“In un modo o nell’altro il 30 giugno 2024 potrebbe essere ricordato come il giorno in cui i francesi, consapevolmente o meno, hanno imboccato la strada della ‘Frexit’: l’uscita dall’Ue” scriveva ieri nel suo Mattinale David Carretta.
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La possibile uscita della Francia dalla moneta unica non sarebbe una scelta ma un’inevitabile conseguenza di squilibri economici divenuti non più sostenibili e soprattutto non rimediabili se non con un’altra moneta. La Francia non ha un problema di debito pubblico ed interno ma bensì privato ed estero. Se il problema fosse di debito pubblico, sarebbe sufficiente un “whatever it takes” -soluzione peraltro già sperimentata e con successo- assieme alla sospensione del Patto di stabilità. Pure questa altra strada sperimentata e con successo. Il punto è che la Francia ha un problema di debito privato e con il settore estero quale conseguenza di almeno venti anni ininterrotti di deficit commerciale dove le importazioni hanno sempre superato le esportazioni. Come ricordato da Giraldo qui su OUT! la posizione finanziaria netta con l’estero della Francia arriva a -30% del PIL. Una cifra astronomica se confrontata al +7% dell’Italia ed all’astronomico +70% della Germania. Entrambi paesi, soprattutto il secondo, in forte surplus commerciale. L’Italia ha pagato a caro prezzo questo privilegio a suon di austerità. Ricorderete l’ormai famoso “we are actually destroying domestic demand through fiscal consolidation” di Mario Monti (“in effetti stiamo distruggendo la domanda col consolidamento fiscale”). L’Italia ha cioè drasticamente ridotto le proprie importazioni a suon di imposte e tagli che hanno massacrato gli italiani. Riprova ne sia, come testimoniato oggi su X dall’economista Philippe Heimberger, che dal 1990 al 2023 nessun paese ha visto crollare i salari reali come l’Italia con una diminuzione del 5% circa. La cosa è stata resa possibile anche da una legislazione sul lavoro che ha reso il lavoro sempre più flessibile e meno costoso. E si è resa necessaria perché da allora, salvo un paio d’anni, l’Italia ha sperimentato il cambio fisso senza poter svalutare la propria moneta. Ma se non svaluti la moneta svaluti il lavoro. Quindi la deflazione interna impoverisce il paese ma tiene in ordine i conti con l’estero. Nell’immediato riducendo le importazioni e nel lungo termine rendendo le imprese più competitive con l’estero. Questo servirebbe alla Francia. Pensate sia una strada politicamente percorribile in un paese continuamente a ferro e fuoco? Ma nel vero senso della parola? Vi sarebbe una seconda possibile soluzione. Quella dei trasferimenti in favore della Francia. Trasferimenti diretti, vale a dire sussidi dagli altri paesi che però rimanderebbero il problema perché la Francia continuerebbe ad importare. Oppure gli altri Paesi, Germania e Italia in testa, iniziano a spendere e spandere con ciò stimolando anche l’export francese. Lo ritenete politicamente possibile nell’attuale quadro europeo? Rimane la terza soluzione. La svalutazione. Ma non dell’euro verso le altre monete perché non cambierebbe lo squilibrio commerciale della Francia dentro l’eurozona. Ma dell’ipotetica nuova moneta francese. Il ritornato franco. Ecco perché la Frexit non sarà una scelta. E non sarà semplice!