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CIA, BILDERBERG, BR, BRITANNIA:


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di Nino Galloni-Fonte: http://fuorisubito.blogspot.it/2014/11/cia-bilderberg-br-britannia-ecco-voi-la.html

Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi, l’Italia.A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.È la drammatica ricostruzione di Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato.All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, finche potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco.Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli (facenti anche loro parte del gruppo Bilderberg) e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”.E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima» (Kissinger è anche l’assassino di Salvador Allende).Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provvedutola strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblicoesploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione» (il piano lo stà ultimando Renzi con il suo Job Acts). Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale».Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici».E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la BancaCommerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni.Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare ildebito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco. Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti.«Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.Prima, però, bisogna mandare a casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia.Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».
, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine
 
''L'ITALIA SI STA DIRIGENDO VERSO L'USCITA DALL'AREA DELL'EURO. ENTRO UN PAIO D'ANNI NE SARA' FUORI'' (THE GUARDIAN)

lunedì 17 novembre 2014

LONDRA - L'Italia si sta dirigendo verso l'uscita dall'area dell'euro, scrive senza mezze misure il quotidiano britannico "The Guardian".
Anche se l'ipotesi potrebbe sembrare fantasiosa per uno dei paesi fondatori dell'unione monetaria, si sta progressivamente facendo strada l'idea che entro un paio d'anni Roma tornera' ad amministrare la propria moneta.
Il paese e' in profonda depressione, come confermano gli ultimi dati: il prodotto interno lordo e' del dieci per cento inferiore a quello precedente la crisi finanziaria.
I tentativi di rilanciare l'economia sono falliti, a tal punto e' sclerotizzato il sistema del fisco, dell'impresa e del lavoro.
Nel frattempo la Spagna e l'Irlanda hanno attuato riforme, rafforzato le banche e sono andate avanti, ma con la palla al piede della disoccupazione a livelli insopportabili e della povertà ormai diffusa. Perfino la Grecia e' tornata a crescere, sebbene il dato sia aleatorio, se paragonato allo stato della Grecia prima della sciagurata decisione di adottare l'euro.
C'e' stato un tempo in cui il ceto medio italiano rifiutava l'idea di abbandonare l'euro: i risparmi e le altre proprieta', in particolare immobiliari, hanno tratto valore dall'appartenenza all'area monetaria; lasciare la moneta unica avrebbe comportato una riduzione della ricchezza.
Questo timore e' scomparso; il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e' diventato uno dei piu' convinti oppositori dell'euro, lo stesso la Lega Nord di Salvini e per il partito di destra FdI di Giorgia Meloni.
Piu' in generale, dopo molte promesse di crescita infrante - scrive il Guardian - il sostegno nei confronti della Commissione europea e della Banca centrale europea e' venuto meno.
Gli italiani aspettano da tre anni che il presidente della Bce, Mario Draghi, segua l'esempio della Banca d'Inghilterra e della Federal Reserve degli Stati Uniti e stampi moneta; il banchiere continua a parlare di iniettare fondi nelle economie sofferenti dell'eurozona, per poi fare marcia indietro, come e' avvenuto anche la scorsa settimana.
Tuttavia, anche se agisse, e' improbabile che l'iniziativa sarebbe efficace. Gli italiani lo sanno: hanno bisogno di svalutare, come ha fatto il Giappone. Il ritorno alla lira sarebbe doloroso, ma e' qualcosa che gli elettori sono pronti a contemplare per fermare l'arretramento dell'economia. Orami anche i sondaggi confermano che la metà degli italiani è pronta a rifiutare l'euro già domani mattina.
Redazione Milano.


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- L'ARCHIVIO DI MONS. DARDOZZI -
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L'Italia del dopoguerra si può comprendere solo attraverso gli intrecci tra Mafia, Massoneria, Vaticano e parti deviate dello Stato. Quattro mondi che si incrociano nelle vicende più oscure della nostra Repubblica. Il libro: "Vaticano S.p.A." grazie all'accesso, quasi casuale, a un archivio sterminato di documenti ufficiali spiega per la prima volta il ruolo dello IOR nella prima e nella seconda Repubblica.
Passi dal libro "Vaticano S.p.A.":
"...Paolo VI affida il trasferimento all'estero delle partecipazioni a un sacerdote e a un laico...già conosciuto da Montini quando era arcivescovo di Milano. Si chiama Michele Sindona. Porta i capitali della mafia. Il sacerdote che mastica di finanza ed è amico degli Usa si chiama Paul Marcinkus... E' lo stesso Sindona a presentare a Marcinkus il banchiere Roberto Calvi... I tre arrivano a manipolare gli andamenti della Borsa di Milano con le società del Vaticano che finiscono a Calvi via Sindona... Viene eletto papa il patriarca di Venezia Albino Luciani, uomo di altissimo rigore morale... il giornalista Mino Pecorelli pubblica i 121 nomi di esponenti vaticani che sarebbero affiliati alla massoneria... Luciani intende far piazza pulita allo IOR e trasferire tutti: Marcinkus, de Bonis, Mennini, de Strobel. Lo confida al segretario di Stato Jean Villot la sera del 28 settembre 1978. La mattina dopo il corpo senza vita di Giovanni Paolo I viene rinvenuto nel suo letto... Karol Wojtyla recupera la politica di Paolo VI e assicura a Marcinkus la continuità sull'indirizzo finanziario.. L'Ambrosiano di Calvi rischia il crack... si scopre che i crediti dell'Ambrosiano riguardano le società estere legate allo IOR... Il ministro del Tesoro Andreatta dispone la liquidazione del Banco Ambrosiano... Marcinkus gode della protezione incondizionata di Giovanni Paolo II... dovuta soprattutto ai fondi per oltre 100 milioni di dollari che il Vaticano inviò al sindacato polacco Solidarnosc... Triplice mandato di cattura, emesso il 20 febbraio 1987 dalla magistratura milanese contro Marcinkus e i dirigenti dello IOR Luigi Mennini e Pellegrino de Strobel..."
"Si può vivere in questo mondo senza preoccuparsi del denaro? Non si può dirigere la Chiesa con le Avemarie"
(Monsignor Paul Marcinkus, presidente dello IOR)
"Non potete servire contemporaneamente Dio e Mammona"
(Gesù, Vangeli di Matteo 6,24 e Luca 16,13)
Testo intervista:
L'Archivio di Mons. Dardozzi
"Blog: Gianluigi Nuzzi autore di Vaticano S.p.a. edito da Chiarelettere. Un libro che sta facendo discutere. Che cosa hai scoperto di questo Vaticano?
G.Nuzzi: emergono le finanze occulte del Vaticano. E' un viaggio tramite atti, documenti interni della santa sede negli affari più imbarazzanti e nascosti dell'Istituto opere di religione, che è la banca del papa. Questo viaggio avviene grazie ad un archivio. Un archivio di monsignor Renato Dardozzi, che è stato prima il consigliere del cardinale Casaroli, poi del segretario di Stato Sodano e doveva proprio occuparsi di sistemare raddrizzare le vicende più tormentate della Santa Sede.
Monsignor Dardozzi ha raccolto del materiale. Ha raccolto documenti bancari dello IOR che raccontano storie di tangenti, storie di soldi dell'eredità, di soldi che dovevano andare per le commemorazioni dei defunti. E ha fatto un archivio di circa 5 mila documenti, che ha lasciato in eredità affinché dopo qualche anno dalla sua morte diventassero pubblici. Io ho avuto la fortuna di avere a disposizione questo archivio che i custodi mi hanno dato e io ho fatto un lavoro di ricerca perché questi documenti raccontano come si è sviluppato, dopo Marcinkus, un sistema di conti segreto all'interno dello IOR, intestato fittiziamente a delle fondazioni benefiche per la lotta alla leucemia, per aiutare i bambini poveri, che benefiche erano solo sulla carta perché in realtà questi conti e queste fondazioni venivano utilizzate o per proteggere clienti eccellenti, intoccabili, oppure per far transitare soldi di tangenti. Un fiume di denaro arriva su questi conti parliamo di circa 260 milioni di euro di oggi in pochissimi anni, con la dovuta rivalutazione, in contanti e poi vengono distribuiti fra paradisi fiscali, conti a Montecarlo... Andando a vedere poi chi erano i reali titolari di questi conti vengono fuori dei nomi sorprendenti! Nella documentazione dell'archivio Dardozzi si usano e si preferiscono usare dei nomi in codice. Allora c'era Ancona, omissis, Siena, Roma perché anche in queste documentazioni riservate si cercava di proteggere i nomi di questi clienti importanti.
Firma autorizzata: Giulio Andreotti
La fondazione del cardinale Francis Spellmann, parliamo di circa 40 miliardi di movimentazione in pochissimi anni, la firma autorizzata: GIULIO ANDREOTTI. Quando i magistrati di Milano nel 1993 bussano al portone di bronzo per sapere dove era finita la tangente Enimont, che era nel maxi processo di Mani pulite, una tangente pagata a tutti i partiti della prima Repubblica per concludere il divorzio tra Eni e Montedison. Ebbene quando i magistrati di Milano vanno lì e chiedono come mai parte di questa tangente è finita allo IOR, dove è andata ecco l'archivio Dardozzi racconta delle verità che noi non sapevamo!
Racconta come all'interno del Vaticano si sono attrezzati per depistare le indagini di Mani pulite, per fornire loro delle risposte parziali e fuorvianti, per soprattutto proteggere alcuni conti visto che per esempio Andreotti era, all'epoca, candidato alla presidenza della Repubblica. E poi questa è una storia della tangente Enimont, del depistaggio... c'è una frase su un fax che mi è rimasta impressa. Si dice tra un cardinale e uno degli avvocati che li stava seguendo: "mi raccomando! non diciamo tutto ai magistrati per, tra virgolette, non indurli in tentazione..." ecco io non so cosa sia la tentazione ognuno ha la sua visione laica, cattolica, religiosa, certo di tentazioni lì ce n'erano molte perché il denaro raccoglie gli interessi ovviamente di ogni tipo. Marcinkus diceva che la chiesa non si amministra con l'Ave Maria. Aveva ragione! La chiesa deve avere un suo potere finanziario, deve avere una sua gestione per fare anche del bene. Ecco io racconto invece il bene che non è stato fatto. Questo non è un libro contro la chiesa, è un libro di documenti, non va per tesi. E' un libro che racconta storie di denaro sporco, perché la parola riciclaggio non la utilizzo a caso, la utilizzano loro nella loro corrispondenza con la segreteria di Stato.
E poi c'è un altro aspetto che è inquietante secondo me. E' che quando si accorgono all'interno di questo malcostume istituiscono una commissione segreta per andare a scoprire la profondità di questo IOR parallelo no?
Chiamiamolo come bisogna chiamarlo. Scavano, indagano e fanno una relazione. Siamo nel febbraio '92. Questa relazione Angelo Caloia presidente dello IOR, alIora spedisce a Dziwiscz che all'epoca era il segretario di papa Wojtila. Quindi immagino che fosse per il papa evidentemente. Non accade assolutamente nulla!
Questi personaggi non vengono rimossi, non vengono spostati, non vengono segnalati. Fino al marzo '93 quando Enimont comincia a gorgogliare, comincia a diventare un problema giudiziario il Vaticano non adotta nessuna contromisura.
Delitto in Vaticano?
Blog: C'è un papa che voleva rimuovere Marcinkus che è campato solo 33 giorni.
G.NUZZI: Sì, secondo David Yallop autore di uno splendido libro che si intitola "In nome di Dio" ritiene che papa Luciani sia stato ucciso perché voleva rimuovere tutta una serie di personaggi. Ecco, uno di questi personaggi è l'uomo protagonista del mio libro cioè Donato De Bonis, segretario di Marcinkus. Lui costruisce questo sistema di conti occulti, fa transitare questi soldi, protegge la famiglia Ferruzzi, questi avevano dei conti criptati allo IOR, presidenti di squadre di calcio nel libro ci sono nomi e cognomi. Rimane talmente impresso nella sua opera che nella sua nativa Pietragalla hanno fatto dei bassorilievi alla chiesa che lo raffigurano in bronzo. Magari avrà preferito in oro... questo credo sia permesso di dirlo.
Blog: Da quello che racconti nel libro ne viene fuori uno IOR, quindi un Vaticano roccaforte di evasori fiscali e di...
G.NUZZI: No direi una cosa diversa. Ci sono persone che hanno goduto di fiducia mal riposta. Queste persone hanno fatto scempio della fede e per tutti gli anni '90 il mio libro racconta come ci sia stato uno scontro violentissimo tra fazioni opposte all'interno del Vaticano. Ci sono persone che hanno cercato di fare ordine, ci sono persone che sono state bloccate, ci sono persone illuminate come cardinali che volevano pulizia e chiarezza. Quindi non facciamo come si suo dire di tutta l'erba un fascio.
Il Paradiso (fiscale) in Terra
Blog: Il Vaticano di oggi?
G.NUZZI: Il Vaticano di oggi ha una banca all'interno che si chiama sempre IOR, che è presieduta sempre dallo stesso presidente dell'epoca che cercò di fare pulizia seppur con parecchie difficoltà, ed è una banca che non risponde a nessun tipo di controllo. Nel senso che noi abbiamo una banca in piazza San Pietro che non aderisce ad alcuna convenzione antiriciclaggio, che non è sottoposta a nessuna normativa internazionale dell'Unione europea che implica dei sistemi di controllo automatici sui flussi di denaro. Quindi diciamo che è una banca assai appetibile per chi ha desiderio di far transitare soldi poco puliti. Credo che questo nel centro di Roma sia obiettivamente una contraddizione in termini. Anche perché è inimmaginabile pensare che lo IOR finisca in una black list, però obiettivamente è una banca dove basta presentarsi all'ingresso di porta Sant'anna con una ricetta medica per entrare nello Stato Città di Vaticano, arrivare al torrione quinto che è una torre con mura spesse 9 metri che custodisce il forziere dei cardinali. Io non so oggi cosa accade lì dentro perché l'archivio di Dardozzi è molto dettagliato: racconta delle suore Ancelle della divina provvidenza di Bisceglie, sorelle che all'epoca si occupavano dei malati di mente, che avevano un saldo di 55 miliardi di lire sul conto. Come abbiano ottenuto questa somma non lo so, però so che la retta che lo Stato italiano versa per questi matti è di 100 euro a testa. Nessun a inchiesta penale ha mai dimostrato responsabilità di sottrazione indebita in questo istituto di cura... il libro racconta queste vicende e si spinge - stavo dicendo - fino alla fine degli anni '90 io non ho elementi su quello che è accaduto dopo. Di certo la banca gode di un sistema autoreferenziale di autocontrollo che ovviamente è privilegiato. Infatti quando arriva la rogatoria da Milano dei magistrati di Mani pulite, dai documenti si capisce che in Vaticano quei documenti della magistratura milanese già li avevano! Passati da qualche amico che li voleva mettere a conoscenza prima.
E chi è sotto scacco giudiziario sa bene che prima si hanno le carte dell'accusa meglio ci si può difendere.
Sul sito di Chiarelettere c'è la possibilità di consultare i documenti gratuitamente. Affinché ogni internauta si faccia la propria idea. Lo abbiamo voluto fare proprio per far sì anche che ciò che è scritto nel libro abbia un riflesso immediato in questo archivio. Anche perché è la prima volta in assoluto che filtrano dalle mura leonine del Vaticano una quantità così incredibile... non si è mai vista una carta dello IOR e qui abbiamo 5 mila documenti che un patrimonio di informazione che è dovere del giornalista farlo diventare pubblico."
 
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MUNCHAU (DER SPIEGEL): ''GLI ACQUISTI DI TITOLI DI STATO DA PARTE DELLA BCE NON SERVONO A NIENTE, PER L'ECONOMIA REALE''

martedì 18 novembre 2014
BERLINO - E' opinione comune che la Banca Centrale Europea con l'acquisto di titoli bancari, ampli la massa monetaria e quindi dia una mano all'economia reale. Niente di piu' falso: secondo Wolfgang Munchau, opinionista del tedesco "Spiegel", il dibattito si basa su una gran quantita' di malintesi e in parte anche su depistaggi.
Secondo Munchau, e' necessario separare due concetti: il primo e' la massa monetaria a disposizione dell'economia, di cui fanno parte i contanti, il denaro nei conti correnti cosi' come i depositi bancari.
L'altro e' la base monetaria, costituita da due componenti: i contanti e le riserve bancarie.
E le riserve del sistema bancario sono l'unica voce determinante.
Se si depositano 2mila euro in un conto di risparmio e la banca ne presta mille ad un cliente mutuatario, i restanti mille vanno a finire in un conto che la banca detiene presso la Banca Centrale Europea.
La banca non puo' mai mandare questo conto in scoperto. Al contrario, deve sempre disporre di un saldo a credito che non puo' mai essere inferiore a una certa soglia.
Attualmente la maggior parte delle banche europee detiene in questo conto presso la Banca Centrale molti piu' soldi del dovuto.
Queste riserve bancarie sono l'elemento principale della base monetaria, ma non fanno parte della massa monetaria.
Inoltre, spiega Munchau, i saldi attivi sono bloccati: "non possono essere investiti e non sono a disposizione del consumatore".
Quindi, cosa succedere quando la Bce acquista titoli di una banca italiana?
La banca italiana invierebbe alla Bce i titoli e riceve in cambio un bonifico nel suo conto presso la Bce.
La base monetaria cresce ma la massa rimane invariata.
E se guardiamo agli acquisti dei titoli di stato della Banca Centrale britannica o giapponese, vediamo subito che e' successa la stessa cosa: in entrambi i casi la base monetaria e' stata innalzata considerevolmente ma la massa monetaria non e' cambiata.
Per quale motivo, allora, le Banche Centrali acquistano titoli? Sperano piu' che altro negli effetti indiretti che, alla fine di una lunga catena, potrebbero forse agire sulla massa monetaria in maniera del tutto marginale. In pratica, gli acquisti di titoli di Stato non servono a niente, per l'economia reale. Se non per impedire attacchi speculativi contro i titoli di Stato di nazioni fragili, ma questo è tutto un altro discorso. Mentre Draghi ha annunciato che la Bce potrebbe acquistare bond di Stati proprio per "sostenere la crescita che è fragile" e per "combattere la deflazione". In entranbi i casi, per Munchau l'azione di Draghi, se mai avverrà, sarà inutile e inefficace.
max parisi

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Le pillole di Marcotti / Scelti dalla Redazione / Clamoroso!!! Draghi: “chi vuole può andarsene dall’euro!”
Clamoroso!!! Draghi: “chi vuole può andarsene dall’euro!”

18 novembre 2014 2 Commenti
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Un attimo, però! Facciamo chiarezza.
Draghi aveva sempre detto che “l’euro è irreversibile”, e tutti ne avevamo dato un’interpretazione restrittiva, e cioè che dopo aver aderito alla moneta unica non ci si potesse più tirare indietro.
Insomma una specie di ergastolo.
Oggi, però, non si sa se gli sia scappato o se, per la prima volta, abbia dovuto rispondere ad una domanda “non paludata”, Draghi ha aggiunto qualcosa di estremamente importante.
Ad una domanda dell’Eurodeputato del M5S, Marco Zanni, il quale chiedeva se per la Bce non fosse “giusto e democratico colmare il vuoto legislativo sulla mancanza di procedure di uscita dall’euro”, Draghi ha prima ribadito il suo solito mantra: “L’euro è irreversibile e la Bce farà tutto quello che serve, nel suo mandato, per preservarlo”, aggiungendo, però, che “la Bce non ha poteri legislativi per obbligare i Paesi membri a stare nell’euro o a lasciarlo”.
Accorgendosi della “scivolata” ha cercato di “rimediare” concludendo con: “Sono molto meno convinto di quanto lo sia lei che i Paesi membri possano lasciare l’euro”, ma questo non cambiava di una virgola quanto detto in precedenza, ripetiamo:
“la Bce non ha poteri legislativi per obbligare i Paesi membri a stare nell’euro o a lasciarlo”.
Una cosa del genere dovrebbe stare sulle prime pagine di tutti i giornali, ed invece?
Chiariamo immediatamente, ciò che ha detto Draghi è la cosa più banale e scontata che si possa dire, e cioè che se uno Stato sovrano, seguendo una procedura democratica, intende uscire dall’euro, ebbene lo può fare.
Certo, che c’è di strano? Ci mancasse solo che gli accordi prevedano che gli Stati che hanno aderito all’euro debbano dichiarare guerra a chi vuole uscirne! Così come è una scelta libera l’adesione lo deve anche essere l’uscita.
Però ciò che è scontato e banale per un cittadino comune non era mai stato detto esplicitamente dal Presidente della Bce, ed ecco che immediatamente i giornali, almeno quelli italiani, hanno cercato di minimizzare la cosa quando non censurarla del tutto.

Andate a cercare questa frase sui media del nostro Paese, o non la trovate, o è riportata senza alcuna enfasi all’interno di articoli i cui titoli sono incentrati su altri temi toccati nell’audizione da Draghi.
Scandaloso poi l’Huffington Post di Lucia Annunziata (Gruppo l’Espresso), che alla domanda dell’europarlamentare del M5S (o meglio alla risposta di Draghi) dedica un ampio paragrafo a conclusione dell’articolo non firmato. Ebbene viene riportata con dovizia di particolari la risposta data da Draghi, ma, “curiosamente”, omettendo proprio soltanto quella frase. Guarda te che casualità!
Ma non basta, perché anziché la frase pronunciata da Draghi sull’impossibilità da parte della Bce nel costringere gli Stati a rimanere nell’euro, ne compare un’altra “Alla Bce non abbiamo poteri legislativi ed è comunemente ritenuto che abbiamo già abbastanza poteri” una frase che compare solo sull’Huffington Post ed alcuni siti minori che la riprendono dal lancio dell’Agenzia TMNews, oggi di proprietà del banchiere Abete e di Telecom Italia Media, ma fondata, col nome di APBiscom, proprio da Lucia Annunziata (altra strana coincidenza).
Insomma l’ennesimo dimostrazione del perché la nostra stampa sia al livello dei Paesi in via di sviluppo, ma questo è risaputo e “non fa più notizia”.
MA ATTENZIONE!
C’è un giornale, ma uno solo, che a quella frase di Draghi dà estremo risalto, riportandola nel titolo e citandola proprio all’inizio dell’articolo, e la cosa straordinaria è che quella testata non è un blog con qualche centinaio di lettori o un giornalucolo di provincia, ma niente di meno che Sua Maestà “Il Sole 24 Ore”.
Lo ha fatto apposta? Gli è “sfuggito”? Ovviamente non lo sappiamo.
Ciò che sappiamo è che naturalmente Beppe Grillo non si è lasciato sfuggire l’occasione ed ha riportato sul suo famoso blog non solo l’articolo del “Sole 24 Ore” ma proprio la “foto” dell’articolo, quasi a sottolineare “guardate voi, è scritto proprio così!”
Vediamone gli sviluppi, per capire se, da parte del giornale della Confindustria, c’è un vero cambiamento di “linea politica” nei confronti dell’euro, se sia stato un “avvertimento” a qualcuno che doveva “capire”, oppure se solo una iniziativa di un “articolista” sfuggita al capo redattore che deve sempre sorvegliare sulla “linea editoriale” del giornale.
Di sicuro, però, le parole di Draghi sono una bomba, e vogliamo ribadirle ancora una volta:
“la Bce non ha poteri legislativi per obbligare i Paesi membri a stare nell’euro o a lasciarlo”.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro
 
UE, NEWS lunedì, 17, novembre, 2014

Wall Street si prepara a drenare più ricchezza privata possibile e affondare la moneta unica. Pare che stiano solo aspettando il momento migliore per sferrare l’attacco decisivo: forse succederà nel periodo natalizio. E a Londra danno per imminente il ritorno alla lira. Ecco cosa potrebbe succedere
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Giovanni Masini – Lun, 17/11/2014 -
Potrebbe essere il canto del cigno dell’euro. Secondo le indiscrezioni che trapelano sempre più frequentemente dal gotha della finanza e dell’economia mondiale, i prossimi mesi sarebbero decisivi per le sorti della moneta unica.
Al compimento del tredicesimo anno di età, l’euro è da una formidabile manovra a tenaglia pronta a chiudersi inesorabilmente alla gola del sogno europeista: da un lato la crisi economica e la crescita dei movimenti euroscettici, dall’altro una vera e propria macchinazione orchestrata dall’alta finanza extra – comunitaria (sopratutto Usa) per eliminare una valuta considerata “ingombrante” nell’assetto globale. Fattori esogeni, insomma, ed endogeni sembrerebbero concorrere al ritorno alle vecchie monete nazionali.
Secondo Carlo Cambi per Libero, a Wall Street si starebbe preparando un “piano di Natale” per mettere nel mirino l’euro. A sostegno di questa tesi viene citata una fonte proveniente dal board del Comitato di Basilea, l’organizzazione per la vigilanza bancaria gestita dalle Banche centrali del G10: secondo questa ipotesi, l’offensiva Usa contro la moneta unica verrebbe a galla riflettendo sul fatto che, nei tanto famigerati stress test, i crediti in sofferenza o inesigibili vengono fatti pesare molto di più rispetto ai derivati. Con il risultato di penalizzare le banche commerciali a vantaggio di quelle finanziarie, salvando numerose banche tedesche come le Landsbank.
Anche i titoli di Stato, poi, vengono valutati diversamente negli stress test: per le banche tedesche, che li valutano a scadenza, questi vanno a patrimonio, a tutto vantaggio della banca che li detiene, mentre nel caso degli istituti di credito italiani, che li detengono al prezzo corrente, il “rischio Paese” viene valutato come una perdita.
A Wall Street si attenderebbe solo l’occasione giusta per sferrare l’attacco decisivo, che per la verità verrebbe visto con favore anche a Pechino (e qui Cambi cita l’entente cordiale Usa-Cina degli ultimi mesi). E la Germania, il più forte degli attori europei? Secondo Libero sarebbe “convinta che Mario Draghi voglia drenare ricchezza dagli Stati forti europei per poi sancire la fine della moneta unica e offrire un piatto ancora più ricco ai suoi referenti d’oltreoceano (in intesa con i cinesi).” Così, se gli stress test servissero davvero ad indurre le banche a drenare sempre più ricchezza, gli italiani dovrebbero guardarsi le spalle più di chiunque altro. La nostra ricchezza privata è altissima e fa gola a molti: i continui richiami alla patrimoniale dovrebbero dirci qualcosa.
Ma se sul Continente si mormora di un complotto finanziario d’oltreoceano, anche gli osservatori britannici non esprimono ottimismo sul futuro dell’euro. Solo ieri, The Observer, il periodico domenicale di The Guardian, pubblicava un articolo sull’imminente ritorno della lira. I pur compassati anglosassoni non concedono scampo alla moneta unica in Italia: “Il Belpaese è diretto all’uscita” è l’eloquente attacco.
Oltremanica sottolineano la “profonda depressione” della nostra economia, i numeri del Pil che non accennano a riprendersi, la natura “sclerotica” del sistema fiscale e della legislazione sul lavoro. Si mettono in evidenza, per contrasto, i progressi fatti registrare da Spagna, Irlanda e persino la lenta crescita greca viene considerata migliore della situazione di un Paese in cui “sono falliti tutti i tentativi di far ripartire l’economia”.
Per non parlare, chiosa The Observer, delle spinte politiche per l’uscita dall’Eurozona, a partire da quelle di Beppe Grillo. E l’unica soluzione, concludono da Londra, sarebbe un’impossibile svalutazione. Impossibile, almeno per ora.
IL GIORNALE
 

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