Schegge di storia militare

Fleursdumal ha scritto:
Ciao cè
Liddell hart sostiene che i jap compirono numerosi errori tattici che andarono ad inficiare il loro disegno strategico che prevedeva lo stritolamento della squadra americana tra le due giapponesi
Alcuni punti : l'isolamento di Yamamoto sul ponte della corazzata Yamato , la crisi di scoraggiamento da cui si lasciò cogliere Nagumo e la tradizione della marina giapponese , epr rispettare la quale Yamaguchi e altri comandanti si inabissarono con le loro unità anzichè cercare di riprendere l'iniziativa.
Nimitz invece restando a terra potà mantenere sotto costante controllo tutti gli elementi della situazione strategica.
I guai dei japs furono aggravati poi anche da :
mancato impiego di un sufficiente numero di aerei da ricognizione per avvistare le portaerei americane
la mancanza di un'adeguata copertura di caccia ad alta quota
l'inefficienza dei mezzi antincendio
la tendenza a lanciare all'attacco gli aerei di tutte e 4 le portaerei, con il risultato che in una certa fase ( quella in cui gli aerei rientravano e dovevano essere riarmati) l'intera formazione si trovava vulnerabile senza scampo agli attacchi
la decisione di fare rotta verso il nemico proprio mentre stavano svolgendo le operazioni di cambio, decisione che diede agli aerei americani l'opportunità di localizzare più facilmente la squadra di nagumo e di colpirla prima della possibile replica difesiva degli zero
L'origine di quasi tutti errori tattici secondo Liddell Hart è da attribuirsi a un atteggiamento di eccessiva fiducia nella propria forza e abilità

dove hai trovato l'articolo di Liddel Hart su Midway?
dato che ti piacciono i romani
hai letto Liddel 'Scipione' ?
bellissimo
e guarda che io sono un Annibalico di ferro!
cerca in gioco PC 'Great battles of Hannibal' , ora lo trovi scontato
se ti interessa il periodo, una sciccheria

ciao

f4f
 
f4f ha scritto:
Fleursdumal ha scritto:
Ciao cè
Liddell hart sostiene che i jap compirono numerosi errori tattici che andarono ad inficiare il loro disegno strategico che prevedeva lo stritolamento della squadra americana tra le due giapponesi
Alcuni punti : l'isolamento di Yamamoto sul ponte della corazzata Yamato , la crisi di scoraggiamento da cui si lasciò cogliere Nagumo e la tradizione della marina giapponese , epr rispettare la quale Yamaguchi e altri comandanti si inabissarono con le loro unità anzichè cercare di riprendere l'iniziativa.
Nimitz invece restando a terra potà mantenere sotto costante controllo tutti gli elementi della situazione strategica.
I guai dei japs furono aggravati poi anche da :
mancato impiego di un sufficiente numero di aerei da ricognizione per avvistare le portaerei americane
la mancanza di un'adeguata copertura di caccia ad alta quota
l'inefficienza dei mezzi antincendio
la tendenza a lanciare all'attacco gli aerei di tutte e 4 le portaerei, con il risultato che in una certa fase ( quella in cui gli aerei rientravano e dovevano essere riarmati) l'intera formazione si trovava vulnerabile senza scampo agli attacchi
la decisione di fare rotta verso il nemico proprio mentre stavano svolgendo le operazioni di cambio, decisione che diede agli aerei americani l'opportunità di localizzare più facilmente la squadra di nagumo e di colpirla prima della possibile replica difesiva degli zero
L'origine di quasi tutti errori tattici secondo Liddell Hart è da attribuirsi a un atteggiamento di eccessiva fiducia nella propria forza e abilità

dove hai trovato l'articolo di Liddel Hart su Midway?
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ciao

f4f


E' un estratto dal suo formidabile libro : Storia militare della seconda guerra mondiale della Mondadori un volumaccio da oltre 1000 pagine,
ne ho visto un altro simile l'altro giorno di Gilbert ma ho letto la sua storia della prima guerra mondiale e faceva francamente pena.

No mi sto dedicando alla storia dei romani da poco, però ho già fatto dei sopralluoghi a Canne , visto che ce l'ho vicina : ti assicuro che stare sulla cima della collinetta della vecchia necropoli a cercare di immaginarsi il campo di battaglia di sotto in un silenzio incredibile rotto solo dal vento fa un'impressione incredibile.
 
Canne... ti invidio...

ho provato a rigiocarla : non sono MAI riuscito a spuntarla sui romani.

che capolavoro...

ti consiglio il Campaign CANNE di Osprey - versione in inglese, ma anche in italiano è buono e costa 7euro circa....
 
f4f ha scritto:
Canne... ti invidio...

ho provato a rigiocarla : non sono MAI riuscito a spuntarla sui romani.

che capolavoro...

ti consiglio il Campaign CANNE di Osprey - versione in inglese, ma anche in italiano è buono e costa 7euro circa....

letto per caso quello di Lutwak sull'esercito romano?
 
DUELLO A MIDWAY - 1942: storico scontro nell'Oceano
Pacifico. Schierate l'una contro l'altra la poderosa flotta giapponese
e quella americana. L'inferno di fuoco si concluse
con la vittoria degli Usa. Ma pochi sanno che questa fu…

UNA BATTAGLIA NAVALE
PILOTATA DAGLI 007
DEI SERVIZI AMERICANI



Midway, l'atollo del Pacifico dal quale
ha preso il nome la famosa battaglia

di MATTEO SOMMARUGA
I primi di giugno del 1942, nelle acque che circondano Midway, a metà strada fra il Giappone e la West Coast, la macchina bellica nipponica, fino ad allora imbattuta, registrò la prima dura sconfitta. Da quel momento le operazioni nel Pacifico entrarono in una fase di stallo, almeno fino a quando gli U.S.A. non furono in grado di dare inizio alla controffensiva che li avrebbe portati alla vittoria.
L'esito dello scontro fu determinato dalle indubbie capacità di Nimitz, a capo della Flotta del Pacifico, ma soprattutto dal contributo dell'intelligence navale. Il quale, dimostrando di essere in grado di provvedere in tempo utile informazioni dettagliate sulle operazioni nemiche, si riscattò dopo che la cocente disfatta di Pearl Harbor ne aveva messo seriamente in dubbio le effettive capacità.
Il governo americano aveva iniziato a interessarsi dell'impiego della crittologia nella marina militare quasi venti anni prima, nel 1924, quando, su iniziativa di Laurence F. Safford, una figura leggendaria all'interno della storia dei servizi americani, venne costituito il primo nucleo dell'OP-20-G. Un corpo scelto costituito principalmente da analisti con il compito di raccogliere e decifrare il traffico radio della flotta giapponese, ma che nel corso del secondo conflitto mondiale avrebbe trovato ampio impiego anche nel controllo dei movimenti delle formazioni navali italiane e tedesche. Safford svolse un ruolo determinante anche nella scelta di porre a capo del centro di osservazione di Pearl Harbor, la Stazione Hypo, il comandante Joseph Rochefort.
Mentre la U.S. Navy si apprestava a tenere sotto controllo i movimenti rivali, sull'altra sponda del Pacifico fervevano preparativi analoghi. La Nihon Kaigun, la Marina Imperiale, aveva sviluppato un sofisticato codice operativo, successivamente identificato come JN-25. Il codice, fra i più utilizzati all'interno dell'apparato militare nipponico, era basato su oltre 45.000 numeri a cinque cifre, ciascuno dei quali rappresentava una parola o una frase. Per la trasmissione, i messaggi venivano ulteriormente cifrati utilizzando delle tabelle sulla cui base venivano modificati i valori del messaggio originale. Tale sistema poteva essere considerato infallibile, e in effetti uno analogo fu adottato anche dai servizi sovietici, a patto di utilizzare ogni volta una tabella differente.
Il problema, considerato, comunque senza successo, dal KGB, fu però trascurato dai comandi giapponesi, che lo ritenevano del tutto irrilevante. La ripetizione delle tavole permise agli analisti americani di aprire una falla all'interno di quello che per il resto era uno dei più avanzati sistemi di codifica dell'epoca. Poco prima di Pearl Habor, L'OP-20-G era già in grado di interpretare dal 10% al 15% dello JN-25, sei mesi dopo il lavoro di codifica era ormai giunto a termine.
I risultati ottenuti influenzarono la stessa organizzazione interna dell'intelligence navale U.S.A. che, dal marzo del 1942, fu diviso in tre diverse sezioni. L'OP-20-GI raccoglieva i dati dalle stazioni di osservazione, questi venivano poi affidati all'OP-20-GY, cui spettava il compito di crittoanalisi. Il messaggio, una volta decodificato, veniva sottoposto al vaglio dell'OP-20-GZ per la traduzione. Si arrivava in questo modo a un documento che tuttavia doveva essere ancora interpretato perchè località e operazioni venivano a loro volta contraddistinte attraverso una serie di sigle. E solo l'esatta interpretazione di una di queste permise a Nimitz di concentrare quello che rimaneva della Flotta del Pacifico a Midway e respingere l'attacco nemico.
Dopo Pearl Habor, in una serie di brillanti operazioni, i giapponesi erano infatti riusciti a raggiungere la supremazia navale in tutto l'Oceano Pacifico. Nella primavera del 1942 la presenza britannica e olandese poteva ormai considerarsi trascurabile, mentre gli americani dovevano contare su tre portaerei, 45 navi da battaglia e 25 sottomarini. Cui spettava il compito di contenere l'urto temibile della Flotta Imperiale, allora costituita da 10 portaerei, 11 corazzate e centinaia di navi di minore tonnellaggio. Il Comando Generale della Nihon Kaigun era però diviso tra i sostenitori di un'azione verso Ceylon in vista di un ricongiungimento con le truppe tedesche in Medio Oriente, e chi preferiva concentrare gli sforzi nel Pacifico.
Questi ultimi avevano preso in considerazione un'attacco diretto contro Port Moresby con l'obiettivo di isolare l'Australia, senza escluderne l'invasione, e spingere l'occupazione giapponese fino alla costa meridionale della Nuova Guinea, interessando in un secondo momento la Nuova Caledonia, le Samoa e le Fiji. Di ben altro avviso era l'ammiraglio Isoruku Yamamoto, comandante in capo della Flotta. Conscio della capacità produttiva del sistema industriale americano, all'inizio delle ostilità aveva affermato di essere in grado di condurre la guerra per sei mesi, ma che se si fosse prolungata più a lungo non sarebbe stato in grado di garantire la vittoria giapponese.
In effetti, nel luglio del 1940, il Congresso U.S.A. aveva varato un piano di ammodernamento e potenziamento della flotta, il Two Ocean Navy Bill, che prevedeva la costruzione di 15 corazzate, 11 portaerei, 54 incrociatori, 191 cacciatorpediniere e 73 sottomarini. L'obiettivo di Yamamoto era l'annientamento della Flotta del Pacifico e per ottenenerlo avrebbe dovuto localizzare le portaerei sopravvisute a Pearl Habor. L'attacco a Midway, la cui caduta avrebbe potuto seriamente minacciare le operazioni alleate, poteva essere l'occasione. Il piano che aveva elaborato prevedeva un primo attacco, il quale avrebbe provocato la reazione americana con l'intervento della flotta, e uno successivo, condotto dal grosso dell'armata, che avrebbe portato alla distruzione totale delle unità di Nimitz.
Yamamoto prevedeva anche un cordone protettivo di sottomarini fra le Hawaii e Midway, che si sarebbero ricongiunti con il resto della flotta nipponica durante la seconda fase della battaglia, e un attacco diversivo contro le Isole Aleutine, in Alaska. Così come era stata concepita, la campagna di Midway avrebbe coinvolto 200 navi, 700 aerei, undici corazzate e otto portarei, ma il grande ammiraglio dovette accontentarsi di una forza ben più modesta. I rapporti dell'OP-20-G, pur pagando la perdita di preziosi posti di osservazione caduti sotto la pressante avanzata nipponica, avevano infatti ottenuto i primi risultati.
Su richiesta del Comando, Yamamoto aveva concesso l'impiego di due portaerei leggere, la Shokaku e la Zuikaku, nell'attacco diretto dall'ammiraglio Shigeyoshi Inouye, comandante la Quarta Flotta, contro Port Moresby, identificato dai giapponesi con RZP. L'operazione, menzionata in un messaggio intercettato il 25 marzo, fu interrotta in seguito all'intervento della flotta U.S.A. Lo scontro si risolse in una situazione di parità, ciascuno schieramento subiva l'affondamento di una portaerei e il danneggiamento di un'altra, ma i giapponesi, per la prima volta dall'inizio del conflitto, vedevano frustrati i propri progetti.
Un effetto più significativo fu l'indebolimento, di almeno un terzo, del potenziale bellico a
disposizione di Yamamoto al momento di lanciare l'offensiva nel settore di Midway, designato nei codici del comando giapponese con un AF. L'identificativo apparve per la prima volta in un dispaccio del 4 marzo, e in due messaggi separati raccolti rispettivamente da Melbourne e Washington, il 17 e il 24 aprile. Gli analisti americani dovevano ancora stabilire il significato di quella sigla, AF, che per alcuni non indicava neppure una località geografica, ma una stazione radio. Verso la fine di aprile si andava però delineando la possibilità di un attacco in direzione dell'Alaska, forse condotto dall'ammiraglio Kondo della Seconda Flotta, l'assembramento più imponente dell'intera marina giapponese. Fu dichiarato in stato di allerta l'intero Golfo dell'Alaska, fino a Vancouver, nella Colombia Britannica.
Ulteriori intercettazioni, riportate all'attenzione di Nimitz da un ufficiale dell'OP-20-G. riguardavano l'impiego di un certo numero di aerei. La stretta sorveglianza cui la flotta di Yamamoto era sottoposta anche nelle acque più vicine all'arcipelago giapponese, riportava un sensibile aumento dell'attività di quest'ultima a partire dal primo maggio. Da quella data in poi sulla Yamato, la nave ammiraglia, si tennero un fitto numero di incontri fra gli ufficiali per perfezionare i piani finora sviluppati. Il che facilitò non poco il compito di Nimitz, che, grazie alle intercettazioni, poteva disporre di un'accurata descrizione dello schieramento nemico e dei suoi obiettivi.
Per gli americani esistevano però ancora molti punti oscuri e il rapporto fra il personale dell'OP-20-G e il comando dell'ammiraglio Turner, a Washington, si stava rapidamente deteriorando. Al punto che il comandante John R. Redman si trovò spesso nella condizione di apportare correzioni alle risposte che gli analisti inviavano alla capitale. Turner non credeva infatti che AF potesse essere Midway, ma era più propenso alle Hawaii, Samoa o persino alla West Coast, in stato di allerta dall'inizio della guerra. L'identificazione avvenne infatti solo più tardi, a metà maggio, grazie all'intuizione di Rochefort e del capitano Edwin Layton.
I servizi giapponesi che monitoravano le acque intorno a Midway avevano intercettato la richiesta dell'ufficiale comandante le installazioni dell'isola, il quale lamentava la penuria di risorse idriche. Quest'ultimo aveva però inoltrato la richiesta su istruzione degli analisti dell'OP-20-G. Come previsto di lì a poco i servizi alleati intercettarono, a loro volta, un comunicato giapponese in base al quale "AF era a corto d'acqua". La conferma definitiva arrivò dalla postazione di Melbourne il 22 maggio. Pochi giorni dopo Hypo, il centro di ascolto delle Hawaii, aveva individuato nel 4 giugno la data dell'attacco.
A partire dal 28 maggio le intercettazioni dell'OP-20-G non furono più utilizzabili. I giapponesi, sospettando che gli americani fossero riusciti a penetrare i segreti dello JN-25, avevano adottato un nuovo sistema di codifica delle trasmissioni, ma, ormai, per loro, era troppo tardi. Neppure l'organizzazione U.S.A. era però esente da difetti, al punto che la stima definitiva, fatta da Nimitz, delle forze giapponesi dirette a Midway pervenne nelle mani di un reporter e pubblicata sul Chicago Tribune. Sembra comunque che l'intelligence nipponico ne fosse stato all'oscuro. Il 26 maggio entrambe gli schieramenti prendevano il largo per giungere sul luogo dello scontro.
La flotta giapponese, la cui potenza di fuoco era concentrata nella formazione guidata dal vice ammiraglio Nagumo Chuichi. Quattro portaerei, Akagi, Kaga, Soryu e Hiryu, con un totale di 229 aerei, scortate dal gruppo del contrammiraglio Tanaka Raizo. Il corpo principale era costituito dalla Prima Flotta, comandata dallo stesso Yamamoto, sulla corazzata Yamato, le truppe da sbarco si trovavano invece a bordo di quindici navi da

...ma la battaglia
di Midway riportò
in parità l'equilibrio di forze tra
USA e Giappone

trasporto, salpate da Saipan. La seconda flotta, comandata dal contrammiraglio Kurita Takeo, era salpata da Guam. Gli americani contavano invece sulle portaerei Enterprise, Hornet e Yorktown, quest'ultima riparata tempestivamente dai danni subiti nel Mar dei Coralli. Sulle tre navi erano imbarcati 234 aerei, altri 110, fra caccia, bombardieri e ricognitori, erano dislocati a Midway.
A supporto della flotta americana si trovavano anche 25 sottomarini al comando del contrammiraglio Robert H. English. Nimitz aveva inoltre inviato il cacciatorpediniere Thornton nella baia di French Frigate Shoals, dove un sottomarino nipponico avrebbe dovuto rifornire gli idroplani utilizzati come ricognitori. Nonostante i giapponesi non avessero potuto spingere le proprie pattuglie fino alle Hawaii, scoprendo il gioco dell'avversario, la decisione di Yamamoto di mantenere fino all'ultimo il più assoluto silenzio radio, impedì comunque alla flotta nipponica di sfruttare le informazioni ottenute sulla presenza del nemico.
Le prime schermaglie ebbero luogo poco dopo la mezzanotte del 4 giugno, così come l'intelligence alleato aveva previsto, quando alcuni velivoli americani sganciarono alcuni siluri contro la Akebonu Maru, una nave cisterna. Più tardi, al mattino, i bombardieri giapponesi iniziarono il martellamento delle postazioni sull'Isola di Midway. Le strutture non subirono che danni marginali, nonostante le gravi perdite subite dalla caccia americana. Di 26 apparecchi alzatisi in volo, solo 9 sarebbero tornati a terra. Nelle ore successive, la contraerea giapponese riuscì a sventare l'attacco inziale diretto contro la formazione di Tanaka Raizo, ma non la seconda ondata.
La Kaga e la Akagi vennero fatalmente colpite dalle squadriglie di VB-6 e VS-6 decollati dalla Enterprise, mentre i VB-3 della Yorktown infliggevano un danno altrettanto irreparabile alla Soryu. Il contrattacco giapponese partito dall'unica portaerei superstite, la Hiryu, ottenne il danneggiamento della Yorktown, che successivamente dovette essere abbandonata. Di lì a poco anche la Hiryu fu danneggiata in modo irreparabile e la flotta giapponese, fino ad allora considerata invincibile, dovette ripiegare, inseguita dall'attacco aereo degli Alleati. L'incrociatore pesante Mikuma venne affondato il giorno successivo, l'Asashio e l'Arashio, due cacciatorpediniere, furono danneggiate in modo grave e sorte non migliore toccò all'incrociatore Mogami.
Dopo lo scontro l'equilibrio di forze nel Pacifico tornò in parità, la Nihon Kaigun aveva perso quattro delle migliori portaerei e più di cento piloti, ma soprattutto qualsiasi possibilità di concludere la guerra a breve. Quando la notizia della vittoria raggiunse il quartier generale di Washington, l'ammiraglio Turner, fino allora scettico nei confronti di un probabile attacco diretto contro Midway, si congratulò con l'ammiraglio Nimitz assicurandosi che ricevesse un geroboamo di champagne, da dividere con i suoi ufficiali. Nel 1985, Joseph Rochefor, uno dei maggiori artefici dell'esatta localizzazione del luogo dell'attacco, fu insignito dal Segretario della Marina della Distinguished Service Medal.

Bibliografia
Ultra in the Pacific: How Breaking Japanese Codes and ciphers Affected Naval Operations against Japan, 1941-1945 - U.S. Naval Institute Press, Annapolis, Md. 1994
The Silent War against the Japanese Navy, di Duane L. Whitlock, capitano a riposo della U.S. Navy - In Naval War College Review ,Autunno 1995 Vol. XLVIII No. 4
A Priceless Advantage: U.S. Navy communications Intelligence and the Battles of Coral Sea, Midway, and the Aleutians, di Frederick D. Parker - Fort Mead MD: Center for Cryptologic History, National Security Agency, 1993
Documenti declassificati provenienti dall'archivio della U.S. Navy e dell'NSA
 
Nella tarda primavera del 1942, l'ammiraglio Yamamoto elaborò
un piano per attaccare nuovamente la flotta americana di base a Pearl Harbor.

SU DUTCH HARBOR I GIAPPONESI
FECERO UN SOGNO. FINITO IN MARE

di ALBERTO ROSSELLI


Nella tarda primavera del 1942, l'ammiraglio Isoroku Yamamoto elaborò un piano per impadronirsi delle Isole Midway, situate a nord ovest delle Hawaii: atolli dai quali i giapponesi avrebbero potuto attaccare nuovamente la flotta americana di base a Pearl Harbor. L'ammiraglio considerava infatti l'eliminazione di tutte le più importanti unità statunitensi (le portaerei in primo luogo) quale presupposto indispensabile per un'ulteriore e più sicura spinta offensiva in direzione dell'Australia e delle isole del Pacifico centro-meridionale. A tale scopo, nell'estate del '42, Yamamoto diede il via ad un'operazione aeronavale di grosse proporzioni, articolando la sua manovra di attacco lungo due direttrici. Il concomitanza con l'offensiva contro le Midway (che sarebbe stata condotta da una flotta composta da circa 80 unità, tra cui le grandi portaerei Akagi, Kaga, Hiryu e Soryu) l'ammiraglio giapponese allestì anche una seconda squadra, di dimensioni più contenute, alla quale sarebbe spettato il compito di puntare verso nord-est, raggiungere le
La mappa di Dutch Harbor

Isole Aleutine, occupare Attu, Kiska e Adak e colpire la base di statunitense di Dutch Harbor. Yamamoto sperava che un simultaneo, riuscito attacco contro le due principali basi aeronavali americane del Pacifico, avrebbe costretto l'ammiraglio Chester W. Nimitz (comandante in capo del dispositivo aeronavale Usa dello scacchiere del Far East) a dividere le sue forze. Senza considerare che, una volta conquistate le Aleutine e messa fuori combattimento la Squadra del Nord Pacifico, le portaerei e le unità pesanti del Sol Levante avrebbero potuto effettuare strategiche puntate in direzione della costa nord orientale americana, mettendo in crisi i collegamenti navali tra Anchorage e i porti canadesi e statunitensi di Vancouver, Seattle, Tacoma e Portland.
Il teatro delle operazioni
Le Aleutine sono un arcipelago formato da 279 isolotti che, come una collana, si estende per circa 1.100 miglia dall'Alaska occidentale fino alla penisola russa di Kamtchatka, separando il Mare di Bering dall'Oceano Pacifico. Le Aleutine sono composte da cinque principali gruppi insulari. Da est ad ovest: le Fox Islands, le Four Mountains Islands, le Andreanof, le Rat Islands e le Near Islands. Le più grandi isole di questo arcipelago boreale sono Unimak (sovrastata dal monte Shishaldin, una cima di origine vulcanica alta 2820 metri), Umnak e Unalaska dove, affacciata su un'ampia baia situata alle pendici del Monte Makushin, sorge l'abitato e il porto di Dutch Harbor.
Per portare a compimento l'occupazione di Attu, Kiska, Adak e il bombardamento di Dutch Harbor, Yamamoto mise in campo - come si è detto - una forza contenuta, almeno se raffrontata a quella che avrebbe impiegato contro le Midway. In considerazione della non eccessiva consistenza delle difese aeronavali e terrestri statunitensi delle Aleutine, l'ammiraglio giapponese ritenne sufficiente approntare un'agile e composita squadra: la Quinta Forza Nord agli ordini dell'ammiraglio Boshiro Hosogaya che a sua volta avrebbe potuto contare sulla Seconda Forza del vice ammiraglio Karuji Kakuta, composta dalle portaerei Ryujo e Junyo (equipaggiate con un totale di circa 66 tra caccia Mitsubishi A6M3 Zero e bombardieri in picchiata Aichi D3A1 Val e orizzontali Nakajima B5N2) e dagli incrociatori pesanti Maya e Takao. Integrate nella Quinta Forza Nord vi erano poi altre due squadre: quella agli ordini dell'ammiraglio Omori (composta dall'incrociatore leggero Abukuma, quattro cacciatorpediniere e una nave da trasporto con a bordo 1.200 soldati), alla quale sarebbe spettato il compito di occupare l'isola di Attu, e quella dell'ammiraglio Ono (formata dagli incrociatori leggeri Kiso e Tama, da tre cacciatorpediniere, tre dragamine e una nave da trasporto con 1.250 soldati) che avrebbe dovuto conquistare le isole di Kiska e di Adak (obiettivo, quest'ultimo, considerato però opzionale). Completavano la task force nipponica 4 sommergibili oceanici (l'I-25, l'I-19, l'I-15 e l'I-17) inviati preventivamente nelle acque delle Aleutine centrali e occidentali per tenere sotto controllo i movimenti del nemico. Secondo il piano di Yamamoto, l'intera formazione, dislocata nei porti dell'Isola Hokkaido, avrebbe dovuto salpare in direzione dell'obiettivo l'ultima settimana di maggio.
Le forze navali statunitensi
Il 17 maggio 1942, la Naval Intelligence venne a conoscenza dell'intero progetto giapponese (sia quello diretto contro le Aleutine, sia quello - ben più allarmante - diretto contro le Midway) e di conseguenza l'ammiraglio Nimitz diede ordine al contrammiraglio Robert A. Theobald di allestire una Squadra di contrapposizione per proteggere le Aleutine e l'Alaska. E dopo pochi giorni di preparativi, una Task Force Nord (formata dagli incrociatori pesanti Indianapolis e Louisville, dagli incrociatori leggeri Honolulu, Saint-Louis e Nashville e da 10 cacciatorpediniere) salpò alla volta dell'isola di Kodiak per dare man forte alla debole squadra locale composta da sei sottomarini, due navi appoggio idrovolanti, una cannoniera, un dragamine, due navi cisterna, 18 imbarcazioni della Guardia Costiera e 14 piccoli pattugliatori.
Il 27 maggio 1942, l'ammiraglio Theobald allertò tutti i mezzi aeronavali e terrestri presenti nell'arcipelago. Ma non disponendo di portaerei, egli dovette affidare tutte le operazioni di
Un aereo giapponese in missione

ricognizione d'altura ai soli aerei terrestri e agli idrovolanti presenti negli idroscali. A questo proposito, va ricordato che in quel periodo gli idrovolanti bimotori Catalina (al pari dei non molti bimotori e quadrimotori da bombardamento Martin B-26B Marauder e Boeing B17E Flying Fortress) risultavano dislocati in parte a Unalaska e in parte a Kodiak. L'esercito statunitense, dal canto suo, disponeva di un'ulteriore base, quella di Fort Glenn, ubicata sull'Isola di Umnak (un sito militare di cui i giapponesi non sospettavano l'esistenza). A Fort Glenn stazionavano 12 caccia Warhawk P-40F: velivoli che pur non essendo in grado, data la loro scarsa autonomia, di effettuare missioni di ricognizione, in seguito si sarebbero comunque rivelati molto utili nel contrastare gli attacchi aerei giapponesi. A scopo precauzionale, il 1° giugno 1942, l'ammiraglio Nimitz mise anche in stato di massima allerta tutte le unità aeronavali della costa canadese e statunitense, da Nome (penisola di Seward) fino a Seattle.
Le forze aeree statunitensi
Già all'indomani dell'attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, il Comando statunitense, temendo un'azione nemica contro il porto di Anchorage, aveva avviato un programma di rafforzamento della componente aeronautica presente in Alaska. Il 1° gennaio 1942, il 77th Bomber Squadron equipaggiato con bimotori B-26 era giunto sulla base di Elmendorf Field. E due settimane più tardi, il Dipartimento della Guerra aveva predisposto l'invio in Alaska di tre LB-30s e un quadrimotore Boeing B-17E: aerei in grado di effettuare voli di ricognizione a largo raggio. Questi ultimi arrivarono all'inizio di marzo. Il 21 gennaio il First Lieutenant John S. Chennault, figlio del generale Clare Chennault, assunse il comando dell'11th Fighter Squadron, e il 5 febbraio l'Alaskan Air Force venne rinominata 11th Air Force. Nell'ambito di questo riassetto furono creati il Provisional Interceptor Command, composto dall'11mo e 18mo Squadrone Caccia; il 28th Composite Group, formato dal 36mo, 73mo e 77mo Squadrone Bombardieri. Completavano gli effettivi di questi corpi 1.466 addetti ai servizi logistici. Al Servizio di Controllo Aereo in Alaska vennero poi assegnati 85 fra ufficiali e soldati. Il 31 maggio, infine, anche il 54th Fighter Squadron, equipaggiato con bimotori Lightning P-38E, venne dislocato, come supporto, a Elmendorf Field. Complessivamente, la forza aerea statunitense disponeva di 94 caccia, sette quadrimotori da bombardamento pesante, 42 bimotori da bombardamento, 23 bombardieri ricognitori e 3 ricognitori puri.
Le forze terrestri statunitensi
Già a partire dall'autunno del 1941, il Comando statunitense, aveva predisposto anche un rafforzamento delle sue guarnigioni dell'Alaska, portandole (nel complesso) a 1.154 ufficiali e 22.892 soldati. Tuttavia, soltanto un terzo di questi effettivi verranno inviati sul posto prima dell'inizio del 1942 (nel maggio 1940, erano presenti in tutto circa 3.100 uomini). Verso la fine di maggio risultavano presenti a Sitka 70 ufficiali e 1950 soldati, mentre a Kodiak stazionavano 235 ufficiali e 5.600 uomini. La base di Dutch Harbor disponeva, infine, di 225 officiali e 5..200 soldati (per l'esattezza 4.748 soldati dell'Esercito e 639 marines). Le forze inviate in Alaska tra la fine del 1941 e i primi sei mesi del '42 includevano 4 reggimenti di fanteria, tre reggimenti e mezzo di artiglieria antiaerea dotati di pezzi da 37 e 75 millimetri, un reggimento motorizzato di artiglieria costiera equipaggiato con pezzi da 155 mm. e una compagnia di mezzi blindati.
L'attacco a Dutch Harbor 3-4 giugno 1942
Tra il 24 maggio e la prima settimana di giugno, il vice ammiraglio Kakuta inviò diversi sottomarini nelle acque delle Aleutine, con lo scopo di valutare la presenza di unità di superficie statunitensi. Nella fattispecie, l'I-25, l'I-15 e l'I-17 ricevettero l'incarico di sorvegliare l'isola di Kodiak e le Aleutine centrali e occidentali, mentre all'I-19 fu affidato il compito di incrociare al largo di Dutch Harbor e di tenere sotto stretto controllo i movimenti delle unità nemiche in entrata ed in uscita dal porto. Dopodiché la flotta di superficie nipponica lasciò l'isola di Hokaido, facendo rotta verso nord-est.
Il 2 Giugno, le due portaerei di Kakuta (la Ryujo e la Junyo) vennero avvistate a meno di 400 miglia a sud di Kiska da un solitario idrovolante da ricognizione PBY-5A Catalina. E immediatamente l'ammiraglio Theobald ordinò a tutti gli aerei disponibili appartenenti alla 11ª Air Force di spostarsi sui campi avanzati a Cold Bay e Fort Glenn, in modo da parare eventuali attacchi aerei. Alle 2,45 antimeridiane del 3 giugno, la Squadra giapponese giunse a meno di 170 miglia da Dutch Harbor e, nonostante le non buone condizioni atmosferiche, le portaerei Ryujo and Junyo lanciarono i loro apparecchi contro la base
Piloti giapponesi da caccia

statunitense (la Ryujo aveva a bordo 12 caccia e 18 bombardieri, mentre la Junyo aveva 18 caccia, altrettanti bombardieri e 12 caccia). La Ryujo fece decollare 11 bombardieri Aichi D3A1 Val e 6 caccia Mitsubishi A6M3 Zero, mentre dalla Junyo presero il volo 12 bombardieri Val e sei Zero. Durante la manovra di avvicinamento a Dutch Harbor, i caccia della Junyo intercettarono un idrovolante Catalina che, nonostante il suo immediato tentativo di sganciamento, venne abbattuto.
La mattina del 3 giugno, due gruppi da caccia e da bombardamento giapponesi attaccarono Dutch Harbor e il vicino Fort Mears. Quel giorno, nello scalo si trovavano i due vecchi cacciatorpediniere King e Talbot, la nave appoggio idrovolanti Gillis, il sottomarino S-27, la motovedetta della Coast Guard Onondaga e i trasporti President Fillmore e Morlen. Alle 05.45, apparve una squadriglia composta da circa 12 caccia Zero che iniziarono a mitragliate le installazioni portuali e aeroportuali, contrastati dal violento fuoco dei pezzi antiaerei. Dopo avere effettuato una sola passata, nel corso della quale non riuscirono ad arrecare danni di rilievo, i caccia giapponesi si allontanarono per fare ritorno alle portaerei.
Alle 05.50 circa, comparvero nel cielo quattro bombardieri orizzontali giapponesi Nakajima B5N2 Kate che sganciarono 16 bombe da 250 chilogrammi, due delle quali caddero in acqua. Gli altri 14 ordigni centrarono però il bersaglio, devastando la congestionata e ben distinguibile area di Fort Mears, caratterizzata dalla presenza di numerosi baraccamenti e depositi dipinti di bianco. Nel corso dell'attacco, i giapponesi distrussero cinque rifugi e danneggiarono anche parecchi edifici alcuni dei quali andarono a fuoco. Circa 25 uomini rimasero uccisi ed altrettanti feriti. Una seconda sezione della squadriglia, composta da tre bombardieri Aichi D3A1, non riuscì a colpire Fort Mears, mentre una terza sezione, anche questa composta da tre aerei, danneggiò la stazione radio e demolì un bunker.
Il secondo stormo giapponese, composto da 15 caccia Zero e 13 bombardieri Nakajima B5N2, puntò contro le vecchie cisterne per il petrolio, non riuscendo però a centrarle. Le bombe uccisero un marinaio e un soldato. Nessuno dei caccia statunitensi Warhawk P40 decollati dalla non lontana base di Fort Glenn fece a tempo ad intercettare la formazione nipponica.
Nel corso degli attacchi giapponesi, tutte le mitragliere e i cannoni antiaerei delle navi ancorate in porto (ad eccezione di quelli della Morlen e del sommergibile S-27) si unirono alle batterie di terra, creando un intenso fuoco di sbarramento. In particolare, i pezzi della President Fillmore furono quelli a dare prova di maggiore precisione (poco tempo prima, in aggiunta all'armamento standard, sulla nave era stata montata una batteria aggiuntiva di cannoncini automatici da 37 mm.). Complessivamente, la President Fillmore disponeva di 22 tra mitragliere pesanti e cannoni contraerei. Dal canto loro, gli artiglieri del Gillis reclamarono l'abbattimento (non confermato) di due aerei giapponesi. Nel corso dell'azione nessuna nave statunitense venne colpita dalle bombe nemiche.
Il 4 Giugno, nonostante l'improvviso peggioramento delle condizioni climatiche, i Catalina presero il volo riuscendo ad agganciare la squadra navale nemica. Nel corso della manovra un idrovolante, avvicinatosi troppo alle navi giapponesi, venne danneggiato dal loro fuoco antiaereo.
Nel frattempo, proprio in conseguenza della non favorevole situazione meteo e del notevole abbassamento della visibilità, l'ammiraglio Kakuta comunicò agli ammiragli Ono e Omori di volere cancellare il programmato attacco contro l'isola di Adak, pur non rinunciando allo sbarco su Attu e Kiska. Pur essendo stato costretto a rallentare la sua andatura a causa del mare grosso e della nebbia, Kakuta decise di attaccare nuovamente Dutch Harbor, e verso le 16 del 4 giugno, le portaerei lanciarono contro la base una nuova ondata composta da 11 bombardieri Aichi D3A1, sei bombardieri Nakajima B5N2 e 15 caccia Zero.
Tra il primo e il secondo attacco giapponese la guarnigione americana aveva fatto a tempo a prepararsi per respingere il nemico. Il 206° Reggimento aveva infatti spostato suoi pezzi su posizioni migliori. Oltre a ciò, tutte le navi in rada erano state fatte allontanare.
Alle 17.40 Il posto di osservazione dell'Esercito di Fisherman's Point avvistò tre stormi di bombardieri nemici diretti su Dutch Harbor. E pochi minuti dopo, tutti i pezzi contraerei della base aprirono un violento fuoco di sbarramento. Nonostante la pronta reazione americana 10 caccia Zero mitragliarono a bassa quota la Stazione Aeronavale e 11
Un bombardiere americano

bombardieri Aichi D3A1, sbucati dalla coltre di nubi, effettuarono un riuscito attacco in picchiata contro diverse installazioni. I bombardieri in picchiata trasportavano ciascuno una grossa bomba da 500 chilogrammi. Gli ordigni vennero sganciati da breve distanza, tra i 1.000 e i 1.500 piedi, andando a colpire quattro nuove cisterne di carburante da 10.598 ettolitri. Anche la vicina cisterna nafta venne centrata e distrutta. Una vecchia nave stazionante nella base, la Northwestern venne colpita e andò a fuoco. I giapponesi piazzarono anche alcune bombe su un magazzino e un hangar vuoto.
Alle 18.21, altri tre bombardieri Nakajima B5N2 si avvicinarono da nord-est, ma le loro sei bombe da 250 chilogrammi caddero in mezzo al porto non arrecando alcun danno. L'attacco finale si verificò alle 18.25, quando altri cinque Nakajima B5N2, avvicinandosi ad alta quota da nord-ovest, sganciarono i loro ordigni nei pressi dell'area dei magazzini, non lontano dalle pendici meridionali del Monte Ballyhoo. Nove bombe da 250 chilogrammi andarono però a vuoto, ma la decima uccise un ufficiale e tre uomini addetti ad una mitragliera antiaerea da 20 mm della Marina. Al termine della giornata, gli americani contarono 42 soldati dell'Esercito, della Marina e del Corpo dei marine, più un civile, uccisi, ed oltre 50 feriti.
In concomitanza con il secondo bombardamento su Dutch Harbor, alcuni caccia giapponesi mitragliarono a bassa quota anche le installazioni di Fort Glenn, sull'isola di Umnak. Questa volta, alzatisi in volo per tempo, i caccia statunitensi P40 riuscirono ad abbattere due aerei avversari, costringendo i restanti sette, già a corto di carburante, a ritirarsi. A causa della nebbia, alcuni caccia Zero, non riuscirono a raggiungere le portaerei giapponesi, che avevano già invertito la rotta allontanandosi da Dutch Harbor, finendo in mare.
Dopo avere intercettato i disperati messaggi radio inviati dagli sfortunati piloti giapponesi, l'ammiraglio Theobald ordinò ai ricognitori di individuare la Ryujo e la Junyo. Nonostante le pessime condizioni meteo, i Catalina riuscirono ad avvistare le unità giapponesi a circa 200 miglia a sud-ovest di Umnak. A quel punto, il brigadiere generale William O. Butler, comandante del raggruppamento bombardieri, ordinò ai suoi B-26 di attaccare il nemico, ma a causa della scarsa visibilità e delle imprecise coordinate fornite dai ricognitori, gli aerei statunitensi non riuscirono ad agganciare e a colpire le portaerei nipponiche che ormai navigavano a tutta forza in direzione sud-ovest, cioè verso le loro basi. Nonostante il notevole stress al quale da due giorni erano sottoposti gli equipaggi degli idrovolanti da ricognizione, l'ammiraglio Theobald inviò tutti i Catalina disponibili (circa 14) e tutti i B-26 operativi all'inseguimento della squadra nipponica. E secondo il Comando statunitense, tra il 5 e il 6 di giugno, alcuni bombardieri B-26 riuscirono ad individuare e ad attaccare alcune unità nemiche. Temendo un ulteriore attacco contro Dutch Harbor, il 7 giugno Theobald chiese all'ammiraglio Nimitz l'invio nelle Aleutine di una portaerei (la Saratoga) e di un incrociatore: richiesta che venne però respinta in quanto in quei giorni quasi tutta la Flotta del Pacifico era impegnata nelle acque delle Midway. Per cercare di andare incontro alle richieste di Theobald, Nimitz autorizzò però l'invio a Dutch Harbor di diverse squadriglie di idrovolanti della Marina operative tra San Francisco e Seattle. E da parte sua, l'Esercito provvide ad inoltrare nelle Aleutine otto A-29 e quattro B-17 stanziati ad Edmonton in Alaska; mentre altri sei B-24 vennero stornati dai reparti presenti nella California settentrionale. Il rafforzamento della componente aerea a protezione della base di Dutch Harbor risultò tuttavia inutile in quanto, in data 8 maggio, le unità giapponesi che avevano partecipato agli sbarchi di Attu e Kiska e all'attacco a Dutch Harbor si erano ormai allontanate dall'arcipelago ed erano in procinto di raggiungere la base navale di Paramushiru nelle Curilii settentrionali.
__________________________________________


NOTE:

CONSISTENZA DELLA FLOTTA GIAPPONESE NELLE ALEUTINE
Incrociatori pesanti Takao (costruito 1932) e Maya: dislocamento 15.781 t; dimensioni 201,22 m x 20,72 x 63,70; velocità 34 nodi; armamento: 10 cannoni da 203 mm, 8 cannoni da 140 mm, fino a 66 mitragliere AA da 25 mm, 16 tubi lanciasiluri da 610 mm; equipaggio 773


Incrociatore leggero Abukuma: costruito 1925; dislocamento 5.570 t; dimensioni 162,98 m x 14,75 x 4,87; velocità 36 nodi; armamento: 7 cannoni da 140 mm; fino a 36 mitragliere AA da 25mm; 6 mitragliere leggere da 13mm AA; 8 tubi lanciasiluri da 610mm; equipaggio 438

Incrociatori leggeri Tama (costruito 1921) e Kiso (costruito 1921): dislocamento 5.832 t; dimensioni 162,15 m x 14,17 m x 4,6 m; velocità 36 nodi; armamento 7 cannoni da 140 mm; fino a 44 mitragliere AA da 25 mm; 6 mitragliere AA da 13mm; 8 tubi lanciasiluri da 610 mm; equipaggio 439


Portaerei giapponesi:

Ryujo: costruita nel 1931; dislocamento 12.732 tonnellate; dimensioni 180 m x 20,77 m x 7 m; velocità 29 nodi; armamento: 8 cannoni da 140, 4 mitragliere da 25mm, 24 mitragliere da 13mm, 38 aerei; equipaggio 924

Junyo: costruita nel 1942; dislocamento 26.949 tonnellate; dimensioni 219 m x 26,68 m x 8,14 m; velocità 25 nodi; armamento: 12 cannoni da 140 mm, fino a 76 mitragliatrici AA da 25 mm; 6 impianti lanciarazzi AA da 28 canne da 140 mm (a partire dal 1944), 53 aerei; equipaggio 1224


CONSISTENZA DELLA FLOTTA USA A DUTCH HARBOR
DD-242 USS King
Caccia appartenente alla classe "Clemson", dislocamento 1.190 tonnellate; velocità 35 nodi; armamento: 4 pezzi da 4"/50, 1 3"/23, 12 x 3 21" tubi lanciasiluri; equipaggio 149 uomini. L'unità venne costruita nel 1920 dai cantieri New York Ship Building Corp.

APD-7 USS Talbot (ex DD-114)
Cargo da alta velocità (ex classe "Wickes" caccia Destroyer);dislocamento 1.190 tonnellate; 26.000 cavalli; velocità 35 nodi; armamento 3 pezzi da 3"/50, 2 da 40mm, 5 da 20mm., equipaggio 149 uomini. Costruita a Cramp,Philadelphia nel 1918. Riclassificata come High-Speed Transport il 31 October 1942

CA-35 USS Indianapolis
Unità appartenente alla classe "Portland" Heavy Cruiser; dislocamento 12.411 tonnellate; 107,000 hp
velocità 32,5 nodi; armamento 3 pezzi da 3 8"/55, 8 da1 5"/25, 6 mitragliere da 40mm, 28 da 20mm, 8 da 12,7; 3 idrovolanti; equipaggio 1.121 uomini

CL-43 USS Nashville
Unità appartenente alla classe "Brooklyn" Light Cruiser; dislocamento 9.475-9.700 tonnellate / 12.242 tonnellate a pieno carico; 100,000 cavalli; velocità 33 nodi; armamento: 5 pezzi da3 6"/47, 4 da 2 5"/38, 4mitragliere da 40mm, 6 impianti binati da 40mm, 12 mitragliere da 20mm, 8 da 12,7, 2 idrovolanti; equipaggio 1.140-1.363 uomini. Costruita presso i New York Shipbuilding Co nel 1938

BIBLIOGRAFIA
Samuel Eliot Morison, History of United States Naval Operations in World War II, Volume 4, Coral Sea, Midway and Submarine Actions: May 1942 - August 1942, Boston: Little, Brown and Company, 1982
Le notizie geografiche sulle Isole Aleutine sono prese in parte da The New Encyclopedia Britannica, Micropaedia Volume 1 Chicago: Encyclopedia Britannica, Inc., 1990
Academic American Encyclopedia, Volume 1, Princeton: Arete Publishing Company, Inc., 1981
Stan Cohen, The Forgotten War, vol. 1, Missoula, Montana: Pictorial Histories Publishing Company, 1981
Norman Edward Rourke, War Comes to Alaska: The Dutch Harbor Attack, June 3-4, 1942
 
Da StoriaNetwork Numero 90- Aprile 2004




IL LIBRO DEL MESE - Settembre 1943: fucilazione in massa dei soldati
della divisione Acqui che non si arresero ai nazi. Un episodio oscuro

NUOVE VERITÀ SU CEFALONIA? CHI
FU IL RESPONSABILE DELL'ECCIDIO?

di ALESSANDRO FRIGERIO


A più di sessant'anni di distanza la strage della divisione Acqui nell'isola ionica di Cefalonia pesa come un macigno sulla memoria storica del nostro paese. Per decenni, lo sterminio dei nostri soldati è stato rubricato come la prima tra le stragi compiute dai soldati tedeschi nei confronti degli italiani. Ma di fatto Cefalonia non è mai entrata a pieno titolo nella memoria storica del nostro paese. La si è trascurata per opportunità politica, quando la guerra fredda rendeva necessario un blocco comune tra Italia e Germania contro il pericolo comunista.
La si è dimenticata, e volutamente se ne sono omessi gli aspetti penali, quando la rinascita dell'esercito della nuova repubblica federale tedesca rendeva diplomaticamente opportuno mettere a tacere i ricordi della seconda guerra mondiale. La si è ignorata nelle celebrazioni resistenziali perché la maggior parte degli uomini della divisione Acqui si oppose ai tedeschi nel nome del Re, di Badoglio, della Patria e dell'onore militare, tutta merce senza valore nella Repubblica nata sulle ceneri del fascismo.

Dopo una serie di velenosi processi in Italia nel corso degli anni Cinquanta, dove i
pochi reduci si scambiarono accuse reciproche di tradimento, ancora divisi tra chi riteneva opportuno arrendersi al nemico e chi invece scelse fin da subito di imbracciare le armi, dopo l'archiviazione di un procedimento giudiziario in Germania sul finire degli anni Sessanta, è da ascrivere ai presidenti Pertini e Ciampi, con le rispettive visite a Cefalonia nel 1980 e nel 2001, la restituzione del ricordo di quel massacro alla storia del paese.
Da allora, numerosi volumi di memorie e ricostruzioni ad opera di studiosi e giornalisti hanno vagliato meticolosamente la manciata di giorni intercorsi tra l'8 settembre 1943 e l'annientamento della Acqui, conclusosi le fucilazioni di massa dei prigionieri il giorno 24 settembre. Talvolta privilegiando il resoconto cronachistico, talaltra toccando i tasti della retorica patriottica. Decisamente in controtendenza è invece il volume che di seguito andiamo a raccontare, opera di Paolo Paoletti, profondo conoscitore dei crimini di guerra tedeschi e sagace indagatore di archivi italiani e tedeschi. In controtendenza perché è un pesante atto d'accusa nei confronti dei vertici militari della divisione, in particolare nei confronti del generale Antonio Gandin, fucilato con i suoi uomini e medaglia d'oro al valor militare nel 1948.

Il tema è scottante oggi come lo era sessant'anni fa. Perché in un paese povero di eroi la denuncia del comportamento di una medaglia al valor militare suscita sempre un certo imbarazzo. Imbarazzo che invece non conosce l'autore, il quale in trecentocinquanta pagina imbastisce (dando sfoggio in numerosi passaggi di un linguaggio invero più adeguato al pamphlet che al saggio storico) una durissima requisitoria contro un solo uomo, il generale Gandin, appunto.
Ma veniamo ai fatti. Il presidio militare italiano nell'isola di Cefalonia contava circa dodicimila uomini contro i duemila soldati della Wehrmacht. Un rapporto di forze, quindi, di 6 a 1. La notizia dell'armistizio con gli alleati, e l'ordine di resistere ad ogni atto ostile proveniente da qualsiasi direzione, venne diffusa nel tardo pomeriggio dell'8 settembre 1943. Il generale Gandin iniziò le trattative per la resa ai tedeschi la mattina del giorno seguente. Come molti soldati italiani era rimasto turbato dall'improvviso capovolgimento di fronte. A un cappellano militare disse: "Dovremmo improvvisamente rivolgere le armi contro delle truppe che, fino a ieri, si consideravano affratellate con le nostre nella medesima lotta e nei medesimi intenti? Sarebbe un'azione morale la nostra? Un gesto cavalleresco?".

Buon soldato nella guerra di Libia e durante la prima guerra mondiale, decorato in più occasioni, con lo scoppio della seconda guerra mondiale Gandin aveva coltivato ottimi rapporti
La Casetta Rossa: qui venne fucilato il generale Gandin

con i comandanti tedeschi. Ne parlava la lingua e da loro, sul fronte russo, aveva ottenuto anche una decorazione, la croce di ferro di prima classe. Ma ora, di fronte al ribaltamento delle alleanze, sul militare prese il sopravvento l'uomo d'onore e di conseguenza il dubbio su quale posizione tenere di fronte al precipitare degli eventi.
Secondo Paoletti l'unica linea guida del generale, fino a quando la situazione non precipitò con lo scatenarsi dell'attacco tedesco, sarà quella dell'accordo di resa con il nuovo nemico. E ciò nonostante l'ordine del Comando Supremo in Italia avesse dato disposizioni abbastanza precise: "Tutte le truppe di qualsiasi arma dovranno reagire immediatamente et energicamente et senza speciale ordine at ogni violenza armata germanica et della popolazione in modo da evitare di essere disarmati e sopraffatti! Non deve però esser presa iniziativa di atti ostili contro germanici". Tant'è che i comandanti di altre divisioni italiane dislocate nei Balcani reagirono all'armistizio senza aprire alcuna trattativa, semplicemente opponendosi agli attacchi tedeschi.

Fu così che a Cefalonia si assistette a cinque giorni di una estenuante trattativa intavolata da Gandin per ottenere una soluzione pacifica, ovvero una resa con l'onore delle armi. In pratica, l'intento era quello di cedere il presidio dell'isola alla Wehrmacht in cambio della disponibilità tedesca ad organizzare il rimpatrio degli uomini della Acqui, con armi e salmerie al seguito. Con il senno di poi, sembra un'ipotesi quantomeno stravagante. I tedeschi erano quasi privi di naviglio e il trasporto di una divisione avrebbe comportato un notevole dispendio di tempo e di energie organizzative. E tutto ciò proprio in uno dei momenti cruciali del conflitto.
Ma c'è di più. Se anche i tedeschi avessero acconsentito, dove avrebbero scaricato i nostri uomini? Nell'Italia liberata? Oppure nella parte della penisola sotto controllo tedesco? L'autore non manca di sottolineare con una punta di malcelato sarcasmo tutte queste incongruenze: "Gandin sopravvalutò le proprie capacità diplomatiche nella trattativa per arrivare a un possibile compromesso, che lui riteneva onorevole per le due parti, e che, nella sua incredibile ingenuità, avrebbe dovuto portarlo ad essere l'unico generale italiano ad essere accompagnato in patria dal nemico".

In tutta la vicenda Gandin commise numerosi errori. La mattina del 9 settembre ordinò alle truppe di ritirarsi dal nodo strategico di Kardakata, dal quale si controllava praticamente tutta l'isola. Da Kardakata si poteva tenere imbottigliato il nemico e impedirgli di raggiungere il centro principale dell'isola, Argostoli. Ma la scelta, chiarì il generale, era dettata da esigenze diplomatiche, non da necessità schiettamente militari.
L'intento era quello di indurre i tedeschi alla trattativa con un gesto che dimostrasse la nostra buona volontà e la totale assenza di intenti bellicosi. Il risultato fu pressoché nullo sotto il profilo dei negoziati e disastroso sotto l'aspetto squisitamente militare. In primo luogo perché i tedeschi, da parte loro, fin dalla mattina del 9 settembre, quando cioè Gandin cercò di dare il via alla prime trattative, non scartarono mai l'opzione militare. Secondariamente perché la cessione di Kardakata si sarebbe rivelata fondamentale sotto il profilo tattico durante la battaglia che sarebbe seguita nei giorni successivi.
Alcuni autori hanno fatto presente che la tattica dilatoria di Gandin doveva servire a tenere a bada i tedeschi con mezze promesse, in attesa dell'arrivo di ordini più chiari dal comando supremo o nell'attesa di significativi rinforzi dalla madrepatria o da parte alleata.

Per Paoletti, invece, il generale aveva scelto fin dall'inizio di non combattere contro gli ex alleati. E ciò, continua, potrebbe spiegare anche il suo voler giocare su tre tavoli diversi: quello della trattativa con i tedeschi, quello del dialogo non sempre chiaro con il Comando Supremo e, infine, quello con gli ufficiali e la truppa della Acqui.
La situazione prese a precipitare la mattina del 13 settembre. Una nostra batteria aprì il fuoco contro due motozattere tedesche che cercavano di entrare in porto per portare rinforzi. Una delle due affondò, l'altra alzò bandiera bianca. Morirono cinque soldati tedeschi. L'azione difensiva fu decisa sulla base di una direttiva dello stesso Gandin, il quale, il giorno precedente, aveva ordinato di "reprimere col fuoco qualsiasi ulteriore tentativo tedesco di alterare lo 'status quo' sull'isola durante le trattative".
Ciò nonostante i colloqui si trascinarono ancora. E ancora una volta nonostante non fosse giunta alcuna autorizzazione in tal senso da parte del comando supremo in Italia. I soldati della divisione Acqui, chiedeva Gandin al colonnello tedesco Hans Barge, dovevano poter tenere le proprie posizioni e lasciarle solo nel momento in cui avessero ottenuto dai tedeschi le necessarie assicurazioni sulle modalità d'imbarco.

Solo allora i soldati avrebbero consegnato le artiglierie, conservando però le armi leggere e quelle individuali. Ma la doccia fredda per il generale avvenne la notte tra il 13 e il
Il vallone S. Barbara dove i nazi uccisero 40 ufficiali della Acqui

14 settembre. Di fronte al tergiversare di Barge, che tuttavia offrì una parvenza di accordo per la cessione delle armi, Gandin scelse di rivolgersi direttamente alla truppa indicendo una sorta di referendum.
Le opzioni erano tre: combattere al fianco dei tedeschi, combattere contro di loro, arrendersi. Secondo Paoletti, più che un atto rivoluzionario di democrazia diretta all'interno di un esercito, il referendum fu "l'atto di un generale che non voleva rassegnarsi all'idea che i suoi soldati non capissero che l'onore imponeva di combattere a fianco dei camerati tedeschi". L'esito fu nettamente a favore della seconda opzione: combattere l'ex alleato.
Le negoziazioni intavolate con il colonnello Barge proseguirono ancora per tutta la giornata del 14, cioè anche dopo l'esito del referendum indetto tra gli uomini della Acqui. La dilazione faceva comodo anche ai tedeschi, che erano in netta inferiorità numerica e attendevano rinforzi. A questo punto però Gandin non poteva più esimersi dal far presente a Barge l'indisponibilità ad accettare la resa. Ma lo fece in modo subdolo, addossando la colpa ai suoi uomini, tramite una lettera che l'autore ha scovato nell'archivio militare tedesco e alla quale fino ad ora non si era prestata molta attenzione.

E' una missiva inviata da Gandin a Barge il 14 settembre e vi si legge quanto segue: "La divisione si rifiuta di eseguire il mio ordine di concentrarsi nella zona di Sami (il primo passo dell'accordo di cessione delle armi, n.d.a.), poiché essa teme, nonostante tutte le promesse tedesche, di essere disarmata o di essere lasciata sull'isola come preda per i Greci o ancora peggio di essere portata non in Italia ma sul continente greco per combattere contro i ribelli. Perciò gli accordi di ieri con lei non sono stati accettati dalla Divisione"
"La Divisione vuole rimanere nelle sue posizioni fino a quando non ottiene assicurazione, con garanzie che escludano ogni ambiguità [...] che essa possa mantenere le sue armi e le sue munizioni e che solo al momento dell'imbarco possa consegnare le artiglierie ai tedeschi. La divisione assicurerebbe, sul suo onore e con garanzie, che non impiegherebbe le sue armi contro i tedeschi. Se ciò non accadrà, la divisione preferirà combattere piuttosto di subire l'onta della cessione delle armi ed io, sia pur con dolore, rinuncerò definitivamente a trattare con la parte tedesca, rimanendo al vertice della mia divisione". L'ambiguità stava tutta nella prima frase: "La divisione si rifiuta di eseguire il mio ordine".

In pratica un generale italiano diceva a un colonnello tedesco - capo cioè di un esercito amico divenuto nemico nel giro di poche ore - che la sua truppa non rispondeva più al comando, che si era ammutinata. Scrive Paoletti con una punta di acredine: "Quella frase iniziale distruggeva l'eroica figura di Gandin e lo riduceva a uomo meschino, che forse vuole vendicarsi sui suoi uomini per l'infausto risultato del referendum. Un generale che prende le distanze dalla sua divisione proprio di fronte ai suoi amici tedeschi, ha capito di avere perso e cerca ormai di salvarsi la pelle oppure parla con la bocca di Mr. Hyde".
E quelle parole avrebbero avuto un notevole peso negli sviluppi successivi. Soprattutto perché nell'economia della trattativa si inserì anche Adolf Hitler in persona. Venuto a sapere della ribellione della divisione Acqui al suo generale, Hitler dispose che "a Cefalonia a causa del comportamento infame e proditorio tenuto dalla guarnigione italiana non deve essere fatto alcun prigioniero". Fu quella lettera di Gandin a suscitare nella mente di Hitler l'ordine di negare ai soldati italiani lo status di prigionieri di guerra? Fu quella lettera a far sì che ai nostri soldati venisse riservato un Sonderbehandlung, un trattamento speciale, cioè la fucilazione di massa a battaglia conclusa e a resa avvenuta?

Secondo Paoletti i soldati di Cefalonia non vennero massacrati perché si erano opposti con le armi ai tedeschi ma perché si erano ribellati agli ufficiali italiani. E Hitler, in uno dei suoi frequenti deliri punitivi, volle che fosse impartita una lezione esemplare. Quel che è
Il generale Antonio Gandin

certo è che quando la mattina del 15 settembre iniziò la battaglia, in seguito all'attacco aereo tedesco su Argostoli, le incertezze del comando italiano svanirono. Furono commessi altri errori strategici e tattici dopo quello del 9 settembre a Kardakata: attacchi portati solo alla luce del sole e mai con il favore delle tenebre, operazioni contro postazioni tedesche poco significative, scarsa propensione a capitalizzare con rapide avanzate i pochi successi ottenuti sul campo.
Ma la scelta di campo contro i tedeschi fu inequivocabile. E Gandin si schierò alla testa dei suoi uomini senza più incertezze. I combattimenti durarono fino al 22 di settembre, sotto il bombardamento degli Stukas e in totale assenza di una copertura aerea italiana o alleata. Firmata la resa, la divisione Acqui fu oggetto del "trattamento speciale" voluto da Hitler. Il massacro degli italiani - soldati semplici, sottufficiali e ufficiali, falciati contro i muri a secco da plotoni dai esecuzione oppure scaraventati in pozzi o burroni con un colpo alla nuca - durò fino al 24 settembre. Furono circa 5000 i prigionieri passati per le armi.

Gandin venne fucilato con altri ufficiali la mattina del 24 settembre nel cortile della Casetta Rossa, un edificio nei pressi di Punta San Teodoro.
Sarebbe però ingiusto, oltre che storicamente scorretto, scaricare sul generale Gandin le responsabilità dell'eccidio. Il suo comando non brillò per decisionismo (Paoletti parla invece apertamente di tradimento) ma nel suo atteggiamento di fronte ai tedeschi si può ravvisare la sintesi suprema dell'8 settembre, il dramma del repentino capovolgimento di un'alleanza, cioè una delle peggiori situazioni in cui possa incorrere un militare di carriera. L'8 settembre fu poi vissuto in modo assai più lacerante da tutti quei comandanti, come Gandin, che avevano interpretato sotto il segno della massima stima, prima ancora che della lealtà militare, l'alleanza con i tedeschi. E va quindi a onore di Gandin il rifiuto opposto alle reiterate offerte di Barge per fuggire a Berlino e ricostituire un nuovo esercito italiano al fianco della Wehrmacht.
Comunque sia, nel disastro della divisione Acqui andarono ad intrecciarsi numerose altre concause che in combinazione tra loro, e a più livelli, portarono al drammatico esito finale. Gli alleati vennero meno al dettato del cosiddetto documento di Quebec dell'agosto 1943, integrato nell'armistizio corto, dove si faceva cenno a un piano per trasportare le unità italiane nei Balcani verso il territorio nazionale.

Di fatto, non fu predisposto alcun serio tentativo di soccorso. E il nostro Comando Supremo non fece pressioni sugli alleati per il rispetto degli impegni assunti. Del resto, gli alleati diffidavano ancora di noi e non vollero mandare la nostra flotta, che si era consegnata a Malta, a difesa di Cefalonia e della vicina Corfù. A causa dell'ostilità dell'ammiragliato inglese, anche una missione di soccorso organizzata con due cacciatorpediniere dal contrammiraglio Giovanni Galati dovette fare dietrofront, proprio quando ormai era in vista dell'isola.
Abbandonati a sé stessi, per nulla supportati dagli stessi partigiani greci, che si defilarono dalla battaglia, gli uomini del presidio di Cefalonia si immolarono in un teatro di guerra a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane. Quel che resta del loro sacrificio è il frutto di episodi tragici, grotteschi, vili, talvolta miserevoli, ma anche di atti di sincero eroismo e di disperato orgoglio. Tutti assieme legati nello sciagurato spettacolo della rotta del nostro esercito dopo l'8 settembre.

BIBLIOGRAFIA
Paolo Paoletti, I traditi di Cefalonia. La vicenda della Divisione Acqui 1943-1944, Fratelli Frilli Editori, 2004, pp. 351, euro 19,50
(Le immagini sono tratte dal volume I traditi di Cefalonia e dal sito www.cefalonia.it)
 
f4f ha scritto:
hai trovato il gioco di Annibale?
è vecchio, ormai
ma sempre piacevole

sì ho il link ma non riesco a capire dove prendere la demo :-?
conosci qualche gioco ben fatto sulla seconda guerra mondiale?
io ho trovato per ora sudden strike e WW II online
 
Fleursdumal ha scritto:
f4f ha scritto:
hai trovato il gioco di Annibale?
è vecchio, ormai
ma sempre piacevole

sì ho il link ma non riesco a capire dove prendere la demo :-?
conosci qualche gioco ben fatto sulla seconda guerra mondiale?
io ho trovato per ora sudden strike e WW II online


sulla WWII conosco solo i giochi navali
carrier strike è l'unico che faccio girare ma ne ho altri
vecchia roba, alcuni in DOS, ma con dei bei motori dentro...
 

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