News, Dati, Eventi finanziari sara' vero................

CHI HA PRESTATO COSA A CHI
Pubblicato su 22 Settembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in IPHARRA
Claudio Marconi
Nel 2013 l'Italia ha speso il 22% della sua ricchezza per pagare gli interessi sul debito.
Fino a quando non saprete chi ha prestato che cosa a chi, non potrete mai capire nulla di politica, non potrete mai capire nulla della storia, non potrete mai capire nulla delle TRUFFE INTERNZIONALI
 
I BRETONI SI RIBELLANO ALLE SANZIONI CONTRO LA RUSSIA

Pubblicato su 23 Settembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in POPOLI LIBERI
Nel nord-ovest della Francia gli agricoltori hanno dato fuoco alla sede dell'agenzia delle Entrate per aver perso la possibilità di esportare i loro prodotti in Russia.

Il fatto è avvenuto nella città di Morlaix, in Bretagna.
Gli agricoltori hanno ostacolato i vigili del fuoco nelle operazioni per spegnere il rogo, in questo modo l'edificio è rimasto parzialmente distrutto.
Il primo ministro francese Manuel Carlos Valls ha dichiarato che i responsabili dell'incendio doloso saranno puniti.


Popoli Liberi




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Controllo delle masse e tecniche di depistaggio

Pubblicato su 23 Settembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in IPHARRA
In questa conferenza, Solange Manfredi esordisce dicendoci che viviamo tutti in un "Truman Show". Esagerata?
La Manfredi è persona serissima, un avvocato in gamba e preparato ed una brava oratrice. Dopo aver scartabellato per anni tra le carte desecretate dagli archivi di stato americani e nostrani, ha ricostruito un quadro coerente e sorprendente della storia d'Italia degli ultimi 70 anni. Una storia diversa da quella dei libri di scuola, diversa dai titoli di giornali. Che però non si basa su dicerie, sulla parola di giornalisti o di politicanti. Si basa su documenti. Migliaia e migliaia di documenti.
In questi video ci parla della marea di menzogne che ci hanno propinato negli ultimi vent'anni. La guerra psicologica di cui siamo vittime quotidianamente. E non si limita a dirci quando ci hanno preso in giro. Ci racconta anche come, e perché.
Tratto da:Coscienzeinrete.net




















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R. Bootle: La Soluzione per i Guai dell'Italia è Abbastanza Semplice – Uscire dall'Euro.

Pubblicato su 23 Settembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in ECONOMIA
Dalle colonne del Telegraph Roger Bootle, il vincitore del Wolfson Prize, avverte che l'Italia corre velocemente verso il default - e che le "riforme", anche se venissero fatte, non servirebbe ad evitarlo. L'unica via sarebbe rilanciare velocemente la crescita uscendo dall'euro.

di Roger Bootle - SALVO che qualcosa di importante non cominci presto a cambiare, l'Italia è in corsa verso un gran default.

Nessun paese incarna il malessere economico europeo megliodell'Italia. Spesso si dice che l'Italia non può finire nei guai perché è così ricca. Lo è. Ricca di bellezze naturali e di tesori dell'antichità,di splendide città e di una bellissima campagna, di gente incantevole, di cibo e vini meravigliosi e di uno stile di vitaaffascinante. Ma come paese in realtà non funziona.


Alcuni aspetti del problema sono lì da secoli; altri sono relativamente nuovi. Prima della guerra, gran parte dell'Italia era povera. Nel corso degli anni '50 e '60, anche se la politica italiana era caotica e il governo disfunzionale, con l'industrializzazionel'economia è cresciuta molto velocemente e ha toccato dei massimi livelli di PIL. Nel 1979, l'Italia ha superato anche il PIL del Regno Unito, un evento di cui gli italiani si sono molto rallegrati, chiamandolo "il Sorpasso".

I problemi sottostanti restavano sopiti. Anche se c'era la tendenza ad un'alta inflazione, la ripresa
era sempre a portata di mano con una lira più debole (per farsi un'idea più precisa sulla realtà delle svalutazioni dell'Italia consigliamo di leggere la risposta di Bagnai a Zingales, ndVdE). E l'economia continuava a crescere. Poi tutto hacominciato ad andar male. Nel 1995 il Regno Unito ha di nuovo superato l'Italia e il divario tra le due economie da allora è andato accentuandosi.


Per cogliere il problema nella sua giusta prospettiva, tutti i Paesi del G7, tranne l'Italia e il Giappone, hanno ormai superato il livello di PIL di cui godevano prima della Grande Recessione. Il Canada èdel 9pc al di sopra del livello del 2008, mentre il PIL italiano è ancora sotto del 9pc. Ma quel che è peggio, l'economia si staancora contraendo.

Questo non è un fulmine a ciel sereno. Dal momento che è stato adottato l'euro nel 1999, il tasso medio annuo di crescita dell'economia italiana è stato solo dello 0.3pc - in altre parole, quasi nulla.


Intendiamoci, non tutto questo è dovuto all'euro. C'è un disperato bisogno di riforme e il sistema politico sembra incapace di adottare le misure necessarie. E l'Italia è stato uno dei primi paesi a soffrire della crescita dei mercati emergenti.

Si consideri che la Germania produce beni durevoli di largo consumo e macchinari a tecnologia avanzata, mentre l'Italia si è specializzata in beni di consumo a bassa o media tecnologia che la Cina e altri
paesi riescono a produrre più a buon mercato (qui una lettura utile ad approfondire il discorso sul crollo della produttività italiana, ndVdE).


E l'euro non ha certo aiutato perché, fin dall'inizio, i costi italianihanno continuato ad aumentare più velocemente di quanto abbianofatto in Germania e in altri paesi del centro. Questa volta, però, non c'era la via d'uscita del tasso di cambio. Quindi, i costi e i prezzi italiani sono rimasti privi di un meccanismo di riequilibrio.

È vero, il tasso di inflazione è sceso bruscamente. Infatti, ora èleggermente negativo. Ciò non sorprende, dato che il tasso di disoccupazione è al 12.6pc. A differenza di alcuni degli altri paesi periferici dell'euro, tuttavia, l'Italia non ha fatto molto per ridurre ilsuo divario di competitività. Con tanta capacità produttivainutilizzata, è possibile che i salari e gli altri costi inizieranno a scendere notevolmente, come hanno fatto in Spagna, Grecia e Irlanda. Ma se questo accadrà, anche se finirà per rendere i prodotti italiani più competitivi, tuttavia farà peggiorare l'altro grande problema dell'Italia - il debito.

Anche se, al 3pc, il deficit pubblico non è particolarmente alto, il vero problema finanziario sta nello stock di debito, accumulato con una serie di deficit succedutesi nel tempo. Sorprendentemente, durante il recente periodo di "austerità", il rapporto debito/Pil è aumentato (quelle surprise! , nDVdE). Attualmente è pari a circa il130pc del PIL. Se l'economia ristagna e i prezzi scendono, il PIL nominale crollerà. E questo porterebbe il rapporto debito/PIL a salire, anche se il bilancio fosse mantenuto in pareggio allo scopo di fermare la crescita del debito.

L'Italia è molto vicina alla situazione che gli economisti definiscono "trappola del debito", in cui il rapporto debito/Pil aumenta in modo esponenziale. L'unica via di fuga da questa situazione è l'inflazione, o il default. L'Italia non può creare inflazione perché non ha una propria valuta. Quindi, a meno che qualcosa di grosso inizi a cambiare molto presto, l'Italia è in corsa per un grande default sovrano.

Spesso si sente dire che una crisi del debito pubblico in Italia non èpossibile perché gli italiani hanno un alto tasso di risparmiopersonale e, di conseguenza, ci sono sempre i fondi per comprare il debito. Allo stesso modo, si sostiene spesso che, a differenza delPortogallo o della Grecia, la posizione con l'estero dell'Italia non èpoi così male, con le passività verso gli stranieri superiori alle attività verso l'estero di qualcosa come il 30pc del PIL. Questo significa che il debito italiano è per lo più dovuto agli stessi italiani.

Ciò è in gran parte vero – ma sino a un certo punto. Certo, poichél'Italia non è un grande debitore verso l'estero vi è un rischio limitato di una crisi di indebitamento internazionale del tipo che affligge periodicamente diversi mercati emergenti. Ma ci puòsempre essere una crisi fiscale. Il fatto che gli italiani hanno molti risparmi non significa che mettano volentieri il loro denaro in titoli di Stato, in particolare quando l'insostenibilità delle finanze pubbliche implica che a un certo punto ci sarà un default.

Come abbiamo visto, il debito greco può essere "ristrutturato" senza scuotere il sistema finanziario. Questo perché la Grecia è piccola. Ma l'Italia decisamente non lo è. Il mercato dei titoli di Stato italiani è il terzo più grande al mondo, dopo Stati Uniti e Giappone. Qualcuno da qualche parte è seduto su enormi scorte di titoli didebito italiani - per lo più le banche italiane. Quindi una crisi del debito si trasformerebbe in una crisi bancaria.


Certo non verrebbe in mente che c'è un problema se si guardasseai tassi di interesse di mercato. I mercati sono felici di prestare al governo italiano per 10 anni al 2.4pc, 1.3pc sopra l'equivalente tedesco. Intendiamoci, prima che una crisi esploda, è esattamente questo che fanno i mercati. La loro specialità è quella di passare dalla spensieratezza al panico in un batter d'occhio.

Come potrebbe l'Italia sfuggire a tutto questo? I problemi sono profondamente radicati e non miglioreranno in una notte. Il Paese ha bisogno di riforme fondamentali del suo sistema politico, della giustizia, del suo sistema fiscale e del mercato del lavoro. Anche se tutto venisse fatto, però, l'Italia sarebbe ancora impantanata neldebito pubblico.


Come il resto della zona euro, quel di cui l'Italia ha più immediatamente bisogno è una crescita economica decente. Forseuna qualche ripresa a livello europeo potrebbe essere raggiuntacon una combinazione di audacia da parte della BCE e diallentamento fiscale da parte dei tedeschi. Ma non ci conterei.

L'opzione radicale per l'Italia è quella di uscire dall'euro e permettere a una valuta debole di generare un boom di esportazioni, una maggiore inflazione, un maggior gettito fiscale e un onere del debito più leggero. Mi chiedo quanti altri anni sprecati l'Italia dovrà subire prima che venga finalmente in mente ai suoileader che questa è l'unica strada percorribile.


Roger Bootle è amministratore delegato di Capital Economics e vincitore del Wolfson economics prize nel 2012



Tratto da:Voci dall'estero




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L’elite globale nasconde 18 trilioni di dollari nelle banche offshore”
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La valuta cinese sostituirà il dollaro...?



Ma chi controlla i tassi di cambio? E chi controlla la valuta cinese? Oltre ai mandarini... (cfr. http://mercatoliberotestimonianze.blogspot.it/2014/06/davide-serra-renzi-bilderberg-axa-mps-e.html ; http://mercatoliberotestimonianze.blogspot.it/2014/08/giuda-e-giuda-basta-saperlo-non-dirmi.html). NF



Fonte: http://kitdemonter.wordpress.com/2014/09/16/le-nouveau-systeme-financier-international-acte-1/ Traduzione a cura di N. Forcheri



Il nuovo sistema finanziario internazionale. Atto 1

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La Gran Bretagna includerà il renminbi cinese come riserva valutaria. Un colpo ulteriore contro il dollaro americano.
LONDRA, 12 settembre (XINHUA) - Il Cancelliere dello Scacchiere britannico, Georges Osborne, ha annunciato venerdì che il governo britannico prevede l'emissione di una obbligazione denominata in renminbi e di utilizzarla per finanziare le riserve valutarie del governo.

«Adesso posso annunciare che il governo del Regno Unito intende essere il primo governo nazionale esterno alla Cina a emettere un prestito nella valuta cinese. Abbiamo emesso obbligazioni in dollaro americano precedentemente, e adesso pubblicheremo un legame in RMB" ha dichiarato Osborne nel comunicato stampa del sesto incontro Cina Regno Unito in un "dialogo economico e finanziario" (EFD).
Osborne ha descritto il dialogo come "momento storico" e dichiarazione di fiducia britannica nel potenziale del RMB per diventare "la principale moneta mondiale di riserva".
"E mi faccia essere chiaro, la Cina sta diventando una piazza sempre più grande dell'economia mondiale, la sua moneta sarà utilizzata ovunque nel mondo. In Gran Bretagna noi vogliamo essere il primo paese occidentale a cogliere l'opportunità che ciò offrirà" ha dichiarato Osborne.
Nel frattempo l'emissioni di obbligazioni in moneta cinese è sinonimo di occupazione e investimenti in Gran Bretagna. Questo piano economico a lungo termine è sempre attuale, ha osservato osborne.
Fonte : English.news.cn
Gslat

 
Privatizzazioni: un rapido sunto



Fonte: http://scenarieconomici.it/coinvolgimento-dei-poteri-forti-nord-ovest-italiano-nel-progetto-alienazione-allestero-delle-aziende-nazionali-cenni-storici-prospettive-future/

Il coinvolgimento dei cd. Poteri Forti italiani nel progetto di alienazione all’estero delle aziende nazionali: cenni storici e prospettive future

In termini storici i cd. Poteri Forti, aggregati attorno ai potentati famigliari locali, sembra abbiano vieppiù contribuito alla spogliazione dell’imprenditorialità nazionale, leggasi alienazione all’estero di aziende locali una volta leaders di settore o annichilimento di impresa.
Un breve escursus. Partiamo dalla fine degli anni sessanta con la morte prematura di Adriano Olivetti e il molto sospetto incidente del geniale Mario Tchou che aveva contribuito a dare forma tecnica alla visione profetica di Olivetti, divenendo successore del suo mentore a capo di quello che può a buon titolo essere definita l’azienda che inventò i personal computer come li conosciamo oggi, o ieri: alla morte della massima dirigenza, nelle more della conseguente liquidazione dell’innovativa azienda eporediese venne chiamato un gruppo di imprenditori italiani capeggiati da quel Gianni Agnelli destinato a diventare il riferimento USA in Italia, magari anche grazie al grande allineamento dimostrato. L’epilogo fu che l’Olivetti venne di fatto “spenta”, i brevetti venduti ad aziende americane che da lì a poco avrebbero inaugurato la Silicon Valley made in USA, da Ivrea alle province di Cupertino. Questa non è nemmeno una visione originale, anzi trae spunto diretto da quanto detto a Dogliani quest’anno da Carlo Debenedetti, uno che ne sa molto dell’argomento essendo stato tra i massimi rappresentanti aziendali di quello che fu il colossale gruppo Fiat degli anni settanta ed avendo messo ben in chiaro il suo pensiero sul possibile omicidio di Mario Tchou proprio nella ridente città del dolcetto (non a caso, in lite con la famiglia torinese, alla fine uscì dal gruppo automobilistico e si accasò proprio a Ivrea, dando forma a quello che fu Omnitel poi – anch’essa – venduta a Vodafone: oggi Olivetti di fatto none esiste più e Ivrea è un deserto industriale).
Altro caso: Alfa Romeo. L’azienda – che ai tempi galleggiava senza successi, ma occupando migliaia di persone soprattutto nel meridione – passò come privatizzazione dalla partecipazioni statali alla Fiat negli anni ’80 (quando a capo dell’IRI era Prodi, poi destinato a grandi successi internazionali, con qualche assonanza con i successi prospettici di quel Michel Platini che tanto fece felici i torinesi che contano, ndr), che poi non l’ha mai ceduta. La parabola discendente dell’azienda dei motori boxer apprezzati anche dai giapponesi (di Subaru) ve la potete fare da soli ma non senza ricordare che oggi l’Alfa è la sola parte (esclusa Ferrari) del residuale gruppo automobilistico torinese che sembra ancora interessare all’estero – proprio ai tedeschi di VW, ndr –, un icona che sembra ancora valere qualcosa al contrario – sembra – di Fiat. Purtroppo la produzione non esiste quasi più… Parimenti vale la pena di meditare sul fatto che tutte le aziende automobilistiche che negli anni Fiat si è comprata sono state a termine annichilite fino a di fatto quasi sparire, Autobianchi, Lancia e molti altre… . E’ per altro interessante ricordare come, parallelamente a tale privatizzazione, invenzioni di successo totalmente italiane (Centro Ricerche Fiat, fucina di bravi ingegneri in molti casi emigrati) furono dilapidate dal management torinese, facendo ricchi gli stranieri: l’iniezione elettronica diretta ed il Common Rail (cedute a Bosch, ’94), lo “sviluppo interruptus” della trazione quattro ruote motrici per le macchine di serie dilapidando in modo ad oggi ancora inspiegabile il vantaggio strategico accumulato grazie ai pionieristici successi della Delta Integrale (lasciando spazio libero all’Audi, oggi strapiena di managers italiani, la Lancia abbandonò dall’oggi al domani l’arena del 4×4, oggi si vendono solo più macchine integrali ad un certo livello, boh). Che dire… E non dico nulla dei recenti sviluppi del gruppo automobilistico emigrato fiscalmente in Olanda/Gran Bretagna e di cosa è rimasto in Italia (ed in che condizioni…).
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Arriviamo alle privatizzazioni degli anni ’90 con la vendita di Telecom Italia, ex Stet, azienda ricchissima di assets e agli albori di una liberalizzazione epocale oltre che di una rivoluzione tecnologica. Inizialmente Telecom fu strategicamente partecipata da Fiat che fece di fatto da “pontiere” per poi passare la mano dietro lauto compenso: Fiat con il solo 0.6% di Telecom si trovò nel ponte di comando del colosso telefonico italico, per poi uscirne con una plusvalenza miliardaria (cito il Sile 24 Ore del 17 Ottobre 2009, “Telecom Italia e il disastro privatizzazione”, articolo a nome di quel Fabio Tamburini che scrisse l’illuminante “Misteri d’Italia” sulle trame finanziarie degli anni ’70 raccontate dal raider ante litteram Aldo Ravelli, poi trombato a favore di un fedelissimo come l’attuale direttore della testata di Confindustria). Riprendiamo tale illuminante articolo: “…il progetto, studiato da Tim nel 1997, due mesi prima della privatizzazione, con il supporto della banca svizzera Ubs prevedeva un’offerta pubblica d’acquisto parziale sul 14,9% di Vodafone, che all’epoca sarebbe costata meno di 3 miliardi di euro (oggi capitalizza 77 miliardi). L’operazione, ricorda Gamberale, venne «impedita, sconsigliata dall’azionista perché era primaria l’esigenza di privatizzare il gruppo».
In pochi anni, dopo la privatizzazione, la necessità di ridurre l’indebitamento ha prodotto lo smantellamento delle attività estere. Ora il rinnovo del patto con Telefonica segnerà il destino di Telecom Italia facendola parlare sempre più spagnolo. Per questo c’è chi preferisce la scissione di Telco: i soci italiani (Benetton, Generali, Intesa Sanpaolo, Mediobanca) in Telco 1, l’alleanza con Telefonica in una nascente Telco 2. Così Telecom avrebbe qualche possibilità in più di restare italiana e, in futuro, di mantenere in Italia tecnologie avanzate, occupazione, investimenti.
”. Non aggiungo altro, ricordando come a seguito della privatizzazione di Telecom il suo imponente portafoglio immobiliare venne alienato anche tramite la Pirelli Real Estate (Tronchetti Provera, Puri Negri), per lasciarsi dietro il cadavere che conosciamo oggi, oberato dai debiti e con dubbio futuro, a cui stanno togliendo la terra sotto i piedi data dalle ricche partecipate estere in sud America (Telecom Argentina quasi venduta e Telecom Brasil in trattativa di cessione). E questo dopo essere stato probabilmente il miglior operatore mobile mondiale ai tempi, innovatore, con enorme clientela e buoni servizi (TIM). Vale la pena di ricordare la ricorrenza del nome di Prodi nel processo di vendita di assets statali di valore, lo stesso in predicato di diventare presidente della repubblica per intenderci. Dove siamo finiti adesso fa piangere.

Altro caso, siamo al 2002: Montedison è oggetto di OPA da parte di EDF. Si intromette Fiat che, nel mezzo del fervore nazionalistico, si propone come cavaliere bianco a difesa dell’italianità, si diceva (questo fu quanto ai tempi venne percepito dai comuni mortali come il sottoscritto). In realtà anche in questo caso Fiat fa da “pontiere”, mette la sua persona al comando (Quadrino) e fa un’operazione molto simile se non gemella a quella di Telecom, pochi soldi messi dentro, trampolino di lancio per le proprie persone diversificando le ramificazioni di managers ex Fiat in altri settori tra cui l’energia (U. Quadrino [legato alla fam. Agnelli], P. Gallo, L. Gubitosi via Wind etc.) ed un sacco di miliardi guadagnati all’epilogo. Alla fine Montedison verrà fatta a pezzetti, venduta partecipata per partecipata all’estero (Ausimont, Antibioticos, Eridania, Selm/Edison, i giacimenti di gas in Egitto, quello restava della chimica, varie partecipazioni residue dell’attivismo di Gardini, Edisontel….). Montedison, ai tempi prima azienda privata italiana, è oggi solo un ricordo, finita, annichilita, defunta come soggetto italiano.Encore, alla fine anche qui Fiat se ne uscì con una plusvalenza finanziaria enorme, con il contraltare dell’imprenditorialità persa (leggasi aziende cedute all’estero) e dell’occupazione bruciata…
E come non citare poi il caso del famoso fondo Charme di Montezemolo? Anche lui ha capito – ci ha impiegato molto tempo in verità – che intermediare il made in Italy all’estero rende, eccome! Ed ecco l’attivismo del fondo dell’ex manager di Ferrari con Poltrone Frau, comprata e poi venduta all’estero. Poi Bellcobi, Octo Telematics… In effetti Montezemolo ha capito che così si fanno più soldi che investire nel creare un’azienda, gestirla ed impiegare gente: troppo difficile, il caso di Italo (alta velocità ferroviaria) è significativo, a quanto pare il breakeven si sta allontanando sempre più. Scommetto che presto o tardi finirà anch’essa all’estero… E questo lo dico con buona pace di coloro che ancora pensano ad una Ferrari con Montezemolo a capo vincente in Formula 1, la speranza è l’ultima a morire…
Ora siamo nel pieno del secondo decennio degli anni 2000. Statisticamente ci siamo, possiamo attendere un altro colpo da parte dei soliti noti: che l’obiettivo di turno siano ancora una volta le aziende in via di privatizzazione? In passato la costante è stata quella di disintegrare l’occupazione oltre a cedere le aziende, ma dobbiamo dire chiaramente che cedendo il controllo all’estero di ex gioielli italiani con annesso annichilimento delle prospettive future per la cittadinanza e l’imprenditorialità italiana i “pontieri italiani” abbiano davvero fatto una barca di soli. Magari potremmo andare un filino oltre dicendo – base esempi riportati – che l’Italia con la privatizzazione (svendita) di tante e varie aziende di valore ha contribuito a mantenere alto lo stile di vita delle enormi – come numero di discendenti – notabili famiglie, soprattutto torinesi. Dunque, perché non aspettarsi un altro affarone? Che sia che il paventato e tempisticamente perfetto interessamento di Volswagen per Fiat e soprattutto Alfa Romeo non nasconda la volontà/necessità lato italiano di fare cassa per poi investire in Eni, Enel od altre aziende delle ex partecipazioni statali “privatizzande” in compagnia dell’immancabile partner tecnico straniero?
Se così fosse aspettiamoci il solito menu, progressiva alienazione all’estero degli assets con spezzatino annesso e occupazione a perdere. Pensandoci bene ci sarebbe una logica: la Fiat vende una parte o tutta la complessa (da gestire) Fiat a VW che allinea altri soggetti ricchi di liquidità facendo ad esempio ponte con qualche gigante energetico locale per prendersi – che so – ENEL, base dati di bilancio una delle migliori utility del mondo, facendo fare da pontiere all’italiano di turno (sempre lo stesso in realtà). Dunque si compra la multinazionale italiana, la si fa a pezzetti, si trasferisce per quanto possibile l’utile, flussi di cassa ed occupazione di pregio all’estero, poi il pontiere esce mettendosi in berta miliardi di intermediazione. Bel business, chapeau!
Peccato che se così fosse, visti a trascorsi, a perderci sarebbe ancora una volta l’Italia e questa volta sarebbe fatale vista la terribile situazione occupazionale presente e futura. Forse qualcuno a Roma dovrebbe leggere questo pezzo per capire una delle vere radici della disoccupazione italiana attuale, che dite? Questo articolo era pronto da un pezzo e mi ha fatto piacere sentire da Renzi negli scorsi giorni che probabilmente è meglio vendere all’estero aziende italiane se sono coinvolti i soliti noti nazionali, o qualcosa del genere (non so a chi si riferisse l’ex sindaco)…
Ah, dimenticavo: sarà un caso ma tutti i poteri forti nazionali citati [e quanto attorno loro ruota] sono anche gli stessi che continuano a dire che all’euro non c’è alternativa. Quando si parlava degli interessi di chi aveva convertito instabili lire in solidi pseudo marchi… Ripeto, sarà un caso…
Con gli esempi qui riportati alla fine quello che posso ricordare [da nordista] agli amici meridionali che correttamente lamentano un sospetto atteggiamento colonizzatore dei Savoia nei confronti del Sud dopo l’unificazione del 1860, – se ce ne fosse bisogno – è che una volta di più siamo davvero tutti sulla stessa barca. Il problema è chi sta al timone.
Mitt Dolcino



Pubblicato da Nicoletta Forcheri a 01:52 ShareThis Link a questo post Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest




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+++ L'ostaggio francese in Algeria, Herve Gourdel, è stato decapitato dai suoi rapitori. +++

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LA GERMANIA CONTINUA ''TRANQUILLAMENTE'' A FINANZIARE A FONDO PERDUTO AZIENDE DELLA EX DDR FREGANDOSENE DEI TRATTATI UE.

mercoledì 24 settembre 2014
BERLINO - Il successo folgorante del partito euroscettico "Alternative fuor Deutschland" (AfD) minaccia i paesi piu' in crisi dell'eurozona: a sostenerlo e' ll'agenzia di rating Standard&Poor's. Secondo l'agenzia Usa, il progressivo rafforzamento di AfD potrebbe spingere il cancelliere tedesco Angela Merkel ad attuare una linea piu' dura per riconquistare gli elettori della Cdu "rubati" da AfD. Nei sondaggi AfD continua a crescere: a livello federale per la prima volta ha raggiunto il 10 per cento delle preferenze. La scorsa settimana gli euroscettici di "Alternativa per la Germania" sono riusciti ad entrare nei Parlamenti regionali di Brandeburgo e Turingia dopo aver registrato un relativo successo anche in Sassonia e alle elezioni europee.
L'ascesa di AfD potrebbe influenzare la linea della politica europea del governo tedesco: se gli euroscettici tedeschi dovessero incassare nuovi successi - secondo l'analista di S&P Moritz Kraemer - il governo di Berlino potrebbe assumere una posizione piu' dura nei confronti del salvataggio dell'euro. Ma gli avvertimenti di S&P hanno suscitato dure critiche da parte dei maggiori economisti tedeschi. "Questa e' una triste ironia della sorte economica", ha dichiarato il direttore dell'Istituto di macroeconomia e ricerca congiunturale (Imk), Gustav Horn, al quotidiano "Handelsblatt".
"Proprio una di quelle agenzie che nell'autunno 2009 avevano chiesto una politica di austerita', ora temono la linea di rigore richiesta da AfD", ha commentato Horn, secondo cui tutto questo dimostrerebbe "la totale assurdita'" del lavoro delle agenzie di rating. "Non bisogna piu' prendere sul serio i loro giudizi", ha aggiunto Horn.
Ma il quotidiano "Handelsblatt" accende anche i riflettori sull'ex Germania Est, e sono dolori. A quasi 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino - scrive - la Germania orientale sconta ancora una marcata debolezza economica rispetto ai lander dell'Ovest: il peso economico dei cosiddetti "nuovi lander" e' del 30 per cento inferiore rispetto a quello dei lander dell'Ovest,
Secondo il rapporto annuale del governo sullo stato dell'unita' tedesca, il gettito fiscale pro capite ammonta nell'Est del paese a 937 euro, all'Ovest invece a 1837 euro.
"Dal 1989 ad oggi i tedeschi dell'Est hanno compiuto grandi progressi, ciononostante sono ancora preoccupata", ha dichiarato al giornale l'incaricata per l'Est del governo federale, Iris Gleicke (Spd). Per incentivare lo sviluppo dell'Est, Gleicke propone un ulteriore incentivo alle regioni piu' bisognose anche dopo la scadenza del contributo di solidarieta' nel 2019.
"Altrimenti tutto il lavoro di ricostruzione fatto in questi anni all'Est sara' solo fatica sprecata e i lander orientali continueranno ad essere attaccati alla flebo dell'Occidente", ha commentato l'esponente della Spd. Anche nell'Est ci sono industrie in forte crescita che non necessitano di alcun finanziamento: e, anche nelle regioni dell'Ovest alcune imprese rischiano di finire su un binario morto. "Dobbiamo certamente parlare di un terzo patto di solidarietà. Il denaro non può più essere distribuito in ogni direzione. Abbiamo bisogno di criteri chiari e indicatori strutturali che giustificano le sovvenzioni".
Alla luce di questo spaccato tedesco, sorge spontanea una domanda: perchè alla Germania è concesso di finanziare aziende private - aiutandole - con fondi pubblici mentre, se lo fa l'Italia ad esempio nel caso Alitalia, viene subito attaccata per aver violato le regole della UE che impediscono tali operazioni?
max parisi

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PASSA ALLA CAMERA ''IMPEGNATIVA PER IL GOVERNO'' DELLA LEGA PER AVERE INDIETRO DALLA UE 60 MLD! (COME ABBIAMO SCRITTO NOI)

giovedì 25 settembre 2014
700milioni di rimborsi pagati al Regno Unito per garantirne la permanenza nell'Ue. E' quanto nell'ultimo anno l'Italia ha pagato a Londra, per il tramite di Bruxelles. La cifra compone il cumulo di 171 miliardi di euro che da Roma sono stati versati nelle casse europee negli ultimi 12 anni, "e solo 111 miliardi sono tornati indietro".
Numeri su cui ha puntato il dito la Lega Nord, questa mattina, presentando, per bocca del deputato Emanuele Prataviera, un ordine del giorno specifico che il governo ha accolto come impegno e che pure l'aula ha promosso, con 432 voti favorevoli e solo 2 contrari. L'esecutivo si e' cosi' impegnato a mettere mano - durante il semestre europeo a presidenza italiana - ai meccanismi di rimborso, in primis quelli nei confronti del Regno Unito, che dal lontano 1984 gode di benefici per la situazione di particolare difficolta' in cui versava all'epoca.
Il Carroccio chiede lo stop a "schemi di pagamento iniqui" e punta il dito contro quei 60 miliardi regalati a Bruxelles come una paradossale "gabella sull'austerita'". "Il paese e' cornuto e mazziato: l'idolo del rigore e la svendita della nostra sovranita' ci costano carissimi. Teniamoci quei soldi e usiamoli per il nostro welfare, in barba agli eurocrati".
"Mancano 3 mesi alla fine del semestre di presidenza. Ora il parlamento ha dato mandato pieno al governo" di correggere le iniquita' del bilancio comunitario. "Confidiamo che oltre alle promesse e alla poltrona del ministro Mogherini, Renzi porti a casa qualche risultato concreto a favore dei contribuenti tartassati italiani e del Nord in particolare".
Redazione Milano

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SCELTA CIVICA ADESSO S'ACCORGE CHE IL LIMITE ALL'USO DEI CONTANTI E' DELETERIO!

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25 settembre - ''Ho presentato un'interrogazione al Ministero dell'Economia per chiedere se il governo abbia valutato gli effetti sui consumi italiani e stranieri in Italia provocati dalle norme che limitano l`uso del contante e se intenda modificare la disciplina italiana nella direzione di una maggiore sintonia con quella vigente negli altri Paesi dell`Unione Europea''. Lo spiega in una nota il deputato di Scelta a Civica, Gianfranco Librandi. (Librandi, questa minchiata l'ha fatta il suo partito, lo ricordi
 
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settembre 25, 2014 1 commento

MK Bhadrakumar - 24 settembre 2014Considerando l’enorme pubblicità che la Casa Bianca ha dato la scorsa settimana alla visita del presidente ucraino Petro Poroshenko, con il ‘raro onore’ di presenziare una sessione congiunta del Congresso degli Stati Uniti, ed altro, si sarebbe pensato che l’amministrazione Barack Obama avesse un elevato umore bellicoso verso la Russia. Ma una lettura attenta delle osservazioni del presidente Obama dopo l’incontro con Poroshenko a Washington, fa sorgere dubbi. Obama è un politico intelligente che può fare apparire una ritirata come una vittoria. L’ha fatto in Afghanistan, lo fa in Ucraina? Si consideri ciò, Obama che ha disprezzato l’accordo di Minsk ne è ormai devoto. Sostiene anche che l’Ucraina dovrebbe avere “buone relazioni con tutti i suoi vicini, ad est e ad ovest”, e raccomanda che l’Ucraina perpetui i suoi forti rapporti economici e popolari con la Russia. Questo è il vecchio Obama. Si nota Obama consigliare Poroshenko risolvere i problemi direttamente con Mosca? Sembra così. Al ritorno a Kiev, Poroshenko ha svelato che l’Ucraina riceverà solo articoli militari “non letali”, ovviamente ben lungi dalla sua lista dei desideri. E come assistenza economica, la Casa Bianca ha accettato di concedere la somma principesca di 50 milioni di dollari di aiuti a Poroshenko, per tutto il 2015. Piuttosto tragicomico, in un momento in cui, secondo il FMI, l’Ucraina ha bisogno di 19 miliardi per l’anno prossimo, se la guerra civile continua, e solo come assistenza finanziaria per sopravvivere al prossimo anno, al culmine del programma di salvataggio globale dell’Ucraina. Nel frattempo, il FMI ha rivisto la stima di sei mesi prima e ora dice che per l’impressionante piano di salvataggio da 55 miliardi di dollari è necessario altro finanziamento estero per l’Ucraina. Gli esperti prevedono che tale cifra potrebbe alla fine avvicinarsi ai 100 miliardi piuttosto che ai 55 miliardi di dollari. E’ uno scherzo macabro dare la misera di 50 milioni dopo aver trascinato l’Ucraina nella guerra con la Russia. Dove prendere i restanti 18,45 miliardi di dollari per far sopravvivere l’Ucraina fino al prossimo anno? Beh, dall’Europa, dov’altro? E chi pagherà in Europa? Non Polonia, Lituania, l’Estonia, ma la vecchia ‘Vecchia Europa’. In sostanza, la Germania allenterà i cordoni della borsa. La cancelliera Angela Merkel deve saltellare pazzamente.
Contrariamente alle stime precedenti, la contrazione economica dell’Ucraina quest’anno potrebbe rivelarsi a due cifre. Tutto ciò potrebbe spiegare alcuni passaggi interessanti relativi all’Ucraina nelle ultime settimane: a) la rapida decisione dell’Unione europea di congelare l’accordo di associazione frettolosamente firmato con l’Ucraina, almeno fino alla fine del 2015; b) il robusto appoggio dell’UE all’accordo di Minsk tra Kiev e i separatisti nel sud-est dell’Ucraina; c) l’incontro top secret tra i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Russia a margine della recente conferenza internazionale di Parigi sullo Stato islamico; d) il riconoscimento tardivo della NATO che la Russia ha ritirato le truppe dal confine con l’Ucraina; ed e) l’incontro tra i ministri degli Esteri di Russia e Stati Uniti a New York. Basti dire che il presidente russo Vladimir Putin ha ottenuto una grande vittoria diplomatica quando l’occidente ha riconosciuto che Mosca ha interessi legittimi in Ucraina. L’occidente non ha altra scelta che accettare il fatto che l’economia ucraina è legata a Mosca da un cordone ombelicale, e senza un’ampia cooperazione russa non potrà riprendersi.
Col senno di poi, Mosca ha fatto bene ad ignorare le sanzioni annunciate tre settimane fa dall’UE. Già si vede Poroshenko guardare Putin come, forse, suo interlocutore più consequenziale. Allo stesso tempo, Washington dovrebbe cominciare a rendersi conto che coinvolgere Mosca è necessria per mobilitare efficacemente la campagna internazionale contro lo Stato islamico. Potrebbe essere il segnale che il vento muta direzione, l’ex-segretario della Difesa e deputato conservatore inglese, Liam Fox, avvertire oggi esplicitamente Europa ed Stati Uniti sulle minacce alla Russia per l’Ucraina. Fox ha detto, “Penso che sia molto importante evitare di credere che l’occidente possa o debba fare ciò che chiaramente non potrà fare. Le false minacce, credo, sono un grosso problema. Dobbiamo guardare ad altri modi di affrontare la situazione ucraina“. Bravo! Non stupitevi, quindi, se uno di questi giorni Putin aiuti Obama, ancora una volta, sulla Siria. La Russia può aiutare Obama a legittimare la campagna internazionale contro lo Stato islamico, ottenendo un mandato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; la Russia può essere utile per un accordo degli Stati Uniti (o mancanza di esso) con il presidente siriano Bashar al-Assad. Nessun errore, la posizione della Russia (qui, qui e qui) sulla minaccia dello Stato islamico è inequivocabile ed ampiamente favorevole alla campagna internazionale guidata dagli Stati Uniti. Unica avvertenza della Russia è che le operazioni degli Stati Uniti in Siria debbano avere il concorso del governo siriano ed avere il mandato delle Nazioni Unite, ma ciò che frena Obama dal cercare il mandato delle Nazioni Unite è anche il timore che Mosca non collabori. Molto probabilmente, il ghiaccio sarà rotto oggi, nella riunione tra Sergej Lavrov e John Kerry a New York. La nuova guerra fredda, iniziata con il botto, potrebbe finire con un gemito.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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