Schegge di storia militare

su cortese sollecitazione riapro il thread

http://www.centuryinter.net/midway/objective.html

CinCPac Operation Plan No. 29-42 directed Spruance and Admiral Frank Fletcher to "inflict maximum damage on the enemy by employing strong attrition tactics....In carrying out the task assigned....you will be governed by the principle of calculated risk, which you will interpret to mean the avoidance of exposure of your force to attack by superior enemy forces without prospect of inflicting, as a result of such exposure, greater damage to the enemy".

e una nota
secondo voi, tutto questo non ha niente a che fare col trading?
 
Di questi episodi confesso non conoscevo l'esistenza : roba da fronte russo.


Sicilia 1943, l' ordine di Patton: «Uccidete i prigionieri italiani»
di Gianluca Di Feo – “Corriere della Sera” 23 giugno 2004

I massacri dimenticati compiuti dai fanti americani tra il 12 e il 14 luglio.
«Il capitano Compton radunò gli italiani che si erano arresi. Saranno stati più di quaranta. Poi domandò: "Chi vuole partecipare all'esecuzione?".
Raccolse due dozzine di uomini e fecero fuoco tutti insieme sugli italiani». «Il sergente West portò la colonna di prigionieri italiani fuori dalla strada. Chiese un mitra e disse ai suoi: "E' meglio che non guardiate, così la responsabilità sarà soltanto mia". Poi li ammazzò tutti». E' una piccola Cefalonia: le vittime sono soldati italiani che avevano combattuto con determinazione. I carnefici non sono né delle SS né della Wehrmacht: sono fanti americani. Quella avvenuta in Sicilia tra il 12 e il 14 luglio 1943 è la pagina più nera della storia militare statunitense. Una pagina sulla quale gli storici negli Stati Uniti discutono da un lustro, mentre nel nostro Paese la vicenda è pressoché sconosciuta. Nelle università del Nord America ci sono corsi dedicati a questi eccidi, come quello tenuto a Montreal sul tema «Dal massacro di Biscari a Guantanamo». E negli Usa in queste settimane gli esperti di diritto militare valutano le responsabilità dei carcerieri di Abu Ghraib anche sulla base delle corti marziali che giudicarono i «fucilatori di italiani». Perché - come risulta dagli atti di quei processi - i soldati americani si difesero sostenendo di avere soltanto eseguito gli ordini di George Patton. «Ci era stato detto - dichiararono - che il generale non voleva prigionieri».

I fatti
Nessuno conosce il numero esatto di uomini dell'Asse uccisi dopo la resa. Almeno cinque gli episodi principali, con circa duecento morti. Di
due, quelli avvenuti nell'aeroporto di Biscari, nel Ragusano, si conosce ogni dettaglio. Nel massimo segreto, nell'autunno 43 la corte marziale Usa
celebrò due processi: il sergente Horace T. West ammazzò 37 italiani, il plotone d esecuzione del capitano John C. Compton almeno 36. Gli atti del
tribunale recitano: «Tutti i prigionieri erano disarmati e collaborativi». Altri due eccidi sono stati descritti da un testimone oculare, il giornalista britannico Alexander Clifford, in colloqui e lettere ora divulgate. Avvennero nell'aeroporto di Comiso, quello diventato famoso mezzo secolo dopo per gli euromissili della Nato. All'epoca era una base della Luftwaffe, contesa in una sanguinosa battaglia. Clifford disse che sessanta italiani, catturati in prima linea, vennero fatti scendere da un camion e massacrati con una mitragliatrice. Dopo pochi minuti, la stessa scena sarebbe stata ripetuta con un gruppo di tedeschi: sarebbero stati crivellati in cinquanta. Quando un colonnello, chiamato di corsa dal reporter, fermò il massacro, solo tre respiravano ancora. Clifford denunciò tutto a Patton, che gli promise di punire i colpevoli. Ma non ci fu mai un processo e il cronista si è rifiutato fino alla morte di deporre contro il generale. Infine l'ultima strage nella Saponeria Narbone-Garilli a Canicattì contro la popolazione che la stava saccheggiando. Secondo i resoconti stilati in quei giorni confusi del 43, la polizia militare Usa dopo avere intimato l'alt ed esploso dei colpi in aria, sparò una raffica sulla folla uccidendo sei persone. Ma i verbali scoperti nel 2002 dal professore Joseph Salemi della New York University - il cui padre fu testimone oculare dell'eccidio - riportano il racconto di alcuni dei soldati americani presenti: «Appena arrivati, il colonnello urlò di sparare sulla folla che era entrata nello stabilimento. Noi rimanemmo fermi, era un ordine agghiacciante. Allora lui impugnò la pistola ed esplose 21 colpi, cambiando caricatore tre volte. Morirono molti civili: vidi un bambino con lo stomaco sfondato dalle pallottole».

L'ordine
Ma gli atti dei processi per «i fatti di Biscari» accreditano la possibilità che le vittime siano state molte di più. Tutti i crimini sono stati opera della 45ma divisione di Patton, i «Thunderbirds»: reparti provenienti dalla Guardia nazionale di Oklahoma, New Mexico e Arizona. Vengono descritti come cow boy, con elementi d'origine pellerossa. Ma presero parte con coraggio ad alcune delle battaglie più dure del conflitto. Quello sulle coste siciliane fu il loro battesimo del fuoco: avevano l'ordine di conquistare entro 24 ore i tre aeroporti più vicini alla costa, strategici per trasferire dal Nord Africa gli stormi alleati. Invece la disperata resistenza di due divisioni italiane e di poche unità tedesche li fermò per quattro giorni. Molti G.I. persero il controllo dei nervi. Ed erano tutti convinti che il generale Patton avesse ordinato di non fare prigionieri. Decine di soldati, graduati ed ufficiali testimoniarono al processo: «Ci era stato detto che Patton non voleva prenderli vivi. Sulle navi che ci trasportavano in Sicilia, dagli altoparlanti ci è stato letto il discorso del generale. "Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! E finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!».

L'orrore
Il primo a scoprire e denunciare gli eccidi fu il cappellano della divisione, il colonnello William King. Alcuni soldati americani, sconvolti, lo chiamarono e gli indicarono la catasta dei corpi crivellati dal sergente West: «E' una follia - gli dissero -, stanno ammazzando tutti i prigionieri. Siamo venuti in guerra per combattere queste brutalità non per fare queste porcherie. Ci vergogniamo di quello che sta accadendo». King corre a cercare il comando del reggimento. Ma lungo la strada per l'aeroporto vede un recinto di pietra, probabilmente un ovile, pieno di italiani catturati. Recita il verbale del cappellano: «Quando mi sono avvicinato, il caporale di guardia mi ha salutato: "Padre, sei venuto per seppellirli?". "Cosa stai dicendo?", replicai io. Il caporale rispose: "Loro sono lì, io sono qui con il mio mitra Thompson, tu sei lì. E ci hanno detto di non fare prigionieri"». A quel punto King sale su un masso, chiama tutti gli americani presenti e improvvisa una predica per convincerli a risparmiare quegli uomini: «Non potete ucciderli, i prigionieri sono una fonte preziosa di notizie sul nemico. E poi i loro camerati potrebbero vendicarsi sui nostri che hanno preso. Non fatelo!». Altrettanto drammatica la testimonianza del capitano Robert Dean: «Venni fermato da due barellieri disarmati. Mi dissero: "Abbiamo due italiani feriti, mandate qualcuno ad ammazzarli". Io gli urlai di curare quei soldati, altrimenti gliela avrei fatta pagare"».

La condanna
Fu proprio la volontà del cappellano King a far nascere i due processi sui massacri di Biscari. King raccontò tutto all'ispettore dell'armata - figura simile ai nostri pubblici ministeri -, che fece rapporto a Omar Bradley. La corte marziale contro il sergente West si aprì a settembre. L'accusa: «Omicidio volontario premeditato, per avere ucciso con il suo mitra 37 prigionieri, deliberatamente e in piena coscienza, con un comportamento disdicevole». I fanti italiani - poco meno di 50 - erano stati catturati dopo un lungo combattimento in una caverna intorno all'aeroporto di Biscari. Il comandante li consegnò al sergente con un ordine ritenuto «vago» dai giudici: allontanarli dalla pista dove si sparava ancora. Nove testimoni hanno ricostruito l'eccidio. West mette gli italiani in colonna, dopo alcuni chilometri di marcia ne separa cinque o sei dal resto del gruppo. Poi si fa dare un mitra e conduce gli altri fuori dalla strada. Lì li ammazza, inseguendo quelli che tentano di scappare mentre cambia caricatore: uno dei corpi è stato trovato a 50 metri. Davanti alla corte, il sergente si difese invocando lo stress: «Sono stato quattro giorni in prima linea, senza mai dormire». Dichiarò di avere assistito all'uccisione di due americani catturati dai tedeschi, cosa che lo «aveva reso furioso in modo incontrollato». Il suo avvocato parlò di «infermità mentale temporanea». Infine, West disse ai giudici: «Avevamo l'ordine di prendere prigionieri solo in casi estremi». Ma la sua difesa non convinse la corte, che lo condannò all'ergastolo. La pena però non venne mai eseguita. Washington infatti era terrorizzata dalle possibili ripercussioni di quei massacri. Temeva il danno d'immagine sugli italiani - con cui era stato appena concluso l'armistizio - e il rischio di ritorsioni sugli alleati reclusi in Germania. Si decise di non mandare West in una prigione negli Usa ma di tenerlo agli arresti in una base del Nord Africa. Poi la sorella cominciò a scrivere al ministero e a sollecitare l'intervento del parlamentare della sua contea. Il vertice dell'esercito teme
che la vicenda possa finire sui giornali. Il 1° febbraio 1944 il capo delle pubbliche relazioni del ministero della Guerra sollecita al comando alleato
di Caserta un «atto di clemenza» per West: «Non possiamo - è il testo della lettera pubblicata da Stanley Hirshson nel 2002 - permettere che questa storia venga pubblicizzata: fornirebbe aiuto e sostegno al nemico. Non verrebbe capita dai cittadini che sono così lontani dalla violenza degli scontri». Così dopo solo sei mesi, West viene rilasciato e mandato al fronte. Secondo alcune fonti, morì a fine agosto in Bretagna. Secondo
altre, ha concluso la guerra indenne.

L'assoluzione
Invece il 23 ottobre 43 il capitano John C. Compton non cercò scuse: davanti alla corte marziale disse solo di avere obbedito agli ordini. Nel processo fu ricostruita la battaglia per la base di Biscari, combattuta per tutta la notte. C'era una postazione nascosta su una collina che continuava a bersagliare la pista. E una mischia feroce, con tiri di mitragliatrici e mortai, senza una linea del fronte. L'unità di Compton aveva avuto dodici caduti in poche ore. A un certo punto, un soldato statunitense vede un italiano in divisa e un altro in abiti «borghesi» che escono da una ridotta: sventolano una bandiera bianca. L'americano si avvicina e dalla trincea alzano le mani circa quaranta uomini. Cinque hanno giacche e maglie civili sopra i pantaloni e gli stivali militari. Il soldato li consegna al sergente ma arriva il capitano. Compton non perde tempo: dice di ucciderli. Molti dei suoi si offrono volontari: sparano in 24, esplodendo centinaia di pallottole sul mucchio degli italiani. Il numero esatto delle vittime resta incerto ma l'inchiesta si conclude con l'incriminazione del solo ufficiale per 36 omicidi, scagionando i suoi subordinati. E Compton in aula dichiara che l'ordine era quello, che doveva uccidere i nemici che continuavano a resistere a distanza ravvicinata. Inoltre precisa che quegli italiani erano «sniper», termine traducibile come «cecchini» o «franchi tiratori», e quindi andavano fucilati: una linea difensiva che sarebbe stata suggerita dallo stesso Patton. «Li ho fatti uccidere perché questo era l'ordine di Patton - concluse il capitano -. Giusto o sbagliato, l'ordine di un generale a tre stelle, con un esperienza di combattimento, mi basta. E io l'ho eseguito alla lettera». Tutti i testimoni - tra cui diversi colonnelli - confermarono le frasi di Patton, quel terribile «se si arrendono solo quando gli sei addosso, ammazzali». Alcuni riferirono anche che Patton aveva detto: «Più ne prendiamo, più cibo ci serve. Meglio farne a meno». Compton fu assolto. Il responsabile dell'inchiesta William R. Cook fu tentato di presentare appello: «Quell'assoluzione era così lontana dal senso americano della giustizia - scrisse - che un ordine del genere doveva apparire illegale in modo lampante». Ma nel frattempo Cook era caduto al fronte. Ironia della sorte, si crede che sia stato colpito da un cecchino mentre cercava di avvicinarsi a dei tedeschi con la bandiera bianca. La sua assoluzione è però diventato un caso giuridico, che ha cominciato a circolare tra il personale della giustizia militare statunitense dopo la fine della guerra. Un precedente «riservato» anche per evitare che influisca sui processi ai criminali di guerra nazisti. Poi nel '73 una traccia nei diari di Patton pubblicati da Martin Blumenson e nell'83 la prima descrizione completa nell'autobiografia del generale Omar Bradley. Oggi alcuni storici americani - assolutamente non sospettabili di revisionismo - ritengono che sulla base della sentenza Compton andavano assolte le SS fucilate per gli omicidi di prigionieri americani. E mentre negli Stati Uniti da 25 anni si pubblicano studi sul «massacro di Biscari» e le sue ripercussioni - il primo nel 1988 fu di James J. Weingartner, l'ultimo nel 2002 è stato di Hirshson - nel nostro Paese la vicenda è stata sostanzialmente ignorata. Vent'anni fa nel volume dello statunitense Carlo d'Este sullo sbarco in Sicilia, tradotto da Mondadori, la questione era relegata in un capoverso. Poi, ultimamente due introvabili scritti di storici siciliani e una pagina nel documentato volume di Alfio Caruso. Mai però un iniziativa per ricordare quei soldati, rimasti senza nome. Mentre persino Biscari non esiste più: oggi il paese si chiama Acate.

Gianluca Di Feo
 
le RAPPRESAGLIE


Delle rappresaglie contro le popolazioni civili (di cui si fece ampio uso durante la seconda guerra mondiale, soprattutto in Italia) facevano parte non solo il coprifuoco, il divieto di riunione, la limitazione negli spostamenti, la riduzione degli alimenti, l'imposizione di tributi in denaro o in natura, la confisca del bestiame, il lavoro forzato, l'evacuazione dei territori in cui s'erano verificate sommosse e la distruzione di quartieri, ma anche l'uccisione di ostaggi o di detenuti.

La convenzione dell'Aja non prevedeva alcuna norma che vietasse l'esecuzione sommaria di civili. Anzi, durante la conferenza del 1907, nessun ascolto trovò la proposta del delegato olandese che chiedeva che in territori occupati i catturati potessero essere uccisi solo a seguito di una regolare sentenza.

Le rappresaglie non erano considerate misure penali contro la popolazione civile, bensì atti di autodifesa per far valere il diritto e piegare la volontà della popolazione che abbracciava la causa del nemico.

Tutte le rappresaglie tuttavia dovevano mantenersi in un limite che bastasse a garantire l'ordine e non dovevano eccedere. Dovevano comunque essere prese come misure temporanee e non permanenti.

Secondo l'Art. 2 della convenzione di Ginevra del 1929 non potevano essere utilizzati per una rappresaglia né feriti né prigionieri di guerra e neppure personale sanitario.

Nel caso n.9 il tribunale di Norimberga confermò che "le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui esse si verificano possono essere giustificati: ciò "in quanto l'avversario colpevole si è a sua volta comportato in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata intrapresa allo scopo di impedire all'avversario di comportarsi illegalmente anche in futuro."

Con la fucilazione di ostaggi si poteva ottenere l'obbedienza degli abitanti di territori occupati ai sensi dell'Art. 42 della convenzione dell'Aja allorquando altre misure non fossero risultate sufficienti: "La popolazione ha l'obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività dannosa nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi".

Rappresaglie secondo il diritto internazionale, in particolare la fucilazione di ostaggi, secondo quanto stabilito dai tribunali per i crimini di guerra della seconda guerra mondiale, potevano essere effettuate in presenza di cinque condizioni:

1. Dopo attacchi contro la potenza occupante, laddove la rappresaglia si rendesse necessaria dal punto di vista militare. La rappresaglia serviva innanzi tutto per impedire ulteriori delitti commessi dall'avversario. L'ordine dell'alto comando dell'esercito di data 5 giugno 1941 imponeva "rappresaglie severe" quando esse si rendessero necessarie per la sicurezza della truppa che occupava il territorio.

2. Quando le ricerche degli autori di atti illeciti avessero dato esito negativo. Anche l'ordine "Barbarossa" (13 maggio 1941) contrario al diritto internazionale consentiva l'arresto collettivo di ostaggi "quando le circostanze non consentano una rapida individuazione degli autori di un fatto criminoso".

3. Che esse fossero ordinate da ufficiali superiori.

4. Che tenessero conto della proporzionalità. Nel citato caso n.9 il tribunale di Norimberga confermò che "misure di ritorsione, qualora consentite, debbono essere proporzionate al fatto illecito commesso". Questo è un punto di particolare importanza dal momento che si tratta di vite umane. Nel caso n.7, cioè nel processo a carico dei generali List, von Weichs e Rendulic tenutosi nel 1948, la proporzione accettata dal tribunale di Norimberga come equa era 10.1 vale a dire fucilazione di dieci ostaggi per ogni soldato tedesco ucciso da un atto terroristico.

5. Che la cerchia delle persone colpite dalla rappresaglia fosse in qualche modo in rapporto col reato commesso a danno delle forze occupanti. Che gli ostaggi o le persone destinate alla rappresaglia fossero tratte dalla cerchia della resistenza. Cosa questa che venne applicata anche dai tribunali postbellici francesi.

Per quanto riguarda i criteri di scelta degli ostaggi il diritto internazionale non fornisce chiarimenti. La scelta poteva essere effettuata con criteri di discrezionalità. Come mezzo coercitivo infatti le rappresaglie acquistavano forza particolare soprattutto quando venivano colpite persone innocenti. Nel caso n. 7 giudicato a Norimberga i giudici affermarono: "Il criterio discrezionale nella scelta può essere disapprovato ed essere spiacevole, ma non può essere condannato e considerato contrario alle norme del diritto internazionale. Deve tuttavia esserci una connessione fra la popolazione nel cui ambito vengono scelti gli ostaggi e il reato commesso" (quindi luogo dell'attentato o l'appartenenza a gruppi clandestini che compiono atti terroristici).

L'ordine del comando supremo dell'Est in data 16 settembre 1941 relativo ai movimenti insurrezionali nei territori occupati appariva già di per sé illegittimo dal momento che era una misura di ritorsione contro un determinata razza o un determinato gruppo senza tener conto delle particolari circostanze del caso.
Il diritto alla rappresaglia venne accolto anche alle forze britanniche nel paragrafo n.454 del "British Manual of Military Law". Le forze americane a loro volta prevedevano la rappresaglia nel paragrafo n. 358 dei "Rules of Land Warfare del 1940. Per le truppe francesi, l'allegato I alle istruzioni di servizio del 12 agosto 1936 consentiva all'Art.29 il diritto di prendere ostaggi nel caso in cui l'atteggiamento della popolazione fosse ostile agli occupanti, e il successivo Art. 32 prevedeva l'esecuzione sommaria degli stessi ostaggi se si verificavano attentati.


"Nel 1947 i magistrati militari britannici, nel processo a carico di Albert Kesserling, commentarono che nulla impediva che una persona innocente potesse essere uccisa a scopo di rappresaglia".
(F.J.P. Veale, Advance to barbarism (ed.The Mitre Press. Londra 1968) e dello stesso autore, Crimes discretely veiled (ed. IHR, Torrance, California,1979)

Nell'occupazione del territorio tedesco nel 1944 e 1945, anche gli alleati fecero riscorso a rappresaglie e catture di ostaggi in conformità alle disposizioni che erano in vigore nei loro paesi. Ecco alcuni esempi:

* A Stoccarda il generale francese Lattre de Tassigny minacciò l'uccisione di ostaggi tedeschi nel rapporto di 25:1 se fossero stati uccisi soldati francesi.
*A Marcktdorf erano previste fucilazioni di ostaggi nel rapporto di 30:1.
* A Reutlingen i francesi uccisero 4 ostaggi tedeschi affermando che era stato ucciso un motociclista che in realtà era rimasto vittima di un incidente.
* A Tuttlingen, i francesi annunciarono il 1° maggio 1945 che per ogni soldato ucciso sarebbero stati fucilati 50 ostaggi. (L'originale del manifesto appare nel libro di Spataro che citiamo sotto)

* Ad Harz le forze americane minacciarono di esecuzione punitive nel rapporto di 200:1.

* Quando il generale americano Rose, nel marzo del 1945, rimase vittima di una imboscata, gli americani fecero fucilare per rappresaglia 110 cittadini tedeschi. (In realtà Rose era stato ucciso in un normale combattimento, soldati contro soldati - e l'imboscata è pur sempre un atto di guerra se si portano le mostrine e la divisa).

* A Tambach, presso Coburg, in data 8 aprile 1945 il tenente americano Vincent C. Acunto fece fucilare 24 prigionieri di guerra tedeschi e 4 civili; accusato di omicidio venne assolto.

* A Berlino l'Armata Rossa che l'occupava minacciò fucilazione di ostaggi nel rapporto di 50:1. Il testo del comunicato era il seguente: "Chiunque effettui un attentato contro gli appartenenti alle truppe d'occupazione o commette attentati per motivi di inimicizia politica, provocherà la morte di 50 ex appartenenti al partito nazista". (Pubblicato sul quoridiano Verordnunsglatt di Berlino in data 1 luglio 1945).

* A Soldin, Neumark, i russi andarono al di là di questa cifra: furono fucilati 120 cittadini tedeschi perchè un maggiore russo era stato ucciso nottetempo da una guardia tedesca. (che poi risultò essere stato ucciso perchè il russo gli stuprò la moglie (Mario Spataro, Dal caso Priebke al nazi gold, Ed. 7° Sigillo, vol.2, Pag. 913).

* Una delle più gravi fu la strage di Annecy del 18 agosto 1944, in un campo di prigionieri tedeschi gestito da americani e francesi; proporzioni di 80:1.(ib)

* A Bengasi, gli inglesi di Montgomery contro gli italiani applicarono quella del 10:1. (Ib.)

Dopo quanto detto sopra, a molti verrà in mente il noto attentato di Via Rasella a Roma il 23 marzo 1944 e la tragica rappresaglia del 10:1 delle Fosse Ardeatine due giorni dopo, il 24-25 marzo.
Su questi fatti esiste un accuratissima ricostruzione nei due grossi volumi pubblicati nel 1999 da Mario Spataro, moltissimi i documenti, con una lunga serie di immagini, e i resoconti dei vari processi, fino all'ultimo quello di Priebke (il titolo lo abbiamo citato sopra).

Restando su questo argomento delle rappresaglie, prendiamo alcuni passi significativi che riporta Spataro nei dettagli citando alcuni passi di una vastissima bibliografia ufficiale.

"Secondo il diritto internazionale (Art. 1 della convenzione dell'Aia del 1907) un atto di guerra materialmente legittimo può essere compiuto solo dagli eserciti regolari ovvero da corpi volontari i quali rispondano a determinati requisiti, cioè abbiano alla loro testa una persona responsabile per i subordinati, abbiano un segno distintivo fisso riconoscibile a distanza e portino apertamente le armi. Ciò premesso, si può senz'altro affermare che l'attentato di Via Rasella, quale ne sia la sua materialità, è un atto illegittimo di guerra per essere stato compiuto da appartenenti a un corpo sì di volontari che però, nel marzo 1944, non rispondeva ad alcuno degli accennati requisiti. Stabilito che l'attentato di via Rasella costituì un atto illegittimo di guerra, occorre accertare, per le diverse conseguenze giuridiche che ne derivano, quale fosse la posizione degli attentatori nei confronti dello stato italiano in quel preciso momento (e del governo del Sud Badoglio, che aveva diramato l'ordine a tutti gli uomini della Resistenza di evitare di fare attentati nelle città, proprio per evitare quel tipo di prevedibili (e ripetiamo per il nemico legittime) rappresaglie che avrebbero coinvolto anche civili).

Tutti i partigiani, come detto, facevano parte di una organizzazione militare inquadrata nella giunta militare. Questa, alla stessa stregua del CLN si poneva come organo legittimo, almeno di fatto, dello Stato italiano. Questa interpretazione trova conferma nel fatto che lo Stato, solo successivamente, considerò come propri combattenti i partigiani che avessero combattuto contro i tedeschi". "Lo Stato italiano dichiarava non punibili (quindi tutti amnistiati) gli atti compiuti dai partigiani, con il decreto legge n. 96 del 5 aprile 1944) pochi giorni dopo via Rasella), e con il n. 194 del 12 aprile 1945; gli attentati li considerava quindi come legittimi.- Ora se veramente tutte le azioni commesse dai partigiani si fossero dovute classificare come atti legittimi di guerra, è fin troppo chiaro che nessun motivo ci sarebbe stato di promulgare questo provvedimento di amnistia." (ib.)

Si veda anche il processo "beffa di Franco" a Milano, sulle "diserzioni" (o "fuga dalle caserme") dell'8 settembre 1943; anche questo processo sollevò una questione di diritto non facilmente risolvibile, se non con un colpo di spugna generale; altrimenti tutti i "disertori" andavano puniti con le stesse pene (21 anni di reclusione) che si chiesero per Franco, cioè buona parte di tutta la nuova classe politica che varò la Costituente, il nuovo Parlamento, la Costituzione, la Repubblica italiana, il governo.

Altrettanto sarebbe accaduto se processavano i partigiani per aver commesso atti illegittimi; proviamo ad immaginare quanti (a parte i processi penali) se i responsabili delle azioni terroristiche e di cecchinaggio delle bande erano tenuti a risarcire per danni le famiglie delle loro vittime nonchè quelle delle vittime delle rappresaglie. Una causa civile per danni fu infatti promossa nel 1949. Invece fin dalle prime sentenze di primo e secondo grado della magistratura civile (9 giugno 1950 e 14 gennaio 1954) stabilirono (quindi retroattivamente) che in Via Rasella si era svolta una "azione di guerra" condotta da "legittimi belligeranti". "L'autorità giudiziaria non può quindi prendere in considerazione una richiesta di risarcimento per quella rappresaglia" concludeva la sentenza emessa dalla magistratura civile alla corte di cassazione il 9 maggio 1957. (Rappresaglia provocata dagli attentatori -si disse durante il dibattimento, pur sapendo che il nemico aveva il diritto di attuarla. Ndr.))

Chiariti questi concetti da una parte (in quella civile), si può esaminare la tesi della difesa in quell'altra (penale), degli esecutori della strage alle Ardeatine, secondo la quale le fucilazioni degli ostaggi costituirono una legittima rappresaglia. E per rappresaglia -si intende una via di fatto contro lo Stato che abbia commesso una violazione di diritto internazionale, posta in essere dallo Stato che abbia subito una occupazione. In questa situazione la rappresaglia può essere disposta, oltre che dall'autorità statale facultata nei rapporti internazionali, anche dal comandante supremo o dal comandante di grande unità.... Dall'accennato rapporto sussistente fra il movimento partigiano e lo Stato Italiano deriva che, in conseguenza dell'atto illegittimo di via Rasella, lo stato occupante aveva diritto di agire in via di rappresaglia.

Rappresaglie che non erano solo nell'ordine della legge internazionale, ma erano già state preannunciate, minacciate ed eseguite dai tedeschi con manifesti; che sembra nessuno abbia mai visto, ma però non è sparito il Messaggero di quel giorno che riportava l'avviso.

Nell'ambito di un dibattito etico, politico e storico la questione se l'attentato era veramente necessario farlo è una cosa, ma non assume rilevanza giuridica alcuna ai fini delle norme inserite nelle convenzioni citate sopra e accettate da tutti gli stati. Quindi la prevedibilità di una reazione tedesca era non solo scontata ma era giuridicamente legittimata.

La questione dei cinque (o sei) in più è tutt'altra questione. La famosa lista originale non è mai stata trovata. E alcuni dei fucilati (7) sono sempre rimasti ignoti.
Come del resto non si sa ancora quanti civili perirono nell'attentato (Anche se Il Messaggero del 28 marzo 1944, quattro giorni dopo l'attentato, già accennava a sette vittime civili) (Ib.)
 
grande
ho sentito in tv la recensione di un libro sulla economia del terrorismo
l'autrice (non ricordo nulla, nè titolo nè autore) argomentava che l'unica analisi possibile della violenza è tramite l'economia, in quanto 'oggettiva', perchè politicamente è troppo soggettivo definire se un movimento sia legittima resistenza o terrorismo.

interessante ricordare anche i dibattiti sorti negli anni 40 in Inghilterra relativi ai bombardamenti di civili

ciao Fleu
 
John Keegan? dovrei avere una sua storia sulla prima guerra mondiale , troppo anglocentrico per i miei gusti, dà più spazio alla spedizione britannica in mesopotamia che al fronte italo-austriaco, dimmi te :rolleyes:

sulla strategia alleata riguardo i bombardamenti possiamo parlarne
 
Fleursdumal ha scritto:
John Keegan? dovrei avere una sua storia sulla prima guerra mondiale , troppo anglocentrico per i miei gusti, dà più spazio alla spedizione britannica in mesopotamia che al fronte italo-austriaco, dimmi te :rolleyes:

sulla strategia alleata riguardo i bombardamenti possiamo parlarne
anglocentrico è anche poco
ma checcivuoifare, almeno sa quel che dice

sui bombardamneti - in senso politico-etico- hai qualcosa?
 
c'è un capitolo del libro di LiddleHart sulla ww2 dedicato ai bombardamenti alleati e ai dissidi sulle strategie da seguire tra gli inglesi e gli americani
 
....

f4f ha scritto:
il problema, a chi interessa, è:
ha sbagliato Nagumo? o era 'condannato dal destino'?
e se ha sbagliato, quale sbaglio ha fatto?

non poteva essere altrimenti.La potenza industriale permetteva agli USA di costruire una portaerei nel tempo in cui i giapu costruivano una corvetta.Se nn era a midway(dove certamente intervenne la fortuna dei giusti) sarebbe stato dopo.
Non si dimentichi l'enorme apporto di mezzi apportato sul territorio sovietico attraverso i mari del nord.

la frase famosa di Yamamoto dopo l'attacco a Pearl nel 41 (abbiamo destato un gigante assopito) rende l'idea di cosa era successo.
E per essere all'oggi l'11 Settembre rende l'idea
 

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