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“Baluardo di libertà”, cardine di tutti gli ordinamenti democratici,

la libertà di stampa viene calpestata
nel più totale silenzio della categoria che più dovrebbe difenderla, i giornalisti.


Il motivo è semplice: l’interesse di bottega.

Di questi tempi (come già successe con la televisione)
la stampa si è trovata una concorrenza scomoda:

i canali Telegram e i social media in genere.


Se fino ad oggi i grandi gruppi editoriali sono pienamente riusciti nell’intento di controllare l’informazione,
con Telegram rischiano di venire smascherati.

La propaganda non ammette sacche di libera espressione.


Limitandoci al nostro Paese, esiste un precedente storico:

In data 31 dicembre 1925 entrò in vigore la legge n. 2307 sulla stampa
che disponeva che i giornali potessero essere diretti, scritti e stampati
solo se avessero avuto un responsabile riconosciuto dal prefetto, vale a dire dal governo.
Quelli privi del riconoscimento prefettizio venivano considerati illegali.

Vi ricorda qualcosa?

Il Digital Services Act,
entrato in vigore pochi mesi fa,
pone a carico dei prestatori di servizi digitali
l’obbligo di moderare e censurare i contenuti degli utenti,
al fine - esplicitamente dichiarato - di prevenire
“la diffusione di contenuti illegali”
o
“l’effetto negativo su diritti fondamentali,
processi elettorali, violenza di genere, salute mentale”.


Salutato come una norma a tutela della salute mentale collettiva (?),
il Digital Services Act è – almeno nelle finalità -
la copia esatta della legge n. 2307 del 1925:
un tentativo di censura della libertà di espressione.
 
Inorridisco davanti a queste dichiarazioni
(copio la notizia direttamente dall’ANSA del 26 agosto scorso):

Dal vicepremier Antonio Tajani
al commissario UE Paolo Gentiloni,
la politica lancia l'allarme sui rischi della disinformazione,
rischi anche per la democrazia.

L'occasione è stata la conferenza che ha aperto a Venezia
la quinta edizione del Soft power club,
l'associazione internazionale fondata da Francesco Rutelli:
tra gli incontri, quello dedicato al

"Potere della persuasione oggi,
tra comunicazione, propaganda e disinformazione ostile".



Gentiloni, intervenuto con un videomessaggio,
ha posto l'accento sui social media come veicolo di notizie false.

Il loro sviluppo, ha sottolineato,
"ha prodotto l'incapacità di mettersi d'accordo persino sui fatti di base".

I social per l'ex premier
"sono troppo spesso sfruttati da attori intenzionati a seminare discordia nelle nostre società"
e "rischiano in definitiva di minare le nostre democrazie".

E dire che "nelle speranze di molti - ha proseguito -
l'ascesa dei social media avrebbe dovuto democratizzare l'accesso alle informazioni
e fornire un nuovo mercato digitale delle idee.
Oggi vediamo fin troppo chiaramente che questa visione era a dir poco ingenua".


Sommessamente, mi domando
dove vivevano questi paladini della democrazia ?

L’Italia è al 48° posto nella classifica della libertà di stampa.

Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa
e via di seguito tutti (TUTTI!) gli altri,
sono spudorati organi di propaganda politica, senza vergogna.

Se esistono sacche di libera informazione,
è qui dove mi state leggendo
(e non a caso ho scelto di scrivere)
e su Telegram.


Gli altri social sono censurati e pilotati esattamente come gli organi di informazioni mainstream.​

Queste le recentissime dichiarazioni di Mark Zuckerberg:​

“Ho censurato Facebook e Instagram, me l’ha chiesto Biden”.​

 
Sempre di più apprezzo la voce fuori dal coro di Marcello Foa,
che ha commentato:

“Non capita tutti i giorni che il numero 1
di una delle più grandi società faccia mea culpa,
ammettendo d'aver ingannato.

Nelle regole del giornalismo, è una notizia sensazionale,
tanto più perché è Zuckerberg. Invece, silenzio mediatico”.


Se i miei colleghi giornalisti tacciono,
altrettanto fanno i miei colleghi giuristi
(sono iscritto a entrambi gli Albi, pubblicisti e avvocati).


L’ho scritto mille volte e sono anche stanco di ripeterlo:

è ora di risvegliarci e di difendere i nostri diritti.
 
La carenza di germanio e gallio
dovuta alle restrizioni all’esportazione cinesi
sta iniziando a farsi sentire, i produttori di semiconduttori stanno affrontando carenze.

L’America ha cercato di schiacciare i semiconduttori cinesi,
ma ha solo dato una spinta all’industria.

Ora i semiconduttori occidentali saranno lentamente soffocati.


Gli idioti gestiscono lo spettacolo.


Più precisamente, sono neo-primitivi:

gente che vive nella civiltà tecnologica come il primitivo vive nella foresta amazzonica.

Più grave ,
costoro comandano dall’alto di una civiltà tecnologica che – loro non sanno – non esiste più,
perché loro l’hanno distrutta a forza di delocalizzazioni nel “terzo mondo”.


Ai tempi di Mao, i cinesi nulla sapevano di germanio e gallio e della loro utilità.

Chi glielo ha insegnato?

I plutocrati “americani” trasferendo là le tecnologie avanzatissime,
allo scopo di tagliare gli stipendi degli ingegneri americani (senza virgolette).
Lucrando sui fatto che i salari cinesi erano 10 volte inferiori.


Il risultato finale è che gli iamerticanmi non ci sono più
– sono persi nella folla di intossicati da fentanyl –
per ricostruire la civiltà tecnologica di 40 anni fa.
 
La notizia c’è, anche se avrete faticato a trovarla ieri sui giornali e nelle rassegne stampa ufficiali.

Ma non avrà sorpreso più di tanto i lettori più fedeli di Atlantico Quotidiano.
Non è la prima volta infatti che il fondatore di Facebook e Meta Mark Zuckerberg
ammette che i suoi social si sono prestati a censurare utenti e contenuti su indicazione di agenzie governative Usa.

E Atlantico è stato uno dei pochi a riportarlo puntualmente.

Di più, da ormai quasi quattro anni abbiamo dedicato al tema della censura social un intero canale.


Provate a immaginare le reazioni
se a esercitare queste pressioni
fosse stato un governo di destra,
o se le pressioni fossero arrivate a direttori di media tradizionali.

Siccome questa vera e propria macchina della censura
è stata messa in piedi e guidata da un’amministrazione di sinistra
e da agenzie federali ed ex funzionari
allo scopo di danneggiare Donald Trump,
allora parlarne è ancora oggi tabù
nonostante oramai sia tutto in atti ufficiali di commissioni parlamentari.
 
Sino a quando non leggi, non riesci a renderti conto dello stato di demenza.


È entrato in vigore il regolamento Ue sul ripristino della natura,
una delle tappe cruciali del Green Deal, voluto per ripristinare la biodiversità dell’Unione
e per conseguire gli obiettivi generali dell’Ue in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici
e adattamento agli stessi e a rafforzare la sicurezza alimentare.

Giungere la neutralità climatica entro il 2050 e adattarsi ai cambiamenti climatici.


Gli Stati europei devono adottare misure

per ripristinare almeno il 20 per cento delle aree terrestri dell’Ue

ed il 20 per cento delle aree marine entro il 2030.

Si prevede, inoltre, di mantenere gli spazi verdi urbani e la copertura arborea urbana, e di aumentarli dopo il 2030.
 
Si tratta di una riforma controversa,
sbloccata dopo mesi di contestazione da parte di sette dei 27 Paesi dell’Ue (Italia inclusa).

Tutt’ora il regolamento è criticato dalle organizzazioni agricole, per quanto annacquato nella stesura finale.


Ad esempio, la Commissione europea proponeva di destinare
il 10 per cento dei terreni agricoli


a interventi per la biodiversità

come la coltivazione e creazione di siepi, alberi, fossi, muretti o piccoli stagni:
una linea guida che nel testo approvato alla fine non c’è.


Prima del 2050 tali misure dovrebbero essere in atto per tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino.

Bisognerà poi raggiungere, entro il 2030,
l’obiettivo di ripristinare almeno 25mila chilometri di fiumi in corsi d’acqua a flusso libero.

(IN PRATICA ABBATTO I MURI DI CONTENIMENTO DEGLI ALVEI
DI FIUMI E TORRENTI, COSI' SARANNO LIBERI DI CREARE INNONDAZIONI, DANNI,
VITTIME E QUANT'ALTRO)

Inoltre,
si mirerà ad invertire il declino delle popolazioni di impollinatori
e a migliorarne la diversità,
a migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli
e la biodiversità degli ecosistemi forestali,
nonché a contribuire all’impegno di piantare almeno tre miliardi di alberi aggiuntivi
entro il 2030 a livello Ue.
 

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