che potrebbe essere chiamato il gruppo dei Rothschild. Nel consiglio di amministrazione della Quantum Fund figura Nils Taube, socio d'affari di lord Rothschild, e sir James Goldsmith, imparentato ai Rothschild. Altro membro del Quantum è Richard Katz che a Milano dirige la Rothschild Italia, S.p.A. Altri esponenti del Quantum sono Isidore Albertini della ditta di brocheraggio milanese Albertini & Co.; Alberto Foglia, capo della Banca del Ceresio di Lugano; e Edgar Picciotto, un socio di affari di Carlo de Benedetti. Picciotto dirige inoltre la CBITDB Union Bancaire Privée di Ginevra.

Si dice poi che al Quantum partecipino segretamente anche Marc Rich, uno svizzero latitante che operava nel settore dei metalli preziosi e del petrolio, ed il mercante di armi israeliano Shaul Eisenberg. Soros inoltre è colui che ha introdotto in Polonia ed in Russia il professore di Harward Jeffrey Sachs, il guru della terapia d'urto che causa il caos economico incontrollabile e profitti astronomici per gruppi ristretti di potere. Degno di nota è il fatto che Marc Rich ed Eisenberg sono stati tra gli investitori più attivi nell'Europa orientale e nel CSI a partire dal 1990.
Torniamo alla "Dottrina Webster" della CIA, promulgata nel 1989. All'epoca di Bush Washington era impegnata a sabotare l'unità economica europea. L'estate scorsa il governo USA fece strane dichiarazioni che ebbero l'effetto di scuotere le parità delle monete europee in rapporto al dollaro, come fase preliminare della crisi di settembre. Responsabile di quella operazione fu l'allora viceministro del Tesoro David Mulford, che oggi presiede la Credit Suisse First Boston di Wall Street. Prima di andare a Washington nel 1982 Mulford era uno dei direttori della Merrill Lynch, quando allora era presieduta da Donald Reagan, che andò anche lui a Washington come ministro del Tesoro sotto il Presidente Reagan.

Degno di nota è che una delle primissime nomine fatte dal Presidente Clinton riguarda Robert Rubin, presidente della Goldman Sachs, finanziaria più prestigiosa di Wall Street. Oggi Rubin è il Direttore dei nuovo Consiglio di Sicurezza Economica Nazionale della Casa Bianca. Esperti osservatori di Washington ritengono che il nuovo consiglio sia stato creato per coordinare l'applicazione della Dottrina Webster direttamente dalla Casa Bianca.
Le alte sfere della CIA, magari attraverso ex funzionari, hanno fatto opera di reclutamento nei consigli di amministrazione delle grandi finanziarie di Wall Street. Ai dirigenti delle finanziarie che accettano, la CIA impartisce un particolare addestramento ed essi tornano poi al loro mondo di Wall Street. Conosco personalmente un banchiere svedese che è stato invitato a Washington il novembre scorso ad un seminario dove l'ex capo della CIA William Colby teneva un discorso sul tema della nuova missione di spionaggio economico dei servizi segreti USA. Colby è personalmente impegnato a reclutare i dirigenti delle grandi finanziarie spiegando loro che adesso i mercati finanziari globali sono considerati un "area di interesse della sicurezza nazionale USA". Il seminario era sponsorizzato dalla Merrill Lynch e dalla Borsa di New York.

L'esplosione della finanza derivata
"Senza la crescita enorme delle operazioni speculative della finanza derivata la crisi dello SME non si sarebbe mai verificata", ha affermato recentemente un esperto banchiere europeo. Mentre nel 1987 le banche centrali furono in grado di difendere la stabilità dello SME a costi minimi, nel 1992 esse sono state ridotte all'impotenza dai meccanismi della finanza derivata.
Invece di svolgere una regolare attività di compravendita nei mercati a termine regolari, come quello di Chicago, dove le banche sono costrette a versare un deposito di garanzia ed a rendere nota quotidianamente la propria esposizione creditizia, i grandi di Wall Street eludono la sorveglianza del governo trattando direttamente, "Over the Counter", tra banca e banca o tra banca e finanziarie straniere. La transazione non figura nel bilancio della banca cosicché gli investitori non possono sapere quanto è il rischio che l'istituto in questione corre di fronte ad un crollo del già enorme mercato dei "derivatives".

La classifica dei grandi speculatori in "derivatives" era guidata lo scorso anno dalla Citicorp, che vantava operazioni per circa 1400 miliardi di dollari. Seconda era la Chemical Bank con 1300 miliardi di dollari, terze a pari merito la J.P. Morgan e la Bankers Trust, con mille miliardi di dollari ciascuna. Sono contratti che riguardano azioni, petrolio, obbligazioni come pure gli swap internazionali di valuta e gli swap dei tassi d'interesse. Per quanto riguarda queste ultime due voci, i contratti "derivati" oltre confine hanno già raggiunto l'astronomico ammontare di 4 mila miliardi di dollari.
La graduatoria dell'esposizione su questo mercato dei contratti "derivati" continua con la Merrill Lynch, per 720 miliardi di dollari, la Salomon Bros., con 730 miliardi di dollari e la Morgan Stanley con 300 miliardi di dollari. Queste attività hanno aperto tutto un vasto settore di informatica bancaria sofisticatissima, che impiega i supercomputer CRAY per processare i dati in parallelo, necessari per gestire la contrattazione automatica senza frontiere che avviene grazie a programmi capaci di far fronte ai complessi problemi di calcolo del rischio a variabile multipla. Ma, a parte questi aspetti pittoreschi, a fare profitti con la speculazione "derivata" so- no solo gli "insider traders" di New York. Il gioco d'azzardo è truccato, con la complicità di Washington. Cercare di capire gli aspetti "tecnici" della manovra con la quale Soros è riuscito ad intascare un miliardo di dollari di profitti speculando sulla sterlina a settembre è fatica sprecata. Certo è però che giornali finanziari quali il Wall Stret Journal ed il Financial Times fanno il possibile per destare l'impressione opposta.

Il che fare
Governi e banche centrali dell' Europa continentale hanno sin ora respinto le nuove tecniche speculative della finanza derivata. Alcuni banchieri svizzeri e tedeschi sono convinti che l'offensiva condotta dagli anglo-americani con la finanza derivata sia “più pericolosa di una guerra nucleare con la Russia”. Il 24 novembre, poco dopo la crisi dello SME, il direttore generale della Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea Alexander Lamfalussy ha dichiarato ad un gruppo di banchieri a Londra: "Volete sapere perché molti colleghi delle banche centrali nutrono le mie stesse preoccupazioni che queste attività possano rappresenta- re problemi di natura sistemica nel sistema finanziario internazionale?" Lamfalussy teme il ripetersi del fenomeno verificatosi col crac borsistico del 1987: "l'attività sui mercati derivati potrebbe avere notevoli ripercussioni nei sotto- stanti mercati a pronti, al punto da accentuare proprio quella instabilità dei prezzi contro la quale si pensava di dare un'assicurazione con alcuni strumenti derivati".

Lamfalussy ha inoltre spiegato che la grande esposizione negli strumenti fuori bi- lancio da parte delle banche "ha reso più opaca la natura e la distribuzione del rischio nelle operazioni sul mercato finanziario". Ha infine prospettato lo scenario peggiore: "Qualora si verificasse un problema in un istituto le altre ditte reagirebbero immediatamente e drasticamente. Potrebbero ritirare improvvisamente ed indiscriminatamente linee di credito, e persino disimpegnarsi da operazioni in corso. Il tutto aumenterebbe la possibilità del verificarsi improvviso di un blocco globale di liquidità".

Anche un personaggio di spicco a Wall Street come Henry Kaufman, che è stato il primo economista della Salomon Brothers, si è detto preoccupato perché la speculazione "derivata" fa intravedere "una prossima catastrofe colossale perle banche americane". Altri così bollano queste novità nel sistema finanziario: "ventiseienni con il computer stanno costruendo la bomba all'idrogeno finanziaria." Tuttavia non fanno nulla per controllare la situazione. La primavera scorsa Lamberto Dini condusse uno studio per il Fondo Monetario Internazionale, ma il suo rapporto è stato praticamente censurato, la stampa non ha ottenuto delle copie. Ad una mia domanda nel corso di una conferenza a febbraio, Lamberto Dini ha risposto: "Le banche americane e londinesi svolgono il grosso delle attività in questo processo. Dobbiamo determinare innanzitutto cosa stia effettivamente accadendo.

Alcuni segni di resistenza
Più recentemente il Presidente della Commissione Finanza e Banche del Congresso USA, l'on. Henry Gonzalez, ha richiesto alla Federal Reserve ed alla Commissione "Securities & Exchange" del governo di condurre un'indagine approfondita sulle attività all'estero del Quantum Fund di George Soros. Gonzalez ha chiesto di sapere come Soros possa fare profitti astronomici come quelli di settembre, quanto del suo capitale provenga dalle banche americane, in che misure le banche USA siano coinvolte nelle speculazioni di quel fondo, ed il ruolo specifico degli strumenti finanziari derivati nelle grandi manovre speculative di Soros. Questa è solo la superficie dei fatti.

Dietro le quinte infuria uno scontro tra le autorità bancarie europee e quelle americane. Le autorità d'oltre oceano sono radicali, ritengono che le banche statunitensi abbiano il diritto di non imporre alcuna restrizione alla finanza derivata. Ritengono infatti che questo sia il modo migliore di allentare la pressione sulle grandi banche USA, che disporrebbero in questo modo di maggiori capitali. Praticamente permettono che venga assicurato solo il margine netto di rischio, e non tutto il contratto. Le autorità di vigilanza europee non permettono una cosa del genere. Ritengono che sia dovere della banca assumersi al completo il rischio di un'insolvenza su tutto il valore nominale di un contratto.

Lo scorso ottobre il Congresso degli USA approvò la Futures Trading Practives Act of 1992, una legge che prevede che gli swap Over the Counter, cioè i contratti a pronti e termine di valuta o sui tassi di interesse che avvengono tra le due parti senza essere registrati, non rientrino più nella categoria dei "futures", dei contratti a termine, dando vita in tal modo ad una proliferazione cancerosa di carta finanziaria fuori dal controllo di qualsiasi autorità.
L'economista americano Lyndon LaRouche ha recentemente lanciato la proposta di imporre una tassa globale e ben coordinata su queste attività speculative, perché tassarle sarebbe il modo migliore di renderle meno attraenti per gli speculatori e quindi sgonfiare la pericolosa bolla. LaRouche ha proposto una tassa dello 0,1 % sul valore nominale, non sul valore "netto", di ciascuna transazione derivativa. "Questa è la bolla di John Law (nella Francia del 18mo secolo) all'ennesima potenza. La vulnerabilità di tutto il sistema finanziario, il caos e la distruzione delle strutture di produzione fisica sono potenzialmente incalcolabili, pertanto occorre mettere sotto controllo il fenomeno". La settimana scorsa intanto George Soros ha fatto sapere che tornerà alla carica. Questa volta è deciso a spezzare uno degli elementi portanti della coesione europea: il suo nuovo obiettivo è quello di spezzare il legame che unisce il marco tedesco al franco francese.

I protagonisti della destabilizzazione italiana Discorso di Claudio Celani, italian desk dell'EIR di Wiesbaden.
All'inizio dei gennaio scorso, l'EIR pubblicò un documento intitolato "La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni italiane: il saccheggio di un'economia nazionale". In quello studio, inviato ad alcuni organi di stampa, alle forze politiche ed alle istituzioni, si delineava un quadro preoccupante di attacco all'economia italiana nel contesto della cosiddetta "globalizzazione dei mercati", cioè la realizzazione di un unico sistema economico mondiale in cui non vi sarebbe stato più alcun controllo sui movimenti e sulla creazione di capitali.
In quel documento si riferiva un episodio passato inosservato, e che invece rivestiva una grandissima importanza. II 2 giugno 1992, a pochi giorni dalla morte del giudice Falcone, si svolgeva una riunione semisegreta tra i principali esponenti della City, il mondo finanziario londinese, ed i manager pubblici italiani, rappresentanti del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri nel governo Amato. Oggetto di discussione: le privatizzazioni. La cosa più grave è che questa riunione si svolse sul panfilo Britannia, di proprietà della regina Elisabetta II, la quale fu presente ai colloqui. Il Britannia, dopo aver imbarcato gli ospiti italiani a Civitavecchia, prese il largo ed uscì dalle acque territoriali. Avvenne dunque che i potenziali venditori delle aziende da privatizzare (governo e manager pubblici) discussero di ciò con i potenziali acquirenti, i banchieri londinesi, a casa di questi ultimi. Non sappiamo che cosa si siano detti questi signori, sappiamo solo che il direttore del Tesoro Mario Draghi provò tale imbarazzo che chiese di poter leggere il suo discorso quando il panfilo era ancora in porto, per poter scendere subito ed evitare di rimanerci quando questo prese il largo.

Sappiamo dell'imbarazzo di Draghi perché un settimanale, L'Italia, riprese l'articolo dell'EIR, citando la fonte, ed un parlamentare missino, Antonio Parlato, che lo lesse, presentò un'interrogazione parlamentare, anzi, poté rivolgere una domanda allo stesso Draghi, che quel giorno riferiva su altre questioni in Commissione Bilancio. In seguito, la notizia fu ripresa da numerosi organi di stampa, anche grazie al fatto che l'ex segretario del PSI Bettino Craxi aveva diffuso il documento dell'EIR alla Camera. Ci furono quindi numerose interrogazioni parlamentari (a Parlato, che ne fece mi sembra tre, si aggiunsero l'on. Tiscar, qui presente, e gli on. Pillitteri e Bottini) e altre sollecitazioni ufficiali (la senatrice Edda Fagni citò questo fatto nel discorso al Senato il giorno del voto di fiducia al governo Ciampi), ma né il governo di allora, guidato da Giuliano Amato, né quello attuale si sono sentiti in obbligo di fornire un chiarimento all'opinione pubblica ed al Parlamento.

Insisto su questo fatto perché mi sembra emblematico del modo in cui vengono prese le decisioni che determinano il futuro del nostro paese, cioè di milioni di cittadini che lavorano e pagano le tasse, ed hanno bisogno di avere fiducia in coloro che li rappresentano, che devono compiere scelte riguardanti il loro futuro, il loro posto di lavoro, i loro risparmi, i loro figli ecc.
Ebbene, il fatto del Britannia mostra che scelte decisive, come quelle delle privatizzazioni, vengono fatte al di fuori del Parlamento e addirittura in sedi così lesive dell'onore e della dignità nazionale come il panfilo della regina Elisabetta d'Inghilterra!

Su quel panfilo, siamo venuti a sapere, c'era anche l'attuale ministro degli Esteri Beniamino Andreatta, un personaggio che, benché non diriga personalmente un dicastero economico, entrò nel governo Amato proprio per accelerare il processo di privatizzazioni e tuttora, ne siamo certi, quando partecipa alle riunioni di gabinetto certamente dirà la sua in materia economica, anche per- ché di politica estera sembra capire ben poco. Ebbene, Andreatta dovrebbe come minimo chiari- re dinanzi al Parlamento che cosa disse e che cosa fece quel giorno sul Britannia e, nel caso emergano elementi compromettenti, dare le di- missioni. Noi siamo sicuri che Andreatta abbia qualcosa da raccontare, anche perché, analizzando il suo comportamento da ministro degli Esteri, si riscontrano evidenti coincidenze.

Guarda caso, infatti, l'ospite illustre della regina Elisabetta è anche quello che non appena messo piede alla Farnesina accoglie entusiasticamente la proposta britannica di mandare gli eserciti in Bosnia, a farsi massacrare dalle artiglierie serbe.
Andreatta, infatti, noncurante delle dichiarazioni dei nostri capi militari sul fatto che sarà una carneficina (non abbiamo nemmeno le corazze adatte sui nostri carri) afferma con disinvoltura che se è necessario si rivedrà il bilancio, quello stesso bilancio che fino ad un momento prima era una vacca sacra, intoccabile.
Preciso: non si tratta di essere contrari ad un intervento militare risolutore, ma esso va fatto senza mandare truppe coloniali sul territorio, bensì riarmando i bosniaci in modo che possano difendersi ed assistendoli cori l'aviazione.

Invece il comportamento di Andreatta è la prova che esiste un legame, come è stato detto nella introduzione, tra la strategia liberista, della "terapia d'urto" e delle privatizzazioni, e la geopolitica applicata nei Balcani per intrappolare l'Europa in uno scenario di conflitti. Quel documento dell'EIR, comunque, inquadrava l'episodio del Britannia in uno scenario più ampio, di vera e propria destabilizzazione politico-economica del paese. Come abbiamo sentito prima, la strategia geopolitica anglo-americana considera l' Italia, assieme ai Balcani, il fianco sud, il "ventre molle" di un potenziale blocco di sviluppo euroasiatico, e per questo l'Italia viene colpita.

Che la destabilizzazione fosse in arrivo lo si sapeva da quando l'allora capo della CIA sotto Bush, William Webster, annunciò che, come conseguenza del crollo del comunismo, l'apparato di spionaggio USA avrebbe impegnato le sue risorse in una strategia volta a contrastare i rivali economici: l'Europa ed il Giappone. Webster enunciò la nuova dottrina proprio mentre il Muro stava cadendo, il 19 settembre 1989, di fronte al World Affairs Council di Los Angeles. La Dottrina Webster è uno dei pilastri del "nuovo ordine mondiale" inaugurato sotto la presidenza Bush. L'altro pilastro, più concepito per le nazioni del Terzo Mondo, è la cosiddetta "Dottrina Thornburgh", secondo cui la legge americana è al di sopra del diritto internazionale. La Dottrina Thornburgh, dal nome dell'ex ministro della Giustizia USA, è quella che ha giustificato l'invasione del Panama.

Ed abbiamo, in coincidenza con questi sviluppi, l'apertura di una sede italiana della Bishop International, un'agenzia di informazioni operante nel mondo dell'economia, affiliata ad un altro ente simile, più noto, che si chiama Kroll International. Kroll è un ex agente della CIA che si è dato una copertura da "businessman" ma continua a lavorare per i vecchi padroni. Fu la Kroll, infatti, a raccogliere e divulgare informazioni sulle imprese europee che avevano fornito all'Irak materiale e tecnologia ritenuti "indesiderati" dall' amministrazione Bush. Ebbene, Bishop è un ex agente di Scotland Yard che ha lavorato per anni con Kroll e poi si è messo in proprio a raccogliere "informazioni economiche". Bishop ha aperto una filiale a Milano l'estate scorsa.

Ma l'iniziativa su scala più vasta sinora intrapresa nell' ambito della Dottrina Webster ci sembra quella di Robert McNamara, il quale ha fondato nel maggio scorso un organismo internazionale chiamato "Transparency International", il cui scopo sarebbe quello di combattere la corruzione su scala mondiale. Ora, è bene che noi italiani guardiamo con attenzione a ciò, perché dobbiamo evitare che nella sacrosanta lotta alla corruzione intrapresa a casa nostra (grazie a inquirenti che si sono svegliati dopo quarant'anni di letargo) ci affidiamo a metodi e "consigli" d'oltreoceano, se non addirittura a strutture investigative che sfuggono al controllo nazionale o sono influenzate da centri occulti. Questo vale sia per i reati amministrativi che per la lotta alla mafia.

Osserviamo da vicino l'iniziativa di McNamara. Innanzi tutto sorprende che un personaggio del genere scopra la vocazione per la giustizia. McNamara divenne famoso col nomignolo di "bodycount" (contacadaveri) quando era ministro della Difesa, durante la guerra del Vietnam. Quel nomignolo gli fu affibbiato perché compariva quasi ogni sera in televisione per vantarsi delle migliaia di nemici uccisi. Poi fece una famosa riforma al Pentagono, introducendo la dittatura dei ragionieri. Lui è fautore di una concezione economica di tipo assolutamente contabile, cioè non importa che cosa si produce ed a quale scopo, basta che il bilancio quadri. Andrebbe molto d'accordo col nostro Barucci o Andreatta. E' il modo di pensare tipico dei banchieri usurai, i veri padroni di questo "tecnico" che ha rivestito posizioni di potere senza essere mai eletto.

Transparency International esibisce alcuni nomi famosi come fiore all'occhiello, come l'ex ambasciatore di Carter alle Nazioni Unite, Andrew Young, o l'ex presidente dei Costarica Arias (su quest'ultimo ci sarebbe da ridire), ma non saranno costoro a combattere la "corruzione". Il compito sarà svolto dallo staff di funzionari, tutti provenienti dalla Banca Mondiale e dal Dipartimento di Stato americano. Transparency si occuperà di "consigliare" i paesi del Terzo Mondo e del settore in via di sviluppo, nonché quelli dell' Europa dell'est, su quali contratti stipulare con le nazioni dell'OCSE, e quali no.
Al proposito è istruttivo leggere un articolo apparso sul quotidiano di Berlino Tageszaitung il 7 maggio scorso, articolo in cui veniva intervistato il direttore di Transparency, l'ex manager della Banca Mondiale Peter Eigen. Il vero obiettivo di Transparency sembra quello di impedire il trasferimento di tecnologia dall'Europa ai paesi in via di sviluppo. Gli acquisti di impianti ad alta tecnologia, macchine ecc., comportano infatti transazioni finanziarie elevate, all'interno delle quali, dichiarano quelli di Transparency, possono facilmente celarsi tangenti e bustarelle. I crociati della lotta alla corruzione si tradiscono quando parlano di "progetti superflui": questa è la tradizionale politica malthusiana della Banca Mondiale, che ha sempre elargito i suoi scarsi finanziamenti a progetti di bassa produttività.

Non a caso l'organismo di McNamara ha scelto come sede Berlino ed ha annunciato che per il 1993 si prefigge l'obiettivo di stipulare contratti di consulenza con sei nazioni dell'Europa orientale. Sarà dunque l'ex carnefice del Vietnam a decidere che cosa i paesi dell'Europa dell'est acquisteranno dalla CEE e che cosa non acquisteranno. Naturalmente, c'è sempre lo zio Sam a fornire gli stessi beni senza bustarelle, cioè con tangenti "legali" del 5%.
Un altro protagonista della destabilizzazione economica è la più grande finanziaria di Wall Street, la Goldman Sachs. Nel nostro documento indicavamo come la G. Sachs avesse svolto un ruolo nel crollo della lira, dapprima annunciandone la sopravvalutazione ed indicando nel livello di 1000 lire al marco il tasso di cambio che essa riteneva realistico, poi buttandosi a vendere lire per contribuire a ottenere quel risultato. La Goldman Sachs si è posizionata sul mercato italiano aprendo l'anno scorso un ufficio "operativo" a Milano. Sorge quindi lecito il sospetto che la svalutazione della lira di circa il 30% serva tra l'altro a rendere più appetibili i pezzi delle ex PPSS che lo Stato ha deciso di mettere in vendita, e che andranno sicuramente ad acquirenti stranieri visto che nessuno in Italia ha i capitali a sufficienza.

Il comportamento di un personaggio come Romano Prodi, nominato dall'ex governatore Ciampi a presidente dell'IRI, conferma questi sospetti. Già un anno fa Prodi aveva esposto le sue idee in materia di privatizzazioni: privatizzare tutte le banche d'interesse nazionale, più il San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena e l'Ina. Ora, se crediamo ai resoconti di una sua intervista al Wall Street Journal, dichiara che non solo tutto delle ex PPSS si può vendere, ma anzi, le aziende vanno prima risanate e poi vendute. Quindi, prima le risaniamo con i soldi dei contribuenti italiani, poi le vendiamo a chi, ai soliti stranieri? Romano Prodi era fino a qualche tempo "senior adviser" della Goldman Sachs, e non ci risulta che si sia dimesso dalla carica. Allora deve decidere se fa gli interessi di Wall Strect o quelli dell'Italia. Oppure quelli del finanziere speculatore Soros, con cui collabora nei progetti di saccheggio dell'Europa orientale. Infatti, Prodi faceva parte del pool di economisti, assieme al famoso Jeffrey Sachs, che mise a punto il cosiddetto Piano Shatalin, un piano per la riconversione economica dell'ex URSS ideato da Soros, così radicale che fu respinto a suo tempo da Gorbaciov 1990-91).

Prodi è dunque collegato agli ambienti che speculano contro la lira, che saccheggiano l'economia dell'Europa dell'est ed hanno permesso in quei paesi un saldo insediamento della mafia. E' legittimo, quindi, il sospetto che la liquidazione dell'IRI, col passaggio in mano straniera delle migliori aziende, ad alto contenuto tecnologico, sia stata già decisa e che Prodi sia un semplice esecutore delle volontà degli ambienti internazionali a cui è legato.
Non si tratta di sostenere il "socialismo reale" se si dubita che, per definizione, il privato sia meglio del pubblico.

In generale, la presenza dello stato dovrebbe limitarsi alle infrastrutture, in primis l'energia, ma anche i trasporti, la scuola e la sanità. Ma proprio il caso italiano mostra che, laddove essa è guidata da manager onesti e competenti, l'impresa pubblica è in grado di competere in quanto ad efficienza e risultati con quella privata. Se ciò non avviene è solo dovuto al fatto che non abbiamo più dirigenti del calibro di un Enrico Mattei. Ricordiamo che ai tempi di Mattei l'IRI, un complesso che ci era invidiato all'estero perché era in grado di fare tutto, moltiplicava ogni lira investita per sei-sette volte. Solo il Progetto Apollo della NASA ha saputo fare di meglio.

Dai pochi elementi qui presentati, potrebbe concludersi che c'è una destabilizzazione voluta dell'economia italiana? Certamente, anche se qualcuno potrebbe ribattere su ogni singolo punto offrendo una spiegazione diversa. Ciò che ci fa affermare con sicurezza che la destabilizzazione esiste, non è tanto un ragionamento di tipo deduttivo, cioè un'ipotesi desunta solo dagli elementi fattuali, come farebbe Sherlock Holmes o la FBI. Il fatto da cui bisogna partire è che coloro che oggi propongono la ricetta liberistica, privatizzazione più tagli, sanno benissimo che questa ricetta non funziona (basta vedere lo stato in cui è ridotta l'economia inglese) e che, anzi, essa ha effetti distruttivi sull'economia nazionale a cui viene applicata. Esiste, dunque, una mens rea a monte di tutto ciò, di cui sono complici coloro che per ingenuità o per stupidità se ne fanno i portavoce in Italia.
Il liberismo è una truffa sin dalla nascita: quando Adam Smith scrisse il suo libro "La ricchezza delle Nazioni" lo fece per convincere gli Stati Uniti a non diventare una nazione industriale, e rimanere un paese agricolo. Cosa che l'America si guardò bene dal fare. Oggi lo stesso trucco viene riproposto in forma moderna e su scala mondiale o, come dicono gli angloamericani, globale.

22 ottobre 2007 Mr. Britannia colpisce ancora
Alla riunione dei ministri finanziari del G7 tenutasi a Washington il 19 ottobre, è stata ascoltata la relazione di Mario Draghi, che oltre ad essere il governatore di Bankitalia è anche, dal 2006, capo del Global Financial Stability Forum, e cioè la squadra di salvataggio del sistema finanziario mondiale. Stando al testo distribuito, non si vedono minacce mortali al sistema, né attualmente né all'orizzonte. Addirittura, la parte finale della relazione consiste in una totale assoluzione del ruolo degli hedge funds: il settore degli hedge funds di per sé non si è rivelato come uno dei principali elementi problematici per l'intero sistema come pure ci si sarebbe potuti aspettare. Un'assoluzione normale per chi, fino ad un anno fa, era vicecapo europeo di Goldman Sachs, uno dei principali gestori di hedge funds, ma strabiliante per chi, nelle vesti di banchiere centrale, dovrebbe sapere bene che proprio gli hedge fund sono stati i veicoli del collasso del sistema.
In privato, i partecipanti al G7 hanno ammesso ben altre verità, come si desume dalle dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco Steinbrück, che ha paventato il rischio di crollo di una grossa banca internazionale proprio come conseguenza del mancato rifinanziamento della "spazzatura" degli hedge funds.
Ci si chiede se l'operato del governatore sarà messo mai sotto scrutinio: difficile nell'attuale clima politico italiano, sotto scacco dagli stessi "poteri forti" che hanno sponsorizzato la carriera dell'illustre governatore. Draghi, che va sporgendo denuncia contro chi lo chiama "Mr. Britannia" (ricordando il suo exploit sul panfilo della Regina Elisabetta il 2 giugno 1992), viene addirittura candidato alla successione di Prodi nel caso che la spinta del suo ex compagno di scuola, Luca Cordero di Montezemolo, riuscisse a rovesciare il governo Prodi. Sarebbe il colmo.

Marzo 2008 La distruzione dello Stato Sociale attraverso la catastrofe delle liberalizzazioni-privatizzazioni in Italia
Il Movimento Solidarietà pubblica un nuovo dossier per dimostrare che il processo di liberalizzazioni e privatizzazioni attuato in Italia dall'inizio degli anni Novanta non ha portato nessun beneficio al paese. Lo scritto iniziale, elaborato da Claudio Giudici, dimostra che:
le liberalizzazioni portano ad un aumento dei prezzi;
le liberalizzazioni portano alla distruzione di posti di lavoro ed all’abbassamento degli stipendi dei lavoratori e dei fatturati delle piccole imprese;
la liberalizzazione-privatizzazione dell’impresa pubblica nel periodo 1992-2000 non è stata conseguenza dell’inefficienza economica;
i processi di liberalizzazione-privatizzazione non hanno minimamente migliorato la capacità produttiva italiana;
le liberalizzazioni favoriscono i concentramenti di capitale in poche ricchissime mani;
il rendimento finanziario delle aziende privatizzate è stato peggiore rispetto alla generalità del mercato finanziario italiano.
Attraverso una serie di esempi lampanti, diventa sempre più evidente che questo processo di "modernizzazione" del paese in realtà rappresenta un grave attacco al suo tessuto produttivo, accelerando il processo di disintegrazione economica e finanziaria che sta già mettendo in ginocchio l’economia mondiale.
La seconda parte del dossier tratta "Le misure necessarie per fermare la crisi economica" elaborate dal Movimento di LaRouche, tra cui:
la nuova Bretton Woods;
il Disegno di Legge per la protezione dei proprietari di case e delle banche;
l'iniziativa contro la ratifica del Trattato di Lisbona.
Fonte: MOVISOL
 
l’Unione sovietica europea ci espropria la prima casa





di ELISABETTA CASTELLAZZI
Per azzerare il debito pubblico e obbedire all’Europa delle banche ci esprospireranno le case. Pensate che solo l’euro sia la nostra rovina? Che solo l’immigrazione sia il cuneo che disgrega le comunità? Aprite gli occhi e uscite dagli slogan dei partiti. Perché la battaglia campale, la madre di tutte la battaglie sarà sul mattone, sulla nostra casa. Sarà la fine. La fine per molte famiglie e le imprese sane. Arriva la patrimoniale e arriva il botto della tassa di successione al 20%. La parola d’ordine dei democratici alla Renzi e degli europeisti è: tasse. Anzi…. chiamarle nuove tasse è fino troppo poco. La patrimoniale ci sarà, non solo è un rischio ma una tassa concreta già dietro l’angolo. Sarà la nostra definitiva rovina.
La guerra ai nostri risparmi parte su due fronti.
Il primo. Il governo da una parte ha dato il via alla riforma del catasto, le vecchie rendite catastali vanno in pensione, tutto sarà a nuovi valori di mercato. La base della tassazione sarà sui metri quadrati posseduti. Un tanto… al chilo!
In alcuni casi si arriverà a costi dieci volte il valore pagato oggi sia in termini di imposte dirette sulla casa sia in termini di servizi prestati dai Comuni (Imu e company…)
In quasi tutte le città ci saranno rincari da matti, inaccettabili.
Ma l’incubo della nuova dittatura fiscale non finisce qui. I Comuni potranno introdurre altre addizionali. Un suicidio di tasse.
E questo è il primo fronte di guerra. Il secondo è ancora peggio. Siete pronti a conoscere la riforma delle riforme del governo Renzi, il democratico Renzi?
Il secondo. E’ in atto una manovra – non dichiarata – che si chiama modifica delle tasse di successione. Queste saranno la vera tempesta perfetta. Oggi nelle tasse di successione e di donazione (che sono in pratica la stessa cosa, perché la donazione è un atto di successione anticipato in vita), fino ad un milione di euro vi è una franchigia in linea diretta (di padre in figlio), oltre il quale si paga il 4% di tasse (il 6% in secondo grado, in terzo grado fino all’8%). Il milione di franchigia vale per gli eredi e per il de cuius. Di fatto per ogni erede ci sono 2 milioni di franchigia, cifra in cui è considerato tutto il patrimonio lasciato (valori liquidi e immobili). Ma dopo la riforma del catasto quegli immobili, non dimentichiamolo, avranno un valore persino decuplicato.
Cosa sta per accadere invece da domani?
Il governo vuole applicare una tassa di successione in linea diretta, di padre in figlio, che si aggira attorno al 20%, con riduzione della franchigia a 100mila euro! E sull’intero patrimonio, non più per erede.
Insomma, da una parte si moltiplica per dieci la tassa catastale, definiamola così, dall’altra si passa a rubare il 20% del bene, già tassato, che è frutto di sacrificio di una vita.
Un papà ha una casa e ha un patrimonio di risparmio di 300mila euro? Oggi di fatto un erede su una casa normalissima è esente dalla tassazione, domani la casa rivalutata da 200 a 400-500mila euro per effetto delle nuove rendite catastali, diventa un macigno fiscale mortale. Con la soglia di franchigia di 100mila euro che prima abbiamo detto, l’erede si troverebbe a pagare a Renzi il 20% di 500mila euro. Lo Stato di fatto ci constringerà a subire un esproprio. Chi ha da pagare il 20% di una somma così alta, lievitata dallo Stato per fare cassa? Una tassa da Soviet, per allinearci ai valori europei. L’Unione sovietica europea, in cui il Pd di Renzi è il principale azionista di maggioranza. Ma non sono da meno gli altri partiti che stanno zitti.
Ci viene a mancare un genitore? Lo Stato becchino verrà a chiederci di pagare almeno 100mila euro di tasse, scavando la fossa anche a noi.
In questo modo lo Stato ha pensato di risolvere il problema del debito pubblico.
Di fatto gli italiani detengono 5 volte il valore del debito pubblico. Pagare il 20% in linea diretta vuol dire che a ricambio generazionale completato, avremo ammortizzato l’intero debito.
Ci fanno fare la patrimoniale diretta! E’ un sequestro, è una tassa sulla morte, una tassa sul dolore, una tassa sul funerale, una tassa che nega il futuro a chi resta.
Oggi questa follia è solo nelle intenzioni del governo, ma è il momento di muoversi adesso per mettere al riparo i patrimoni, i beni.
Che fare? Ci sono diverse azioni, legali, per trasferire ad esempio parte del patrimonio immobiliare (ad esempio la nuda proprietà) ai figli, per abbassare poi la quota di beni tassabili; per i beni mobili, quindi i risparmi investiti, ci sono altri modi per portare in esenzione totale questi valori.
Se ci pensiamo, sottoposti a tassazione non ci sono solo le case: capannoni, terreni, beni strumentali fabbriche, le imprese! E’ questo il rilancio?
Il fiscal compact, dice che ci dobbiamo allineare agli altri paesi europei nel fisco. Bene, ma nessuno dice però che gli altri paesi non tassano quando i cittadini sono “in vita” la casa tanto quanto questo Stato. Gli altri paesi hanno una legislazione con una tassazione molto più bassa. In più c’è la pianificazione ereditaria. Di che si tratta?
E’ la capacità in vita, di decidere come trasferire i beni agli eredi in esenzione di imposte.
Oggi questa norma obbligatoria non c’è, è per questo che bisogna attrezzarsi oggi per difendersi da questo esproprio in agguato.




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ECCO CHI C'E' DIETRO L'IMPONENTE PULIZIA ETNICA DELLA POPOLAZIONE RUSSA E RUSSOFONA NEL DONBASS


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Nel territorio delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk continua su vasta scala l’operazione offensiva dell’esercito ucraino. Bombardamenti indiscriminati sugli insediamenti portano nuove vittime tra la popolazione civile. Come risultato dei feroci bombardamenti con l’uso dei “Grad”, “Uragan”, “Smerč” la città di Nykolaivka è stata praticamente rasa al suolo. Risulta impossibile stabilire il numero delle vittime, non ci sono collegamenti con Nykolaivka. I quartieri residenziali di Semyonovka e di Slavyansk sono stati sistematicamente distrutti dal fuoco dell’artiglieria. A Slavyansk sono stati resi inutilizzabili i sistemi di sussistenza, la città è circondata e completamente bloccata. Sparano sulle auto che cercano di fuggire dalla città.
Le cause del massacro perpetrato nel Donbass non sono ancora state sufficientemente rese note.
Nel gennaio 2013, sotto la presidenza di Viktor Yanukovyč, la società Royal Dutch Shell ha firmato con il governo ucraino un accordo di 50 anni, a condizioni agevolate, per la spartizione della produzione derivante dallo sfruttamento e dall’estrazione del gas di scisto dei giacimenti di Yuzosk situati al confine delle regioni di Donetsk e Kharkov nella zona petrolifera del Dnepr-Donets. Nel giugno 2014 la direzione della Shell ha confermato che i piani della società sono rimasti immutati: l’inizio dello sfruttamento del giacimento è previsto dopo la de-escalation del conflitto e la stabilizzazione della situazione.

Secondo l’accordo, le clausole rimarranno strettamente riservate per tutta la durata del contratto. Alla scadenza di questo termine, il governo ucraino non potrà avanzare il diritto di rifiutare la proroga dello stesso contratto, in cui sono indicate le coordinate esatte dell’area stanziata per l’estrazione del gas. Un territorio che si espande su 7.886 kmq, che comprende la città di Slavyansk (situata al centro del giacimento), Izyum, una grossa parte di Kramatorsk, così come centinaia di piccoli insediamenti: Krasnyj Liman, Seversk, Yasnogorka, Kamyševka, ecc.

Ai sensi dell’art. 37.2 dell’accordo, gli abitanti che risiedono su questo territorio, come da contratto, devono vendere la proprietà della loro terra, in caso di rifiuto, le verrà tolta con la forza a favore di Shell. Tutte le spese della società per l’“appropriazione del territorio”, verranno risarcite dallo Stato ucraino con il ricavato dell’estrazione del gas. Per questo, lo Stato è tenuto a garantire l’accettazione di tutte le necessarie risoluzioni da parte delle autorità locali.

Altre aziende coinvolte nello sfruttamento del gas di scisto in Ucraina sono: 
- Eurogas Ucraina, che fa parte delle azioni nelle mani della società britannica Mc Callan Oil & Gas (UK) Ltd, di proprietà, a sua volta, dell’americana Euro Gas; 
- Burisma Holdings, nella quale Hunter Biden, figlio del vicepresidente americano, è da poco diventato uno dei membri del consiglio direttivo.

Il compito principale di coloro che hanno iniziato e continuano l’“operazione anti-terrorismo”, o più semplicemente, la carneficina nel Donbass è stabilire il pieno controllo delle regioni di Donetsk e Lugansk e la totale “bonifica” della sua superficie totale per avviare, senza intoppi, il lavoro di estrazione del gas di scisto (sul territorio, ripulito dalla popolazione, è prevista l’installazione di 80-140 mila pozzi). Ciò significa la distruzione della terra seminabile, la demolizione di impianti industriali, di edifici residenziali, di luoghi di culto, per il mantenimento delle infrastrutture del gas. Per quanto riguarda le “terre nere” locali (l’Ucraina ha il 27% delle “terre nere” di tutto il mondo), si prevede di venderle all’estero. In tempo di pace sarebbe difficile realizzare tutto ciò, ma la guerra copre tutto. La questione principale è ottenere una brusca riduzione del numero della popolazione locale, e lasciare sul territorio dei giacimenti solo le persone necessarie per i lavori di estrazione del gas (il nuovo sindaco di Krasnyj Liman, assegnato da Turčynov dopo la conquista della città da parte delle truppe ucraine, ha già promesso in un prossimo futuro ai residenti locali “nuovi posti di lavoro” al posto del lavoro perso in seguito alla distruzione delle industrie).

Sopprimere la resistenza degli abitanti di Donetsk e Lugansk e ristabilire il controllo sul territorio, consentirà presto, secondo alcuni esperti, di poter tagliar fuori la Russia da gran parte del mercato europeo del gas. Gli esperti ritengono inoltre, che nell’autunno del 2014 s’inizierà a giocare a “carte scoperte”. È emblematico il fatto che il Segretario generale della NATO Rasmussen, parlando il 20 giugno alla Chatham House di Londra, abbia accusato la Russia di aver complottato per interrompere la produzione di gas di scisto, come, al Congresso degli Stati Uniti, il 1° maggio, sia stato proposto un progetto di legge intitolato “Legge sulla prevenzione delle aggressioni dalla Russia – 2014”.

Quindi, proprio il desiderio di mantenere il controllo da parte delle grandi corporazioni transnazionali sui giacimenti petroliferi del Dnepr-Donets ha portato alla guerra contro il popolo di Donetsk e Lugansk, una guerra di sterminio. Il massacro di civili e il clima di paura che costringe le persone a lasciare la loro patria per diventare profughi, sono stati i principali strumenti per attuare gli interessi delle multinazionali, per le quali, il potere installatosi a Kiev dopo il colpo di stato, è solo una abbellimento per coprire la grande pulizia etnica della popolazione russa e russofona del Donbass. La vita umana, per gli organizzatori del massacro in corso nel Donbass, non ha nessun significato, per loro non esiste né alcuna legge internazionale né regole di guerra. Alcuni esperti (E. Gilbo) sostengono che è già stato definito quanta popolazione potrà rimanere sul territorio ripulito.

Il 4 luglio, in un messaggio video apparso su internet, il ministro della Difesa della Repubblica Popolare di Donetsk Igor Strelkov ha dichiarato: “Se la Russia non otterrà un cessate il fuoco, oppure se non inizierà un’operazione di pace, Slavyansk con la sua popolazione di oltre 30 mila abitanti sarà distrutta in una settimana, al massimo due” .
grazie a www.comedonchisciotte.org/
http://www.fondsk.ru/news/2014/07/05/donbass-grandioznaya-etnicheskaya-chistka-russkogo-naseleniya-28343.html
Ultima modifica il Sabato, 12 Luglio 2014
 

Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio

6 ore fahttps://www.facebook.com/pages/Abba...-e-il-Signoraggio/208622872545749?ref=stream#

"ANNI DI TASSE, di tagli alla spesa pubblica, di austerity e macelleria sociale per la quale SONO MORTI PER SUICIDIO DA DISPERAZIONE centinaia di italiani, il tutto per RIDURRE IL DEBITO per poi si scopre che il debito non è affatto diminui...to ma ha continuato a salire, salire, salire. Oggi c'è il record di 2166 MILIARDI, e i servi dei signori del denaro continueranno a spremere il nostro popolo sacrificandolo sull'altare di un debito che non esiste.

CHI NON METTE IN DISCUSSIONE IL DEBITO SI RENDE COMPLICE DEL GENOCIDIO DEL POPOLO ITALIANO IN ATTO, BASTA, VIE DI MEZZO NON CE NE SONO PIÙ!"

Francesco Filini Altro...






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"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità.
Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero".
Proverbio Arabo





http://www.controinformazione.info/
CLEARSTREAM, LA SCATOLA NERA DEL SIGNORAGGIO BANCARIO (1° Parte)



14 giu 2014

1 Commento

AutoreLuciano Lago
Pubblicato inEconomia


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CLEARSTREAM, LA SCATOLA NERA DEL SIGNORAGGIO BANCARIO (1° Parte)

Pubblichiamo una interessante ed attuale analisi sul settore bancario
C’è qualcosa che non quadra con le banche. Solo tra il 2008 e il 2010 le banche nella zona EU hanno ottenuto 1600 miliardi di euro di salvataggi. Nel 2012 le banche spagnole hanno ricevuto dal solo fondo europeo salva-stati (MES) 60 miliardi di euro. Negli ultimi cinque anni lo stato irlandese ha pagato 160 miliardi di euro per il salvataggio delle banche private irlandesi. E che dire del pacchetto Obama”, cioè degli 800 miliardi di dollari che furono usati nel 2009 nei soli Stati Uniti per il salvataggio delle banche che avevano fatto cattive mosse finanziarie? Attualmente Ernst & Young stima che la cifra complessiva che non è più recuperabile dagli assetti delle banche EU sia di 949 miliardi di Euro. Quindi ancora salvataggi fenomenali saranno necessari. Fiumi di parole su questo argomento, ma moltissimi hanno trattato questo tema dimenticandosi purtroppo di chiarire qual è il ruolo in tutto questo di Clearstream, la scatola nera delle banche, una centrale di comensazione interbancaria con funzione anche notarile.
Di Lorenzo Acerra
Voci Dalla Strada

Grazie allo strumento Clearstream, le operazioni delle banche generano attivi in nero ed esentasse nei paradisi fiscali a vantaggio d’ignoti. Se uno inizia a vedere questo, diventerà chiaro al prossimo salvataggio prospettato dagli economisti e dagli stati che quella banca privata sull’orlo del fallimento ha anche fatto sparire in nero una somma equivalente o maggiore del valore dei suoi debiti. Ce ne occupiamo qui con pochi esempi. Clearstream serve alle banche per infarcire di marcio i bilanci presentati alle assemblee degli azionisti, mentre allo stesso tempo si generano da qualche parte attivi in nero ed esentasse nei paradisi fiscali. Gli economisti di solito hanno due cose in comune. Si dimenticano di parlare di Clearstream e condividono una fondata fiducia che lo stato non farà fallire le banche, quindi che i bilanci bancari marci (quelli truccati, quelli che restano in visione al pubblico) saranno sanati dalla mano amica dello stato.
Vedi: CLEARSTREAM La scatola nera delle banche
Tra il 2001 e il 2007, dalle inchieste giudiziarie francesi Clearstream-1 e Clearstream-2, risultò che un’entità sovranazionale e sovrabancaria che si chiama Clearstream mantiene conti riservati a favore di potenti che si nascondono dietro le banche, conti sui quali compare il controvalore in attivo di praticamente tutti i debiti contratti dagli stati con l’emissione monetaria (Ivan du Roy 16.01.2012). Clearstream è il portale “notarile” non accessibile al fisco, all’uomo qualunque e ai controlli statali dove s’incontrano massa monetaria da signoraggio, denaro sporco, denaro in nero, movimentazioni di denaro esentasse, Borse ed economie del mondo. Il capitale totale depositato in attivo dai clienti Clearstream era di circa 80.000 miliardi di euro nel 2002. Proprio questo attivo sarà l’oggetto della nostra presentazione.
L’Italia con i suoi 2.100 miliardi di debito occupa il terzo gradino del podio a livello mondiale per quanto riguarda i debiti di stato, incalzata da vicino da Francia, Germania e Gran Bretagna. E riuscite forse a trovarmi una grossa multinazionale che non sia indebitata? (vedi IBM, General Electric, Ford, etc.). Ma chi è, diceva Benigni in uno spettacolo del 1995, che può dichiarare come credito tutta questa massa monetaria? E perché non lo fa? Ha tutto questo credito e si nasconde? Lo vorrei proprio conoscere (vedi al minuto 0:54, Tutto-BENIGNI 1995-96,https://www.youtube.com/watch?v=jPZiOxatDvw). Ebbene finalmente ora lo andiamo a conoscere.
Un’entità sovranazionale e sovrabancaria che si chiama Clearstream ha permesso nel 2013 ad Unicredit, in linea con quello che succede ogni anno, d’imboscare in nero a favore d’ignoti 501 miliardi di euro, protetti dal segreto bancario in Lussemburgo. Questi 501 miliardi di euro sono frutto della creazione di denaro di corso legale. Creazione di denaro che la BCE le ha permesso di rivendicare, secondo delle convenzioni ben note. Unicredit rivendica questi miliardi esentasse su Clearstream e non davanti ai suoi azionisti (https://www.youtube.com/watch?v=jGd8Ub2Hhk0).
Protagonisti di questo racconto saranno l’inchiesta di Denis Robert su Clearstream e quindi i tabulati postati alle commissioni d’inchiesta dalle tre “gole prodonde”: i due informatici della prima ora di Clearstream, ovvero Ernest Backes e Régis Hempel, oltre che il consulente di Arthur Andersen impegnata nella certificazione di Clearstream, ovvero Florian Bourges. Vedremo i conti di UNICREDIT accreditati presso Clearstream e vedremo a cosa corrispondono le movimentazioni di denaro su questi conti. Già sui primissimi tabulati dei clienti Clearstream, quelli del 1995, la Banca di Roma (Unicredit Banca di Roma, che poi confluirà nel novembre 2010 in Unicredit) aveva otto conti non pubblicati (cioè i conti nascosti Nr. 22459, 28660, 29063, 29114, 29149, 29203, 29343, 35092) e undici conti pubblicabili (i conti Nr. 30228, 31776, 33049, 34819, 70267, 72775, 74616, 74730, 76198, 77909, 11096), quasi tutti che compaiono nell’elenco con rating A01.
Nell’aprile 2006, durante il ciclone giudiziario francese, Clearstream indicava al giornale Le Monde di disporre di 5.542 conti aperti, di cui 3.239 non pubblicati. Sull’elenco a nostra disposizione compaiono 4.146 conti, di cui 2.215 non pubblicati, la discrezione verso il cliente è importante, vedi: elastic.org/~fche/mirrors/www.jya.com/clearstream.xls). Vedremo a cosa corrispondono le movimentazioni di denaro su questi conti anche grazie all’elenco allargato dei clienti Clearstream e consorelle (Monti Titoli, Iberclear, DTCC, etc.) risalente al 2001, rilasciato fornito dalla terza gola profonda dietro l’inchiesta di Denis Robert, cioè Florian Bourges (38,838 Clearstream international counterparties, including Bernard L. Madoff, Jul 2004 - WikiLeaks ).
In questa prima parte ci occuperemo inizialmente solo di Unicredit banca, giusto per mantenere le cose semplici. Ma ulteriori approfondimenti sono già pronti e verranno presentati in un seguito dell’articolo.
Elenco dei conti utili Unicredit relativamente a Clearstream (Bourges, 2004):
type (ICP-Nr.) Number Partecipant Name Location
3 688 UNICREDIT BANCA MOBILIARE
6 21687 UNICREDITO (S) BANK SA LUGANO
6 22125 Unicredito Italiano/CR It/>Proprietà MILANO
6 82290 Unicredito Italiano SPA SINGAP.BR. SINGAPORE
6 93162 Unicredito Italiano/ITL SEC MILANO
6 97115 Unicredito Italiano SPA. LONDON
7 66406 Unicredito Italiano SPA SINGAPORE
7 66424 Unicredito Italiano SPA MILANO
7 93162 Unicredito Italiano/ITL SEC MILANO
7 97193 Unicredito Italiano SPA LUXEMBOURG
10 2008 Unicredito Italiano-Conto Proprietà MILANO
10 3131 UNICREDIT Banca Mobiliare SPA Cologno Monzese
10 3135 Unicredito Italiano SPA Cologno Monzese
10 60045 Unicredito Italiano SPA SETTLM. ACC Cologno Monzese
10 60053 UNICREDITO EX CR TRIESTE CLIENT ACC —
10 60098 UNICREDITO ITALIANO MILANO
10 60303 e 60304 UNICREDITO ITALIANO MILANO
10 60135 UNICREDITO ITALIANO SPA Cologno Monzese
Premessa su Clearstream: C’è qualcosa che non quadra con le banche. Solo tra il 2008 e il 2010 le banche nella zona EU hanno ottenuto 1600 miliardi di euro di salvataggi. Nel 2012 le banche spagnole hanno ricevuto dal solo fondo europeo salva-stati (MES) 60 miliardi di euro. Negli ultimi cinque anni lo stato irlandese ha pagato 160 miliardi di euro per il salvataggio delle banche private irlandesi. E che dire del pacchetto Obama”, cioè degli 800 miliardi di dollari che furono usati nel 2009 nei soli Stati Uniti per il salvataggio delle banche che avevano fatto cattive mosse finanziarie?Attualmente Ernst & Young stima che la cifra complessiva che non è più recuperabile dagli assetti delle banche EU sia di 949 miliardi di Euro. Quindi ancora salvataggi fenomenali saranno necessari. Fiumi di parole su questo argomento, ma moltissimi hanno trattato questo tema dimenticandosi purtroppo di chiarire qual è il ruolo in tutto questo di Clearstream, la scatola nera delle banche, una centrale di comensazione interbancaria con funzione anche notarile. Grazie allo strumento Clearstream, le operazioni delle banche generano attivi in nero ed esentasse nei paradisi fiscali a vantaggio d’ignoti. Se uno inizia a vedere questo, diventerà chiaro al prossimo salvataggio prospettato dagli economisti e dagli stati che quella banca privata sull’orlo del fallimento ha anche fatto sparire in nero una somma equivalente o maggiore del valore dei suoi debiti. Ce ne occupiamo qui con pochi esempi. Clearstream serve alle banche per infarcire di marcio i bilanci presentati alle assemblee degli azionisti, mentre allo stesso tempo si generano da qualche parte attivi in nero ed esentasse nei paradisi fiscali. Gli economisti di solito hanno due cose in comune. Si dimenticano di parlare di Clearstream e condividono una fondata fiducia che lo stato non farà fallire le banche, quindi che i bilanci bancari marci (quelli truccati, quelli che restano in visione al pubblico) saranno sanati dalla mano amica dello stato.
Nel 1996 Denis Robert riunì otto magistrati anticorruzione tra cui in Italia Gherardo Colombo per lanciare l’appello di Ginevra. Quando si comprese che la battaglia contro i crimini finanziari metteva in discussione l’esistenza stessa della Clearstream International, rimase in piedi su questo fronte uno solo di questi giuristi, Renaud Van Ruymbeke, cui si unì la giudice Eva Joly. Nel 2009 l’Islanda in rivolta contro i poteri finanziari chiamò la giudice Joly per la redazione di un rapporto di 2000 pagine per indirizzare quel processo decisionale di affrancatura da un debito ingiusto. In Francia invece l’auspicio di Robert affinché si capisse cosa fosse Clearstream venne dirottato su un’inchiesta che doveva stabilire se Sarkozy avesse o meno anche lui un conto su Clearstream (vedi processo Clearstream-2), come risultava da una patacca fabbricata ad-hoc da un signore dei servizi segreti che ora vedremo. Ciò servì anche per logorare e discreditare l’ultimo di questi magistrati che aveva continuato la battaglia contro la mondializzazione finanziaria, Renaud Van Ruymbeke, che nel 2008 dichiarò:
“Si galleggia sull’ipocrisia. Quello che si dice e quello che s’intende fare sono due cose ben separate”
L’appianamento interbancario muove il mondo. Avveniva dietro le quinte già molti secoli fa, dando ai suoi protagonisti dei vantaggi notevoli (Storia della Moneta a Prestito (Sistema Debito) | Anticorpi.info). Oggi molti dettagli della faccenda diventano ufficiali grazie a due procedimenti giudiziari avuti luogo in Francia sulla scia dei libri inchiesta di Denis Robert. È una cosa che accade dietro le quinte, con conti nascosti affiancati a conti visibili, con movimenti di denaro che comunque non sono né consultabili dal pubblico né tantomeno interpretabili, a meno che non si abbia avuto la possibilità di familiarizzare con il sistema informatico in uso.
Nel maggio 2000 André Lussi, dichiarava all’assemblea generale di Clearstream International, in qualità di direttore generale, un volume di transazioni annuali effettutate per i propri clienti di novemila milioni di miliardi di euro (9.000.000.000.000.000.000 €). Oltre a Clearstream (fondata nel 1970) che è gestita da azionisti privati tedeschi, in Europa abbiamo Euroclear (fondata nel 1968 da J.P. Morgan) con azionisti di maggioranza francesi/belgi, Swift (che movimenta otto volte meno denaro di Clearstream), posseduta da anglo-americani. Tutta gente per bene… privati, non nazioni.
I più informati diranno subito che la diffusione generalizzata di tutta questa massa di debito ha le sue radici nel fatto che l’operazione di prestito di massa monetaria non genera un attivo per nessuno. La massa monetaria creata dal nulla viene messa al passivo. Persino dalla stessa banca di servizio che la presta. Il principio filosofico che la creazione di denaro dal nulla non abbia paternità è bellissimo, ma lascia aperta la domanda di dovc finisca il capitale iniziale, che indubbiamente viene ripagato alla banca.
Chi ha preso in prestito non solo ripagherà gli interessi, ma (proprio quello che vogliamo approfondire) anche il capitale iniziale. Il capitale iniziale verrà ripagato alla banca e andrà ad appianare la voce al passivo che la banca “artificialmente” si è auto-assegnata al momento della creazione dal nulla della massa monetaria. Dico “artificialmente” perché la banca non ha distrutto quella somma di denaro né all’emissione e nemmeno al suo rientro.
Quindi la messa al passivo è un artificio contabile. Di fatto, al momento della cessione di quella somma prestata, la banca non ha fatto altro che una creazione dal nulla, e al momento della riscossione quella massa continua ad esistere. Ma non compare nel bilancio della banca. Il cliente quello che l’ha avuto l’ha anche ridato. Ma pure la banca si lamenta che quel denaro non lo ha, nemmeno quando rientra! E chi lo ha distrutto allora? Nessuno!! Quel denaro scompare in una zona d’ombra. L’artificio contabile permette a qualcuno di far ricomparire quel denaro “in nero” da qualche altra parte, possibilmente alle Cayman, sicuramente o su Clearstream o su Euroclear.
I principi di contabilità bancaria accettati dal mondo accademico e dal mondo reale fanno quasi pensare ad una disintegrazione di quel denaro.
La contabilità dice una cosa del tutto artificiale: dice che il prestito è stato uno smacco subito dalla banca al momento della cessione al cliente e dice che il maltolto poi verrà recuperato con la restituzione. Perciò ci sarebbe un nulla di fatto. Il nulla di fatto è sicuro: consultate i registri contabili delle banche accreditate come per esempio Unicredit! Dobbiamo allora iniziare a notare che la Banca è sia una banca di emissione che una banca di servizio, cioè quella che controlla la restituzione del prestito. Evidentemente il registro contabile si riferisce solo alla banca di servizio.
Quando diciamo che la Banca Centrale Europea (BCE) ha creato novemila miliardi di euro in un anno, in realtà ci stiamo riferendo all’insieme dei suoi soci, che sono istituti bancari privati. Allora uno va a controllare l’insieme di queste banche di servizio e i 9.000 miliardi di euro non li trova all’attivo, bensì al passivo. Nessuno si fa domande sulla natura di questo passivo e così la restituzione dei 9.000 miliardi di euro (per comodità diciamo che avviene tutta insieme due anni dopo) farà sparire in una zona d’ombra, complice la contabilità artificiale, questo capitale rientrato due anni dopo che prima era stato emesso dal nulla e dato in prestito dalle banche di servizio.
La banca di emissione ha un conto su Clearstream, la voce al passivo subito dalla banca di servizio corrisponde al passaggio di denaro da quest’ultima all’entità invisibile che ha il conto su Clearstream. Perciò per la banca di servizio la massa monetaria che viene restituita contribuisce solo ad un nulla di fatto. Un nulla di fatto può essere spiegato da questo oppure dal fatto che il denaro debba venir distrutto.
Questo piccolo “bug” che oggetto della nostra descrizione è stato incastonato nei principi di scrittura bancaria ed è alla base di un castello di carta contabile che consente di celare il fatto che la massa monetaria creata dal nulla appaia all’attivo dei soci privati della banca centrale, proprietari di un conto su Clearstream!
Si sa, gli istituti bancari accreditati presso la BCE come soci fondatori si spartiscono le fette di creazione di somme di denaro create dal nulla, che al momento del prestito vengono dichiarate nei bilanci contabili delle banche come una perdita. La cosa che era stata piazzata in una zona d’ombra e che tale era rimasta finora era il ruolo di Clearstream ed Euroclear nell’appropriazione della creazione di denaro di corso legale da parte di enti privati.
Vediamo cosa accade con un’operazione che ci è davanti agli occhi quotidianamente: il cliente si reca in banca a fare un deposito. La clonazione di denaro per “deposito” è ben poca cosa rispetto alla creazione di denaro dal nulla per “prestito”. Però conferma l’esistenza di un “bug” della contabilità. Il cliente consegna all’impiegato trecento euro a scopo “deposito” sul proprio conto corrente. Dal punto di vista del cliente c’è un nulla di fatto: infatti esso viene privato di quella somma in contanti ma beneficia della stessa somma clonata sul suo conto corrente. E dal punto di vista della Banca? Ora esistono trecento euro in contanti e trecento euro clonati. Per sancire un “nulla di fatto” la banca avrebbe bisogno di distruggere quei trecento euro in contanti. Oppure dovrebbe generare una voce di debito di trecento euro, cioè di una voce contabile al passivo, per poter incassare quel contante senza distruggerlo. Questa è la strada che la banca decide di intraprendere. Ma la banca si è dimenticata di dire chi è il beneficiario di quei trecento euro di cui si deve privare per avere un nulla di fatto.
La banca dichiara di non aver beneficiato da quel denaro in contanti eppure non li ha distrutti? Evidentemente li ha ceduti a qualcuno. In nero. Non li ha ceduti allo stato per esempio.
Le banche piccole non possono creare denaro dal nulla e darlo in prestito come fanno le grosse. Semplicemente la spartizione di questa facoltà le ha lasciate fuori dal grosso della torta. Ma possono creare denaro per clonazione ogni volta che nuovi clienti contribuiscono alla loro “raccolta”.
Siccome annualmente la produzione di euro dal nulla con questo sistema è dell’ordine di novemila miliardi, di cui circa mille sono la quota relativa all’economia italiana (Unicredit 500 miliardi, Banca Intesa 344 miliardi, Carige 25 miliardi, etc..), non stiamo parlando di bruscolini!
Abbiamo visto che il denaro è stato emesso dal nulla istantaneamente alla richiesta di prestito. Quando il cliente ha guadagnato e può restituirlo, si materializza uno stock di denaro virtuale senza paternità, che non risulta all’attivo nei bilanci degli istituti di credito. A questo punto se ne può disporre in nero, a piacere ed extracontabilmente. In particolare viene contabilizzato sui circuiti dei conti del denaro virtuale nelle centrali di “Clearing” (in Europa sono tre: Clearstream, Euroclear e Swift).
Ovviamente posso dire di conoscere Clearstream, quindi il covo dell’uomo invisibile, solo perché ho iniziato a leggere l’opera investigativa di Denis Robert su Clearstream, sul mondo dei bilanci in nero e delle movimentazioni in nero delle banche. L’indagine su Clearstream ha raccolto sul sentiero tre “gole profonde” di rilievo ed è stata integrata da Marco Saba che l’ha rilanciata nel 2014 andando all’attacco dei consigli di amministrazione di tre banche: Carige, Intesa e Unicredit.
Nel periodo aprile-maggio 2014 Marco Saba ha avuto mandato d’intervenire alle loro assemblee per contestare questo artificio amministrativo chiedendo risposta scritta. Al momento della creazione di massa monetaria per un prestito l’istituto segna la voce al passivo, perché in uscita, ma omette di iscrivere all’attivo il denaro, facendo si che il rientro del capitale dato in prestito, metta a disposizione nella cassa denaro in nero.
Nel momento dell’emissione di massa monetaria la personalità nascosta dell’istituto bancario (quella su Clearstream) diventa creditrice della somma creata dalla personalità dell’istituto che è sotto gli occhi di tutti. Questa personalità nascosta non si può nemmeno più chiamare “banca”, perché quel denaro accreditatole non risulta più nei forzieri della banca di facciata. La Banca Intesa, per esempio, ha riportato per l’esercizio relativo al 2013 un bilancio negativo che preoccupa i suoi azionisti, un deficit dell’ordine di di 4.8 miliardi di euro, ma la sua seconda personalità, in base alla creazione di denaro prodotta in quell’anno, ha avuto l’onore di poter recapitare 344 miliardi di euro sugli acconti di appianamento internazionale che non sono sotto gli occhi di tutti.
Nel corso dei suoi interventi del 2014 presso Carige, Intesa e Unicredit Saba ha ottenuto rispettivamente come risposta: (1.) ci faccia causa. (2.) la legge ce lo permette (3.) silenzio (che comunque non è una querela).
Querela che invece fu portata una quarantina di volte contro Denis Robert quando astrattamente e con qualche singolo indizio diceva davanti ai giudici che questo bacino sommerso e privo di trasparenza che è Clearstream è stato usato per sostenere il malaffare, i soprusi e la manipolazione, nonché il possibile riciclo di denaro sporco. Vorrei riassumere per il pubblico le informazioni acquisite man mano che mi documento. Prendendo coscienza delle cose che succedono a livello dell’entità “Clearstream”, ci si rende conto immediatamente che le banche hanno il potere di controllarsi tra di loro, al di sopra degli stati.
Clearstream rappresenta lo spazio accettato da tutti i giocatori di grosso calibro dove atterra il denaro in nero acquisito per emissione monetaria. Quando uno capisce Clearstream il mistero contabile del sistema della moneta anti-materia trova una soluzione quando uno capisce Clearstream. L’istituto bancario delegato alla creazione di denaro da parte della BCE non poteva così tanto facilmente incassare l’attivo del denaro creato dal nulla davanti agli occhi di tutti, perché ente privato.
Se lo avesse incassato contabilmente, innanzitutto gli si sarebbe arrivata la richiesta di pagare le tasse su quello. Se lo avesse incassato contabilmente, tutti avrebbero obiettato che non ha proprio senso consentire a dei privati d’incassare il “valore nominale” delle banconote che sono accettate dai “sudditi”. La nostra “sudditanza” in questo sistema assurdo è coperta da due veli. Uno si chiama Clearstream. L’altro l’abbiamo già visto, vorrebbe indurci a pensare che la creazione di denaro dal nulla non abbia assolutamente paternità. Che è subito smentito: la Banca infatti effettua un prestito di denaro che le crea un buco di bilancio nonostante quella massa monetaria prima non esistesse affatto e nonostante la restituzione di quella somma non metta la banca nell’obbligo di distruggere questo capitale che non è all’attivo di nessuno sui libri contabili.
Abbiamo visto che è attualmente in uso un sistema che determina una scissione tra realtà e contabilità. La somma restituita non comparirà alla voce “liquidità generata” del rendiconto finanziario dell’istituto di credito, scomparendo perciò in una zona d’ombra. Ora dobbiamo solo chiarire come l’anti-materia di questo sistema contabile, materializzandosi sui conti associati a Clearstream, sia a tutti gli effetti pronta ed operativa per razziare le economie mondiali.
Iniziamo con una piccola incursione in un piccolo esempio. Nel 2008 la Banca centrale dell’Iran aveva un capitale all’attivo sul conto di Citibank su Clearstream di New York di 2.8 miliardi di dollari. Già da tempo Clearstream si era impegnata a rispettare l’embargo contro l’Iran. C’erano leggi americane che sanzionavano lo transizioni e gli spostamenti di denaro della Banca centrale dell’Iran, giustificate da accuse di un atto di terrorismo dell’Iran contro il Libano nel 1983 e dal fatto che secondo loro la banca centrale dell’Iran, cioè il governo dell’Iran, aveva appoggiato il programma iraniano per arrivare alla bomba atomica. Clearstream però sottobanco aveva accettato la richiesta della Banca Centrale dell’Iran di trasferire questa somma su un conto esistente in Europa che molto più difficilmente si sarebbe potuto far risalire alla banca iraniana. Le indagini hanno rivelato tutte le email scambiate tra un dipendente della Clearstream il suo supervisor e il direttore generale. Il denaro è stato trasferito a nome della Banca Centrale d’Iran su un conto di una banca commerciale europea che era nascosto, “buried one layer deeper in the custodian chain”.
La notizia interessante in questa vicenda secondo me è che la banca centrale dell’Iran è una delle poche banche centrali non sono compartecipate e possedute da privati, bensì di proprietà del governo nazionale. Già nel 2007 aveva all’attivo sui conti di Clearstream titoli equivalenti a centinaia di miliardi di dollari.
Ora la notizia secondo me è che la massa monetaria creata dagli istituti di credito italiani finisce al passivo per lo stato e per altri enti che ne prendono in prestito, ma è all’attivo dei privati che hanno conti su Clearstream e che beneficiano della spartizione della creazione dal nulla di denaro emesso come prestito (http://www.nixonpeabody.com/files/167262_Export_Controls_Alert_31JAN2014.pdf).
Un’altra notizia è che esiste in Asia una piattaforma di compensazione interbancaria, che si chiama Asian Clearing Union (ACU, nata nel 1974), con quartier generale a Tehran, Iran. Gheddafi dalla Libia, proprio nei mesi prima di essere detronato e ucciso dai ribelli finanziati dai poteri occidentali, aveva pianificato di realizzare una simile camera di compensazione interbancaria che riconoscesse le banche centrali sovrane degli stati africani.
Siccome in ogni momento Clearstream interagisce con i mercati e i beni di servizio, così come con i buoni del tesoro, tutto il valore in nero che è entrato in Clearstream (spesso in nero) è anche spendibile, spendibile in ogni momento e sui cinque continenti. Magari per finanziare neo-nazisti in Ucraina, oppositori di Gheddafi, ribelli in Siria, corrotti d’accordo con l’informazione deformata, la politica di sudditanza delle democrazie, le speculazioni, etc..
Le banche private proprietarie della Banca d’Italia hanno su Clearstream ed Euroclear numerosi conti, alcuni nascosti, tutti gli altri non controllati. Queste banche ogni anno creano denaro dal nulla per un valore di 1.000 miliardi di euro. Chi prende in prestito queste somme registra giustamente un nulla di fatto: prima ha ricevuto e poi ha dovuto restituire. La cosa che però non quadra per niente e che anche le banche registrano, sul loro versante, un nulla di fatto. Per il momento vi do’ appuntamento al secondo appuntamento di questo articolo in cui evidenzieremo tanti fatti interessanti su Clearstream.
Per il momento veramente ci premeva sottolineare che le banche svolgono attività d’intermediazione finanziaria solo marginalmente, mentre la loro attività principale consiste nella creazione di denaro ex novo che – ad oggi – non risulta contabilizzata a bilancio.
La Banca Intesa, per esempio, ha riportato per l’esercizio relativo al 2013 un bilancio negativo che preoccupa i suoi azionisti, un deficit dell’ordine di di 4.8 miliardi di euro.
Ebbene i 344 miliardi di euro che sono la creazione di denaro prodotta in quell’anno da Banca Intesa sono finiti sui conti di appianamento internazionale europei (Clearstream e Euroclear) che non sono sotto gli occhi di tutti.
Nel momento dell’emissione di massa monetaria la personalità nascosta dell’istituto bancario (quella su Clearstream) diventa creditrice della somma creata dalla personalità dell’istituto che è sotto gli occhi di tutti. Questa personalità nascosta non si può nemmeno più chiamare “banca”, perché quel denaro accreditatole non risulta più nei forzieri della banca di facciata.
Grazie a Clearstream il fondo in nero viene riciclato, cioè una volta presente su Clearstream viene accettato dalla comunità internazionale.
A margine di questa nostra piccola fatica, ricordo alle persone di buona volontà che una commissione d’inchiesta parlamentare avrebbe gli stessi poteri di un organo giudiziario. E ricordo che usando lo strumento giudiziario o l’inchiesta parlamentare si potrà vedere cosa è stato movimentato sui conti CLEARSTREAM e EUROCLEAR di Banca d’Italia e delle Banche socie della Banca D’Italia, la maggiore delle quali per esempio è Unicredit. Banche che con lo strumento “Clearstream” si muovono al di sopra degli stati!
type (ICP-Nr.) Number Partecipant Name Location
6 90240 BANCA D’ITALIA ROMA
7 61228 BANCA D’ITALIA MILANO
7 66098 BANCA D’ITALIA CA ROMA
10 1003 Banca D’Italia-Conto Proprietà ROMA
10 1004 BANCA D’ITALIA-FPC MILANO
10 61003 Banca D’Italia – Conto Terzi ROMA
10 61004 Banca D’Italia-FPC TERZI MILANO
Spunti di riflessione ulteriore (fino alla prossima puntata), in linea con questo articolo, sono i video sul pressing di Saba alle assemblee dei soci di Unicredit, Banca Intesa e Banca Carige (Rendita monetaria e democrazia: UNICREDIT: intervento di Saba all'assemblea azionisti di risparmio
Pubblicato da alba Kan
 
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Il Tesoro italiano sta accantonando una montagna di soldi in previsione del crac dell'euro.

lunedì 14 luglio 2014
Siamo venuti a sapere da fonte interna ed autorevole del ministero competente, che il Tesoro italiano sta accumulando una riserva di denaro liquido superiore al momento attuale ai 92 miliardi di euro - con l'obbiettivo di raggiungere i 150 entro fine anno - in vista del tracollo della valuta unica europea.
Immagino non sia sfuggito ai più che Banca d'Italia abbia comunicato l'ammontare del debito pubblico, arrivato a 2.166,3 miliardi, e che il motivo dell'impennata sia anche da addebitare agli oltre 14 miliardi accantonati proprio dal Tesoro. Quasi quindici, per la precisione. Perchè?
Perchè far crescere il debito per accantonare contanti? Che senso ha? Da notare che nel 2013 la scorta di liquidi di questa funzione centrale dello Stato era molto inferiore: 62,4 miliardi. Ebbene, in un anno è cresciuta del 50% dell'importo precedente. Non si tratta di aggiustamenti di cassa. Quelli, si contano con le virgole.
Qua siamo di fronte a una strategia precisa: accantonare un vero "tesoro" nelle casse del Tesoro. E un tesoro in euro, proprio quando la macchina dello Stato ha un disperato bisogno di denaro, ha senso solo se lo si ritiene strategico, così importante da dover aumentare ancor di più il buco complessivo dello Stato.
E' evidente che l'Italia nel suo piccolo stia correndo ai ripari. Si sta cercando di accumulare contanti per provare a impedire l'insolvenza che s'innescherà non appena arriverà l'autunno. Le previsioni fatte dal governo Renzi sono completamente sbagliate. Non per niente, lo stesso Renzi ha concesso un'intervista al Corriere della Sera con la quale ha tenuto a "smentire" voci mai girate ufficialmente - e allora perchè smentirle? - di un possibile "commissariamento" dell'Italia da parte della Troika UE.
E le previsioni errate stanno creando una voragine nei conti pubblici, per ora tenuta nascosta. Alcuni quotidiani hanno scritto 24 miliardi di buco nei conti. Altri giornali si sono spinti a parlare di "manovra autunnale". La verità è un'altra.
In autunno, con ogni probabilità nel mese di ottobre, sarà chiaro il piano, l'exit strategy allo studio nelle cancellerie europee per far terninare l'euro in Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia.
La recessione non sta dando tregua e i dati sono tutti convergenti: l'Europa dell'euro è avviata a un inasprimento della crisi, ora arrivata ad aggredire il cuore della macchina economica europea: la produzone industriale. E' in forte calo ovunque sia in circolazione l'euro.
Ed anche i fondamentali sono da brivido: quando i BTP italiani arrivano a rendere circa come i titoli di stato degli Stati Uniti d'America, voi capite che sta accadendo qualcosa di folle. La follia consiste nel tenere artificialmente in equilibrio valori finanziari che sarebbero del tutto squilibrati, se affidati al mercato o se si preferisce, se rispecchiassero davvero la realtà.
Quindi, che accadrà questa estate? Rimarrà tutto com'è ora o s'inizierà a vedere all'orizzonte la tempesta? Francamente, ho la netta sensazione che questo agosto sarà molto - molto - simile all'agosto del 2008.
Poi, il 15 settembre arrivò il crac della Lehman Brothers. E il 15 settembre 2014 riapriranno le porte del Parlamento dopo la pausa estiva...
max parisi
 
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