MARKET REPORT
JC Investimenti: Mercati azionari, previsioni per il 2005
di JC & Associati , 07.01.2005 12:49
Intervento a cura di JC Associati.
Il 2004 è stato contraddistinto da una crescita globale poderosa. Il Fondo Monetario Internazionale oltre un mese fa aveva già previsioni per una crescita media di poco inferiore al 5%. Il 2004 è da considerarsi perciò una specie di anno record. I motivi?
A nostro avviso questa crescita proviene soprattutto da paesi considerati ancora, in molti casi a torto, “emergenti”. Molti di questi paesi come Singapore, Hong Kong, Corea, Brasile e parte dell’Europa dell’Est, hanno da un lato realizzato un notevole processo di democratizzazione (che di fatto ha permesso equilibri più sani internamente), dall’altro hanno costruito un solido sistema di garanzie per gli investitori internazionali. Questi paesi, più i grandi outsiders India e Cina, oltre a crescere internamente, hanno permesso a paesi maggiormente industrializzati (attraverso il sempre più diffuso processo di outsourcing) di contenere i costi di produzione, nonostante il rincaro delle materie prime.
Il loro impatto sulla crescita globale del 2004 è stato perciò sia diretto che indiretto e promette di continuare nei prossimi anni, grazie anche all’inclusione di altri paesi come l’Indonesia, la Tailandia o la stessa Argentina che partendo da posizioni più arretrate in molti campi, hanno notevole spazio di recupero, con benefici per tutti.
Paradossalmente gli indici azionari dei paesi industrializzati sono quelli che nel 2004 hanno sofferto di più, prigionieri dei timori di una crescita economica poco sostenibile.
Inoltre in diversi momenti dell’anno ci sono state variabili che hanno impattato negativamente sulla fiducia degli investitori, specie quelli occidentali.
Ai timori geo-politici della prima parte dell’anno si sono uniti il prezzo del petrolio, le elezioni americane e infine le tensioni valutarie con il dollaro sempre più debole.
Alla fine le performances dei principali indici azionari non sono state poi male, ma con una componente maggiore di fiducia avrebbero potuto essere migliori.
Il 2005 comincia a nostro avviso sotto auspici migliori rispetto al 2004.
Ci sono cioè diversi elementi che fanno propendere per una performance almeno discreta dei mercati azionari.
Innanzitutto la liquidità degli investitori e, la mancanza
di investimenti alternativi.
Chi come noi che crede nel “total return” e nel “valore assoluto”, aborrisce l’idea di comprare qualcosa solo perché le alternative sono più care, ma in questo caso la situazione ci sembra al limite.
I tassi sono relativamente bassi ovunque, con rendimenti reali (al netto dell’ inflazione) poco interessanti. Le obbligazioni governative e ancora di più quelle Corporate in termini di rischio/rendimento sono un’alternativa assai poco eccitante. Il mercato immobiliare è vicino ai massimi quasi ovunque, con il rischio più di un ribasso che di un ulteriore rialzo.
Importante inoltre è la ristrutturazione aziendale degli ultimi anni.
Le aziende a livello micro hanno migliorato molto i fondamentali, attraverso una riduzione del capitale investito e sovente della capacità produttiva, la razionalizzazione dei costi e l’aumento della produttività.
L’attività di merger and acquisitions (M & A) promette nel 2005 di superare addirittura quella del 2004. Importante sottolineare che a differenza del passato oggi le acquisizioni tendono a creare valore per gli azionisti più che a distruggerlo. Le aziende che vendono tendono a dismettere assets non core, che invece creano maggiori economie di scala per chi compra. Inoltre le transazioni avvengono quasi sempre a valori di equilibrio.
Le valutazioni aziendali non sono care a livello reddituale quasi in nessuna area geografica. Ad esempio l’S&P, se togliamo le aziende tecnologiche (meno care oggi rispetto al passato), presenta attualmente multipli storicamente molto interessanti. Persino in Giappone a livello di singola azienda oggi la situazione è più sana rispetto al passato. Gran parte delle partecipazioni incrociate sono state cedute e le aziende sono piene di cassa.
I nuovi standards contabili come gli Ias sono a nostro avviso importanti e positivi perché tra le varie novità, i valori patrimoniali delle aziende non saranno più iscritti in bilancio a costo storico ma a prezzi di mercato, garantendo maggiormente gli azionisti di minoranza.
Infine le variabili di mercato “classiche”, che all’eccezione della debolezza del dollaro sembrano maggiormente controllabili.
In politica la seconda amministrazione Bush negli Stati Uniti dovrebbe fare meglio della prima. Bush ha promesso di ridurre il deficit primario, principalefonte di preoccupazione sui macro americani. Il deficit commerciale invece si risolverà a nostro avviso solo nel momento in cui la Cina e gli altri paesi asiatici (soprattutto quelli ancorati al dollaro) rivaluteranno le loro divise, decisione squisitamente politica che la Cina affronterà solo quando sarà pronta e il livello del dollaro sarà a livelli insostenibili per l’Europa.
Un processo equilibrato di “refiscalizzazione” potrebbe ridurre il deficit primario statunitense senza intaccare la solidità della crescita americana, sulla quale noi europei siamo molto più scettici di quanto non lo siano gli stessi americani. Altre due decisioni molto attese sono la cosiddetta “tort reform” che limiterà le richieste di danni collettive (es. amianto e tabacco) e la riforma della social security. Entrambe dovrebbero essere positive per il mercato azionario. Infine, non si può non considerare che statisticamente dopo l’elezione del presidente negli Stati Uniti, come in molti casi in passato anche questa volta sembra essersi verificata la classica “luna di miele”, che può durare fino alla fine del primo trimestre/semestre dell’anno successivo. Dovremmo avere perciò ancora 3/6 mesi positivi, a meno che non ci sia un peggioramento della situazione in Irak pre o post elezioni.
Il rischio Geo-politico sembra finalmente controllabile. Le elezioni in Irak come già sottolineato e in Ucraina, altra area geografica che ci preoccupa (ci preoccupano le reazioni della Russia se come probabile dovesse prevalere l’opposizione filo-occidentale), sono al momento le variabili da monitorare più attentamente.
I rischi maggiori nei prossimi mesi possono quindi venire soprattutto da un peggioramento della situazione in Irak, da un nuovo rialzo del petrolio, da un eccessivo rallentamento della Cina e da un crollo del dollaro.
La Cina però ci sembra solida, perché i suoi policy makers si sono dimostrati molto accorti nell’eliminare i principali squilibri e soprattutto capaci di pilotare la crescita. In molti settori compreso quello bancario è stata fatta pulizia, rendendo improbabili insolvenze di grandi dimensioni che possano causare un crollo di fiducia da parte degli investitori internazionali.
Della crescita americana abbiamo già parlato. Ovviamente se le cose andassero diversamendel deficit e/o di un tasso di disoccupazione sopra le attese, allora tutto il discorso fatto andrebbe completamente rivisto.
Infine il capitolo dollaro. La sua debolezza è causata dai cosiddetti “deficit gemelli” e dall’apparente interesse dell’amministrazione americana a crescere anche attraverso una svalutazione della moneta. Il problema è che in termini di interscambio commerciale lo squilibrio americano è soprattutto verso l’Asia, non contro l’Europa che sta di fatto sostenendo il calo del dollaro.
Noi reputiamo il dollaro sottovalutato in termini fondamentali, sia per la “parità del potere d’acquisto” che per il differenziale dei tassi a breve che sta tornando nettamente a suo favore. La componente speculativa è però troppo alta e a breve solo un intervento concertato delle Banche Centrali, oppure una rivalutazione delle valute asiatiche può riportare positività sul dollaro. Una discesa del dollaro intorno a 1,4/ 1,42 contro euro sarebbe ancora accettata dal mercato. Oltre temiamo si possa verificare un effetto fuga sugli assets americani da parte degli investitori internazionali, con un effetto negativo sui listini azionari.
Passando alla country allocation, prevediamo un maggiore equilibrio tra le diverse aree geografiche. In termini di rischio/rendimento dopo le performances degli indici “emergenti” degli ultimi anni, forse conviene tornare a puntare sui mercati più industrializzati, con un occhio al Giappone che ha sottoperformato anche negli ultimi trimestri e alla Corea che presenta valutazioni ancora molto sacrificate.
Il Far East continua ad essere un’area “safe”, sia per la crescita che per le valutazioni. Da evitare, ma solo nel breve termine, le regioni più colpite dal recente cataclisma e in particolare quelle maggiormente dipendenti dal turismo, come la Tailandia.
Infine le Olimpiadi di Pechino del 2008 dovrebbero essere un ulteriore boost per tutta l’area, oltre che per la stessa Cina che con l’India rimane il paese dove nei prossimi anni prevediamo le performances più significative.
Per l’investitore in euro infine la tanto attesa e auspicata rivalutazione delle valute asiatiche potrebbe essere una variabile di grande interesse, anche se difficile da inquadrare in termini di timing.
L’Europa dovrebbe continuare a performare meglio degli Stati Uniti grazie a valutazionite da come preventivato, a causa di un allargamentoin media molto più basse, soprattutto sul patrimonio.
Inoltre in diversi settori dovrebbe proseguire il processo di consolidamento già in atto.
In quest’ottica dovrebbe continuare a trarne beneficio anche l’Italia, che pur essendo l’area nell’Euro forse più debole in termini di crescita prospettica, in alcuni settori offre opportunità di investimento interessanti.
Il fenomeno di globalizzazione visto soprattutto in termini di movimento di flussi, potrebbe quindi penalizzare in termini relativi ancora gli Stati Uniti, la cui capitalizzazione su Pil è ancora tra le più alte (insieme a Svizzera e UK).
Tra i settori potrebbero sovraperformare ancora quelli legati alle materie prime, che a nostro avviso sono al momento in una fase di rintracciamento/consolidamento di un bull trend decennale.
I petroliferi e l’industria di base almeno per 2/4 anni dovrebbero continuare a crescere in modo sostenuto. La riduzione della capacità degli anni ’90 ha generato notevoli squilibri, evidenziati attualmente dalla maggiore domanda proveniente dai mercati emergenti. Nonostante sia in atto un processo di ricostituzione dell’offerta riteniamo ci vorranno ancora alcuni anni per tornare in equilibrio.
Infine i telefonici, che con l’arrivo dell’UMTS potrebbero consolidare non più a livello regionale ma addirittura globale. Le valutazioni e il dividend yield del settore, in termini di rischio/rendimento ci sembrano ancora molto interessanti.
Le piccole e medie capitalizzazioni benché più rischiose delle grandi, dovrebbero anche nel 2005 performare meglio, così come vediamo meglio il Value rispetto al Growth, soprattutto nei mercati occidentali dove difficilmente potremo scontare tassi di crescita pari a quelli passati.
Concludendo, nonostante il mercato sconti per il 2005 una crescita minore rispetto al 2004, a parità di condizioni geo-politiche siamo moderatamente ottimisti sui listini azionari, ipotizzandone un rialzo medio tra il 5 e il 10%.
La performance finale potrebbe non essere dissimile dal 2004, almeno per i mercati industrializzati.
Maggiore selettività è probabile tra i mercati emergenti, con performances molto dissimili da paese a paese.
Infine la volatilità, che dovrebbe mantenersi alta a breve termine (giornaliera e settimanale) ma continuare a ridursi su periodi piùlunghi (mensile, annuale). Potremmo perciò assistere a lunghi periodi di trading range con tentativi di rotture sia al rialzo che al ribasso. Alla fine però il segno finale dovrebbe essere positivo.