Ciò che in questa sede è in ballo è ben più della stessa sorte dei tre minori e dei due genitori,
poiché il caso in questione diventa un eccellente banco di prova per analizzare il rapporto tra diritto e dovere,
tra diritto naturale e diritto statale, tra libertà individuale e potere coercitivo dell’autorità,
tra Stato di diritto e Stato totalitario, cioè quello Stato che tende a intrufolarsi in ogni aspetto dell’esistenza umana
e che se tale ancora non è, sicuramente nella direzione della totalitarizzazione
pare dirigersi a gran passi proprio in questo primo quarto del XXI secolo.
Ciò considerato, a cura e salvaguardia di ogni pia anima normativistica,
che tiene in massimo spregio o in minima considerazione il diritto naturale,
occorre in primo luogo ricordare come il dovere e diritto di educazione della prole
spetti – proprio ai sensi dell’articolo 30 della Costituzione italiana – ai genitori.
Alla luce di ciò i genitori non sono obbligati a far frequentare i corsi scolastici ai figli,
ma – piaccia o dispiaccia – sono obbligati a provvedere alla loro istruzione ed educazione
potendo, infatti, i figli sostenere gli esami di Stato di accertamento delle acquisite competenze
in ragione della classe di riferimento da “esterni” del sistema scolastico pubblico.
La riprova è data dal recente rifiorire delle numerose scuole parentali
che sono apparse negli ultimi anni su tutto il territorio nazionale,
peraltro sembrerebbe con risultati in termini di preparazione degli allievi
ben superiori a quelli ottenuti dal sistema scolastico pubblico.
Ciò che il caso in questione consente di rilevare è, tuttavia,
la tendenza al ridimensionamento sempre crescente del ruolo genitoriale
e dell’espansionismo quasi illimitato dello Stato nella crescita dei minori,
come se questi fossero pertinenze statali.