no ehhh
ci vorrebbero dei veri attributi virili e mano manfrine ladronesche della classe politica
Islanda, quando il popolo sconfigge l'economia globale
Islanda, quando il popolo sconfigge l'economia globale,,
di Andrea Degl'Innocenti.
L'hanno definita una 'rivoluzione silenziosa' quella che ha portatol'Islanda alla riappropriazione dei propri diritti. Sconfitti gli interessieconomici di Inghilterra ed Olanda e le pressioni dell'intero sistema finanziario internazionale, gli islandesi hanno nazionalizzato le banche e avviato
un processo di democrazia diretta e partecipata che ha portato astilare una nuova Costituzione. Oggi vogliamo raccontarvi una storia, il perché lo si capirà dopo.
Di quelle storie che nessuno racconta a gran voce, che vengono piuttosto sussurrate dibocca in orecchio, al massimo narrate davanti ad una tavola imbandita oinviate per e-mail ai propri amici.
È la storia di una delle nazioni più ricche al mondo, che ha affrontato la crisi peggiore mai piombata addosso adun paese industrializzato e ne è uscita nel migliore dei modi.
L'Islanda.
Già, proprio quel paese che in pochi sanno dove stia esattamente, noto alla cronaca per vulcani dai nomi impronunciabili che con i loro sbuffibianchi sono in grado di congelare il traffico aereo di un intero emisfero, ha dato il via ad un'eruzione ben più significativa, seppur molto meno conosciuta.
Un'esplosione democratica che terrorizza i poteri economici e le banche di tutto il mondo, che porta con se messaggi rivoluzionari:
di democrazia diretta, autodeterminazione finanziaria, annullamento del sistemadel debito.
Ma procediamo con ordine. L'Islanda è un'isola di sole di 320mila anime – ilpaese europeo meno popolato se si escludono i micro-stati – privo diesercito. Una città come Bari spalmata su un territorio vasto 100milachilometri quadrati, un terzo dell'intera Italia, situato un poco a suddell'immensa Groenlandia.
15 anni di crescita economica avevano fatto dell'Islanda uno dei paesi più ricchi del mondo. Ma su quali basi poggiava questa ricchezza? Il modello di 'neoliberismo puro' applicato nel paese che ne aveva consentito il rapido sviluppo avrebbe ben presto presentato il conto. Nel 2003 tutte le banche del paese erano state privatizzate completamente. Da allora esse avevano fatto di tutto per attirare gli investimenti stranieri, adottando la tecnica dei conti online, che riducevano al minimo i costi di gestione e permettevano di applicare tassi di interesse piuttosto alti.
IceSave, si chiamava il conto, una sorta del nostrano Conto Arancio. Moltissimi stranieri, soprattutto inglesi e olandesi vi avevano depositato i propri risparmi. Così, se da un lato crescevano gli investimenti, dall'altro aumentava
il debito estero delle stesse banche. Nel 2003 era pari al 200 per cento del prodotto interno lordo islandese, quattro anni dopo, nel 2007, era arrivatoal 900 per cento. A dare il colpo definitivo ci pensò la crisi dei mercatifinanziari del 2008.
Le tre principali banche del paese,
la Landsbanki, laKaupthing e la Glitnir, caddero in fallimento e vennero nazionalizzate; il crollo della corona sull'euro – che perse in breve l'85 per cento – non fece altro che decuplicare l'entità del loro debito insoluto. Alla fine dell'anno il paese venne dichiarato in bancarotta.
Il Primo Ministro conservatore Geir Haarde, alla guida della coalizione Social-Democratica che governava il paese, chiese l’aiuto del FondoMonetario Internazionale, che accordò all'Islanda un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, cui si aggiunsero altri 2 miliardi e mezzo da parte di alcuni Paesi nordici. Intanto, le proteste ed il malcontento della popolazione aumentavano.
A gennaio, un presidio prolungato davanti al parlamento portò alledimissioni del governo. Nel frattempo i potentati finanziari internazionali spingevano perché fossero adottate misure drastiche.
Il Fondo MonetarioInternazionale e l'Unione Europea proponevano allo stato islandese di farsi carico del debito insoluto delle banche, socializzandolo. Vale a direspalmandolo sulla popolazione. Era l'unico modo, a detta loro, per riuscirea rimborsare il debito ai creditori, in particolar modo a Olanda edInghilterra, che già si erano fatti carico di rimborsare i propri cittadini. Il nuovo governo, eletto con elezioni anticipate ad aprile 2009, era una
coalizione di sinistra che, pur condannando il modello neoliberista fin lì prevalente,
cedette da subito alle richieste della comunità economica internazionale: con una apposita manovra di salvataggio venne proposta larestituzione dei debiti attraverso il pagamento di 3 miliardi e mezzo dieuro complessivi, suddivisi fra tutte le famiglie islandesi lungo un periododi 15 anni e con un interesse del 5,5 per cento. Si trattava di circa 100 euro al mese a persona, che ogni cittadino dellanazione avrebbe dovuto pagare per 15 anni; un totale di 18mila euro a testa per risarcire un debito contratto da un privato nei confronti di altriprivati. Einars Már Gudmundsson, un romanziere islandese, ha recentemente affermato che quando avvenne il crack,
“gli utili [delle banche, ndr] sono stati privatizzati ma le perdite sono state nazionalizzate”. Per i cittadini d'Islanda era decisamente troppo. Fu qui che qualcosa si ruppe. E qualcos'altro invece si riaggiustò. Si ruppe l'idea che il debito fosse un'entità sovrana, in nome della quale erasacrificabile un'intera nazione. C
he i cittadini dovessero pagare per gli errori commessi da un manipoli di banchieri e finanzieri. Si riaggiustò d'un tratto il rapporto con le istituzioni, che di fronte alla protesta generalizzata decisero finalmente di stare dalla parte di coloro che erano tenuti a rappresentare.
Accadde che il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiutò diratificare la legge che faceva ricadere tutto il peso della crisi sulle spalle dei cittadini e indisse, su richiesta di questi ultimi, un referendum, di modo che questi si potessero esprimere. La comunità internazionale aumentò allora la propria pressione sullo statoislandese. Olanda ed Inghilterra minacciarono pesanti ritorsioni, arrivandoa paventare l'isolamento dell'Islanda. I grandi banchieri di queste duenazioni usarono il loro potere ricattare il popolo che si apprestava avotare. Nel caso in cui il referendum fosse passato, si diceva, verràimpedito ogni aiuto da parte del Fmi, bloccato il prestito precedentementeconcesso. Il governo inglese arrivò a dichiarare che avrebbe adottato control'Islanda le classiche misure antiterrorismo: il congelamento dei risparmi edei conti in banca degli islandesi. “Ci è stato detto che se rifiutiamo lecondizioni, saremo la Cuba del nord – ha continuato Grímsson nell'intervista- ma se accettiamo, saremo l’Haiti del nord”. A marzo 2010, il referendum venne stravinto, con il 93 per cento dellepreferenze, da chi sosteneva che il debito non dovesse essere pagato daicittadini. Le ritorsioni non si fecero attendere: il Fmi congelòimmediatamente il prestito concesso. Ma la rivoluzione non si fermò. Nelfrattempo, infatti, il governo – incalzato dalla folla inferocita – si eramosso per indagare le responsabilità civili e penali del crollo finanziario.L'Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidentedella Kaupthing, Sigurdur Einarsson. Gli altri banchieri implicati nellavicenda abbandonarono in fretta l'Islanda. In questo clima concitato si decise di creare ex novo una costituzioneislandese, che sottraesse il paese allo strapotere dei banchieriinternazionali e del denaro virtuale. Quella vecchia risaliva a quando ilpaese aveva ottenuto l'indipendenza dalla Danimarca, ed era praticamenteidentica a quella danese eccezion fatta per degli aggiustamenti marginali(come inserire la parola 'presidente' al posto di 're'). Per la nuova carta si scelse un metodo innovativo. Venne eletta un'assembleacostituente composta da 25 cittadini. Questi furono scelti, tramite regolarielezioni, da una base di 522 che avevano presentato la candidatura. Percandidarsi era necessario essere maggiorenni, avere l'appoggio di almeno 30persone ed essere liberi dalla tessera di un qualsiasi partito. Ma la vera novità è stato il modo in cui è stata redatta la magna charta."Io credo - ha detto Thorvaldur Gylfason, un membro del Consigliocostituente - che questa sia la prima volta in cui una costituzione vieneabbozzata principalmente in Internet". Chiunque poteva seguire i progressi della costituzione davanti ai propriocchi. Le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online echiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte.Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno postein stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. La costituzione scaturitada questo processo partecipato di democrazia diretta verrà sottoposta alvaglio del parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni. Ed eccoci così arrivati ad oggi. Con l'Islanda che si sta riprendendo dallaterribile crisi economica e lo sta facendo in modo del tutto opposto aquello che viene generalmente propagandato come inevitabile. Nientesalvataggi da parte di Bce o Fmi, niente cessione della propria sovranità anazioni straniere, ma piuttosto un percorso di riappropriazione dei dirittie della partecipazione. Lo sappiano i cittadini greci, cui è stato detto che la svendita del settorepubblico era l'unica soluzione. E lo tengano a mente anche quelliportoghesi, spagnoli ed italiani. In Islanda è stato riaffermato unprincipio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare lesorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesainternazionale. Per questo nessuno racconta a gran voce la storia islandese.Cosa accadrebbe se lo scoprissero tutti?
da ilcambiamento.it
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