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Il paradosso è sfrontato:

mentre nelle scuole continuano a celebrare Agenda 2030 nel 2025,
economie circolari e stili di vita sostenibili,
chi davvero vive a basso impatto ‒ pozzo, solare, ridotto consumismo ‒
diventa improvvisamente “borderline”
.

Eppure, nessun accertamento sanitario avrebbe mai rilevato condizioni pregiudizievoli per i minori.

Ma evidentemente, vivere in modo davvero sostenibile
è una provocazione intollerabile per il dogma del “sostenibile purché certificato e con QR code”.
 
È comparsa anche la questione dell’obbligo vaccinale,

che vale solo per nidi e scuole d’infanzia per chi ne decidesse la frequenza dei loro figli.

Ma nell’istruzione parentale, se i genitori decidono diversamente,
non c’è esclusione scolastica o sanzioni amministrative, evidentemente.
 
Come osservano diverse associazioni,
la vicenda mostra il rischio concreto di un invadente potere dei servizi sociali,
dove i figli sembrano diventare proprietà collettiva sotto sorveglianza.

Se il criterio diventa l’omologazione allo stile di vita dominante, allora nessuno è più al sicuro:

oggi i residenti nel bosco;

domani chi non sceglie la scuola statale

o rifiuta le efficientissime smart city;

chi professa valori culturali o religiosi non “in linea”.

Però, ci sarebbero valori e credenze importati non troppo in linea con la nostra Costituzione,
ma in questi casi vale sempre il cortocircuito di cui sopra.



Per questo si chiede chiarezza, e una revisione delle prassi che portano all’allontanamento:

misura estrema, legittima solo di fronte ad abusi reali e certificati,
non certo per una vita alternativa.
 
Chi ha paura del bosco, allora?

Il caso Trevallion non è solo cronaca:
è lo specchio di un progressismo a corrente alternata,
che predica la natura, la semplicità e la sostenibilità,
salvo poi spaventarsi quando qualcuno le applica davvero.


Nell’Italia dei mille decreti ecologisti a marchio Ue,
pare che l’unica cosa davvero pericolosa sia la libertà:

quella educativa,

quella familiare,

quella di vivere fuori dal decalogo del politicamente corretto,

così fragile nella sua teorizzazione da andare in confusione appena incontra la realtà.
 
Una nota positiva -
oltre ai milioni di italiani che hanno percepito questa decisione come una stonatura al comune buonsenso -
c’è!

Qualcosa si muove sul fronte degli affidi:

il dl Nordio–Roccella, Disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento che introduce due registri nazionali,
uno per famiglie affidatarie e comunità, uno per i minori collocati fuori famiglia.


Finalmente, ulteriori strumenti per conoscere e monitorare numeri e situazioni per una maggiore trasparenza,
che in una materia così delicata non è mai abbastanza.

In fondo, un casolare nei boschi non è un pericolo.

Il vero pericolo è quando lo Stato comincia a temere
una famiglia libertaria che lo abita.



D’altra parte, i Trevallion non sono né rom né arrivati su un barcone
e forse è proprio su questo che il grande algoritmo statalista
a doppio standard è andato in tilt.
 
Posto che nessun nocumento effettivo all’integrità psicofisica dei minori è stato realmente accertato,
e che nessun pericolo attuale pare sia stato certificato,

orientandosi tutta la vicenda piuttosto verso una dimensione di pericolo potenziale
a causa dell’assenza dell’acqua corrente, dei rapporti scolastici ordinari
e delle generali condizioni abitative della struttura in cui la famiglia viveva nei boschi abruzzesi,
alcuni interrogativi si pongono come preliminari.


Dato questo caso, che in un modo o nell’altro potrebbe rappresentare un non trascurabile né episodico precedente,

cosa dovrebbe accadere nei numerosi altri casi di decine di migliaia di minori
inseriti in contesti esistenziali e abitativi con identiche o peggiori condizioni
come quelli che vivono, per esempio,

in regioni quali la Sicilia in cui l’acqua manca circa per sei mesi all’anno,

in cui quasi tutti gli edifici privati sono fatiscenti e certamente non anti-sismici,


in cui si registra il primato nazionale per l’abbandono scolastico?
 
Si è consapevoli di vivere in un’epoca in cui al diritto naturale non crede quasi più nessuno,
neanche coloro che per formazione e per circostanze personali dovrebbero manifestare
una aderenza retta e consapevole a principi universali e non negoziabili
– spesso difesi a corrente alternata per incapacità logica o per convenienza personale –
ma questo non è un motivo sufficiente per non appellarsi all’unica vera ragione giuridica
che non soltanto consiglia sempre massima prudenza allorquando si tratta di famiglia e minori,
ma che soprattutto consente di considerare il suddetto allontanamento come del tutto abnorme,
cioè la ragione del diritto naturale per cui vi sono diritti che sono anteriori e superiori all’ordinamento statale
e che lo Stato non può violare soprattutto alla luce di un pericolo meramente potenziale.


Il pericolo meramente potenziale, infatti, è categoria troppo labile per essere conciliabile
con la tutela dei diritti fondamentali del singolo e della famiglia,
con il rispetto del principio di legalità e con quello di certezza del diritto,
con i principi generali dell’ordinamento – a cui anche le autorità statali devono soggiacere –
tra cui spicca specialmente il neminem laedere.
 
Ciò che in questa sede è in ballo è ben più della stessa sorte dei tre minori e dei due genitori,
poiché il caso in questione diventa un eccellente banco di prova per analizzare il rapporto tra diritto e dovere,
tra diritto naturale e diritto statale, tra libertà individuale e potere coercitivo dell’autorità,
tra Stato di diritto e Stato totalitario, cioè quello Stato che tende a intrufolarsi in ogni aspetto dell’esistenza umana
e che se tale ancora non è, sicuramente nella direzione della totalitarizzazione
pare dirigersi a gran passi proprio in questo primo quarto del XXI secolo.


Ciò considerato, a cura e salvaguardia di ogni pia anima normativistica,
che tiene in massimo spregio o in minima considerazione il diritto naturale,
occorre in primo luogo ricordare come il dovere e diritto di educazione della prole
spetti – proprio ai sensi dell’articolo 30 della Costituzione italianaai genitori.


Alla luce di ciò i genitori non sono obbligati a far frequentare i corsi scolastici ai figli,
ma – piaccia o dispiaccia – sono obbligati a provvedere alla loro istruzione ed educazione
potendo, infatti, i figli sostenere gli esami di Stato di accertamento delle acquisite competenze
in ragione della classe di riferimento da “esterni” del sistema scolastico pubblico.



La riprova è data dal recente rifiorire delle numerose scuole parentali
che sono apparse negli ultimi anni su tutto il territorio nazionale,
peraltro sembrerebbe con risultati in termini di preparazione degli allievi
ben superiori a quelli ottenuti dal sistema scolastico pubblico.


Ciò che il caso in questione consente di rilevare è, tuttavia,

la tendenza al ridimensionamento sempre crescente del ruolo genitoriale
e dell’espansionismo quasi illimitato dello Stato nella crescita dei minori,
come se questi fossero pertinenze statali.
 
In questa direzione, del resto,
si muove l’idea che non sia necessario il consenso dei genitori
per i corsi di sessuo-affettività che si vorrebbero introdurre,
da parte di taluni massimi esperti delatori del diritto-dovere naturale
di educazione ricadente in capo ai genitori, all’interno dei percorsi curriculari.
 

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