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DIBATTITI / IL PROFESSOR NINO GALLONI SPIEGA PERCHE' LA VALUTA A CORRERE I MAGGIORI RISCHI NON E' IL DOLLARO, MA L'EURO.
mercoledì 16 luglio 2014
Il secondo semestre del 2014 si apre con un conflitto importante che, apparentemente, parte da alcune forniture militari, ma arriva alla quintessenza dei rapporti monetari internazionali e di cui la “punta dell’iceberg” è rappresentata dalla querelle USA–Francia sulle conseguenze della pesante multa alla Banque National de Paris (BNP) e soprattutto della limitazione postale ad effettuare libere compensazioni internazionali in dollari.
Ma andiamo con ordine: la Francia assicura alla Russia una importante fornitura militare riguardante navi denominate MISTRAL da trasporto di mezzi anfibi ed elicotteri di supporto. Gli USA comminano una multa di quasi 9 miliardi di dollari a BNP per contratti con paesi colpiti da “embargo” come Siria, Iran e Cuba nonché – questo è il punto – impedimenti ad utilizzare la moneta statunitense per effettuare compensazioni internazionali. Putin definisce una ritorsione tale episodio. La BCE, sospinta dalla Banque de France, annuncia un protocollo d’intesa con la Banca Centrale della Cina, nell’utilizzazione del Renminbi e dell’Euro, ma non del dollaro, per gli scambi tra Europa e Sud Est asiatico.
La Francia non è nuova a queste situazioni: ricordate la polemica con il Regno unito durante la guerra delle Malvine per l’uso degli “exocet” da parte degli Argentini?
Ma questa volta la posta in gioco è diversa: è partito l’attacco al dollaro come moneta (di riserva nello scambio) internazionale. Che dietro possano esserci i BRICS – soprattutto la Cina e la Russia – o il malessere “euro–europeo” non c’è dubbio, ma, allora, quali potrebbero essere le conseguenze di tale dinamica premesso che lo status di valuta di riserva ha contraddistinto l’esistenza stessa degli imperi commerciali da quando esiste il concetto moderno di moneta?
Su tale aspetto esiste una notevole confusione tra osservatori, commentatori (vedi ad esempio, Luigi Zingales, L’Espresso del 6 giugno 2014) e gli stessi economisti.
Nel passato, e fino al termine delle guerre mondiali, la moneta era risultata saldamente legata all’oro: ma un conto era tale moneta, utile per gli scambi (e le compensazioni inter-nazionali) ed un altro la moneta locale (erede del “bullione”), quella nazionale (a corso legale) e, infine, quella fiduciaria (emessa dai privati e soprattutto dalle banche, per avventura denominata in valuta legale): vedi il mio “Moneta e società”, edizioni Sì, 2013.
Dopo gli accordi Bretton Woods del 1944, il dollaro servì da principale moneta internazionale: esso stesso era legato ad una conversione in oro pari a 35 dollari per oncia e questo assicurava una reciproca stabilità dei cambi. Vi fu un contrasto profondo tra le posizioni di Keynes e quelle americane che prevalsero, ma, alla fine, il punto fu che gli USA potevano stampare moneta (o, come dice Zingales “stoffa”) di riserva senza altro limite che assicurare, appunto, la conversione di essa nel pregiato metallo a favore dei “non residenti” che lo chiedessero.
Ad un certo punto si scoprì (1971) che non era più possibile garantire quella conversione (guarda caso anche allora fu una richiesta della Francia di De Gaulle a far saltare il banco); ma gli USA continuarono a stamparne a go go.
Il che non avrebbe comportato problemi irrisolvibili se gli USA stessi si fossero limitati a progetti, investimenti ed operazioni economicamente sostenibili: le capacità produttive e tecnologiche, infatti, a partire dal XX secolo – a differenza di tutta la storia precedente – sono sufficienti a garantire tutti i beni ed i servizi richiesti.
L’inflazione derivò dall’uso improprio della moneta stessa sui circuiti internazionali, si cominciò dai petrodollari, la svalutazione dei cambi, ecc.
Adesso è chiaro che, da una parte, gli USA vogliano continuare a godere del privilegio di stampare la moneta internazionale “ad libitum” (vedi il quantitative easing e le guerre a quanti abbiano osato opporsi), dall’altra, che i BRICS vogliano opporsi.
In mezzo l’euro, ovvero l’Europa che non condivide, apparentemente (Trattati europei, rifiuto del quantitative easing, ecc.) il metodo USA, ma che, grazie all’attuale gestione della BCE è pronta a fare (quasi) lo stesso. Risultato: un eccesso di liquidità per finanziare qualunque follia speculativa, ma ben poco per lo sviluppo, se le politiche economiche continueranno ad aspettarsi miracoli dai privati lesinando risorse (che sarebbero disponibili e “gratuite”) agli Stati ed alle loro spese pubbliche produttive e socialmente necessarie.
Per gratuiti si intende il recupero della moneta esogena (emessa dagli Stati) per finanziare opere utili, necessarie, economiche.
Ma la guerra è cominciata: sotterranea ed anche palese. La Francia, in difficoltà, tenta questa via. Si parla di morte del dollaro ma è l’euro che rischia maggiormente!
Il ritorno alle monete nazionali ed alla piena sovranità degli Stati risolleverebbe l’Europa, un’Europa confederale non “centralizzata” e, tuttavia, portatrice di progetti intercontinentali, di valori di civiltà e quant’altro.
Ma se si contesta il dollaro e si propongono altre valute, quale sarà la moneta internazionale qualora le compensazioni non siano reciprocamente a somma zero?
Si parla, quindi, di ritorno all’oro (la Cina, infatti, detentrice di dollari e titoli di stato USA ne ha acquisito quantità impressionanti): ma sarebbe un fatale regresso, incompatibile con le potenzialità di sviluppo del pianeta e degli stessi BRICS.
Insomma, il ritorno all’ (età dell’) oro sarebbe insostenibile; l’unica sostenibilità la neutralizzazione della moneta rispetto alle capacità ed alle esigenze di sviluppo economico, civile e culturale in rapporto alle potenzialità di ciascuno. Una neutralizzazione già tecnicamente acquisita e che, tuttavia, la cultura non ha ancora fatta propria, con conseguenze devastanti per la civiltà e le condizioni dello sviluppo economico sostenibile.
Autore: Prof.Nino Galloni - economista.
Nota biografica.
Nino Galloni si laurea in giurisprudenza nel 1975 e diventa ricercatore presso l'Università di Berkeley nel 1979. Tra il 1981 e il 1986 è stato collaboratore del prof. Federico Caffè della facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Roma, e dal 1987 al 1999 ha insegnato all'Università Cattolica di Milano, all'Università di Modena, alla Luiss e all'Università degli Studi di Roma.
Ha ricoperto diversi incarichi e ruoli ai ministeri dell'Economia e del Lavoro, all'INPDAP e all'OCSE, nonché come consigliere di amministrazione dell’Agip Coal e Nuova SATIN, e di board director della statunitense FINTEX Corporation. Dal 2010 è membro effettivo del collegio dei sindaci all'INPS. Galloni è autore di numerosi saggi concernenti l'economia, e che trattano in maniera particolare di tematiche riguardanti il mercato, la finanza, e la sovranità monetaria. (WIKIPEDIA)
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