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anche se in realta' di pietro ne' cercava 130 mld ,ma erano 320 quelli che erano depositati nello ior. in titoli e liquidi,eh ........................ mica cotiche
 

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Russia si prepara a un “catastrofico” crollo dei prezzi petroliferi
novembre 15, 2014 1 commento

Tyler Durden, Zerohedge 14/11/2014 Vladimir Putin ha detto alla TASS che l’economia della Russia si trova di fronte a un potenziale crollo “catastrofico” del prezzo del petrolio, dicendo, secondo Bloomberg, che uno scenario del genere è “del tutto possibile e l’ammettiamo”. Tuttavia, Putin rassicura che con riserve per oltre 400 miliardi di dollari, il Paese supererà tale situazione perché, “gestiamo con parsimonia le nostre riserve auree e valutarie e le riserve del governo. Prendiamo in considerazione tutti gli scenari, tra cui una caduta catastrofica dei prezzi delle risorse energetiche, del tutto possibile e che riconosciamo“, ha detto Putin alla TASS prima di partecipare al vertice del G20. “Le nostre riserve sono abbastanza grandi e ci permettono di essere sicuri nel rispondere ai nostri impegni sociali e nel mantenere i bilanci e l’intera economia entro un certo quadro“.
Come riporta Bloomberg, “Il calo dei proventi delle esportazioni di petrolio e gas e i tentativi della banca centrale di puntellare il rublo minacciano di esaurire le finanze pubbliche. Il deficit non petrolifero supera il 10 per cento della produzione economica, in un momento in cui la difesa del rublo della banca centrale ha ridotto le riserve di un quinto dal picco dello scorso anno. Eppure, la riduzione della valuta aiuta a compensare ampiamente il bilancio mentre maggiore quantità di valute estere sono convertite in rubli. Con una riserva internazionale di 421 miliardi di dollari, la Russia ha spazio “abbastanza grande” per soddisfare tutti gli impegni sociali e mantenere la stabilità finanziaria ed economica, ha detto Putin. Il valore delle azioni la scorsa settimana ha subito la maggiore riduzione dal 2008, mentre le autorità monetarie tentano di rallentare il declino del rublo. “Un Paese come il nostro si trova in una situazione più facile da affrontare”, ha detto Putin. “Perché? Perché siamo produttori di petrolio e gas e gestiamo le nostre riserve auree e valutarie e le riserve del governo con parsimonia“.
Il Fondo di riserva da 4 miliardi di rubli riparerà l’economia russa dalla flessione dei prezzi del petrolio
Kristina Rus Fort Russ
L’economia russa è pronta ad affrontare una nuova crisi e il governo considera vari scenari, tra cui un forte calo del prezzo del petrolio, ha detto Vladimir Putin in un’intervista alla TASS. “Sì, siamo pronti. Pensiamo a tutti gli scenari, tra cui un cosiddetto catastrofico declino dei prezzi dell’energia, del tutto possibile, non lo escludo. Ministero dell’Economia, Ministero delle Finanze e governo hanno piani generali sullo sviluppo economico per ciascuno di tali scenari“. Putin ha osservato che nelle crisi, gli squilibri economici globali non vengono solo amplificati, ma soprattutto hanno impatto negativo sulle economie in via di sviluppo. Tuttavia, la Russia è in una posizione leggermente avvantaggiata rispetto ad altri Paesi senza le riserve della Russia, ha detto Putin. “Abbiamo molta cura delle nostre riserve. Riserve di Oro e valuta e le riserve del governo sono abbastanza grandi, permettendoci di aver fiducia nell’espletare pienamente tutti gli obblighi assunti, tenendo sotto controllo il bilancio, così come l’intera economia“, ha detto.
Dal 1 novembre 2014, il fondo di riserva ha ricevuto 90 miliardi di rubli, quasi 4 miliardi di dollari, il 5% del PIL russo. Secondo il ministero delle Finanze russo: “Il fondo di riserva fa parte del bilancio federale. Il Fondo è destinato a premettere allo Stato ad adempiere agli obblighi di spesa del bilancio federale nel caso del calo degli introiti di petrolio e gas. Il Fondo di riserva contribuisce a sviluppo economico durevole, riduzione di pressioni inflazionistiche e dipendenza dell’economia nazionale dalle fluttuazioni dei proventi dell’esportazione di risorse naturali non rinnovabili. Il Fondo di riserva in realtà ha sostituito il Fondo di stabilizzazione della Federazione Russa. Al contrario del Fondo di stabilizzazione, oltre alle entrate del bilancio federale dall’esportazione di petrolio, il Fondo di riserva comprende le entrate federali dall’esportazione di petrolio e gas. La dimensione massima del Fondo di riserva è pari al 10% del Prodotto interno lordo previsto dalla finanziaria della Federazione Russa“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
 

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La Città del Vaticano (0,43 kmq con una popolazione di 911 residenti di cui 532 cittadini, il cui reddito pro-capite ammonta a 407.095 euro, www.vatican.va) è sede di tre istituti finanziari: l'APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), che è la Banca Centrale del Vaticano; il Ministero dell'Economia o Prefettura per gli Affari economici; lo IOR, con i quali vengono gestiti circa un miliardo di cattolici sparsi nel mondo.
La Città del Vaticano è composta di tre enti o istituzioni: lo Stato, la Santa Sede e la Curia. Il primo è l'entità territoriale, la seconda è il vertice della Chiesa e la Curia è la struttura organizzativa. Tutte le istituzioni vaticane spesso rivendicano l'extraterritorialità e l'indipendenza dalle leggi degli altri Stati-Nazione.
L'Apsa è in pratica la Banca Centrale della Città del Vaticano. Essa svolge funzioni di tesoreria e gestisce gli stipendi dello Stato. Fra i suoi compiti c'è anche quello di coniare moneta. Nel 1998 infatti, l'Ue ha autorizzato l'Apsa ad emettere 670 mila euro l'anno. Con la possibilità di emetterne altri 201mila in occasione di Concili ecumenici, Anni Santi o in occasione di un'apertura della Sede vacante. Secondo quanto riportato dai dati ufficiali della Prefettura per gli Affari Economici, per il 2002 il Vaticano e la Santa Sede sarebbero in deficit di 29,5 milioni di euro. Nel bilancio però non figurano strutture come le università pontificie, gli ospedali cattolici (Bambini Gesù di Roma, ad esempio), i santuari (Loreto, Pompei). Ma soprattutto non figura l'obolo, che ha portato nel solo 2002 un gettito nelle casse della Città del Vaticano di 52,8 milioni di euro.
Altra Banca Vaticana è lo IOR (Istituto per le Opere di Religione) e ha sede presso la Città del Vaticano. Ufficialmente l'unico azionista di questa banca è il papa.
Lo IOR fu fondato nel 1887 da Leone XIII, col nome di "Commissione per le Opere Pie", al fine di convertire le offerte dei fedeli in un fondo facilmente smobilizzabile. La prima riforma delle finanze vaticane risale al 1908, quando su iniziativa di papa Pio X l'istituto assunse il nome di Commissione amministratrice delle Opere di Religione.
La trasformazione in una banca vera e propria avvenne nel 1941, anche se il finanziamento più significativo che indusse il papato a favorire tale trasformazione, fu quello concesso dal fascismo, col Concordato (Patti Lateranensi) del 1929, che prevedeva, a titolo di risarcimento per la perdita degli Stati pontifici l'indomani dell'unificazione nazionale, qualcosa come 100 milioni di dollari (40 in contanti e 60 in obbligazioni; in lire erano 750 milioni), oltre all'esenzione dalle tasse e dai dazi sulle merci importate in Vaticano.
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Per gestire questo ingente patrimonio, papa Pio XI istituisce l'Amministrazione speciale per le Opere di Religione, che affida a un laico esperto, l'ingegner Bernardino Nogara, un abile banchiere proveniente dalla Comit, membro della delegazione che, dopo la prima guerra mondiale, negoziò il trattato di pace e, successivamente, delegato alla Banca Commerciale di Istanbul.
Grazie alla sua abilità, Nogara trasformò l'Amministrazione in un impero edilizio, industriale e finanziario. Le condizioni che il banchiere pose a Pio XI per accettare l'incarico di gestire il patrimonio del Vaticano furono due: gli investimenti dovevano essere liberi da qualsiasi considerazione religiosa o dottrinale e realizzabili in ogni parte del mondo.
Il Papa accettò e si aprì così la strada alle speculazioni monetarie e ad altre operazioni di mercato nella Borsa valori, compreso l'acquisto di azioni di società che svolgevano attività in netto contrasto con l'insegnamento cattolico (armi, contraccettivi ecc.).
Nogara rilevò l'Italgas, fornitore unico in molte città italiane, e fece entrare nel consiglio di amministrazione, come rappresentante del Vaticano nella società, l'avvocato Francesco Pacelli, fratello del cardinale Eugenio che poco dopo sarà eletto Papa e assumerà il nome di Pio XII. Grazie alla gestione di Nogara, il Banco di Roma, il Banco di Santo Spirito e la Cassa di Risparmio di Roma entrarono ben presto nell'ambito dell'influenza del Vaticano.
Quando acquisiva quote di una società, raramente Nogara entrava nel consiglio di amministrazione: preferiva affidare quest'incarico a uno dei suoi uomini di fiducia, tutti appartenenti all’elite vaticana che si occupava della gestione degli interessi della Chiesa. I tre nipoti di Pio XII, i principi Carlo, Marcantonio e Giulio Pacelli, ne facevano parte, i loro nomi cominciarono ad apparire tra quelli degli amministratori di un elenco sempre più lungo di società. Gli uomini di fiducia della Chiesa erano presenti dappertutto: industrie tessili, comunicazioni telefoniche, ferrovie, cemento, elettricità, acqua. Bernardino Nogara sorvegliava ogni settore che promettesse margini di remunerazione.
Nel 1935, quando Mussolini ebbe bisogno di armi per la campagna d'Etiopia, una considerevole quantità fu fornita da una fabbrica di munizioni che Nogara aveva acquisito per il Vaticano. E rendendosi conto, prima di molti altri, dell'inevitabilità della seconda guerra mondiale, sempre Nogara cambiò in oro parte del patrimonio Vaticano da lui gestito. Le sue speculazioni sul mercato dell'oro continuarono per tutto il periodo in cui fu alla guida dell'amministrazione dei beni del Vaticano.
Sin dai tempi di Pio XII lo IOR, bisognoso di disporre di fondi sicuri, fornì sbocchi bancari ai fascisti italiani e ai nazisti, nonché alla mafia, anche perché al tempo della dittatura fascista era molto difficile al Vaticano gestire liberamente l'Obolo di S. Pietro proveniente dalle due Americhe.
Il 27 giugno 1942 Pio XII decise di cambiare nome all'Amministrazione speciale per le Opere di Religione che diventò Istituto per le Opere di Religione. Nasce così un ente bancario dotato di un'autonoma personalità giuridica e che si dedicherà non soltanto al compito di raccogliere beni per la Santa Sede, ma anche a quello di amministrare il denaro e le proprietà ceduti o affidati all'istituto stesso da persone fisiche o giuridiche per opere religiose e di carità cristiana.
Il 31 dicembre 1942 il ministro delle Finanze del governo italiano Paolo Thaon di Revel emise una circolare in cui si affermava che la Santa Sede era esonerata dal pagare le imposte sui dividendi azionari.
Inoltre il Vaticano, essendosi dichiarato neutrale durante la II guerra mondiale, poté, come la Svizzera, trattare tranquillamente affari con la Germania di Hitler. Finita la guerra il Vaticano non risarcì mai le vittime dell'olocausto, restituendo loro i preziosi che i nazisti avevano trasformato in lingotti.
Anzi la Banca Vaticana contribuì a nascondere l'oro nazista non solo nella stessa Santa Sede, ma anche presso il santuario di Fatima in Portogallo, controllato da elementi massonici, i quali solo apparentemente risultano anticlericali (è noto infatti che la loggia segreta P2 aveva ampi contatti con gli ambienti vaticani).
Lo IOR ha contribuito anche alla scomparsa di buona parte dell'oro della Croazia indipendente, che durante l'ultima guerra mondiale collaborava coi nazisti. Gli ustascia (i cattolici nazisti) massacrarono impunemente ben mezzo milione di serbi ortodossi, nonché decine di migliaia di ebrei e di gitani.
La leadership ustascia, finita la guerra, si era rifugiata proprio in Vaticano e in alcune proprietà francescane italiane. Uno dei mediatori che permise agli ustascia e anche ad altri criminali nazisti di ottenere l'impunità, fu il segretario di stato Montini, in seguito papa Paolo VI.
In particolare gli ustascia ebbero bisogno della Banca Vaticana proprio per gestire finanziariamente il loro governo esiliato in Argentina e per spedire i propri criminali in fuga verso il Sudamerica, l'Australia e altri luoghi con la protezione della Cia.
Ovviamente il Segretariato Vaticano è a tutt'oggi assolutamente contrario a rendere pubblici gli archivi relativi alla II guerra mondiale.
Intanto Nogara continuava a lavorare per accrescere le risorse del Vaticano. Negli anni '50 e '60 lo IOR prese ad arricchirsi coi fondi che molte famiglie agiate volevano trasferire all'estero per pagare meno tasse.
Furono rafforzati i legami con diverse banche. Già dai primi del Novecento i Rothschild di Londra e di Parigi trattavano con il Vaticano, ma con la gestione Nogara gli affari e i partner bancari aumentarono vertiginosamente: Credit Suisse, Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, The Bankers Trust di New York (di cui Nogara si serviva quando voleva comprare e vendere titoli a Wall Street), Chase Manhattan, Continental Illinois National Bank. E Nogara assicurò al Vaticano partecipazioni in società che operavano nei settori più diversi: alimentare, assicurativo, acciaio, meccanica, cemento e beni immobili. Un susseguirsi di successi finanziari senza precedenti per la Chiesa cattolica.
Nel 1954 Bernardino Nogara decise di ritirarsi, senza tuttavia interrompere l'attività di consulente finanziario del Vaticano, che continuò fino alla morte, avvenuta nel 1958. La stampa dedicò poco spazio alla sua scomparsa, ma negli ambienti vaticani si era ben consapevoli della sua eccezionale importanza.
Al geniale banchiere, nel corso della sua lunga attività, venne affiancato il principe Massimo Spada. Anche lui mostrò lungimiranza e spregiudicatezza nella gestione degli interessi del Vaticano e si lanciò in varie operazioni, la maggior parte delle quali in collaborazione con Michele Sindona.
Lo IOR, in quanto istituto che opera con modalità proprie, non è mai stato tenuto a nessun tipo di informativa - né verso i propri clienti, né verso terzi - né tanto meno a pubblicare un bilancio o un consuntivo sulle proprie attività.
A ogni cliente viene fornita una tessera di credito con un numero codificato: né nome né foto. Con questa si viene identificati: alle operazioni non si rilasciano ricevute, nessun documento contabile. Non ci sono libretti di assegni intestati allo IOR: chi li vuole dovrà appoggiarsi alla Banca di Roma, convenzionata con l'istituto vaticano.
I clienti dello IOR possono essere solo esponenti del mondo ecclesiastico: ordini religiosi, diocesi, parrocchie, istituzioni e organismi cattolici, cardinali, vescovi e monsignori, laici con cittadinanza vaticana, diplomatici accreditati alla Santa Sede. A questi si aggiungono i dipendenti del Vaticano e pochissime eccezioni, selezionate con criteri non conosciuti.
Il conto può essere aperto in euro o in valuta straniera: circostanza, questa, inedita rispetto alle altre banche. Aperto il conto, il cliente può ricevere o trasferire i soldi in qualsiasi momento da e verso qualsiasi banca estera. Senza alcun controllo. Per questo, negli ambienti finanziari, si dice che lo IOR è l'ideale per chi ha capitali che vuole far passare inosservati. I suoi bilanci sono noti a una cerchia ristrettissima di cardinali, qualsiasi passaggio di denaro avviene nella massima riservatezza, senza vincoli né limiti.
Lo IOR è indipendente dagli altri due istituti finanziari vaticani e sulla sua attività si sa soltanto che è gestito da cardinali di alto livello e da banchieri internazionali.
Il vescovo Paul Marcinkus, il più famoso dirigente dello IOR, faceva chiaramente capire che la Banca Vaticana godeva di privilegi assoluti nell'esportazione all'estero dei capitali. Ed egli era in grado di servirsi dei noti finanzieri e bancarottieri, Michele Sindona, colluso coi poteri mafiosi italo-americani, avvelenato in carcere, e Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, trovato impiccato a Londra; nonché del capo della P2, Licio Gelli, arrestato per attività sovversiva, e del vescovo Hnilica, che per tutti gli anni '80 trasferì in Vaticano i fondi anticomunisti provenienti dall'Europa dell'est e i fondi cospicui provenienti dai pellegrinaggi di Medjugorje in Bosnia.
Utilizzando numerose società fantasma con sede a Panama o nel Lussemburgo, lo IOR divenne uno dei maggiori esponenti dei mercati finanziari mondiali alla fine degli anni '70. Era infatti in grado di utilizzare le filiere mafiose di Sindona per istradare grosse somme fuori dal Paese, sotto il naso di tutti gli organismi di controllo.
Poi, quando Sindona era diventato meno frequentabile, a seguito dei suoi debiti con la giustizia, lo IOR cominciò a servirsi di Roberto Calvi e della sua banca.
In quel periodo nel Vaticano si fronteggiavano due fazioni politiche contrapposte: una, massonica-moderata, denominata "Mafia di Faenza", faceva capo a Casaroli, Samorè, Silvestrini e Pio Laghi, l'altra, integralista, legata all'Opus Dei, faceva capo a Marcinkus, Mons. Virgilio Levi, vice direttore dell'"Osservatorio Romano", e Mons. Luigi Cheli, Nunzio pontificio presso l'ONU.
Coinvolto nello scandalo del Banco Ambrosiano di Calvi, lo IOR subì un vero e proprio terremoto: il cardinale Markinkus riuscì a farla franca solo appellandosi all'immunità diplomatica.
Dopo le vicende legate al banco Ambrosiano, al crac e al cardinale Marcinkus, nel 1990 papa Giovanni Paolo II lo ha riformato, affidandone la gestione a persone laiche ma di credenze cattoliche; lo presiede, infatti, Angelo Caloia, professore dell'università Cattolica di Milano, ex presidente del Medio Credito Lombardo e attualmente a capo di due società di Banca Intesa. Ai prelati è riservata una funzione di vigilanza.
Lo IOR ha sede unica in Vaticano. Ufficialmente non ha filiali in nessun altro luogo. Non ha accesso diretto ai circuiti finanziari internazionali. Non aderisce alle norme antiriciclaggio sulla trasparenza dei conti. Il riferimento è la segreteria di Stato vaticana di monsignor Angelo Sodano. Per operare in Europa lo IOR si avvale di due grandi banche, una tedesca e una italiana, i cui nomi non si conoscono. Si pensa a Banca Intesa, della quale lo IOR possiede il 3,37% insieme con la Banca Lombarda e la Mittel (il cosiddetto Gruppo bresciano dei soci), e di Deutsche Bank, ma nessuno lo conferma con certezza.
Oggi lo IOR amministra un patrimonio stimato in 5 miliardi di euro e funziona come un fondo chiuso. In pratica ha rendimenti da hedge fund, visto che ai suoi clienti (dipendenti del Vaticano, membri della Santa Sede, ordini religiosi, benefattori) garantisce interessi medi annui superiori al 12%. Anche per depositi di lieve consistenza.
Secondo un rapporto del giugno 2002 del Dipartimento del Tesoro americano, basato su stime della Fed, solo in titoli Usa il Vaticano ha 298 milioni di dollari: 195 in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine (49 milioni in bond societari, 36 milioni in emissioni delle agenzie governative e 17 milioni in titoli governativi) più un milione di euro in obbligazioni a breve del Tesoro. E l’advisor inglese The Guthrie Group nei suoi tabulati segnala una joint venture da 273,6 milioni di euro tra IOR e partner Usa.
I segreti finanziari del Vaticano vengono conservati nelle Isole Cayman, il paradiso fiscale caraibico, spiritualmente guidato dal cardinale Adam Joseph Maida che, tra l’altro, siede nel collegio di vigilanza dello IOR. Le Cayman sono state sottratte al controllo della diocesi giamaicana di Kingston per essere proclamate Missio sui iuris, alle dipendenze dirette del Vaticano.
In Italia i diritti di voto dei 45 milioni di quote di Banca Intesa (per un valore in Borsa di circa 130 milioni di euro) sono stati concessi alla Mittel di Giovanni Bazoli in cambio di un dividendo maggiorato rispetto a quello di competenza. E quando la Borsa tira, gli affari si moltiplicano. Nel 1998 p. es. non sfuggì a molti l’ottimo investimento (100 miliardi di lire) deciso dallo IOR nelle azioni della Banca popolare di Brescia: in meno di 12 mesi il capitale si quadruplicò, naturalmente molto prima del crollo del titolo Bipop.
Ma il patrimonio dello IOR non è solo mobile. Dell’Istituto si parla anche in relazione alle beghe con gli inquilini di quattro condomini di Roma e Frascati che lo IOR, a cavallo fra il 2002 e il 2003, ha venduto alla società Marine Investimenti Sud, all’epoca di proprietà al 90% della Finnat Fiduciaria di Giampietro Nattino, uno dei laici della Prefettura degli affari economici della Santa Sede, e oggi in mano alla lussemburghese Longueville.
Gli inquilini, però, affermano di sentirsi chiedere il pagamento del canone di locazione ancora dallo IOR, che nei documenti ufficiali compare anche come Ocrot: Officia pro caritatis religionisque operibus tutandis, con il codice fiscale italiano dell’istituto: 80206390587.
Per il 25esimo anniversario di pontificato, Giovanni Paolo II il 25 ottobre 2003 ha ricevuto un assegno da 2,5 milioni di dollari, la rendita di un fondo d’investimento americano da 20 milioni di dollari dedicato a lui, il Vicarius Christi Fund.
Il denaro è gestito dall’ordine cavalleresco cattolico più grande del mondo, nato 122 anni fa nel Connecticut: The Knights of Columbus (I Cavalieri di Colombo), che conta 1,6 milioni di membri tra Stati Uniti, Canada, Messico, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Filippine, Bahamas, Guatemala, Guam, Saipan e Isole Vergini.
Il suo cavaliere supremo, Virgil Dechant, è uno dei 9 consiglieri dello Stato Città del Vaticano e anche vicepresidente dello IOR. Con i 2,5 milioni di dollari regalati a Karol Wojtyla il 9 ottobre 2003, il totale delle donazioni dell’ordine cavalleresco al vicario di Cristo ha superato i 35 milioni di dollari. Nulla, in confronto ai 47 miliardi di dollari del fondo assicurativo sulla vita gestito dai Cavalieri di Colombo, al quale Standard & Poor’s assegna da anni il rating più elevato.
L’ordine investe nei corporate bond emessi da più di 740 società statunitensi e canadesi e solo nel 2002, piazzando polizze sulla vita e servizi di assistenza domiciliare ai suoi iscritti attraverso 1.400 agenti, ha incassato 4,5 miliardi di dollari (il 3,4% in più rispetto al 2001). Una parte delle entrate, 128,5 milioni di dollari, è stata girata a diocesi, ordini religiosi, seminari, scuole cattoliche e, ovviamente, al Vaticano che nel 2002, tra la rendita del fondo del Papa, gli assegni alle nunziature apostoliche di Usa e Jugoslavia, il contributo alla Santa Sede nella sua missione di osservatore permanente all’Onu e quello per il restauro della basilica di san Pietro, ha ricevuto dai Cavalieri di Colombo 1,98 milioni di dollari.
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Luigi Cipriani, La finanza vaticana in Italia. Dagli espropri del 1866 ai Patti lateranensi​
In Democrazia Proletaria n. 2/1984 - www.fondazionecipriani.it
"Con l'andata al potere del fascismo, la Chiesa diventa uno dei pilastri del potere, non solo religioso e politico ma economico, ponendo le basi per gli eventi dei nostri giorni.. Come in occasione della prima guerra mondiale, i finanzieri cattolici e il Vaticano si trovarono strettamente affiancati ai guerrafondai per trascinare l'Italia nel secondo conflitto mondiale. Questa volta, a fianco della Germania di Hitler. "
Le leggi che avrebbero dovuto porre fine al potere temporale della Chiesa e permettere alla borghesia italiana di mettere in moto lo sviluppo economico del Paese furono quelle del 7 luglio 1866 e del 15 agosto 1867. Con la legge del 1866, si tolse il riconoscimento nel territorio del Regno a tutti gli ordini, le corporazioni e le congregazioni regolari e secolari, i conservatori ed i ritiri di carattere ecclesiastico. Con quella del 1867, non furono più riconosciuti quali enti morali i capitoli delle chiese collegiate, le chiese ricettizie, le comunità e le cappellanie corali, i capitoli delle chiese cattedrali, eccetera.

Tutti i beni già appartenenti a quegli enti morali furono devoluti allo Stato "provvedendosi a iscrivere, a favore del fondo per il culto, una rendita del 5%". Successivamente, con la legge dell'11 agosto 1870, si introdusse la conversione dei beni immobili di taluni enti rimasti esclusi e infine, nel 1873, la legislazione suddetta fu estesa alla provincia di Roma, con varianti dovute alla presenza del Vaticano.
Con queste leggi, tutte patrocinate dalla destra liberale, il nascente Stato italiano ed il Regno d'Italia intesero togliere prestigio e potere politico alla Chiesa, ma anche mettere in moto un'accumulazione primaria che, data la presenza degli Stati pontifici, vedeva l'Italia in ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Oltre 700.000 ettari di terra appartenenti alla Chiesa vennero di fatto gettati sul mercato immobiliare e finirono, a prezzi stracciati, nelle mani della grande borghesia terriera italiana.
Il Vaticano non rimase inoperoso. Già dal 1859, il francese conte Montalembert aveva avuto l'incarico di potenziare l' 'Obolo di san Pietro' al fine di raccogliere fondi presso i fedeli. All'entrata in vigore delle leggi di esproprio, l'Obolo aveva già raccolto fondi in quantità superiore ad ogni previsione, anche se ritenuti insufficienti per la necessità della Chiesa. Il 5 agosto 1871, con l'enciclica Saepe, venerables fratres, venne ufficialmente consacrata la nascita dell' 'Opera dell'Obolo'.
Il Vaticano ebbe tutto il tempo di cautelarsi, tant'è vero che molti terreni furono venduti prima dell'esproprio. In particolare nella provincia romana, a partire dal 1870, vi fu una colossale speculazione edilizia, che fece aumentare di valore i terreni di molti ordini religiosi i quali, dopo il 1873, furono riacquistati dal Vaticano utilizzando prestanomi. Parallelamente, numerosi nobili romani legati al Vaticano, nel giro di qualche anno, si trovarono a figurare a volte in proprio, a volte come fiduciari del Papa, nei consigli di amministrazione di società immobiliari e in numerose banche.
Nel dibattito del Parlamento italiano del 1873, dopo l' 'esproprio' dei beni della Chiesa, il governo auspicò che quest'ultima reinvestisse i propri capitali nella nascente industria nazionale, abbandonando le speculazioni immobiliari. L'invito era rivolto, in particolare, alle banche controllate da fiduciari del Vaticano quali: Monte di pietà di Roma, Banco di santo spirito, Cassa di risparmio di Roma.
Il mutamento radicale nelle attività finanziarie da parte della Chiesa avvenne nel 1878, dopo la morte di Pio IX e l'avvento di papa Leone XIII. A questo proposito, lo storico Candeloro scrive: "Leone XIII volle che i clericali si sganciassero dalle vecchie pregiudiziali dinastiche, che non rimanessero troppo legati agli interessi dei gruppi aristocratici feudali, ma che si collegassero ai gruppi capitalistici nascenti. Il Vaticano, in tal modo, non solo si inseriva nella società capitalistica, ma tendeva a divenirne uno dei pilastri, come già lo era stato della società feudale. Comunque sarebbe un errore attribuire questa nuova funzione della Chiesa solo all'opera di Leone XIII, poiché essa nasceva da una tendenza spontanea delle forze cattoliche ad inserirsi nel sistema capitalistico. Nelle sue contraddizioni, però, Leone XIII seppe comprendere questa tendenza, stimolarla e dirigerla, se proprio non secondo un piano preciso, quantomeno secondo un indirizzo generale chiaro e coerente".
Nelle speculazioni edilizie di Roma capitale ebbe, da allora, un posto centrale la Banca di santo spirito, fondata nel 1606 da Paolo Borghese e che, per secoli, era stata la banca principale del Vaticano e dell'aristocrazia romana. Abbandonata l'antica regola di non corrispondere interessi sui depositi, questa banca istituì una sezione di credito fondiario e si buttò a capofitto nella speculazione. Prosegue intanto la confluenza di notabili vaticani nei consigli di amministrazione delle banche (Banca romana, Credito mobiliare, Credito fondiario, Banca industriale e commerciale).
Nel 1880, su diretta ispirazione di Leone XIII, uomini strettamente legati al Vaticano fondarono il Banco di Roma, allo scopo di finanziare i vari organismi confessionali. Questa banca venne in seguito favorita nella gestione dei servizi pubblici per la città di Roma. Nel 1883, la società Anglo-romana per l'illuminazione a gas diede vita alla società elettrica Anglo-romana, e quindi alla Società impresa elettrica in Roma, e per l'alimentazione della rete tramviaria e delle ferrovie secondarie. A capo di queste società era Bernardo Blumensthil, noto fiduciario del Vaticano. Le società diedero cospicui utili, passando dalle 290.000 lire del 1875, a 1.613.000 del 1885. Il Vaticano controllava anche l'erogazione dell'acqua, avendo nel 1865 costituito la società dell' 'Acqua pia antica marcia di Roma', presieduta dal principe Giustiniani Bandini. Le società passarono sotto il controllo del Banco di Roma il quale, nel 1882, divenne il principale azionista della 'Società dei magazzini e molini generali', l'attuale Pontenella. Nel 1885, il Banco di Roma prese il controllo della società romana di tramway e omnibus. Il Vaticano era presente anche nel settore immobiliare, con la 'Società generale immobiliare', per lavori di utilità pubblica ed agricola.
Per proteggere e consolidare il potere economico acquisito, i cattolici parteciparono più volte alle lotte politiche per il controllo dell'amministrazione capitolina. Vi riuscirono, e lo dimostrarono anche i contratti di favore ottenuti da parte del comune di Roma per le società facenti capo al Vaticano. A mano a mano che la nobiltà cattolica romana si andava insediando come fiduciaria del Vaticano a fianco della nuova borghesia italiana, si attenuavano i contrasti già esistenti tra la Chiesa e la borghesia liberale, e si poneva il problema della riconciliazione. Anche nel Norditalia si manifestava l'iniziativa economica dei cattolici, in modo evidente a partire dal 1880. Dapprima in Lombardia ed in seguito in Piemonte e in Veneto, vennero fondate dai cattolici le Banche popolari cooperative. Esse avevano lo scopo di fornire credito a basso tasso ai propri associati (artigiani, bottegai, piccoli industriali e anche operai).
Una delle prime Banche popolari fu infatti fondata nel 1865 dalla Associazione generale degli operai di Milano, i quali ne furono poi estromessi. Le Banche popolari rimasero nelle mani della borghesia urbana del nord, di orientamento popolare e democratico. Le iniziative finanziarie dei cattolici del nord si contrapponevano a quelle della nobiltà romana, reazionaria e parassitaria. Nelle campagne, i cattolici si buttarono nella costruzione delle Casse rurali, di orientamento confessionale rigido, sotto l'ala protettrice dei Gesuiti di 'La civiltà cattolica'. Esse si contrapponevano all'orientamento aperto delle Banche popolari, per salvaguardare 'il principio religioso fondamentale e sostanziale delle Casse rurali'. Queste ultime ebbero uno sviluppo rapido: erano circa 80 nel 1892, salirono a 513 nel 1896, tra le quali 327 nel Veneto, 84 in Lombardia, 52 in Piemonte e 50 nelle altre regioni. L'insieme delle Casse rurali diede vita ad una Banca centrale delle Casse rurali, con sede a Parma.
In Lombardia, in modo particolare, gli obiettivi dei cattolici non erano esclusivamente economici. Nel 1894 Filippo Meda (rappresentante dei giovani cattolici, intransigenti difensori della Chiesa, con una visione populista) a sostegno dei contadini e della piccola borghesia urbana, nel tentativo di sottrarli all'influenza dei socialisti, affermava: "I cattolici devono agire esplicitamente sul terreno della vita politica, con la mira finale, posto che il Papa un giorno lo permetta, di giungere alla conquista del potere politico". Furono questi cattolici, appoggiati dal cardinal Ferrari, che spinsero il bresciano Giuseppe Tovini (fondatore nel 1888 del Banco di san Paolo di Brescia) a fondare nel 1896 il Banco ambrosiano a Milano.
Lo statuto dell'Ambrosiano dichiarava che la banca era costituita fra cattolici e che essa aveva per scopo di esercitare e promuovere lo sviluppo del credito commerciale ed agrario, a vantaggio dei soci e di terzi. Una parte degli utili della banca dovevano essere devoluti alle scuole cattoliche, così come il credito si sarebbe esercitato nei confronti di contadini, piccoli artigiani, bottegai, per poter essere appoggiati da una base sociale nel progetto della 'presa del potere', come auspicato dal Meda. Sull'onda dell'Ambrosiano, i cattolici facenti capo all'Opera dei congressi, la più intransigente ed integralista, dettero vita a molte banche: tra esse, il Piccolo credito bergamasco, il Credito romagnolo, che annoverava fra i suoi fondatori 120 preti, il cardinale di Bologna, Domenico Svampa e il vescovo di Cesena, monsignore Vespignani. Nel Credito romagnolo, molto più che nell'Ambrosiano, si realizzò la saldatura tra gerarchie ecclesiastiche e grandi proprietà terriere, in quanto tra i fondatori confluirono il marchese Alberici, i conti Barca, Regoli e numerosi altri.
Oltre alle banche e alle casse rurali, i cattolici avevano già nel passato prestato la loro attenzione alle Casse di risparmio. Fondate su iniziativa dell'imperial regio governo austroungarico, nel 1820 nel Lombardo-Veneto, esse operarono tra i proprietari terrieri e di immobili. Nella Cassa di Biella, ad esempio, uno dei cinque amministratori era nominato dal vescovo.
Dal compromesso all'alleanza colonialista fra grande borghesia e Vaticano
A seguito di una crisi del mercato edilizio, nel 1894, il Banco di Roma dovette svalutare il capitale, rischiando il fallimento. Ai primi del 1900, il nuovo consiglio di amministrazione (nel quale figurava Ernesto Pacelli) decise di scovare nuovi mercati, appoggiando l'avventura coloniale italiana. Nel 1905, il Banco aprì una filiale ad Alessandria d'Egitto, Cairo, Beni Suez, Fayum, e diede vita a numerose iniziative industriali e commerciali, tra le quali una società per l'estrazione dei fosfati. Nel 1905, il Banco di Roma partecipò alla fondazione della banca di Adis Abeba ed alla società italiana della salina Eritrea. Nel 1906, prese parte alla fondazione della Banca di stato del Marocco e, nel 1907, passò alla Libia, aprendo filiali a Tripoli, Bengasi, Derma, Zuara, Misurata e Tobruk.
Nello stesso periodo, la banca del Vaticano promosse iniziative commerciali e industriali le più varie in Libia, fino alla costituzione, con fondi governativi, della linea di navigazione fra la Libia e l'Egitto. In seguito, aprì altre filiali in Palestina, Asia minore, Turchia e Spagna. Nel 1911, venne fondata la Società per la navigazione e il commercio nella Somalia italiana, nel 1912 l'ingegner Bernardino Nogara, amministratore delle proprietà del Vaticano, costituì con l'industriale Volpi le Società commerciali d'Oriente. Nel 1913, conclusa la guerra coloniale di Libia, il Banco di Roma, insieme alla Edison, diede vita alla Società elettrica coloniale italiana. La guerra coloniale fruttò parecchio al Banco di Roma, facendolo uscire dalle difficoltà, fu certamente in base a questi interessi che il Vaticano e i cattolici furono in prima linea, assieme ai nazionalisti italiani, per spingere Giolitti alla conquista militare della Libia.
Venticinque anni più tardi, il Banco non avrà perso il vizietto coloniale. Nel 1936, infatti, per appoggiare le imprese di Mussolini, stamperà un opuscolo propagandistico nel quale si leggerà: "Il nome di Roma torna sulle sponde africane, silenziosamente, con l'insegna della filiale di una banca, prima che con lo squillo delle fanfare militari. Non è la prima volta, nelle storia delle imprese coloniali, che i commercianti ed i banchieri aprono la strada alla marcia conquistatrice dei soldati". Con l'estendersi e l'intrecciarsi degli interessi economici del Vaticano e dell'area cattolica con quelli dello Stato liberale, aumenta anche l'interventismo vaticano in politica. Con papa Pio X viene abolito il non expedit, per cui i cattolici cominciarono a mandare ufficialmente i propri deputati alla Camera e strinsero alleanze contro le sinistre storiche assieme ai deputati della destra, sino ad arrivare al governo con Giolitti e all'episodio Gentiloni.
Sempre per opera di Pio X, passa la normalizzazione anche nei settori della finanza cattolica popolare, cresciuti particolarmente al nord. Il Banco di Roma estende la propria influenza, mandando i propri rappresentanti nei consigli di amministrazione delle Casse rurali: nel Credito romagnolo, nella Banca cattolica vicentina e nelle banche cooperative lombarde, che furono trasformate in società anonime. La nobiltà pontificia entrava nell'Istituto di credito fondiario, nella società Acqua marcia e nella società dei trasporti urbani. A sancire l'avvenuta compenetrazione tra finanza vaticana e grande capitale finanziario laico, il senatore Carlo Esterle divenne presidente della 'Romana tramways omnibus', di proprietà del Vaticano. Questi era, già nel 1915, consigliere delegato della Edison e presidente di numerose società.
Tutto ciò serve a mettere in evidenza l'enorme concentrazione raggiunta dal sistema finanziario-industriale in Italia, nel periodo antecedente la prima guerra mondiale, e l'alto livello di intreccio fra Vaticano e grande borghesia liberale. Intreccio che andava oltre le società romane di servizi. Marco Basso, presidente della Società generale immobiliare del Vaticano, era altresì presidente della Società per lo sviluppo, della Società per l'utilizzazione delle forze idriche e della Società forni elettrici. Il senatore Esterle, a sua volta, era nel consiglio di amministrazione della Generale immobiliare. Attraverso le proprie finanziarie, Generale immobiliare, Pantenella e Acqua marcia, il Vaticano sino al 1915 estese le proprie partecipazioni in tutti i settori vitali dell'economia italiana: ferrovie, servizi pubblici, immobiliari, Toscana beni stabili, immobiliare Gianicolo, Simonetta Milano, Edile Roma, Molini e pastifici Biondi Firenze, zuccherificio Lebandy freres Ancona, Istituto nazionale medico farmacologico Roma, Società materiali laterizi, Società per le industrie estrattive e così via.
Nei consigli di amministrazione di queste società, figurano sempre personaggi del Banco di Roma e delle famiglie della cerchia pontificia: Colonna, Rebecchini, Cingolani, Campilli, Cremonesi i quali, di persona o per via discendente, figureranno nel secondo dopoguerra alla testa del partito cattolico, la Dc. Infine, le grandi famiglie della nobiltà pontificia figuravano nei consigli di amministrazione delle grandi finanziarie del capitale laico quali Bastogi, Montecatini, Fondiaria vita ed incendio, mentre il Banco ambrosiano si inserisce sempre più nel mondo delle grandi banche laiche del nord. Parallelamente all'integrazione economica, sempre più vengono emarginate, nel mondo cattolico, le posizioni popolari e genericamente di sinistra. Papa Pio X sciolse l'Opera dei congressi, legata alle Casse rurali, in seguito egemonizzata dalla Dc di sinistra di Romolo Muzzi.
Finanza cattolica e grande guerra
Assieme al grande capitale laico, la finanza vaticana appoggiò l'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale. Spinto dalla cupidigia delle commesse militari, dalla possibilità di espandere le proprie aree di influenza (si ricordi che il Banco di Roma fu la prima società italiana ad installarsi all'estero e nei territori coloniali d'Africa) e per ridurre l'influenza delle grandi banche germaniche, in modo particolare al nord, i finanzieri cattolici spinsero il Papa a schierarsi contro la cattolicissima Austria.
L'interventismo cattolico si consolidò anche sul piano politico, dopo la caduta del governo Salandra, a seguito dell'offensiva austriaca in Trentino; nel governo Boselli entrò anche il cattolico Filippo Meda, esponente della borghesia cattolica milanese consolidatasi intorno al Banco ambrosiano. La partecipazione di Meda al governo fu salutata con entusiasmo dai cattolici conservatori milanesi, l'episcopato lo sostenne validamente, come pure la stampa cattolica la quale lanciò una campagna per la sottoscrizione dei prestiti di guerra. L'arcivescovo di Milano mise a disposizione le sale del suo palazzo per i comitati di sostegno al prestito.
Il Banco ambrosiano fu attivissimo e raggiunse posizioni di rilievo nazionale nella raccolta delle sottoscrizioni; e cominciò ad annoverare tra i propri clienti non solo le istituzioni cattoliche, ma anche le grandi industrie belliche. Agli inizi e durante la guerra, si ebbe una forte estensione delle banche cattoliche. A Roma venne fondata una nuova banca da affiancare al Banco di Roma, il Credito nazionale. Vennero poi fondate la Società finanziaria regionale e la Banca regionale, il Credito emiliano a Parma, il Credito pavese e il Piccolo credito di Ferrara.
Nel 1919 venne fondata a Trieste la Banca Venezia Giulia, nel cui consiglio di amministrazione sedeva un prete, Carlo Macchia, nello stesso anno fu fondata la Banca del lavoro e del risparmio che ebbe come presidente l'avvocato Gioia del Banco di Roma e come consigliere Achille Grandi. Nel 1920 venne costituito il Credito padano a Mantova e venne acquistata la Banca commerciale triestina, mentre Filippo Meda si installava alla presidenza della Banca popolare di Milano.
Alla forte espansione delle banche cattoliche nel settentrione fecero riscontro le forti perdite del Banco di Roma, per le sue avventure africane, ridimensionate dalla guerra in Europa.
Dopo la fine della grande guerra il governo Giolitti, per ridurre la conflittualità sociale, ricercò l'appoggio dei socialisti, inserì nel proprio programma l'avocazione allo Stato dei superprofitti di guerra ed introdusse la nominatività dei titoli. Ancora una volta, la finanza cattolica si schierò dalla parte del grande capitale, opponendosi al programma Giolitti. Con molto impegno, i cattolici ottennero il loro obiettivo con il ministero Bonomi, succeduto a Giolitti, del quale essi erano entrati a far parte.
Finanza cattolica e fascismo
Il 10 novembre 1922, pochi giorni dopo la sua andata al potere, Mussolini abrogò la legge sulla nominatività dei titoli, già bloccata dal governo Bonomi, accogliendo una delle principali rivendicazioni del grande capitale cattolico.
Nel 1923, Mussolini rese un secondo favore al Vaticano. Il Banco di Roma aveva avuto notevoli perdite in Africa ed aveva in portafoglio molti titoli di industrie belliche entrate in crisi in tempo di pace (fallimento della Ansaldo dei fratelli Perrone di Genova e della Banca di sconto). Mussolini fece intervenire la Banca d'Italia, la quale si accollò le perdite del Banco, quantificate più tardi dal ministro del Tesoro fascista, Alberto Stefani, in 2.120.000 lire (corrispondenti a 1.600 miliardi attuali). Del resto, la volontà del governo fascista di accogliere le richieste del Vaticano, allo scopo di essere a sua volta aiutato a consolidare il proprio potere tra le masse, si manifestò con altri fatti.
Nel 1923, vennero aggravate le sanzioni contro le 'offese alla religione cattolica e al clero', vennero reistituiti i cappellani militari, fu introdotto l'insegnamento religioso obbligatorio nelle scuole elementari, favorita la scuola privata, finanziata la fondazione dell'Università cattolica a Milano, venne più che raddoppiato il contributo dello Stato per le congrue ai parroci, esteso il beneficio ai canonici delle cattedrali. I cattolici ripagarono Mussolini di tanta generosità: il 12 aprile 1923, alcuni parlamentari cattolici, fra essi il senatore Nava, presidente del Banco ambrosiano, votarono un ordine del giorno di solidarietà con il fascismo.
Quando i fascisti portarono in Parlamento la legge di modifica del sistema elettorale introducendo il maggioritario, Filippo Meda fu il primo a dichiararsi favorevole. Nel 1925, Mussolini istituì una Commissione che si occupasse di riordinare i rapporti con la Chiesa in materia di diritto ecclesiastico. Della Commissione vennero ufficialmente chiamati a fare parte tre dignitari del Vaticano. Nel 1926, la Commissione presentò al Papa il disegno di legge, ma Pio XI, avendo capito di poter ottenere molto di più da Mussolini, affermò che l'accordo non poteva raggiungersi "fin che duri l'iniqua condizione fatta alla Santa sede e al romano Pontefice".
I rapporti economici tra Italia e Vaticano: i Patti lateranensi.
I Patti lateranensi, sottoscritti l'11 febbraio 1929 da Mussolini e dal segretario di Stato, cardinale Gaspari, riguardavano tre ordini di questioni: "la cessione da parte dell'Italia del territorio della Città del Vaticano, la regolamentazione delle questioni finanziarie, e rapporti generali tra Stato italiano e Città del Vaticano. Le diverse materie furono composte stipulando tre differenti documenti: il Trattato del Laterano, la Convenzione finanziaria ed il Concordato.
Non si è parlato abbastanza dei contenuti e delle conseguenze economiche dei tre Patti lateranensi, le cui conseguenze arrivano fino ai giorni nostri. Conviene quindi descrivere le principali norme finanziarie in essi contenute. Nel Trattato del Laterano, all'art.11, si afferma: "gli enti centrali della Chiesa sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano".
L'art.13 dispone il trasferimento al Vaticano in piena proprietà delle basiliche di san Giovanni in Laterano, santa Maria maggiore e san Paolo con gli edifici annessi, come pure il trasferimento al Vaticano dei capitali che lo Stato annualmente versava, tramite ministero della Pubblica istruzione, alla basilica san Paolo. Con l'art.14, veniva ceduto al Vaticano un complesso di terreni e palazzi, tra i quali Castel Gandolfo. Tutti questi palazzi e terreni, compresi il sant'Uffizio e la propaganda Fida, godono delle immunità del diritto internazionale, non sono assoggettati a controlli o espropri e sono esenti da qualunque tributo. L'art.17 stabilisce che "le retribuzioni di qualsiasi natura, dovute dalla Santa sede agli altri enti centrali della Chiesa e dagli enti gestiti direttamente dalla Santa sede, anche fuori di Roma, a dignitari, impiegati e salariati saranno nel territorio italiano esenti, a decorrere dal gennaio 1929, da qualsiasi tributo verso lo Stato e qualunque altro ente. Venne quindi ricostituita la 'mano morta', mentre le esenzioni tributarie, atte a garantire forti profitti alla finanza cattolica, diedero il via alla collaborazione tra finanzieri laici e istituzioni economiche vaticane.
La Convenzione finanziaria stabiliva che, tenuto conto "dei danni ingenti subiti dalla Sede apostolica per la perdita del patrimonio di san Pietro, costituito dagli antichi stati pontifici, e dei bisogni sempre crescenti della Chiesa", lo Stato italiano si impegnava a versare al Vaticano l'importo di 750 milioni di lire in contanti ed un miliardo di lire in titoli al 5%. Da parte sua, il Vaticano dichiarava definitivamente chiusa la questione romana. Venuto in possesso di una grande quantità di liquidi, si presentò per il Vaticano il problema di investirli proficuamente. A tale scopo, il 7 giugno 1929, papa Pio XI costituì l'Amministrazione speciale della Santa sede. A dirigere l'ente finanziario vaticano, venne chiamato l'ingegner Bernardino Nogara, parente dell'arcivescovo di Udine. Si tenga presente che, al valore attuale, il rimborso al Vaticano si aggirerebbe attorno ai 1.000 miliardi di lire (valore del 1984 ndr).
Per quanto riguarda il Concordato, l'art.2 stabilisce l'esenzione fiscale per tutte le pubblicazioni, affissioni, atti e documenti del Vaticano, l'art.6 stabiliva la non pignorabilità degli assegni degli ecclesiastici. Le concessioni più importanti da parte dello Stato italiano nei confronti del Vaticano sono contenute negli art.29,30, 31 del Concordato. Essi rappresentano una vera restaurazione delle leggi 'eversive' approvate dallo Stato dal 1840 al 1867. L'art.29 stabilisce che "ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici finora riconosciuti dalle leggi italiane (Santa sede) tale personalità sarà riconosciuta anche alle chiese pubbliche aperte al pubblico, comprese quelle appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi. Sarà riconosciuta personalità giuridica alle associazioni religiose approvate dalla Chiesa, nonché alle associazioni religiose aventi la casa madre all'estero, ecc...Inoltre sono ammesse le fondazioni religiose di qualunque specie. Gli atti compiuti finora da enti ecclesiastici senza l'osservanza delle leggi italiane, potranno essere regolarizzati dallo Stato italiano su richiesta. Infine, agli effetti tributari, le opere di religione e di culto vengono equiparate a quelle di beneficienza, e viene esclusa per l'avvenire l'istituzione di qualsiasi tributo speciale a carico dei beni della Chiesa", essendo già stata esentata da quelli ordinari.
L'art.30 pone le basi per quello che sarebbe poi diventato lo Ior, affermando che "la gestione dei beni appartenuti a qualsiasi istituto ecclesiastico sarebbe avvenuta sotto la vigilanza ed il controllo della sola autorità della Chiesa, restandone escluso ogni intervento da parte dello Stato, e senza obbligo di assoggettare a conversione i beni immobili". Nello stesso articolo, lo Stato riconosceva agli istituti ecclesiastici e alle associazioni religiose di acquisire beni, salvo le disposizioni delle leggi civili riguardanti gli enti morali.
Infine, l'art.31 stabilisce che l'erezione di nuovi enti ecclesiastici ed associazioni religiose sarà fatta dall'autorità ecclesiastica secondo le norme del diritto canonico. Successivamente le autorità civili daranno il loro benestare.
In definitiva, con l'andata al potere del fascismo, la Chiesa diventa uno dei pilastri del potere, non solo religioso, politico, morale, ma economico, ponendo le basi per gli eventi dei nostri giorni. Scriveva infatti Giovanni Grilli: "La notevole somma data da Mussolini al Vaticano ha permesso a questo di aumentare considerevolmente i mezzi di cui già disponeva e di entrare in misura maggiore di prima nel vivo della nostra economia. La personalità giuridica e la facoltà di possedere ogni specie di beni accordata a tutte le associazioni, ordini, congregazioni sulla base del solo diritto canonico, con l'obbligo dello Stato di riconoscerli, ha ricostituito, nel volgere di pochi anni, una immensa 'mano morta'. L'enorme accumulo di mezzi impiegati in Italia e all'estero e la creazione di una fittissima rete di enti e di organizzazioni, a un tempo religiosi, morali ed economici, che penetrano e corrodono la vita del Paese, consentono al Vaticano di manovrare la politica italiana, in senso spesso contrario ai suoi stessi interessi e alle esigenze di sviluppo culturale e civile".
Le conseguenze economiche dei Patti lateranensi
A riconoscimento ufficiale del fatto che, oramai, numerosi finanzieri legati al Vaticano da anni partecipavano ai centri economici dirigenti dell'economia italiana, il conte Paolo Blumensthil, uno dei più conosciuti fiduciari della corte pontificia, fu chiamato a far parte del consiglio di amministrazione della Banca d'Italia.
Poco propensi all'investimento industriale diretto (lo sfruttamento dei lavoratori poco si addice alla morale cattolica) e dato che le leggi impedivano alle banche il credito a lungo termine, i finanzieri vaticani investirono i loro liquidi nella speculazione immobiliare e, per la prima volta in modo massiccio, entrarono nelle grandi finanziarie che, proprio in quel periodo, i grandi gruppi industriali stavano costituendo. Nel giro di pochi anni, dirigenti del Banco di Roma e del Santo spirito entrarono nelle finanziarie della Fiat, Pirelli, Italcementi, Edison, nell'Istituto di credito fondiario e nel Credito fondiario sardo, assieme a finanzieri liguri e lombardi.
L'ingegner Bernardino Nogara, nominato dal Papa amministratore speciale della Santa sede, entrò nel consiglio di amministrazione della più grande finanziaria industriale d'Italia, la Comofim, voluta dalla Comit (rivelatasi in seguito una colossale truffa ai danni dei risparmiatori) nella quale sedevano il presidente della Comit Toeplitz, il barone Avezzana, il senatore Crespi, il senatore Bocciardo, presidente dei siderurgici liguri.
Il Vaticano non si limitò a partecipare, ma dette vita ad iniziative proprie, come la Società romana di finanziamento e l'Istituto centrale di credito. Il 1 agosto 1929, insieme ad Agnelli, Pesenti, Feltrinelli, Benni, il Banco di Roma fondò la finanziaria per le imprese italiane all'estero. Il 4 giugno 1929 il senatore Cavazzoni, il senatore fascista Bevione, il conte Franco Ratti, nipote del Papa, il fascista Giovanni Marinelli, assassino di Matteotti, diedero vita alla società di assicurazione Praevidentia. Per quanto riguarda le società industriali, a partire dal 1929, gli uomini del Vaticano entrarono nei consigli della Breda, Dalmine, Reggiane, Ferrorotaie, Società elettriche Italia centrale, Società agricola lombarda di Milano. Nelle Marche, Francesco Pacelli divenne vicepresidente dell'Italgas, la quale forniva gas a quaranta grandi centri italiani, e fondò la prima società per la produzione di gas liquido.
La grande crisi degli anni Trenta è però alle porte anche in Italia. Le tre banche cattoliche, Banco di Roma, Banco di santo spirito e Credito sardo e le due laiche, Comit e Credito italiano, si trovarono coinvolte in un gigantesco crack, con titoli azzerati, crediti inesigibili, e non solvibili nei confronti dei depositari. Ancora una volta, l'intervento del regime fascista a favore delle banche vaticane fu particolarmente generoso. I titoli mobiliari da esse posseduti furono trasferiti al nascente Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), benché aventi valore nullo, con un prezzo addirittura superiore a quello di mercato, come afferma una relazione dell'Istituto: "Il valore che venne così accreditato alle banche era superiore, evidentemente, al valore attribuibile alle partite trasferite all'Iri; la differenza tra il valore riconosciuto e il valore delle posizioni trasferite costituì la perdita dell'operazione di risanamento addossata all'Istituto".
Per la seconda volta dal 1923, ai lavoratori italiani venne addossata la perdita delle speculazioni vaticane, nel 1934 il carico attribuito all'Iri per questa operazione fu di 6 miliardi di lire, pari ad oltre 600 attuali. In cambio, la Chiesa rafforzò il proprio sostegno al regime di Mussolini. Anche negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, la finanza cattolica andò espandendosi velocemente; nel 1939 il conte Franco Ratti, nipote del Papa, entrò nella Banca nazionale dell'agricoltura e nell'Istituto italiano di credito fondiario; e, verso la fine del 1939, il conte fiduciario del Vaticano entrò nel monopolio nelle fibre, la Snia, del quale divenne vicepresidente un decennio dopo.
I buoni rapporti tra fascismo e Vaticano si manifestarono anche sul piano delle partecipazioni congiunte nella gestione di imprese industriali e finanziarie. Il più evidente fu quello delle partecipazioni del conte Adolasso, con il fascista conte Marinotti, al vertice della Snia viscosa. Nell'Istituto di credito fondiario due fiduciari del Papa, Cremonesi e Rosmini, operarono al fianco del senatore fascista Bevione. Nel Banco di Roma, dopo il salvataggio del 1934, entrò a dirigere la società di gestione delle rapine coloniali in Etiopia, assieme al cattolico principe Borghese, il fascista Antonio Marescalchi. In due società di assicurazione a Milano, l'Anonima vita e l'Istituto italiano di previdenza, si trovarono a fianco il quadrumviro Emilio De Bono e il conte Franco Ratti, nipote di Pio XI.
Come in occasione della prima guerra mondiale, i finanzieri cattolici e il Vaticano si trovarono strettamente affiancati ai guerrafondai per trascinare l'Italia nel secondo conflitto mondiale. Questa volta, a fianco della Germania di Hitler. Alla vigilia della seconda guerra, alla presidenza di industrie belliche (come, ad esempio, le officine meccaniche Reggiane, Compagnia navale aeronautica, gruppo Caproni) vi era l'onnipresente nipote del Papa, Franco Ratti, presidente al tempo stesso del Banco ambrosiano.
Altri introiti nelle casse del Vaticano
Il finanziamento dello Stato Italiano alla Chiesa Cattolica, deciso con la revisione concordataria del 1984 fu sottoscritto da Craxi e viene chiamato "otto per mille".
Si tratta di una colossale truffa, in quanto, pur essendo la percentuale dei contribuenti italiani che firmano in calce alla denuncia dei redditi l'otto per mille a favore della Chiesa cattolica solo di circa il 45%, successivamente, in sede di liquidazione dell'importo calcolato, questo diventa del 90%, proprio perché il loro otto per mille viene suddiviso tra tutti i pretendenti in proporzione delle preferenze ottenute. Ma a questa ulteriore spartizione le altre confessioni dignitosamente non hanno accettato di partecipare.
Sicché gli introiti, dal 1990 al 2003, si sono praticamente quintuplicati e oggi superano complessivamente il miliardo di euro. E di questo solo il 18 per cento finisce direttamente in progetti umanitari: il resto serve per il sostentamento del clero e per esigenze pastorali, di culto, di edilizia ecc. Le parrocchie che ne beneficiano sono circa 25.800, i sacerdoti circa 38.000.
Non solo, ma se si va a vedere il dettaglio delle spese dello Stato (in base all'otto per mille ricevuto da chi l'ha rifiutato alle chiese) si scopre che, per esempio, nel 2002 un terzo dei cento milioni di euro che i cittadini hanno dato allo Stato sono serviti per ristrutturare beni culturali di proprietà della stessa chiesa cattolica.
L’Obolo di San Pietro è costituito dall’insieme delle offerte destinate ad assistere il Papa nella sua missione apostolica e caritativa: esso comprende la colletta effettuata nelle Chiese particolari soprattutto in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, i contributi provenienti da Istituti di vita consacrata e da Fondazioni, come pure donazioni di singoli fedeli (circa 180.000), come previsto dall'art. 46 della legge di attuazione concordataria. Può affluire nelle casse vaticane un importo fino a mille euro detraibile dalla denuncia dei redditi.
L'obolo, che è un contributo personale e facoltativo, grava inevitabilmente sotto forma di minori introiti sulle pubbliche finanze italiane. Il gettito è stato di circa 25 milioni di euro l'anno ma è attualmente in diminuzione (nel 1992 l'obolo è stato di 60 milioni di dollari).
Nel corso del 2004 sono pervenuti donativi per un totale di US$ 51.710.348,45, con una diminuzione del 7,4% rispetto al 2003. Nel 1992 l'obolo aveva raggiunto quota 60 milioni di dollari.
La Città del Vaticano in base all'art. 6 del Concordato ha diritto a ricevere tutta l'acqua di cui ha bisogno (circa cinque milioni di metri cubi l'anno) senza versare un centesimo all'Acea.
La più recente normativa italiana include nella tariffa (la bolletta dell'acqua) anche il canone per le fognature e la depurazione. prima del '70 gli scarichi finivano direttamente sul Tevere. Successivamente si è invece cominciato e riversare gli scarichi ed i liquami in vasche e depuratori che hanno un costo per chi li gestisce e non rientrano nelle previsioni concordatarie.
L'Acea non aveva osato sollevare la questione, sino a che, nel 1999, quando la municipalizzata venne privatizzata ed entrò in borsa, il credito di alcuni miliardi di lire divenne difficile da nascondere, facendoli pagare ai cittadini della capitale.
I piccoli azionisti reclamavano affinché il buco di bilancio fosse risanato da qualcuno, o dalla Santa Sede o dallo Stato Italiano. Da un lato quindi la municipalizzata Acea chiedeva 50 miliardi di vecchie lire quali arretrati di 20 anni di scarichi abusivi, dall'altra parte i prelati rappresentanti del Vaticano offesi per essere stati trattati come morosi qualsiasi e soprattutto per un fatto di liquami.
Sicché nella finanziaria per il 2004 è comparsa una voce relativa ai 25 milioni di euro da versare all'Acea per i liquami arretrati e 4 milioni di euro a partire dal 2005. Naturalmente il costo dei liquami del Vaticano si è riversato sui cittadini Romani.
Altro fatto grave, incostituzionale, è stato sanzionato da due successivi Decreti del governo di centro-destra di Berlusconi, emanati in data 25 settembre 2003 e 19 dicembre 2003, in base ai quali il MIUR rende noto l'elenco delle scuole secondarie di primo e di secondo grado - legalmente riconosciute, pareggiate o paritarie - ammesse per l'esercizio finanziario 2003 al finanziamento di progetti "miranti alla elevazione dei livelli di qualità ed efficacia delle attività formative."
Mentre il Decreto direttoriale del 25 settembre individua un primo elenco delle scuole che hanno visto finanziati i propri progetti con le relative somme attribuite, quello successivo dirigenziale, a seguito di una ulteriore integrazione dei fondi disponibili, contiene un elenco di scuole e di finanziamenti aggiuntivi al primo.
Pertanto gli importi complessivi stanziati per l'esercizio finanziario 2003 è rappresentato dalla sommatoria dei due totali pari a 7.889.484 euro assegnati a fronte di curo 8.671.198 disponibili (cfr. circolare ministeriale n. 82 del 6 novembre 3003). La parte del leone nella acquisizione di questi fondi è svolta nell'ordine dalle scuole di Lombardia, Lazio e Veneto, alle quali il piano di ripartizione dei fondi 2003 assegna le quote più alte. E' noto come la maggior parte di queste scuole sia di gestione cattolica.
Il medesimo governo ha altresì cercato di non far pagare l'ICI (Imposta comunale sugli immobili) a tutti gli enti e associazioni religiose: circa 50.000 sul territorio nazionale, di cui circa 30.000 sicuramente svolgono attività commerciale. (cfr L'Espresso n. 18 del 12 maggio 2005)
Il valore effettivo delle monete coniate dall’Apsa è sensibilmente superiore a quello nominale, essendo indirizzate soprattutto ai collezionisti.
All’Apsa affluiscono i contributi dalle oltre 1.400 diocesi vescovili: nel 2002 poco più di 85 milioni di euro. Ben più consistente è il patrimonio immobiliare su cui l’Apsa può contare. Oltre alla proprietà di basiliche, chiese e santuari, solo a Roma si possono contare mille immobili di proprietà: uffici, appartamenti, negozi, palazzi di grande prestigio. A questo vanno aggiunti i valori immobiliari. L’Apsa possiede, secondo la stima del settimanale “Economy” (edito da Mondadori) 300 milioni di euro in titoli ed “investe in beni mobiliari (valuta, azioni, obbligazioni) non solo per sé ma anche per altri enti della curia romana”.
Lo IOR gestisce attualmente un patrimonio di 5,7 miliardi di euro. Gli interessi che vengono pagati ai depositanti s’aggirano intorno al 12 per cento.
lo IOR ha legami organici con altri istituti di credito: in primis con il gruppo del finanziere cattolico Bazoli, di cui lo IOR è da sempre azionista.
L’Istituto ha investito negli ultimi tempi ben 298 milioni di dollari in azioni, bond e titoli governativi statunitensi. Due sono i bracci per così dire secolari mediante i quali lo IOR opera: una banca tedesca, la Deutsche bank; l’altra il gruppo Untes, nel cui capitale azionario lo IOR partecipa nell’ambito di una cordata con il “gruppo bresciano”, costituito insieme con la Banca lombarda e la Mittel. Insieme possiedono quasi il 4 per cento delle azioni di Intesa.
Il 2005 è stato un anno record per il turismo religioso: 35 milioni gli italiani hanno viaggiato alla scoperta di santuari, monasteri, eremi, cattedrali, per un fatturato annuo di circa 4 miliardi di euro, pari al 5-6% del movimento turistico totale. La Basilica di S. Pietro può vantare più di 5 milioni di visite annuali; Assisi circa 4,5 milioni. Nel 1981 il fatturato era stato valutato in 3.800 miliardi di lire.
Secondo quanto riportato dai dati ufficiali della Prefettura per gli Affari Economici, per il 2002 il Vaticano e la Santa Sede erano in deficit: 29,5 milioni di euro (nel 1992 era di 4 miliardi di lire), ma nel 2004 le entrate sono state 205.663.266,00 euro e le uscite 202.581.446,00 euro, con un avanzo di 3.081.820,00 euro.
Nel bilancio però non figurano strutture come le università pontificie, gli ospedali cattolici (Bambin Gesù di Roma, ad esempio), i santuari (Loreto, Pompei). Ma soprattutto non figura l'obolo. Una pratica che ha portato nel solo 2002 un gettito nella casse della Città del Vaticano di 52,8 milioni di euro.
Nella Curia lavorano complessivamente 2.663 persone, di cui 759 ecclesiastici, 346 religiosi e 1.558 laici; i pensionati sono 1429.
Nel 2004 i contributi inviati dai vescovi alle diocesi hanno raggiunto l’ammontare di US$ 27.209.792,56, con un aumento dell’8,18% rispetto all’esercizio precedente.
I beni culturali ecclesiastici ammontano a 95.000 chiese, 3.100 biblioteche, 28.800 archivi. Come noto i beni artistici della chiesa, insieme ai reperti archeologici, sono l'oggetto principale dei furti e dei commerci clandestini di opere d'arte.
I finanziamenti alla Chiesa cattolica italiana​
Enna
26 agosto 2007
Solo un quinto dei quasi mille milioni di euro incamerati nel 2007, verrà impiegato per interventi caritativi, tutto il resto sarà utilizzato per il culto ed il sostentamento del clero.
I finanziamenti alla Chiesa cattolica italiana da parte dello Stato italiano comprendono finanziamenti diretti ed altri tipi di oneri economici e finanziari: l’otto per mille (quote assegnate e ripartizione di quelle non assegnate)*, finanziamenti a scuole ed università private cattoliche, contrattualistica differenziata per gli insegnanti di religione cattolica nella scuola pubblica, finanziamenti a mezzi di comunicazione cattolici, finanziamenti per infrastrutture di proprietà dello Stato Vaticano, finanziamenti per l’assistenza religiosa negli ospedali pubblici esenzioni fiscali.
Quasi la metà, 432 milioni, è stata destinata per esigenze di culto e pastorale.
Oltre un terzo dell’incasso, 353 milioni di euro, verrà invece trasferito all’Istituto centrale per il sostentamento del clero, che assicura uno stipendio mensile ai 39 mila sacerdoti in servizio nelle diocesi italiane ed ai 600 preti diocesani impegnati nelle missioni all’estero: poco più di 800 euro al mese ad inizio carriera, che arrivano a 1250 euro mensili per un vescovo alle soglie della pensione (ma va aggiunto che ogni sacerdote può attingere ai cosiddetti diritti di stola, cioè a offerte per battesimi, matrimoni, funerali, ecc).
C’è un secondo mito da sfatare sull’otto per mille, e cioè che nove contribuenti su dieci decidano di destinare alla Chiesa Cattolica. In realtà lo scelgono appena tre italiani su dieci, ma grazie alla ripartizione dei fondi, la Chiesa Cattolica riesce a recuperare il 90% dell’intero gettito.
La procedura prevede infatti che tutti paghino l’otto per mille e che le quote di coloro che non fanno nessuna scelta vengano distribuite in misura proporzionale alle preferenze espresse dagli altri.
Mediamente meno del 40% dei contribuenti esprime una scelta, ma gli otto per mille del 60% dei cittadini che preferiscono lasciare in bianco tutte e sette le caselle vengono ripartiti proporzionalmente tra le varie confessioni religiose e lo Stato, in base alla percentuale di preferenza dei contribuenti che hanno invece messo la firma.
Per cui la Chiesa Cattolica - che nel 2007 ha totalizzato l’89,81% delle preferenze espresse, corrispondenti però ad appena il 35% del totale - ha incassato non solo il 90% dell’otto per mille di chi ha scelto, ma anche il 90% dell’otto per mille di chi non ha fatto alcuna scelta.
NOTA:
* Solo un quinto dei quasi mille milioni di euro incamerati nel 2007, verrà impiegato per interventi caritativi, tutto il resto sarà utilizzato per il culto ed il sostentamento del clero. 991 milioni di euro è la cifra record incassata dalla chiesa cattolica nel 2007.
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nn si codividono alcune termonologie dell autore.i fatti sono sostanzialmete giusti, anche se c'e molto altro da inserirvi, ma stante la sintesi dell articolo, sta bene nel suo quadro di fondo
 

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Ricucci compra RCS-Rizzoli: per non far uscire il libro "Finanza Armata" di Ferruccio Pinotti? - 1 giugno 2005

Ferruccio Pinotti, "Finanza Armata" (inedito?), Rizzoli

"Il dramma di un figlio che vuole sapere la verità sulla morte del padre. Nessuno ha mai chiarito perché Calvi è stato "condannato". E perchè in oltre vent'anni non è stata raggiunta la verità. Chi l'ha impedito? Il libro di Pinotti parte da qui: dalla testimonianza e dal racconto sofferto di Carlo. Affrontando spese altissime e con l'aiuto di investigatori privati, il figlio ha condotto indagini in tutto il mondo, raccogliendo materiale ritenuto prezioso dagli inquirenti e che per la prima volta viene messo a disposizione del pubblico. Carlo racconta senza remore i risultati della sua ricerca della verità con importanti rivelazioni sui nuovi "poteri forti" e l'ascesa dell'Opus Dei."
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Pezzi tratti dalla "bozza" pre-Ricucci:

"Ho incontrato anche Marco Saba, dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata di Ginevra, che mi ha introdotto nei complicati meccanismi delle società di clearing, ovvero le camere di compensazione delle transazioni finanziarie internazionali che consentono di effettuare operazioni in maniera rapidissima e assolutamente riservata. Come in un pozzo senza fondo, tutto è avvolto in una oscurità impenetrabile. Un capitolo importante, anch’esso suggeritomi dal figlio del banchiere dell’Ambrosiano. Si tratta della vicenda Cedel, delle rivelazioni fatte da Ernest Backes, un tecnico dell’alta finanza tedesco, e dal giornalista francese Denis Robert. Li ho contattati entrambi. Il primo, che attualmente vive a Neuchâtel, in Svizzera, mi ha rivelato di esser stato contattato dagli inquirenti che stanno lavorando al nuovo processo Calvi. Robert, invece, mi ha confermato di persona la sua profonda convinzione dell’importanza del capitolo Cedel per risolvere i misteri relativi alla morte di Calvi."

"E’ Carlo Calvi a darmi la traccia da seguire. «Dovrebbe informarsi in merito alle scoperte fatte da Ernest Backes e Denis Robert. Non se ne sa ancora nulla, in Italia.»
Il suo suggerimento è come al solito anodino, stringato. Grazie a Marco Saba, un ricercatore dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata di Ginevra che ho incontrato sulla via del ritorno dal Canada, sono riuscito a ricostruire questa vicenda, mai affrontata da chi si è occupato del caso Calvi-Ambrosiano.
Roberto Calvi, nella fase tra la sua nomina a direttore centrale capo nel 1970 e a direttore generale nel 1975, sente il desiderio di spingersi oltre le scelte di Canesi sul fronte strategico delle alleanze estere. E fa in modo che la Kredietbank del Lussemburgo lo accolga nel suo consiglio d'amministrazione. Nell’istituto fiammingo lavorava all’epoca un brillante banchiere di nome Gérard Soisson. E in quello stesso periodo Soisson, insieme a un tecnico dell’alta finanza, il tedesco Ernest Backes, è tra i principali ideatori del primo sistema di clearing internazionale, ovvero la camera di compensazione delle transazioni finanziarie denominata Cedel (Centrale di consegna di valori mobiliari), una società privata che dal 1999 diventerà Clearstream, il “fiume pulito”, un nome che suona ironico per una società che si occupa di movimenti di capitali. Intorno a questo sistema completamente privato Calvi e Soisson stringono i loro rapporti. Il banchiere milanese coglie subito le potenzialità di questo nuovo sistema di transazioni. E l’Ambrosiano diviene uno degli azionisti-correntisti chiave di Cedel. Ma Calvi comprende anche che il Lussemburgo diventerà presto una delle capitali mondiali dei flussi finanziari coperti, e per questo cerca un’ulteriore legittimazione tra i ristretti circoli del potere finanziario del luogo. Roberto Calvi viene ammesso in una delle principali logge massoniche lussemburghesi, alla quale apparteneva anche uno dei quadri superiori di Cedel, il segretario generale René Schmitter.

I legami tra Calvi e Soisson si rinsaldano, in maniera ovviamente non fortuita. Le relazioni di fiducia tra i dirigenti delle principali banche che operano in Cedel e i quadri della società sono fondamentali. Esse costituiscono la materia prima sulla quale si fabbrica quotidianamente il clearing. Soisson era un uomo discreto, e manteneva il totale segreto sulla natura dei suoi rapporti con i banchieri più influenti del pianeta. Apprezzava Calvi, era leale nei suoi confronti.
«I due – ha raccontato Ernest Backes – sembravano parenti: l'italiano gli aveva offerto un regalo che Soisson teneva sulla sua scrivania: tre scimmiette in metallo: una si copriva la bocca, l'altra gli orecchi e la terza gli occhi.»
Nel corso degli anni Settanta, Cedel diviene uno dei principali canali finanziari per le operazioni compiute dall’Ambrosiano a favore e per conto dello Ior, ma anche su molti altri fronti pericolosi, come la rete delle società panamensi e le operazioni in Sudamerica. Calvi, attraverso il sistema Cedel, ottiene un doppio risultato: da un lato la segretezza e l’irreperibilità delle sue acrobatiche movimentazioni di capitale (solo alcuni conti erano accessibili dalle autorità pubbliche, gli altri erano denominati “non pubblicati” ed erano occultati attraverso una contabilità parallela); dall’altro la possibilità di mantenere una prova che certi trasferimenti di denaro lui li aveva compiuti, magari per conto del Vaticano o di altri potenti gruppi imprenditoriali. Un formidabile strumento di ricatto potenziale. In Cedel, infatti, restava e resta una traccia contabile di tutti i valori transitati. In caso di difficoltà, e grazie al suo fedele amico Gérard Soisson, Calvi era perciò in grado di recuperare una prova documentale dei movimenti da lui realizzati in favore o per conto di terzi.
Nel 1980, quando ormai il sistema di clearing era perfettamente avviato, René Schmitter e Gérard Soisson organizzarono una delle riunioni mensili del consiglio d'amministrazione di Cedel a Roma, negli uffici dell'Istituto per le Opere di Religione. Ernest Backes racconta: «Avevo suggerito a Soisson di raccomandare a Marcinkus di aprire un conto diretto con Cedel per lo Ior e di evitare così i giri attraverso tutte le banche che apparivano nelle transazioni. Quando Soisson tornò dalla riunione ebbi l'impressione che non avesse osato esprimere questa proposta».
Due anni dopo questa riunione, Soisson disse a Backes che aveva visto delle cose bizzarre in Vaticano: «Soisson sapeva leggere le transazioni meglio di me, che non vedevo altro che il lato tecnico. Io facevo delle battute sul Papa, intorno agli estratti che leggevo in Cedel. Ma lui sapeva che le istruzioni ordinate da Calvi su dei sottoconti della finanza vaticana, con l'avallo della Santa Sede, erano più che rischiose. Si sentiva che il trucco sarebbe stato prima o poi scoperto».

"Per approfondire la questione, da Neuchâtel mi sono spostato a Ginevra, dove ha sede l’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata con il quale collabora Marco Saba, il ricercatore che mi ha aiutato a comprendere le connessioni tra Cedel-Clearstream e il caso Ambrosiano. Mi incontro con Marco in un ufficio a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria e dalla sede del Credito Svizzero. Ho deciso di contattarlo perché avevo letto dei riferimenti a una sua inchiesta sul mondo bancario e in particolare sulla finanza "coperta". Gli chiedo cosa ne pensa, a distanza di vent'anni, della questione dell'Ambrosiano e di Roberto Calvi. «Mi sono interessato della vicenda dell'Ambrosiano per vari motivi, tra cui il fatto di aver conosciuto alcuni dei personaggi che furono coinvolti. Nel 1999, durante una ricerca per conto di una Ong italiana, l'Osservatorio Etico Ambientale, mi ero accorto di quanto il mondo finanziario fosse in grado di condizionare non solo la politica internazionale ma anche la ricerca all'interno della stessa comunità scientifica. Durante una analisi retrospettiva dei vari fatti clamorosi accaduti negli ultimi vent'anni, della serie di fallimenti di banche e istituzioni finanziarie, mi ero accorto che esisteva un filo conduttore.»
Saba propone una metafora.
«Per usare un’immagine forte si può dire che esista quasi un governo parallelo, nell’alta finanza. Per governo parallelo intendo il potere forte, quello del denaro, cui tutti gli altri sono vassalli. Sono sempre stato abbastanza puntiglioso e pignolo, nelle mie ricerche, perché quello che stavo scoprendo aveva dell'incredibile. Il mondo della finanza spende somme folli per la propaganda, al fine di nascondere se stesso: un serpente che si morde la coda. Il problema è che la gente comune non sa, o non vuole sapere queste cose. Si possono creare figure di banchieri d’assalto o di speculatori, come Calvi e Soros, senza che nessuno se ne accorga, per fini precisi. Il problema è che personaggi come Calvi, i cosiddetti “burattinai”, alla fine si rivelano persone manovrate, dei semplici maggiordomi. Dei bersagli sui quali convogliare i disagi dell’opinione pubblica, per distrarre l'attenzione dai veri responsabili di certe crisi finanziarie ricorrenti.»
Ho il timore che stiamo uscendo dal seminato e chiedo al mio interlocutore di tornare alla vicenda dell'Ambrosiano.
«Per inquadrare la fattispecie dell'Ambrosiano bisogna capire che l'intero sistema bancario attuale vive in un universo parallelo rispetto alla democrazia, al potere apparente. Poiché nel caso dell'Ambrosiano dobbiamo confrontarci con la criminalità, non possiamo prescindere dal fatto che essa è un elemento presente nel sistema bancario occidentale. Le porto un dato eclatante. Secondo alcuni studi econometrici ogni cittadino europeo, a causa delle rendite accumulate nel corso dei secoli dal sistema bancario, “avanzerebbe” dal sistema stesso 1 milione e 200 mila euro di rendite da capitale. Le pare poco? I fenomeni di emigrazione cui stiamo assistendo sono dovuti al fatto che l’appropriazione delle rendite da capitale, in alcuni Paesi, è di proporzioni ancora più allarmanti. Tipico è il caso dell'Albania.» Ma allora, i giudici dove hanno sbagliato nelle indagini sul caso Calvi-Ambrosiano? Cosa potrebbe fare un magistrato che si trovasse al posto dei giudici Monteleone e Tescaroli?
«Mi piace ricordare una frase del generale Dalla Chiesa, non a caso morto anche lui ammazzato: "Cherchez l'argent". I giudici italiani, quelli di Milano, non hanno mai acquisito la perizia generale contabile della Touche & Ross sul Banco Ambrosiano. L'hanno dichiarato fallito "sulla fiducia". Potenti gruppi hanno rilevato i gioielli del Banco Ambrosiano a prezzo simbolico. La signora Margaret Thatcher ha messo sotto segreto di Stato la perizia contabile generale sulle attività estere del Banco Ambrosiano. Brian Smouha, il revisore dei conti della Touche & Ross che curò la liquidazione, segretata, dell'Ambrosiano è lo stesso che poi ha gestito la liquidazione della Bcci. Nelle storie dei crimini bancari ricorrono sempre le stesse persone, talvolta gli stessi indirizzi degli uffici. La domanda chiave sull'Ambrosiano è perché la Midland Bank revocò il fido al Banco poco prima della morte del banchiere? Hanno forse pensato che la banca conveniva rilevarla dal fallimento piuttosto che salvarla? Queste sono alcune delle domande a cui nessuno ha interesse a dare una risposta. Perché i giudici non vanno a verificare cosa c’era nella valigetta di Calvi, che ancora oggi un noto banchiere si tiene amorevolmente stretta? Se avesse voluto andare a Zurigo, Roberto Calvi ci sarebbe andato subito. Ma era a Londra che si giocava il grande gioco.»
E quella partita, come sappiamo, il banchiere dell’Ambrosiano la perse.
Editoria e finanza

La vicenda Rizzoli-Corriere della Sera

Se quello della rete off shore, dei movimenti occulti di capitali, delle contiguità pericolose con ambienti che praticavano attività di riciclaggio è un filone centrale nella vicenda Calvi-Ambrosiano, altrettanto importante è il capitolo che riguarda l’editoria. Lo stesso Roberto Calvi, più volte, aveva attribuito l’origine dei suoi problemi all’ingresso nel mondo della carta stampata..."
[...]

"Il dipartimento di Stato USA, il 15 giugno 2004, ha desecretato centinaia di pagine di documenti sul caso dell’ex agente del Sismi (e consulente di Roberto Calvi) Francesco Pazienza, a seguito di un FOIA (Freedom of Information Act) effettuato da un membro dell'Osservatorio sulla Criminalità Organizzata di Ginevra, il ricercatore Marco Saba. Il mandato di estradizione di Pazienza dagli Usa (dove venne arrestato) all’Italia, venne all'epoca segretato dal ministro Mino Martinazzoli. Attualmente Pazienza è detenuto nel carcere di Livorno, in ragione però di una condanna legata a operazioni di «depistaggio» sulla strage di Bologna. L’ex agente, che ha nell’estate 2004 dato vita anche a uno sciopero della fame, sostiene da anni che la sua carcerazione è in realtà legata ai segreti del caso Calvi-Ambrosiano. In tutti questi anni non è ancora stato desegretato nemmeno il rapporto contabile finale sul Banco Ambrosiano (estero) che all'epoca venne segretato da Margareth Thatcher."

[...]

Backes è stato altresì tra i creatori, tra la fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70, delle «camere di compensazione», ovvero dei sistemi di «clearing» che hanno innovato profondamente le transazioni. Backes ha svelato alcuni dei suoi segreti al giornalista investigativo francese Denis Robert, nel libro-denuncia Révélation$, Les Arènes, 2001.
 

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war inna Vatican

Nato a Milano il 13 aprile 1920, dopo il liceo classico Roberto Calvi si iscrisse alla Scuola di Cavalleria dei Lancieri di Novara. Nel 1939, per non deludere i progetti materni, si iscrisse alla facoltà di Economia e commercio della Bocconi, dove diresse l’Ufficio stampa e propaganda dei Gruppi Universitari Fascisti fino all’entrata in guerra dell’Italia. Il conflitto lo vide volontario in Russia. Al suo ritorno venne assunto nella Banca Commerciale, per poi passare all’Ambrosiano, “la banca dei preti”, fondata nel 1896 da monsignor Tovini per incarico del cardinale arcivescovo Ferrari, e da allora controllata per decenni dalla Curia Milanese. Entrato a un livello molto basso ma voglioso di fare carriera, tenace e propositivo, Calvi era senza dubbio un ambizioso che sapeva darsi da fare. La sua prima grande intuizione fu quella di seguire il futuro presidente del Banco Ambrosiano Alessandro Canesi nel processo di internazionalizzazione dell’attività bancaria, sia come canale espansivo delle attività creditizie sia come strumento finalizzato a servire gli interessi privati di importanti gruppi industriali e di grandi famiglie. Nel 1958 ricevette l’incarico di assistente personale di Canesi. Nel 1959 questi divenne direttore generale del Banco Ambrosiano, che l’anno successivo arrivò a disporre di circa 400 banche corrispondenti in tutto il mondo. Su diretto impulso di Canesi venne costituita la Banca del Gottardo e vennero allacciati contatti con la Hambros Bank di Londra. Da Canesi Calvi apprende come sperimentare forme di controllo azionario rastrellando, tramite terzi, titoli sul mercato. Quote dell’Ambrosiano in mano a poche famiglie confluiscono nel 1963 in una società creata ad hoc da Canesi, con sede in Lussemburgo (Compendium SA che nel 1976 diventerà Banco Ambrosiano Holding). Nel 1965 Canesi divenne presidente del Banco Ambrosiano. Calvi iniziò a collezionare posti nei consigli di amministrazione delle principali società controllate come preludio all’entrata nel consiglio del Banco stesso. Nel 1968 Canesi approvò l’aumento di capitale della Banca del Gottardo e costituì una società fiduciaria con sedi a Lugano e Zurigo. Nel 1970 Calvi venne nominato direttore centrale capo. Nello stesso anno si gettarono le basi per costituire un istituto di credito a Nassau (Bahamas). Da Svizzera, Lussemburgo e Liechtestein il campo di azione si allargò oltreoceano, con Calvi che ne assunse la responsabilità. La Banca d’Italia dispose una prima visita ispettiva nella quale ci si rese conto che il Banco Ambrosiano deteneva azioni proprie oltre i limiti di legge. Nel 1971 Canesi cedette la sua carica e divenne presidente onorario del Banco. Calvi divenne direttore generale, poi entrò nel consiglio di amministrazione venendo nominato consigliere delegato.
Nonostante la crisi economica, impieghi e raccolta dei fondi riprendono a crescere. Il Banco procede a un’altra operazione, condotta – secondo alcune letture – su impulso del finanziere siciliano Michele Sindona: l’acquisizione di una rilevante partecipazione nella Centrale Finanziaria di Milano, una storica società, da sempre considerata il “salotto buono” della finanza italiana […] Per capire come un apprezzato e infaticabile funzionario di banca sia potuto diventare nel giro di pochi anni uno dei più potenti banchieri d’Italia e d’Europa è indispensabile soffermarsi sul 1971, anno in cui Roberto Calvi diventa direttore generale dell’Ambrosiano. In quel frangente si verificano mutamenti importanti per la storia del Banco. Proprio allora si affacciano sulla scena personaggi che accompagneranno l’istituto nel corso del suo ultimo decennio di vita, primi tra tutti Michele Sindona e Paul Marcinkus. Partiamo da Sindona. Nato a Patti, in provincia di Messina, l’8 maggio 1920, coetaneo di Calvi. “Mio padre e Sindona si sono conosciuti nel 1970 […] Non ci fu un grande feeling all’inizio, e anche in seguito i rapporti tra loro erano ben diversi da quelli che mio padre aveva con Luigi Pennini, l’amministratore dello IOR. Con Sindona c’era sempre una certa diffidenza” racconta Carlo Calvi, che ritiene che fosse Sindona ad aver bisogno della solida esperienza bancaria di suo padre, e non viceversa. “I fatti spesso si trasformano in mito e si crede che Sindona abbia aiutato mio padre che sarebbe poi diventato semplicemente il successore di Sindona. Ma non è così. Sindona era uno che cercava di coinvolgere nelle sue manovre un po’ tutti. Correva dietro alle persone per farle entrare nei suoi affari e trarne vantaggi”. Secondo Carlo Calvi i due banchieri si frequentavano perché avevano contatti di interesse e di lavoro con gli stessi ambienti. “Mio padre e Sindona entrarono in contatto perché avevano rapporti comuni, in particolare con il Vaticano, ma poi mio padre queste relazioni le ha gestite in modo del tutto autonomo. Prendiamo a esempio la banca inglese Hambros: ci ho lavorato anch’io e lì c’era anche un rappresentante del Vaticano. Il rapporto con quella banca era del tutto indipendente da Sindona, ma poi, purtroppo, i fratelli Hambro caddero vittime del suo fascino: si persuasero – e lo affermarono – che Sindona fosse l’uomo del secolo. Quando hanno visto che le cose si mettevano male, hanno trasferito le operazioni avviate con lui direttamente all’Ambrosiano e a mio padre” […] Nei primi anni Settanta Cosa Nostra controllava il mercato della droga in diverse parti del mondo e la Sicilia, all’epoca, era il regno delle raffinerie di eroina. A Palermo e a Trapani erano molto numerose e Cosa Nostra aveva il problema di come investire i soldi che incassava con il traffico degli stupefacenti. Una parte del denaro era depositata nelle banche svizzere, un’altra finiva in Borsa, mentre l’ultima veniva investita in progetti legati al turismo. Cosa Nostra vide in Michele Sindona, allora brillante avvocato fiscalista che avrebbe voluto fare il banchiere, l’uomo giusto per svolgere un certo tipo di operazioni […] I rapporti tra Sindona e la mafia risalgono già alla fine degli anni Cinquanta. Il 2 novembre 1957 a Palermo, nei saloni del Grand Hotel delle Palme, si tenne un summit della mafia italo-americana, e Sindona era presente. Il tema all’ordine del giorno era proprio la gestione del mercato della droga. Il finanziere siciliano, dopo una serie di operazioni portate a buon fine, volle compiere un ulteriore salto di qualità stabilendo rapporti con il Vaticano. Trasferitosi a Milano negli anni della ricostruzione e affermatosi come abile consulente fiscale, nel 1958 Sindona conquista l’amicizia del principe Spada, un laico della “nobiltà nera”, legata al Vaticano, e quindi entra in contatto con Giovanni Battista Montini, allora arcivescovo di Milano ed esponente di un’importante famiglia di Brescia. Nel 1960 mette gli occhi su una banca monosportello di Milano, la Banca Privata Finanziaria. Tramite il principe Spada convince il Vaticano ad acquisire il 100% dell’istituto e a farsi girare il 40% delle azioni. Nel 1964 si avvicina alla massoneria, vantando il suo impegno anticomunista e i rapporti privilegiati con importanti ambienti anglo-americani. Nello stesso anno lo IOR vende a Sindona la quota di maggioranza della Finabank di Ginevra. Sindona cede una quota azionaria della Banca Privata Finanziaria alla Hambros Bank di Londra e un’altra quota alla Continental Illinois National Bank di Chicago. L’abile finanziere siciliano ha esteso il suo raggio d’affari e di conoscenze negli Stati Uniti, dove ottiene uno strepitoso successo sui magazines che contano. Ha fatto le amicizie giuste: oltre ai banchieri, si lega a un avvocato emergente, Richard Nixon, e al boss mafioso italo-americano Joe Doto, altrimenti noto come Joe Adonis, che gli affida le sue più riservate operazioni finanziarie. Su incarico di Adonis, Sindona si reca a New York dove viene accolto dalla famiglia mafiosa dei Genovese, per conto dei quali crea i canali per riciclare proventi illeciti di varia natura […] Sindona diventa uno dei primi esperti di banche off-shore dove far transitare eurodollari esentasse. I rapporti con il Vaticano si consolidano definitivamente quando si profila la fine dell’esenzione totale dal pagamento delle tasse di cui il Vaticano aveva beneficiato fino ad allora. La nuova legislazione fiscale impone, dal dicembre 1962, una tassazione sui profitti derivanti dai dividendi azionari. Un danno enorme per la Santa Sede, che decide di ripensare le proprie strategie finanziarie investendo parte del suo patrimonio all’estero. Qui entra in scena Sindona, nel frattempo diventato consulente finanziario della curia milanese che poi si sposterà in blocco a Roma, nel 1963, con l’ascesa al soglio pontificio di Montini […] Oggi sappiamo, grazie a inchieste come quella condotta dal giudice Imposimato, che l’errore del Vaticano è stato quello di essersi prestato a fare da schermo per le operazioni di Sindona. In cambio di questa copertura lo IOR riceveva comunque una lauta ricompensa grazie al meccanismo ricostruito dallo stesso Imposimato. “Il riciclaggio di denaro si effettua in tre tappe: prima i capitali della mafia, dei partiti politici e dei grossi industriali vengono versati nelle banche di Sindona. In seguito passano attraverso lo IOR che trattiene una quota di interessi e infine tutti questi soldi, ai quali si aggiungono gli investimenti della Santa Sede, vengono trasferiti nelle banche estere di Sindona, la Franklin di New York e le sue filiali alle Bahamas e a Panama”. Imposimato ha pagato caro questa sua indagine sui rapporti tra Vaticano, mafia e politica: suo fratello Francesco, infatti, è stato assassinato l’11 ottobre 1983. parallelamente all’ascesa di Calvi, che nel 1971 viene nominato direttore generale dell’Ambrosiano, Sindona mette a punto un piano per far nascere un gruppo di dimensioni europee. Il primo obiettivo è la Centrale Finanziaria, la società che all’epoca fungeva da “salotto buono” della finanza italiana poiché deteneva partecipazioni di diverse società industriali. L’operazione è condotta con l’aiuto degli Hambro e con il sostegno esterno di Calvi. Nel nuovo consiglio di amministrazione della Centrale si insediano Sindona, il principe Spada e John Mc Caffery, “molto vicino all’Opus Dei”, come disse di lui lo stesso Sindona, rappresentante in Italia degli Hambro e uomo dei servizi segreti inglesi. Qualche mese prima di morire Sindona fece un accenno diretto ai suoi rapporti con l’Opera e raccontò “di essere entrato in contatto con membri spagnoli dell’Opus Dei tramite John Mc Caffery, l’ex capo del servizio informazioni britannico per l’Italia che dopo la seconda guerra mondiale è diventato rappresentante della Hambros Bank di Londra nel nostro Paese” […] Forte della conquista della Centrale, Sindona avviò la scalata alla Bastoni, società finanziaria che deteneva partecipazioni nelle più note aziende italiane e nel cui consiglio di amministrazione sedevano i nomi più prestigiosi della nostra industria […] L’opposizione della Banca d’Italia fece fallire l’operazione e la stella di Sindona cominciò a declinare. Calvi, su pressione del Vaticano, fu chiamato a ricomporre i cocci. L’Ambrosiano si disse disposto a rilevare il pacchetto azionario posseduto da Sindona nella Centrale Finanziaria. A meno di un anno dalla sua nomina a consigliere della Centrale, Sindona si dimise e poco tempo dopo il fallimento dell’opa sulla Bastoni entrarono in consiglio di amministrazione della Centrale Canesi, che assunse la presidenza, e Calvi, che divenne vicepresidente […] I rapporti tra Calvi e Sindona diventano pessimi. Quest’ultimo tenta di risollevarsi attraverso alcune operazioni negli Stati Uniti. Intanto Calvi miete un successo dietro l’altro: l’acquisizione della Banca Cattolica del Veneto, del Credito Varesino, della Toro Assicurazioni oltre naturalmente alla Centrale Finanziaria, e all’espansione all’estero dell’Ambrosiano. Nel 1972 Sindona, attraverso la Franklin Bank, si lancia in una politica di speculazioni sui cambi che finisce per affondare l’istituto di credito. Nel 1973, alle prese con un improrogabile bisogno di liquidità, Sindona si rivolge al Banco di Roma, dove ha consistenti appoggi grazie al suo rapporto privilegiato con la DC. Nel 1974 viene decretata la liquidazione amministrativa coatta della Banca Privata Finanziaria, affidata all’avvocato Giorgio Ambrosoli. Sindona tenta di bloccare il provvedimento di liquidazione minacciando il neogovernatore della Banca d’Italia Baffi, il vicepresidente e lo stesso Ambrosoli, poi ucciso da un sicario mafioso, su mandato di Sindona, l’11 luglio 1979. Marcinkus e Calvi tentano di liberarsi dagli ingombranti legami che hanno con il banchiere, ormai prossimo al tracollo […] “Una delle carte che mio padre conservava con maggior cura era la famosa lettera di Luigi Cavallo in cui si parla dei due scorpioni e della bottiglia. I due scorpioni erano Sindona e Calvi, che poi si uccidono reciprocamente. Mio padre la conservava nella sua cassaforte alle Bahamas. Ora è in mio possesso”. È un documento scritto a macchina, ricevuto da Calvi poco prima delle vacanze natalizie del 1977. “Egregio dottor Calvi, tra le tribù dell’Uganda è ben nota la tavoletta dei due scorpioni in una bottiglia. Se i due scorpioni impegnano una lotta a oltranza, questa ha, inevitabilmente, un esito letale, per ambedue i contendenti. Io sono fuori della bottiglia ma – diversamente da certi Suoi consiglieri – non ho alcun interesse nella continuazione e nell’aggravamento della lotta. Contro di Lei non ho nulla di personale. Nella mia prima lettera Le ho indicato l’unico obiettivo dell’azione in corso e, perdurando il Suo caparbio rifiuto a onorare gli impegni da Lei volontariamente assunti, tale azione verrà intensificata sino alla logica conclusione: Magistratura e Guardia di Finanza, carabinieri e sindacati, partiti e polizia saranno progressivamente costretti a intervenire e, a un certo momento, dinanzi all’insurrezione dell’opinione pubblica, degli azionisti, dei dipendenti, della stampa, dei parlamentari, Ella – “Rubamazzo” sempre più “chiacchierato” – verrà sacrificato dal Comitato esecutivo dell’Ambrosiano per il bene dell’Istituto e la maggior gloria del Suo successore. Se ciò non avvenisse in tempi brevi, gruppi extraparlamentari Le renderanno impossibile la vita privata e quella sociale. Dovrà scegliere: o scappare all’estero o essere rinchiuso a San Vittore. O il suicidio civile o la latitanza, più o meno dorata. Ma anche la fuga ha i suoi aspetti negativi. E date le Sue numerose radici finanziarie, non sarà difficile scovarLa. Anche in Argentina, come altrove, ho amici fidati. E non commetta l’errore di fare affidamento sull’istinto di sopravvivenza o sulla misericordia del primo scorpione. È deciso: o l’accordo e il rispetto degli impegni o la lotta ad oltranza. Se preferisce quindi anticipare la pace natalizia e il suo solito viaggio per la pesca d’altura, telefoni a chi di dovere e fissi un appuntamento. Ritrovare un amico e la normalità è certamente più gradevole della fine del secondo scorpione in una bottiglia. Con i migliori auguri di buon viaggio e di un pacifico e sereno 1978, La saluta Luigi Cavallo” […] È sorprendente la profetica precisione dei riferimenti. Si parla di “impegni volontariamente assunti” che rimandano al discusso “patto” concluso con molta probabilità da Calvi e Sindona prima della partenza di quest’ultimo dagli Stati Uniti. Poi la previsione: “Lei verrà sacrificato dal Comitato esecutivo dell’Ambrosiano”, fatto puntualmente verificatosi il giorno prima della morte di Calvi a Londra […] È impressionante anche un altro riferimento: “Gruppi extraparlamentari Le renderanno impossibile la vita privata e quella sociale”. Un indizio oscuro, ma alla luce dei fatti molto preciso: è risultato che gli ambienti in cui matura l’esecuzione di Calvi, a Londra, sono contigui a nuclei di attivisti di estrema destra, legati ai servizi segreti e alla mafia […] Inquietante il passaggio in cui si afferma: “Date le Sue numerose radici finanziarie, non sarà difficile scovarLa. Anche in Argentina, come altrove, ho amici fidati”. È noto che Calvi ebbe rapporti con l’Argentina, di cui nei primi anni Ottanta finanziò la Marina da guerra nell’acquisto dei missili Exocer usati nella guerra delle Falkland-Malvinas contro l’Inghilterra […] Il dettaglio della lettera relativo al “solito viaggio per la pesca d’altura” conferma poi che il vero autore era Sindona, perché, come ricorda Carlo Calvi, suo padre e il finanziere siciliano erano andati più volte a pescare assieme alle Bahamas, dove si ritrovavano con Marcinkus. Ma quello che più sconvolge è la terribile predizione della morte dei due “scorpioni”, avvenuta addirittura secondo la stessa modalità del finto suicidio: Calvi impiccato sotto il Blackfriars Bridge, nel 1982; Sindona avvelenato da un caffè al cianuro nel supercarcere di Voghera, il 22 marzo 1986. Entrambi, nel momento in cui vennero eliminati, stavano per essere sottoposti a processi nel corso dei quali avrebbero rivelato molte cose, soprattutto informazioni scottanti sulle attività finanziarie del Vaticano. “Stando a quello che mio padre stesso mi disse poco prima di morire, e alle indagini compiute dall’agenzia investigativa Kroll, sono convinto che la borsa che lui portava con sé al momento della morte conteneva documenti importanti. C’erano poi delle chiavi; in particolare quella di una cassetta di sicurezza in Svizzera. E due dossier. Uno relativo al capitolo nicaraguese della sua attività bancaria, che ci porta alla questione Iran-Contras, ovvero al rapporto con gli americani, impegnati politicamente e finanziariamente nella guerriglia antisandinista. Altri documenti che portava con sé nella borsa riguardano l’estorsione perpetrata contro di lui da Sindona. In quel dossier c’era anche la lettera dei due scorpioni nella bottiglia” […] L’estorsione perpetrata da Sindona contro Calvi è una vicenda complessa che ci dà modo di introdurre il complicato meccanismo che legherà l’Ambrosiano e lo IOR […] “Mio padre teneva una sorta di contabilità parallela che riportava i nomi delle società e dei relativi conti presso lo IOR”. Una contabilità speculare, che dimostrava come lo IOR poteva avere accesso a quei conti in ogni momento e senza apparire direttamente. Quei documenti rappresentavano un forte strumento di ricatto potenziale. Il ricatto che Roberto Calvi esercitava nei confronti dello IOR, ma che già anni prima, con molta probabilità, lo stesso Calvi subiva da Sindona, con il quale aveva creato diverse disponibilità all’estero. “Mio padre teneva queste tabelle sempre aggiornate. Se ne è parlato poco e solo nelle relazioni di minoranza della Commissione P2. documentavano i conti speculari tra le banche del Gruppo Ambrosiano e lo IOR. Cos’è che manca nella sua borsa? Manca l’aggiornamento di questi conti paralleli. Mentre si è parlato molto delle lettere di patronage rilasciategli da Marcinkus, di questi conti non si è mai parlato. Io ne ho una versione precedente che risale al 1978, ma quando è morto, nel 1982, mio padre ne aveva una versione aggiornata nella borsa” […] Un altro incontro fondamentale che segnerà la drammatica parabola del “banchiere di Dio” è quello con Paul Marcinkus, nato il 15 gennaio 1922 in un sobborgo di Chicago del quale rivendicava orgogliosamente l’appartenenza, figlio di un lavavetri di origine lituana emigrato negli Stati Uniti nel 1908, e di una commessa di panetteria di origine russa. Visse un’infanzia povera e difficile […] In quegli anni Cicero, il sobborgo in cui viveva la famiglia Marcinkus, era il feudo di Al Capone […] A partire dal 1938 il giovane Paul frequenta uno degli istituti più severi d’America. Viene ordinato sacerdote nel maggio 1947 e nel 1950 parte per Roma, per studiare diritto canonico all’Università Gregoriana. Chi appoggia la sua carriera? Quali interessi rappresenta? Marcinkus era una figura chiave nella rete di rapporti tra servizi segreti americani e Vaticano, giustificati in chiave anticomunista. Parallelamente a queste relazioni il vescovo americano matura nel tempo rapporti ambigui anche con personaggi che vivono ai confini della criminalità organizzata […] Appena arrivato in Italia stringe amicizia con personaggi influenti della Curia romana. Suo mentore diviene monsignor Macchi, futuro segretario particolare di papa Montini. Esperto di economia e finanza, monsignor Macchi era intimo amico del principe romano Massimo Spada, il noto agente di cambio della “nobiltà nera” a cui, negli anni Trenta, il Vaticano affidò la gestione di alcuni dei propri interessi finanziari. Ma Macchi era anche un mecenate e un grande collezionista di opere d’arte, passione che lo portava a frequentare il giro degli antiquari, un mondo nel quale si ritrovano diversi strani personaggi implicati nella vicenda Calvi-Ambrosiano, come ad esempio Sergio Vaccari, l’antiquario romano attivo a Londra, ucciso dopo la morte di Calvi […] Fu Macchi a presentare Marcinkus a papa Montini e la sua origine americana rappresentò una carta importante da giocare nei confronti del pontefice […] Dopo due missioni in Bolivia e in Canada, al sacerdote americano viene affidato l’incarico di organizzare i viaggi di Paolo VI, compito che svolse con abilità ed efficienza. Nel 1968 viene destinato allo IOR, la banca vaticana […] Lo IOR ha come antenato la Commissione Ad pias causas, istituita nel 1887 da Leone XIII al fine di convertire le offerte dei fedeli in un fondo facilmente smobilizzabile. La prima riforma delle finanze vaticane risale al 1908, quando su iniziativa di papa Pio XI l’istituto assume il nome di Commissione amministratrice delle Opere di Religione. Ma è solo con Mussolini che decollano le fortune economiche del Vaticano, in particolare quando il duce risolve la cosiddetta “questione romana”, ossia la decisione di annettere gran parte delle proprietà pontificie presa nel 1870 dal Regno d’Italia. Da allora lo Stato garantiva al Vaticano una sovranità limitata e un sussidio annuo. Ma all’indomani dei Patti Lateranensi del 1929 l’Italia, oltre a riconoscere al nuovo Stato denominato “Città del Vaticano” l’esenzione dalle tasse e dai dazi sulle merci importate, predispose un risarcimento per i danni finanziari subiti dallo Stato pontificio in seguito alla fine del potere temporale […] Per gestire questo ingente patrimonio, subito dopo la firma dei Patti Lateranensi papa Pio XI istituisce l’Amministrazione speciale per le Opere di Religione che affida a un laico, l’ingegner Nogara, abile banchiere proveniente dalla Comit. Grazie alla sua abilità Nogara trasforma l’Amministrazione in un impero edilizio, industriale e finanziario. Le condizioni che il banchiere pose al Papa per accettare l’incarico di gestire il patrimonio del Vaticano erano due: “1. qualsiasi investimento che scelgo di fare deve essere completamente libero da qualsiasi considerazione religiosa o dottrinale; 2. devo essere libero di investire i fondi del Vaticano in ogni parte del mondo”. Il Papa accettò e si aprì così la strada alle speculazioni monetarie e ad altre operazioni di mercato nella Borsa valori, compreso l’acquisto di azioni di società che svolgevano attività in netto contrasto con l’insegnamento cattolico […] Grazie alla gestione di Nogara il Banco di Roma, il Banco di Santo Spirito e la Cassa di Risparmio di Roma entrarono nell’ambito di influenza del Vaticano […] Nel 1935 quando Mussolini ebbe bisogno di armi per la guerra di Etiopia, una considerevole quantità fu fornita da una fabbrica di munizioni che Nogara aveva acquisito per il Vaticano […] Nel 1942 papa Pio XII decide di cambiare nome all’Amministrazione speciale per le Opere di Religione che diventa Istituto per le Opere di Religione (IOR). Nasce così un ente bancario dotato di autonoma personalità giuridica che si dedicherà non solo al compito di raccogliere beni per la Santa Sede, ma anche ad amministrare il denaro e le proprietà ceduti o affidati all’istituto da persone fisiche o giuridiche per opere religiose e di carità cristiana. La Santa Sede venne esonerata dal pagare le imposte sui dividendi bancari. Furono rafforzati i legami con diverse banche: i Rothschild di Londra e di Parigi, Credit Suisse, Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, The Bankers Trust di New York (utilizzata per comprare e vendere titoli sulla borsa di Wall Street), Chase Manhattan Bank, Continental Illinois National Bank. Nogara assicurò al Vaticano partecipazioni in società che operavano nei settori più diversi: alimentare, assicurativo, acciaio, meccanica, cemento e beni immobili. Nel 1954 decide di ritirarsi senza tuttavia interrompere l’attività di consulente finanziario del Vaticano, che proseguì fino alla morte, sopraggiunta nel 1958. La stampa dedicò poco spazio alla sua scomparsa, ma il cardinale Spellmann di New York pronunciò per lui un memorabile epitaffio: “Dopo Gesù Cristo la cosa più grande che è capitata alla Chiesa cattolica è Bernardino Nogara”. Al geniale banchiere, nel corso della sua lunga attività, venne affiancato il principe Massimo Spada. Anche lui mostrò lungimiranza e spregiudicatezza nella gestione degli interessi del Vaticano e si lanciò in varie operazioni, la maggior parte delle quali in collaborazione con Michele Sindona […] Lo IOR si è sempre avvalso della sua extraterritorialità per operazioni “coperte” o comunque poco trasparenti. “Nel corso della vicenda Ambrosiano” afferma Carlo Calvi “le operazioni coperte attraverso lo IOR sono state migliaia. E di esse Marcinkus era a conoscenza, così come lo erano gli altri dirigenti dello IOR” […] Nel 1971 ha inizio una nuova fase nei rapporti Ambrosiano-IOR grazie soprattutto al complesso sistema di consociate estere che porterà poi alla bancarotta l’istituto milanese. Uno schema che si è poi ripetuto in molti disastri della finanza italiana, sino ai più recenti […] Dopo l’aumento della quota di partecipazione dello IOR nel Banco, Calvi e Marcinkus si dedicano a tempo pieno allo loro creatura: la Cisalpine Overseas Bank Ltd di Nassau, che in seguito diventerà Banco Ambrosiano Overseas Ltd. Lo IOR fa sentire la sua presenza nelle operazioni sempre meno trasparenti che Calvi andava tessendo per sostenere quella rete occulta di società estere costruita inizialmente per assicurarsi il controllo azionario del Banco. Calvi non doveva giustificare ai suoi azionisti questi stretti rapporti con il Vaticano poiché tale legame rientrava nel DNA del Banco Ambrosiano. Anzi, spesso Calvi tirava in ballo lo IOR per rassicurare quanti gli chiedevano spiegazioni su molte operazioni finanziarie da lui condotte […] Molti analisti sostengono che siano stati Marcinkus e Sindona ad avere l’idea di creare la Cisalpine di Nassau, mentre Calvi sarebbe stato semplicemente incaricato di realizzarla dal punto di vista tecnico. In un interrogatorio del 22 ottobre 1984, nel carcere di Voghera, Sindona ne rivendica la paternità: “Ero stato io stesso, nell’ambito di quella politica di espansione internazionale del Banco Ambrosiano che Calvi intendeva perseguire, a suggerirgli di costituire regolarmente questa banca, la Cisalpine, alle Bahamas. Naturalmente entrambi sapevamo che una banca non poteva nascere dal nulla; doveva acquisire prestigio perché altrimenti nessuno avrebbe mai depositato nulla”. Le Bahamas si stavano imponendo allora come uno dei principali paradisi fiscali nell’ambito dell’off-shore banking. “Fui io stesso” ha affermato ancora Sindona “a escogitare un sistema per far entrare lo IOR nella banca; in tal modo sul mercato internazionale si sarebbe potuto spendere il nome del Vaticano che era garanzia di porte aperte sempre e ovunque”. Secondo Carlo Calvi invece Sindona non diceva la verità: “Negli anni Settanta tutti correvano alle Bahamas anche perché erano ottimamente collegate con New York. Mio padre era andato a Nassau nella primavera del 1970 per effettuare una ricognizione sul posto. Qualche mese dopo si doveva cercare un direttore generale. Per il colloquio si presentò Walther Siegenthaler, allora dirigente bancario svizzero che operava a Nassau […] Molti anni dopo si è scoperto che il banchiere svizzero Siegenthaler era un esponente di rilievo dell’Opus Dei, uno dei cassieri della potente organizzazione che già da allora sorvegliava le dinamiche interne allo IOR e in generale i rapporti di potere in Vaticano. Siegenthaler tra l’altro fu caldamente raccomandato a Calvi da Sindona che con l’Opus Dei intratteneva rapporti da tempo […] Siegenthaler costituì alcune società a Panama, il più accogliente dei paradisi fiscali mondiali e le affidò a uomini di fiducia. Lo scopo era quello di riempire le scatole vuote di Panama con i soldi del Banco Ambrosiano […] Ma Panama era anche il terminale del narcotraffico, il regno del generale Noriega, protetto dalla CIA in cambio dell’aiuto ai Contras, impegnati dal 1978 a rovesciare i sandinisti saliti al potere in Nicaragua. Gli americani esigevano rapporti su tutto quanto accadeva a Panama, specialmente informazioni sul riciclaggio di denaro sporco, la più fiorente delle attività locali. Fu così che Noriega costituì un archivio impressionante di dossier sulle migliaia di uomini d’affari e di società che operavano nel suo paradiso fiscale. Tra questi, ovviamente, c’erano anche i movimenti che riguardavano Calvi, il Banco Ambrosiano, Marcinkus e lo IOR. Quando Noriega si trasformò da mansueto collaboratore della CIA in un pericoloso narcodittatore, gli americani mutarono orientamento e decisero di rovesciare il suo regime. Noriega, braccato dalle truppe speciali americane, si rifugiò nella nunziatura apostolica del Vaticano, diretta dal monsignore spagnolo Sebastian Laboa, vicino all’Opus Dei, incaricato di controllare le operazioni condotte da Marcinkus. Monsignor Laboa convinse Noriega a consegnarsi agli americani il 3 gennaio 1990 […] Da allora Noriega non è mai stato sottoposto a un processo […] Gli inquirenti italiani hanno comunque compreso che il Banco Ambrosiano Overseas Ltd di Nassau svolgeva un ruolo diverso rispetto a quello delle tante consociate estere dell’Ambrosiano. Era il centro di smistamento dei fondi che partivano dall’Italia diretti alle filiali di Managua, in Nicaragua, e di Lima, in Perù, per inabissarsi definitivamente nel canale occulto delle società fantasma dello IOR di Panama e del Liechtenstein. Calvi spediva, Marcinkus e Siegenthaler smistavano […] Carlo Calvi è certo del fatto che monsignor Marcinkus fosse perfettamente al corrente di quanto accadeva: “Marcinkus, e lo dico per mia esperienza diretta, lo vedevo personalmente negli anni dal 1971 al 1979 ai consigli di amministrazione del Banco Overseas di Nassau […] Quella realizzata dallo IOR è una massa enorme di operazioni finanziarie. Marcinkus sapeva benissimo quanto succedeva: facevano queste triangolazioni, quello che loro chiamavano il “conto deposito”, in cui c’era uno scambio continuo di depositi tra lo IOR e l’Ambrosiano di Nassau e tra lo IOR e la Banca del Gottardo”. La rete di istituti bancari che Roberto Calvi attiva oltreoceano si rivelerà un vero e proprio pantano. L’anomalo spostamento di capitali sarà colto dalla Banca d’Italia che nel 1978, con la cosiddetta ispezione Padalino, solleverà diverse peplessità in merito alla gestione di Roberto Calvi. Il sospetto era che dietro le società estere acquirenti di cospicui pacchetti azionari del Banco Ambrosiano vi potesse essere la stessa azienda ispezionata, con ovvie conseguenze sulla situazione patrimoniale del Banco. Per sviare quelle accuse, l’Ambrosiano effettua, su disposizione di Calvi, un aumento di capitale. Ulteriori perplessità sulla gestione del Banco sono avanzate dalla società di revisione Coopers & Lybrand, la quale ritiene che l’istituto milanese stia da tempo promuovendo massicci prestiti verso lo IOR, ben oltre le sue stesse possibilità […] L’11 ottobre 1979 Roberto Calvi comunica al consiglio di amministrazione dell’istituto milanese la costituzione a Lima, in Perù, del Banco Ambrosiano Andino […] Nel 1976, in Nicaragua, era nato l’Ambrosiano Group di Managua […] Carlo Calvi non ha difficoltà ad ammettere che suo padre finanziava alcuni regimi sudamericani, in una complessa strategia che vedeva coinvolti settori importanti della Chiesa cattolica e dei servizi segreti americani, in funzione anticomunista […] Chiedo a Carlo Calvi se condivide la tesi di quegli autori secondo cui molti soldi del Banco Ambrosiano sarebbero serviti al Vaticano per contenere, d’intesa con gli Stati Uniti, le spinte rivoluzionarie. “Le società panamensi avevano diverse funzioni, ma si possono ricondurre sostanzialmente a quattro: la prima era quella di custodire il grosso pacchetto dell’Ambrosiano all’estero; la seconda quella di detenere all’estero alcune attività del Vaticano; la terza quella di effettuare pagamenti del Vaticano o per conto del Vaticano; la quarta, le attività legate alla BNL e all’ENI” […] Il Vaticano, proprio in quegli anni, aveva avviato, attraverso la mediazione di diverse società panamensi, un massiccio trasferimento di fondi che transitavano in America Latina in attesa di poter esser poi investiti negli Stati Uniti […] Spiega Carlo Calvi: “Questo meccanismo di finanziamento dei partiti tramite banche pubbliche ed enti petroliferi, magari utilizzando il Vaticano e la sua extraterritorialità per mascherare i movimenti finanziari illeciti, nacque nel dopoguerra, perché c’era la necessità di finanziare tutte le forze che si opponevano al comunismo e appoggiavano la politica degli Stati Uniti. Almeno fino a quando è morto mio padre, non ha mai smesso di funzionare. Devo aggiungere però che ben presto l’anticomunismo divenne solo un pretesto e quel che contava davvero erano gli affari. Anticomunismo e affari potevano tranquillamente procedere di pari passo. Basti pensare alla P2. Io stesso sono stato testimone diretto di uno di questi finanziamenti. Era il 1978 ed eravamo a Washington. Lì si svolse una riunione alla quale parteciparono Philip Guarino, ex sacerdote italo-americano, membro del comitato organizzativo della campagna elettorale di Ronald Reagan e uomo di raccordo tra Licio Gelli e il Partito Repubblicano americano; Bill Mazzocco, amico intimo dell’ex capo della CIA Colby, che in anni passati aveva distribuito soldi in Italia per influenzare partiti politici e sindacati. Poi c’erano mio padre e Vito Miceli, l’ex capo del SID. Alla fine della riunione a Miceli vennero dati dei soldi. Mio padre mi disse che il generale era regolarmente finanziato. Non penso che Miceli si mettesse in tasca quel denaro. Serviva per la struttura. Per finanziare una politica oltranzista filo-repubblicana” […] A partire dal 1976 l’Ambrosiano finanziò la vendita di sei fregate da parte della Fincantieri alla Marina del Venezuela, di alcune corvette all’Ecuador, di quattro fregate e di numerosi elicotteri Agusta al Perù, mentre funzionari contigui alla P2, attivi presso l’Ufficio Italiano Cambi, concedevano autorizzazioni e crediti […] Il Sudamerica era il perno di tutte le operazioni sporche che Calvi e l’Ambrosiano dovevano compiere per conto di diversi clienti, ma era anche lo scenario di una guerra a bassa intensità condotta dagli Stati Uniti, nella quale la Chiesa era un prezioso alleato. “Quella del Sudamerica” racconta Carlo Calvi “non era tanto una scelta voluta in particolare da mio padre, che tendeva sempre a coprirsi in tutte le direzioni, ma era dovuta al fatto che c’era, in Argentina e in Uruguay, una presenza forte di Gelli e di Ortolani. Ma è difficile dire chi rappresentava veramente Ortolani in quel contesto: se si muoveva per altri o per conto proprio. Così come non è facile stabilire se questi pagamenti avvenivano perché vi era una scelta politica del Vaticano di fare da schermo per i versamenti attraverso le società panamensi. Quello che posso dire è che dove mio padre aveva un ruolo preponderante, come in Perù e in Argentina, c’era un notevole aspetto pragmatico. In Perù c’erano pagamenti di natura politica: mio padre finanziava ministri, gruppi bancari, una parte delle forze armate; tutta questa gente gli era molto vicina, erano pagati dal Banco. Venivano pagati attraverso le società panamensi controllate dal Vaticano” […] Roberto Calvi conobbe Umberto Ortolani, intimo amico di Licio Geli, nel 1974. Nato a Viterbo nel 1913, divenuto avvocato Ortolani acquisì l’Agenzia di Stampa Italia, che poi rivendette all’ENI; in seguito rilevò l’agenzia Stefani (poi divenuta ANSA). Fu la conoscenza con il cardinale Giacomo Lercaro ad aprirgli le porte del Vaticano. Verso la fine degli anni Cinquanta i suoi interessi si rivolsero al Sudamerica, in particolare all’Uruguay, dove rilevò, con l’aiuto del Vaticano, una piccola banca. Nei primi anni Settanta si iscrisse alla Loggia massonica P2. Il fatto che un cattolico in vista come Ortolani si iscrivesse a una loggia massonica non destò particolari problemi in Vaticano. Esistevano all’interno della Curia romana alcuni settori che avevano rapporti di cordialità e collaborazione con il mondo della massoneria, a dispetto dell’apparente incompatibilità tra fratellanza massonica e credo cattolico. Dei rapporti tra il Vaticano e la massoneria esiste più di un riscontro documentale: il generale della guardia di finanza Fulberto Lauro, iscritto alla Loggia P2, ha dichiarato alla Commissione parlamentare d’inchiesta che alla loggia di Gelli aderivano anche vescovi e cardinali. Affermazioni analoghe sono state rese dal generale dei carabinieri Franco Picchiotti, segretario organizzativo della P2, il quale ha confermato che della loggia facevano parte anche alcuni cardinali […] Nelle sue memorie Licio Gelli descrive i suoi buoni rapporti “con eminenti prelati… avevo accesso agli appartamenti privati del pontefice Paolo VI, a Castel Gandolfo e in Vaticano”. Frequentazioni che irritavano i settori più ortodossi della Curia. Risalirebbe proprio agli inizi degli anni Settanta lo scontro di potere tra quella che potremmo definire la fazione progressista – con simpatie massoniche – artefice della ventata di rinnovamento portata dal Concilio Vaticano II, e quelli che in Vaticano favorivano l’ascesa dell’Opus Dei, interprete di una tradizione molto più rigida e tradizionalista […] Il sodalizio tra Ortolani e Gelli si sviluppò con estremo successo: Gelli curava i rapporti internazionali e procacciava affari, mentre Ortolani rappresentava la mente finanziaria delle operazioni avallate dal Vaticano. Ortolani aveva imparato molto presto il valore delle informazioni riservate: durante la seconda guerra mondiale era a capo di due unità operative del servizio segreto militare italiano dedite al controspionaggio […] I suoi eccellenti rapporti con il Vaticano risalgono al 1953, quando fu presentato al cardinale Lercaro. Questi esercitava un’enorme influenza nella Chiesa ed era destinato a diventare uno dei quattro moderatori del Concilio Vaticano II. Era considerato un liberale illuminato, capace di contribuire alla realizzazione di molte delle riforme promosse dal Concilio. Durante gli incontri preparatori del conclave che elesse Paolo VI, Giovanni Battista Montini, il problema centrale era se si dovesse continuare l’opera di papa Giovanni XXIII o se il papato doveva piuttosto ritornare alla matrice (reazionaria) di Pio XII. I liberali avevano bisogno di un luogo sicuro per discutere la strategia da adottare. Il cardinale Lercaro chiese a Ortolani di ospitare l’incontro, che si tenne nella sua villa a Grottaferrara. Questo incontro segreto fu determinante per l’elezione di Montini. Pochi mesi dopo il nuovo Papa concesse a Ortolani l’onorificenza di Gentiluomo di Sua Santità, il primo di una serie di riconoscimenti ricevuti dal Vaticano. Ortolani riuscì perfino a far affiliare Gelli, che non era cattolico, all’Ordine dei Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro, del quale lui faceva già parte. Amico intimo del cardinale Agostino Casaroli, Ortolani procurò a Gelli importantissime entrature in ogni ambiente della Santa Sede […] “Ortolani collaborava con gli americani nel periodo in cui dovevano influenzare le attività sindacali e la politica italiana”. Carlo Calvi ritiene in pratica che Ortolani sia stato una figura chiave di quell’atlantismo vaticano di cui papa Montini fu interprete e sostenitore, ed è fermamente convinto che l’avvicinamento di suo padre al mondo dell’editoria e all’universo Rizzoli-Corriere della Sera sia dovuto proprio alle sollecitazioni provenienti da Umberto Ortolani […] Roberto Calvi vide in Ortolani una figura che poteva tornargli estremamente utile perché, credeva, gli avrebbe dato la possibilità di stringere legami con mondi tra loro apparentemente lontani. Chiedo a Carlo Calvi se Ortolani rappresentasse il vero punto di contatto tra Vaticano e massoneria. “Secondo me sì. Ortolani in tutto questo gioco era più importante di Gelli. Aveva un rapporto molto più stretto con mio padre, anche dal punto di vista operativo e nello sviluppo delle strategie. Gelli serviva più a mantenere i contatti tra le persone, anche a livello internazionale. Mio padre e Ortolani li ho visti insieme più volte e andavano molto d’accordo, mentre in casa Gelli non veniva mai nominato, non veniva mai da noi. Certo, si sapeva che Gelli esisteva, anche perché telefonava spesso presentandosi con strani pseudonimi […] Tra mio padre e Sindona c’era un contatto che era completamente indipendente da Gelli e Ortolani. Era un giro completamente diverso da quello di Gelli e Ortolani […] È interessante quello che mio padre afferma durante le sue deposizioni al primo processo valutario, quando in un interrogatorio dice: ‘Non sono io che controllo il Banco’. È tutto vero, quegli interrogatori sono realmente avvenuti. Una notte gli inquirenti chiedono in modo pressante a mio padre: ‘Allora chi controlla il Banco?’. È lì che mio padre comincia a distruggere Ortolani, a incolparlo dei suoi problemi. Poi, quando esce di prigione, subisce forti pressioni e ritratta”. In quella confessione, resa nella notte tra il 2 e il 3 luglio 1981 nel carcere di Lodi, Roberto Calvi parla di Ortolani e del PSI. Parla delle connessioni tra l’Ambrosiano e quel giro di affaristi di matrice socialista in cui si muovevano figure di primo piano come il direttore finanziario dell’ENI Florio Fiorini, ma in cui nuotavano anche imprenditori in forte ascesa come Silvio Berlusconi […] Il lavoro compiuto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 si è rivelato senza dubbio di estrema importanza, tuttavia ha semplificato eccessivamente l’analisi dei fatti, riducendo quello che è stato uno dei casi più emblematici della storia finanziaria italiana ed europea all’azione perversa di una potente loggia massonica. Oggi i magistrati che si occupano del processo Calvi leggono il ruolo della P2 in chiave diversa, come interfaccia di un incredibile intreccio di affari e di riciclaggio di denaro sporco di origine mafiosa […] Perché a un certo punto Roberto Calvi sente il bisogno di stabilire contatti con la massoneria? “L’avvicinamento di mio padre alla massoneria e alla P2 in particolare deriva dal fatto che lui era poco ‘politico’, aveva più che altro capacità aziendali. Si sentiva insicuro rispetto a certi mondi, quelli legati ai partiti politici, così come nei confronti di una certa finanza laica. Proprio le sue doti, che gli permettevano di riportare validi successi in ambito strettamente operativo, attiravano su di lui l’attenzione interessata di diversi ambienti dai quali ha cominciato a subire pressioni […] Non è che mio padre si sia rivolto subito alla massoneria. All’inizio ha coltivato rapporti amichevoli con alcuni uomini politici […] Anche con la massoneria, come con il mondo politico, il rapporto in seguito si è guastato. Il processo per reati valutari del 1981 è stato il suo tallone d’Achille. Lì il rapporto è cambiato” […] Carlo Calvi parla dell’insicurezza del padre di fronte alla finanza laica. Il banchiere venuto dal nulla e cresciuto grazie alla sua inarrestabile forza di volontà, abituato a trattare con interlocutori curiali, era vittima di tutta una serie di complessi e si sentiva scoperto di fronte agli attacchi e alle critiche provenienti da ambienti diversi dai suoi. “C’è un episodio, ad esempio, che ebbe un enorme effetto su di lui. Fu quando Ugo la Malfa, all’epoca ministro del Tesoro, mosse le sue prime denunce contro i ‘golpisti della Borsa’. Mio padre si sente attaccato, pensa di avere come avversari persone che non aveva mai considerato ostili: gli esponenti di punta della finanza laica. È per questo che decide di rivolgersi a Gelli e Ortolani. Quelle critiche le vive come un attacco inaspettato, un pericolo per la sua carriera. È la fase immediatamente successiva all’Opa sulla Bastoni condotta da Sindona” […] Nel periodo tra la nomina a direttore centrale capo nel 1970 e a direttore generale nel 1975, Roberto Calvi si spinge oltre le scelte del suo mentore Canesi sul fronte strategico delle alleanze estere. Si adopera affinché una banca del Lussemburgo lo faccia entrane nel suo consiglio di amministrazione. Lì conosce un brillante banchiere, Gérard Soisson, che in quel periodo andava ideando il primo sistema di clearing internazionale, ovvero la camera di compensazione delle transazioni finanziarie denominata CEDEL, una società privata che nel 1999 diventerà Clearstream. Calvi e Soisson diventano amici. Il banchiere milanese coglie al volo le potenzialità di questo nuovo sistema di transazioni e l’Ambrosiano diviene uno degli azionisti-correntisti principali di CEDEL. Calvi si rende anche perfettamente conto che il Lussemburgo diventerà presto una delle capitali mondiali dei flussi finanziari coperti e per questo cerca un’ulteriore legittimazione tra i ristretti circoli del potere finanziario del granducato. Viene ammesso in una delle principali logge massoniche lussemburghesi, della quale facevano parte anche alcuni dirigenti di CEDEL […] Nel corso degli anni Settanta CEDEL diviene uno dei principali canali finanziari per le operazioni compiute dall’Ambrosiano a favore e per conto dello IOR, ma anche su moli altri fronti delicati, come la rete delle società panamensi e le operazioni in Sudamerica. Calvi, attraverso il sistema CEDEL, ottiene un doppio risultato: da un lato la segretezza e l’invisibilità delle sue acrobatiche movimentazioni di capitale (solo alcuni conti erano accessibili alle autorità pubbliche, mentre gli altri erano denominati “non pubblicati” e occultati grazie a una contabilità parallela); dall’altro la possibilità di mantenere una prova che certi trasferimenti di denaro lui li aveva compiuti, magari per conto del Vaticano o di altri potenti gruppi imprenditoriali. Un formidabile strumento di ricatto potenziale. In CEDEL infatti rimaneva e resta una traccia contabile di tutti i valori transitati […] Nel 1980, quando ormai il sistema di clearing era perfettamente avviato, Soisson organizzò una delle riunioni mensili del consiglio di amministrazione di CEDEL a Roma, negli uffici dello IOR […] La camera di clearing CEDEL era sorta intorno a un gruppo di banche situate in diverse parti del mondo, soprattutto in Inghilterra e in Lussemburgo, ma anche in Francia, in Germania, in Belgio, in Spagna, in Italia, in Olanda, in Svizzera, negli USA e in numerosi paradisi fiscali. All’inizio le banche interessate erano circa un centinaio e formavano una specie di cooperativa interbancaria. Oggi le banche partecipanti sono più di duemila e rappresentano oltre cento Paesi. Il meccanismo inventato consiste nell’offrire ai propri clienti la possibilità di non apparire mai nelle loro transazioni finanziarie internazionali. Questi clienti possono essere banchieri, manager di società dì investimenti, prestanome a capo di società off shore, privati che cercano di defiscalizzare una parte della loro fortuna, militari a capo di servizi segreti, così come anche direttori generali di imprese multinazionali. I motivi per occultare questi movimenti bancari sono molteplici e possono andare dalla semplice ricerca di discrezione nell’ambito di operazioni commerciali al riciclaggio di denaro sporco. Si può valutare il movimento finanziario legato alla nascita delle società di clearing in centinaia di miliardi di dollari. Poco importa tuttavia la quantità di zeri, importante è capire come un sistema all’inizio sano, il cui scopo era agevolare gli scambi bancari internazionali, sia stato sviato dai suoi obiettivi di partenza. La vicenda CEDEL presnta risvolti oscuri e inquietanti legati al crack dell’Ambrosiano. L’ideatore del sistema, Gérard Soisson è morto in circostanze misteriose in Corsica nel 1983, un anno dopo Roberto Calvi […] Calvi, Soisson e il nucleo dei fondatori di CEDEL sono i primi a capire che il denaro si è smaterializzato e che il problema di tutti coloro che possiedono capitali è sempre quello di investirli, di convertirli in titoli. Ma anche questi titoli sono smaterializzati, hanno perso di fatto il loro supporto cartaceo. Milioni di titoli sempre più virtuali sono scambiati ogni giorno grazie alle società di clearing […] Oltre all’entità delle cifre l’aspetto fondamentale del sistema è la fiducia tra due parti che il più delle volte nemmeno si conoscono. Qui interviene il clearing cioè la garanzia della solvibilità delle parti e la registrazione in un dato luogo in documenti precisi e concretamente visibili che lo scambio è avvenuto. Le società di clearing sono i notai del mondo contemporaneo […] Soisson muore dopo aver bevuto una tazza di caffè avvelenato. Anche i rapidi movimenti per riportare la salma dalla Corsica, luogo del decesso, fino in Lussemburgo, destano qualche sospetto […] Se quello della rete off shore, dei movimenti occulti di capitali, delle contiguità pericolose con ambienti che praticavano attività di riciclaggio è un filone centrale nella vicenda Calvi-Ambrosiano, altrettanto importante è il capitolo che riguarda l’editoria. Lo stesso Roberto Calvi più volte aveva attribuito l’origine dei suoi problemi all’ingresso nel mondo della carta stampata. È una scelta che Carlo Calvi conosce bene, avendola conosciuta direttamente e avendo frequentato i suoi principali protagonisti. “La scelta di entrare in Rizzoli non era dell’Ambrosiano, non fu una vera scelta di mio padre. Il piano originario era quello di utilizzare Rizzoli come avamposto per un progetto il cui obiettivo era quello di controllare la finanza e l’editoria italiana. L’idea non era di mio padre ma di Eugenio Cefis, presidente di Montedison, che a sua volta l’aveva probabilmente mutuata da Enrico Mattei. Poi la vicenda si è molto complicata, ma alla base di tutto rimane l’idea di Cefis, di cui più tardi si approprierà Umberto Ortolani per conto del Vaticano” […] Nel 1974 hanno inizio i primi colloqui tra la famiglia Rizzoli e i proprietari del Corriere della Sera. Per i Rizzoli il grande quotidiano milanese rappresentava il sogno di tre generazioni, ragion per cui appena si presentò l’occasione di rilevarne la proprietà fecero tutto il possibile per portare a termine tale progetto. In quel periodo il Corriere stava attraversando una fase difficile e, oltre alle ingenti perdite che registrava, doveva affrontare anche un complicato problema di gestione. Il quotidiano milanese era infatti posseduto in parti uguali da Giulia Maria Crespi, dalla FIAT e da Angelo Moratti per conto dell’ENI, ma il controllo effettivo era affidato prevalentemente alla signora Crespi […] I Rizzoli, in quegli stessi anni, erano arrivati alla terza generazione imprenditoriale. Il nonno Angelo aveva iniziato l’attività partendo con una piccola tipografia e arrivando, nel corso degli anni Sessanta, a possedere il più importante gruppo editoriale italiano. Alla sua morte, nel 1970, il controllo dell’azienda di famiglia era passato al figlio Andrea, mentre si affacciava sulla scena il giovane nipote Angelo Jr […] Dopo aver trattato con Moratti i Rizzoli proseguirono con Agnelli, che si rese anche disponibile come mediatore con Giulia Maria Crespi. L’acquisto fu deciso nel giugno del 1974 […] I Rizzoli avevano comperato quasi a occhi chiusi e ora si accorgevano che era difficile persino riuscire a pagare gli stipendi. Il Corriere, come singola testata, guadagnava, ma l’azienda che vi ruotava attorno era prossima alla crisi […] Cefis aveva promesso un sostegno finanziario all’azienda in crisi ma poi se n’era andato dall’Italia nel 1977, per stabilirsi prima in Canada e poi in Svizzera. Fu allora che nella casa editrice si impose la figura di Bruno Tassan Din, che era stato chiamato da Rizzoli nel 1973 per occuparsi della gestione finanziaria del gruppo, mai presa adeguatamente in considerazione né dal fondatore Angelo né dal figlio Andrea […] I Rizzoli e Tassan Din partirono alla ricerca di denaro. Provarono con le banche, con gli uomini politici, tutte le porte rimanevano chiuse, raccoglievano solo promesse alternate a minacce. Poi, inaspettatamente, Umberto Ortolani telefonò ad Andrea Rizzoli, già conosciuto in passato, offrendo il proprio aiuto. Così si stabilì il contatto fra la famiglia Rizzoli e la triade rappresentata da Ortolani, Gelli e Calvi […] Ortolani, è bene ricordarlo, si muove anzitutto in nome e per conto del Vaticano. La sua alleanza con la massoneria è del tutto strumentale […] Con l’operazione di acquisto del Corriere della Sera la Rizzoli diviene un’azienda in precario equilibrio finanziario che necessita di ingenti iniezioni di denaro liquido. Proprio in questa faticosa operazione di reperimento di fondi i Rizzoli si imbattono in Ortolani e Gelli e tramite loro, alla fine del 1975, arrivano a Roberto Calvi, l’anno in cui Calvi entra in contatto con la massoneria e diventa presidente del Banco Ambrosiano […] Secondo una testimonianza resa da Angelo Rizzoli Jr alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, sembra che Ortolani abbia invitato Rizzoli, accompagnato da Tassan Din, nel suo studio per scambiarsi gli auguri di Natale. Era presente anche Gelli insieme a Calvi e ai massimi dirigenti del Monte dei Paschi di Siena e della BNL […] Su richiesta di Ortolani Calvi concesse subito un’apertura di credito ai Rizzoli poi seguita da ben più consistenti affidamenti, ma chiese anche qualcosa in cambio e cioè una sponda per sistemare azioni dell’Ambrosiano all’estero, attraverso la Cisalpine di Nassau e altre società del Banco e dei Rizzoli in Lussemburgo, nel Liechtenstein e a Panama, alle quali faceva capo la United Trading Corporation, società sotto il pieno controllo di monsignor Marcinkus […] Ortolani e Gelli si servono di Calvi per coinvolgere il gruppo Rizzoli in diverse operazioni imprenditoriali e finanziarie nonché nella distribuzione di tangenti ai partiti politici, soprattutto alla DC e al PSI. Contemporaneamente vengono effettuati interventi di sostegno o di acquisizione di numerose testate a carattere locale (tra gli altri i quotidiani Il Mattino, Il Piccolo, L’Eco di Padova, Il Giornale di Sicilia, L’Alto Adige, L’Adige) nell’ambito di un processo di collegamento con il Corriere della Sera, con l’obiettivo di costituire un gruppo mediatico compatto, destinato a raggiungere il maggior numero possibile di lettori e influenzare così, in senso moderato e centrista, l’opinione pubblica. In tutta questa complessa strategia, ancor più di Licio Gelli, il vero demiurgo è Ortolani; era lui a suggerire le operazioni che dovevano essere attuate dalla Rizzoli, con particolare predilezione per quelle nei settori assicurativo e bancario, che dovevano portare liquidità all’azienda […] Il controllo della Rizzoli e del Corriere della Sera, anche se a figurare come azionisti di riferimento erano i membri della famiglia Rizzoli, era passato nelle mani dei finanziatori esterni, ovvero dello IOR. Un successo dovuto all’intervento di Roberto Calvi che in sostanza agì come tecnico e come esecutore senza trarne alcun vantaggio né per sé né per il Banco Ambrosiano. Nel 1978 Umberto Ortolani subentra ad Andrea Rizzoli nel consiglio di amministrazione della Rizzoli (fatto peraltro documentato anche in sede di Commissione P2) […] Verso la primavera del 1980 prende corpo l’operazione tesa a rafforzare il ruolo di Ortolani e Gelli nel Corriere della Sera, attraverso la presenza diretta nell’azionariato Rizzoli e del Corriere di una misteriosa entità denominata “Istituzione”; il tutto doveva compiersi con i soldi dell’Ambrosiano. Non esiste prova documentale che dietro l’Istituzione si celi la P2, come invece si è sempre ritenuto. Ortolani tra l’altro ha sempre rappresentato interessi legati al Vaticano. Negli archivi di Gelli è stato ritrovato un rapporto sull’Opus Dei, elemento che attesta come il Venerabile guardasse con attenzione alla potente organizzazione cattolica. Va inoltre osservato che la P2 in quanto tale non disponeva di ingenti fondi propri da investire, era prevalentemente un network incapace di mobilitare direttamente risorse proprie. Si arrivò comunque alla redazione e all’approvazione del cosiddetto “pattone”. Si tratta di un documento dattiloscritto di una dozzina di pagine nel quale viene elaborato un programma di massima per le operazioni relative al nuovo aumento di capitale della Rizzoli che venne siglato a Roma all’Hotel Excelsior nel 1980 da Angelo Rizzoli Jr, Umberto Ortolani, Licio Gelli, Roberto Calvi e Bruno Tassan Din. Al termine di un complesso movimento di capitali e di azioni l’entità denominata Istituzione avrebbe disposto del 49,8% del capitale, il 10,2% sarebbe stato intestato a una fiduciaria che faceva capo a Tassan Din e il rimanente 40% sarebbe rimasto in mano ai Rizzoli. I costi di quest’operazione se li sobbarcò per intero il Banco Ambrosiano. Ortolani, Gelli e Tassan Din intascarono premi multimiliardari, sempre a carico dell’Ambrosiano. Carlo Calvi spiega: “Molti di questi fondi versati dal Banco Ambrosiano per la Rizzoli furono distratti da Ortolani e da Tassan Din. Ma dietro tutto questo c’è anche l’idea di mantenere un controllo dall’esterno sulla Rizzoli, che poi non fu più possibile a causa del cambiamento della legge sull’editoria che fu varata nell’agosto 1981” […] L’opinione pubblica si interessò al duo Ortolani-Gelli quando, nell’autunno del 1979, scoppiò lo scandalo ENI-Petromin. Si trattava di un contratto per la fornitura di petrolio che l’ENI aveva siglato con Petromin, l’ente dell’Arabia Saudita, e per il quale era stata pagata una tangente mascherata come spese di consulenza, versata a una società panamense che faceva capo all’Ambrosiano. L’ENI avverte il ministero del Commercio estero di avere stipulato un vantaggioso contratto con l’Arabia Saudita per la fornitura di greggio all’Italia e di dover pagare una provvigione a una società di brokeraggio internazionale che ha condotto l’operazione. Il ministro si congratula con il presidente dell’ENI, sottolineando la soddisfazione del presidente del Consiglio Andreotti. Il pagamento di questa robusta tangente era stato protetto dalla contemporanea presenza all’interno del ministero per il Commercio estero di due appartenenti alla P2 tra cui il ministro stesso […] Dalle indagini condotte all’interno dell’ENI emerse che l’ente petrolifero finanziava la holding lussemburghese dell’Ambrosiano e che buona parte dei crediti forniti dall’ENI erano stati usati per finanziare alcune partecipazioni estere del Banco Ambrosiano in gravi difficoltà finanziarie. Ecco una delle ragioni per le quali, secondo Carlo Calvi, dopo la carcerazione dell’estate ’81 a Lodi, nel corso della quale il presidente dell’Ambrosiano comincia a parlare dei partiti, Craxi e Andreotti si trasformano in suoi nemici, tanto da decretarne, d’intesa con il Vaticano, la caduta. Se infatti al processo d’appello previsto per l’estate del 1982 Calvi, come promesso, avesse cominciato a parlare delle maxitangenti l’asse della Prima Repubblica avrebbe potuto vacillare. Il Banco Ambrosiano Holding poté in effetti contare su cospicui crediti concessi dall’ENI, le cui figure di riferimento all’epoca erano in quota PSI. Ed è noto che Calvi finanziò il PSI nonché altri partiti […] È Siegenthaler a gestire i flussi di denaro che dall’ENI arrivano alle società estere del Banco Ambrosiano per poi finire chissà dove […] In aiuto di Calvi, che intanto continua a girare soldi allo IOR e a finanziare l’editoria e i partiti, viene anche la BNL del banchiere piduista Alberto Ferrari […] Al momento del crack dell’Ambrosiano l’ENI e la BNL risulteranno i due maggiori creditori […] Alla fine del 1979 la situazione di Calvi e dell’Ambrosiano, oberato da una mole di impegni finanziari superiore alle sue possibilità, diventa sempre più insostenibile. Il banchiere gioca ancora una volta la carta della ricapitalizzazione, ma in questa fase, per effetto del drenaggio effettuato dallo IOR, dal duo Ortolani-Gelli e da altre operazioni, i bilanci sono in forte perdita. Roberto Calvi si rende perfettamente conto della debolezza della sua posizione e avverte la necessità di appoggiarsi sempre più ai partiti politici. Finanziava il PSI dal 1975, il PSDI dal 1979, il PCI dal 1980 […] Nella primavera del 1980 il PSI aveva accumulato un’ingente esposizione nei confronti del Banco Ambrosiano che ne aveva sollecitato più volte, senza successo, il rientro. Claudio Martelli, deputato dal 1979, chiese a Gelli di interessarsi della questione presso Calvi. Il presidente dell’Ambrosiano fece presente a Gelli che era disposto a venire incontro al Partito Socialista Italiano, in cambio di nuovi, futuri depositi effettuati all’estero a favore dell’Ambrosiano dal gruppo ENI. L’operazione venne approvata dai vertici del PSI e vennero fornite a Calvi le coordinate di un conto in Svizzera su cui fare accreditare gli importi che l’Ambrosiano avrebbe bonificato. Da parte sua il partito si impegnava a usare tali importi per rientrare dall’esposizione che aveva in Italia con lo stesso Banco Ambrosiano. Il conto era presso l’UBS di Lugano. Era il famoso “Conto Protezione” […] In seguito il PSI non restituì, se non in minima parte, i fondi che aveva ricevuto in prestito dal Banco Ambrosiano. Con i soldi dell’Ambrosiano la corrente craxiana vinse il successivo congresso di Palermo del maggio 1981 in cui venne eletto vicesegretario Claudio Martelli. Il 1 giugno 1981 i giudizi Fenizia e Viola inoltrarono una rogatoria alla Camera dei ricorsi penali di Lugano e al giudice istruttore del tribunale di Lugano nella quale si chiamavano in causa i vertici dell’ENI, Martelli e Calvi, con le ipotesi di reato di concorso in peculato, corruzione aggravata, interesse privato in atti d’ufficio. La rogatoria passò da Milano al porto delle nebbie romano e nel settembre 1981 la Procura della capitale ottenne la competenza di tutte le inchieste sulla P2. Nel giugno 1983 l’inchiesta sul “Conto Protezione” venne archiviata […] Con Carlo Calvi ho approfondito una delle piste mancanti nella ricostruzione del caso Calvi-Ambrosiano: il ruolo dell’Opus Dei. Negli anni in cui il banchiere di Dio siede ai vertici della finanza italiana, due fazioni si scontrano all’interno del Vaticano. Obiettivo: promuovere un nuovo indirizzo di pensiero e una linea d’impegno politico ma anche controllare le finanze vaticane. Partiamo dal 1978. Il Vaticano è scosso dal rapido avvicendamento di tre Papi. Il 6 agosto muore l’ottantenne Paolo VI, papa Montini. Il 26 agosto viene eletto Papa Albino Lucani, patriarca di Venezia, che assume il nome di Giovanni Paolo I. poco più di un mese dopo la sua elezione, nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1978, Giovanni Paolo I muore per un infarto del miocardio (mai clinicamente documentato: il corpo venne subito imbalsamato senza essere sottoposto ad autopsia) e il 16 ottobre viene eletto Papa l’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla che assume il nome di Giovanni Paolo II. Si è molto discusso a proposito delle intenzioni di papa Lucani di promuovere un’azione di rinnovamento nell’ambito della gestione delle finanze vaticane di cui aveva una buona conoscenza. In effetti, quando era patriarca a Venezia, Lucani aveva duramente protestato per la cessione della Banca Cattolica del Veneto dallo IOR all’Ambrosiano. Marcinkus ne aveva ordinato la cessazione delle attività e la sua integrazione all’interno dell’Ambrosiano senza né consultare né informare il consiglio d’amministrazione della banca che veniva assorbita. La Banca Cattolica del Veneto era anche l’istituto al servizio del patriarca di Venezia e il suo punto di riferimento era proprio Albino Lucani. Marcinkus aveva reagito con sdegno e rabbia alle intromissioni nel suo operato, essendo ormai abituato a gestire lo IOR con metodi autocratici; inoltre aveva tessuto una fitta rete di rapporti con la massoneria e per questo non gradiva che un Papa di orientamento più conservatore sui temi della gestione finanziaria mettesse il naso nella spericolata costruzione cui aveva dato vita insieme a Roberto Calvi. Di qui lo scontro […] Riguardo al vento nuovo che Giovanni Paolo I avrebbe portato, vanno eliminate alcune semplificazioni: si ritiene che volesse dar vita a un pontificato basato su una concezione ispirata all’opera di Giovanni XXIII, “il Papa buono”, da cui mutuò la prima parte del nome, e che alla sua nomina fossero estranee cordate di potere all’interno del Vaticano. Di conseguenza, si crede che se fosse vissuto più a lungo avrebbe fatto piazza pulita di molte ambigue contiguità. In realtà la nomina di Albino Lucani non nasceva dal nulla, era piuttosto il frutto di un forte movimento che, dopo le nuove prospettive aperte dal Concilio Vaticano II, pretendeva una “restaurazione”. Proprio sulla base di questa linea conservatrice la candidatura di Albino Lucani era ben vista e sostenuta dall’Opus Dei: già prima del suo pontificato, infatti, Lucani espresse pubblicamente forte appoggio all’Opus Dei, che aveva invece trovato resistenze in Paolo VI, il quale aveva negato ripetutamente all’Opera la possibilità di ottenere la prelatura personale […] Si può ritenere che Montini rappresentasse una fazione di tecnocrati illuminati, aperti alle innovazioni del Concilio Vaticano II, che contrastavano il tentativo di restaurazione dell’armata integralista e conservatrice rappresentata dall’Opus Dei. Distinzioni sottili ma importanti. Queste due anime della Curia romana e della finanza cattolica si contendevano aspramente il primato, con risultati che si propagano sino ai giorni nostri […] In ogni caso, da uno scritto di Albino Lucani, nel quale il patriarca di Venezia tesseva apertamente le lodi dell’Opera e della sua concezione della vita laicale ed ecclesiale, si desume che se fosse rimasto sul soglio di Pietro, Giovanni Paolo I avrebbe presto concesso la prelatura personale all’Opus Dei e ne avrebbe seguito le indicazioni su importanti questioni […] A riconoscere questi fatti sono persino i vertici dell’Opus Dei. Monsignor Alvaro del Portillo, successore di Escrivá de Balaguer alla guida dell’Opera, in una lettera del 23 aprile 1979 alla Sacra Congregazione per i vescovi ha rivelato: “Sua Santità Giovanni Paolo I manifestò nel settembre 1978 la volontà che si procedesse a dar l’auspicata soluzione al nostro problema istituzionale. E il 15 novembre 1978, nel trasmettermi una lettera autografa augurale del Santo Padre Giovanni Paolo II per il 50° anniversario dell’Opera, il compianto Cardinale Segretario di Stato Jean Villot mi comunicò che Sua Santità considerava un’indilazionabile necessità che sia risolta la questione di una sistemazione giuridica dell’Opus Dei”. L’intenzione di Albino Lucani di rimuovere Marcinkus dallo IOR, imprimendo una nuova direzione alle finanze vaticane, non era dovuta soltanto a un semplice desiderio di pulizia e correttezza, quanto a un preciso disegno di matrice opusiana che intendeva affidare il delicato capitolo della gestione delle finanze della Santa Sede a figure più affidabili, sia all’interno sia all’esterno del Vaticano […] All’inizio degli anni Settanta l’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla, mentre partecipava a Roma ad alcuni convegni presso il centro per i sacerdoti dell’Opera, entrò in contatto con la medesima. Il 13 ottobre 1974 Wojtyla tenne una conferenza al Centro della residenza universitaria internazionale di Roma dell’Opus Dei, sul tema “L’evangelizzazione e l’uomo interiore”. L’intesa tra l’Opera e l’arcivescovo di Cracovia, cementata dall’anti-marxismo radicale, dalla devozione mariana e dall’integralismo teologico, crebbe nel tempo […] Dal 1969 al 1973 l’Opus Dei andò in pratica al potere in Spagna con i tecnocrati del governo dell’ammiraglio Carrero Blanco, che gestì abilmente il lungo autunno del franchismo; ma anche in Francia l’espansione dell’Opus Dei era indiscutibile […] In Italia l’ingresso e l’espansione dell’Opera sono legati alle iniziative di monsignor de Balaguer che si trasferì a Roma nel 1946 ed esercitò una forte azione proseguita poi tramite i suoi inviati, ultimo il vescovo attualmente alla guida, Javier Echevarria Rodriguez. Il rapporto dell’Opus Dei con la massoneria è sempre stato improntato alla conflittualità e all’antagonismo, ma si sono evoluti nel corso degli anni. Se all’epoca di Calvi lo scontro era pressoché totale, ora le posizioni si sono ammorbidite. Negli ultimi anni è maturata una tregua non priva di forme di collaborazione […] Nel 1978, quando con il sostegno decisivo dell’Opus Dei Wojtyla è eletto pontefice, si realizza una situazione singolare: l’Opera prende sempre più peso nelle vicende vaticane configurandosi rapidamente come una fazione compatta e potente, tendenzialmente ostile a Marcinkus. Quest’ultimo, secondo quanto pubblicato da OP di Mino Pecorelli, faceva parte della Loggia Ecclesia, data di affiliazione 21 agosto 1967, matricola 43/649, che avrebbe annoverato tra i suoi iscritti anche i cardinali Baggio, Pappalardo, Poletti, Villot, il segretario di Paolo VI Pasquale Macchi e il vicedirettore dell’Osservatore Romano. Il nuovo pontefice, pur dovendo riconoscenza all’Opera per il suo appoggio determinante nello svolgimento del conclave, non se la sentiva di rimuovere Marcinkus dal suo incarico perché Marcinkus e Calvi erano funzionali alla sua politica di indebolimento del blocco comunista, sia nell’Europa dell’Est sia in America Latina. Marcinkus, fervente anticomunista, vicino ad ambienti atlantici favorevoli all’interventismo nei Paesi dell’Est europeo, era lo strumento ideale per la politica di disgregazione del blocco sovietico del quale faceva parte la Polonia […] Nonostante l’appoggio di Giovanni Paolo II all’Opera stessa e alle sue istanze di una svolta conservatrice, l’Opus Dei fu costretta a tirare il freno e convivere con una situazione che non era di suo gradimento. Dovette accettare obtorto collo che un banchiere iscritto alla massoneria fosse il punto di riferimento del Vaticano […] Almeno a partire dal 1978 l’Opera affiancò nel tempo a Calvi uomini come Siegenthaler, direttore del Banco Ambrosiano Overseas di Nassau, che ha svolto un ruolo di rilievo nel trasferimento del tesoro dell’Ambrosiano verso i paradisi fiscali panamensi dov’erano situate le controllate dello IOR […] Racconta Carlo Calvi: “Ci sono state molte persone che hanno svolto la funzione di tramite diretto tra l’Opus Dei e l’Ambrosiano, in particolare l’avvocato svizzero Wiederkeher che ha creato molte delle società panamensi che figurano nelle famose lettere di patronage di Marcinkus. L’Opus Dei era già presente prima della fase finale della vita di mio padre, quando l’Opera tornerà prepotentemente sulla scena”.
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da Ferruccio Pinotti, Poteri forti, 2005
 

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