Val
Torniamo alla LIRA
“Baluardo di libertà”, cardine di tutti gli ordinamenti democratici,
la libertà di stampa viene calpestata
nel più totale silenzio della categoria che più dovrebbe difenderla, i giornalisti.
Il motivo è semplice: l’interesse di bottega.
Di questi tempi (come già successe con la televisione)
la stampa si è trovata una concorrenza scomoda:
i canali Telegram e i social media in genere.
Se fino ad oggi i grandi gruppi editoriali sono pienamente riusciti nell’intento di controllare l’informazione,
con Telegram rischiano di venire smascherati.
La propaganda non ammette sacche di libera espressione.
Limitandoci al nostro Paese, esiste un precedente storico:
In data 31 dicembre 1925 entrò in vigore la legge n. 2307 sulla stampa
che disponeva che i giornali potessero essere diretti, scritti e stampati
solo se avessero avuto un responsabile riconosciuto dal prefetto, vale a dire dal governo.
Quelli privi del riconoscimento prefettizio venivano considerati illegali.
Vi ricorda qualcosa?
Il Digital Services Act,
entrato in vigore pochi mesi fa,
pone a carico dei prestatori di servizi digitali
l’obbligo di moderare e censurare i contenuti degli utenti,
al fine - esplicitamente dichiarato - di prevenire
“la diffusione di contenuti illegali”
o
“l’effetto negativo su diritti fondamentali,
processi elettorali, violenza di genere, salute mentale”.
Salutato come una norma a tutela della salute mentale collettiva (?),
il Digital Services Act è – almeno nelle finalità -
la copia esatta della legge n. 2307 del 1925:
un tentativo di censura della libertà di espressione.
la libertà di stampa viene calpestata
nel più totale silenzio della categoria che più dovrebbe difenderla, i giornalisti.
Il motivo è semplice: l’interesse di bottega.
Di questi tempi (come già successe con la televisione)
la stampa si è trovata una concorrenza scomoda:
i canali Telegram e i social media in genere.
Se fino ad oggi i grandi gruppi editoriali sono pienamente riusciti nell’intento di controllare l’informazione,
con Telegram rischiano di venire smascherati.
La propaganda non ammette sacche di libera espressione.
Limitandoci al nostro Paese, esiste un precedente storico:
In data 31 dicembre 1925 entrò in vigore la legge n. 2307 sulla stampa
che disponeva che i giornali potessero essere diretti, scritti e stampati
solo se avessero avuto un responsabile riconosciuto dal prefetto, vale a dire dal governo.
Quelli privi del riconoscimento prefettizio venivano considerati illegali.
Vi ricorda qualcosa?
Il Digital Services Act,
entrato in vigore pochi mesi fa,
pone a carico dei prestatori di servizi digitali
l’obbligo di moderare e censurare i contenuti degli utenti,
al fine - esplicitamente dichiarato - di prevenire
“la diffusione di contenuti illegali”
o
“l’effetto negativo su diritti fondamentali,
processi elettorali, violenza di genere, salute mentale”.
Salutato come una norma a tutela della salute mentale collettiva (?),
il Digital Services Act è – almeno nelle finalità -
la copia esatta della legge n. 2307 del 1925:
un tentativo di censura della libertà di espressione.