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Gli ambientalisti 100 ne inventano, ma ce ne fosse una reale .

Non è vero che le api, soprattutto quelle da miele, sono in via d’estinzione.

Anzi, forse ce ne sono persino troppe, al punto da affollare l’ecosistema a discapito di altri tipi di impollinatori.

Trattate quasi come animali domestici, tanto che il New York Times le paragona nientemeno che alle mucche!

Insomma, si corre il rischio di un conflitto tra insetti.

“La cosa migliore che si potrebbe fare per le api mellifere in questo momento?
È di non dedicarsi all’apicoltura e lasciarle perdere”,


Il punto è che c’è una convinzione diffusa quanto radicata
che la popolazione globale delle api mellifere “sia diminuita pericolosamente”
,
almeno nell’ultimo decennio, ciò che ha prodotto “un boom dell’apicoltura”,
specie tra aziende “desiderose di dimostrare una propensione verde e ambientalista”.

Il timore della loro estinzione dura da decenni,
ma tutto ha inizio nell’autunno 2006 quando un apicoltore americano di nome Dave Hackenberg
ha controllato i suoi 400 alveari e ha scoperto che la maggior parte delle api operaie era scomparsa.

Altri hanno subito lamentato di aver perso oltre il 90% degli alveari.

L e cause?
Gli esperti tendono ad addossare la colpa ai pesticidi, a una riduzione dell’habitat e al cambiamento climatico.

Da lì è partita la grande campagna in favore delle api al grido “salviamole”.

E per controbilanciare il rischio di una loro estinzione o di una sensibile riduzione,
molte persone si sono sentite in dovere di prendere o “affittare un alveare”.

Morale?
“Ora ci sono più api mellifere sul pianeta di quante ce ne siano mai state nella storia umana”
,
dichiara Scott Hoffman Black, direttore esecutivo della Xerces Society for Invertebrate Conservation a Portland nell’Oregon.

Tant’è che, stando ai dati dell’Organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura,
il numero di alveari in tutto il mondo è aumentato di quasi il 26% nell’ultimo decennio,
“passando da 81 milioni a 102 milioni”.

Ma nessuno è disposto a convincersi che sia così mentre persiste la narrativa dell’estinzione.

Il punto è che c’è confusione all’origine,
in merito a quale sia davvero il tipo di ape che ha effettivamente bisogno d’esser salvata
.

Scrive il quotidiano che “ci sono più di 20.000 specie di api selvatiche nel mondo
e la maggior parte delle persone non si rendono conto che sia così”.

E solo per il fatto che non producono miele e sono quasi invisibili,
vivendo per lo più tra i nidi e nelle cavità del terreno o dei tronchi d’albero.

Pur tuttavia sono anch’esse “indispensabili impollinatori di piante, fiori e colture”.

Chiosa il New York Times:
“Chiedere alle persone di ridurre il proprio entusiasmo per le api non è affatto facile.
Nel mondo degli insetti sono delle celebrità, fonte di fascino,
per la loro struttura sociale straordinariamente efficiente
e vengono citate in quasi tutte le religioni del mondo” come le api operaie.

“L’articolo del New York Times è molto bello”, dice Costanza Geppert,
ricercatrice della materia presso il Dafnae dell’Università di Padova,

“finalmente qualcuno che dice chiaro e tondo come stanno le cose…”.
 
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E' stata pubblicata questa merda.
 
Siamo nei guai.

Sul fronte sud, la gestione – già complicatissima – dei flussi di immigrati irregolari (clandestini)
in arrivo dalla Tunisia e dalla Libia sta sfuggendo di mano.

Sono in troppi a sbarcare e non ce la possiamo fare a prenderli tutti.

I numeri degli arrivi di questa settimana sono drammatici.

L’11 settembre ne sono sbarcati 2.073 contro i 249 dello stesso giorno dello scorso anno;
il 12 settembre ne sono arrivati 5.018;
il 13 settembre 1.050;
ieri 135,
per un totale di 125.928 sbarcati dall’inizio dell’anno.

Negli ultimi giorni è stato riscontrato un salto di qualità in negativo nella gestione dei flussi in entrata:
gli ultimi arrivati hanno avuto atteggiamenti violenti nei confronti delle Forze dell’ordine,
incaricate di assicurare la sicurezza sull’isola di Lampedusa.

Di questo passo il sistema-Italia va a picco.
La recente impennata degli sbarchi ha dei responsabili
che hanno nome e cognome.
Stanno in Europa, e non sono pochi quelli che dall’Italia
lavorano sottotraccia contro il loro Paese
pur di mettere in difficoltà il Governo di centrodestra.
 
Purtroppo, l’Europa unita è quella roba andata in scena ieri l’altro:

mentre a Lampedusa si consumava il dramma dello sbarco in un solo giorno
di un numero di clandestini pari a quello dell’intera popolazione residente sull’isola,

il Governo francese, volendo bloccare il transito di migranti dal Sud,
ha ordinato di blindare il confine con l’Italia tra Mentone e Ventimiglia;

in simultanea,

il Governo tedesco ha comunicato l’intenzione di sospendere i trasferimenti, previsti dalla Convenzione di Dublino,
in corso dal nostro Paese verso la Germania.
 
Intanto, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen,
nel discorso sullo stato dell’Unione dedicava all’argomento immigrazione poche righe, lunari,
nelle quali, contemplando una realtà che non esiste,
è giunta a compiacersi di voler proporre all’Unione africana un nuovo approccio strategico al fenomeno migratorio,
non subito ma quando si terrà il prossimo vertice Ue-Unione africana (Ua).

E quando, di grazia, si terrà il prossimo vertice Europa-Africa?

Domani, dopodomani, tra una settimana?

Il precipitare della situazione in Italia imporrebbe la somma urgenza
nel programmare l’incontro.

Invece no, il summit si terrà a data da destinarsi.
 
Poi, la ciliegina sulla torta di giornata:

nel mentre la signora Ursula sciorinava la sua ricetta dei sogni,

la commissaria agli Affari interni della Ue, la svedese Ylva Johansson
– competente sulle questioni migratorie –
se ne stava tranquilla, assisa tra i banchi dell’Europarlamento,
ad ascoltare il suo capo sferruzzando a maglia
come una qualsiasi anziana pensionata
impegnata ad ammazzare il tempo con la magia dei suoi uncinetti
.

Sarà il suo un modo originale per combattere lo stress,
ma la rappresentazione allegorica della “strafottenza” per il dramma italiano, trasmessa dalla commissaria Johansson in mondovisione, è stata devastante.
 
L’esperto di esteri non ha peli sulla lingua.

L’accusa che rivolge agli esponenti del Partito Democratico a Strasburgo è gravissima:

tramano per boicottare il Memorandum d’intesa,
stipulato tra il Governo tunisino e l’Unione europea
.

L’accordo prevede che da Bruxelles parta uno stanziamento di risorse finanziarie
per aiutare il Paese nordafricano a uscire dalla crisi economica che lo sta affossando.

L’impegno era a versare, immediatamente dopo la firma del Memorandum avvenuta il 16 luglio scorso,
150 milioni di euro a Tunisi, senza condizionalità.

Di questi, 105 da destinare al rafforzamento dei controlli delle frontiere marittime
per ridurre i flussi migratori verso l’Europa e in primis verso l’Italia.

Peccato, però, che al momento Bruxelles non abbia scucito un euro.

E per quale motivo non l’ha fatto?
I tunisini sono in ritardo con la compilazione dei formulari propedeutici all’erogazione del contributo.

Motivazione a dir poco balorda.
 
La realtà, invece, racconta di una sinistra colta ad armeggiare sottobanco
per ritardare, ancor meglio stoppare, il finanziamento
.

Si citano le parole del capodelegazione del Pd a Strasburgo, Brando Benifei,
che ha definito il Memorandum d’intesa Tunisia-Ue:

L’ennesimo tentativo inutile di esternalizzare il controllo delle frontiere europee
con grandi rischi per i diritti umani
”.


E come se non bastasse, il capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, Carlo Fidanza,
ha accusato i rappresentanti della sinistra di essere intervenuti più volte a intimare alla signora Ursula von der Leyen
di non dare seguito al patto stretto con la Tunisia.


Roba da Sant’Uffizio.
 

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