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poveretta, non sa più come emergere dal liquame


La piccola scandinava Greta Thunberg, vessillifera dell'ambientalismo neoliberale,
ha recentemente tuonato contro il governo italiano della giullaresca destra bluette neoliberale: "fottuto governo fascista!",
ha sbottato la piccola scandinava che tanto piace ai padroni del mondo.

Ancora una volta, quello di Greta è un telum sine ictu: infatti, il giullaresco governo di Giorgia Meloni non è affatto fascista,
essendo invece liberista e atlantista, non diversamente dai precedenti governi della sinistra padronale arcobaleno.

Occorre ripeterlo senza ambagi: la destra bluette non è fascista e la sinistra fucsia non è comunista,
essendo entrambe egualmente neoliberali e atlantiste e rendendo in questo modo possibile il penoso
giuoco dell'alternanza senza alternativa, funzionale alla dominazione capitalistica.
 
Mentre i giovani antifascisti in assenza di fascismo si accapigliano con i giovani anticomunisti in assenza di comunismo,
il potere turbocapitalistico seguita imperterrito e indisturbato a compiere le sue malefatte
e la sua guerra di classe dall'alto a senso unico.

Con tutta evidenza, Greta Thunberg risulta funzionale a questa narrazione demenziale,
la quale porta i militanti, anzi i militonti, a credere che viviamo nella società perfettamente democratica,
che deve essere difesa così com'è dal ritorno del fascismo e del comunismo.

D'altro canto, lo stesso ambientalismo propugnato da Greta Thunberg reca in sé le tracce del neoliberismo:
il vero ambientalismo infatti coinciderebbe con l'anticapitalismo radicale,
nella consapevolezza che la devastazione ambientale è cagionata dal sistema capitalistico
e dalla sua illimitata valorizzazione del valore a nocumento del pianeta terra.
 
Probabilmente il vecchio Marx avrebbe classificato la piccola scandinava alla voce socialismo utopistico
in riferimento alla pappa del cuore degli utopisti che si appellano alla presunta bontà dei padroni
per una trasformazione del reale e del diagramma dei rapporti di forza.
 
Il popolo è sempre più bue....cos'altro aspettarsi ?

Sembrava chiaro sin dalla lettura di quello che viene presentato come
“romanzo ufficiale della serie TV” (Sandokan di A. Sermoneta e G. Bisanti, Salani, 2025),
che avrebbero fatto scempio di Emilio Salgari e della sua opera.

E così è stato, senza che nessuno si sia indignato, mentre il pubblico di massa, soprattutto femminile,
gioiva ignaro per i muscoli sempre ben in vista di Yaman, punta di diamante di un cast per lo più inadeguato.

I personaggi sono completamente snaturati, al limite del tollerabile, i contesti assurdi.

Veramente incomprensibile come cinquant’anni dopo,
si realizzi qualcosa di tecnicamente più vicino a un film casalingo girato con budget ridotto in tempo di austerity
che a un grande prodotto di cinematografia
.

Perché i set orientali realizzati in Calabria, Toscana e in un teatro di posa,
attori europei spacciati per malesi o indonesiani,
scene d’azione garantite solo da un ledwall o dall’uso massiccio di CGI,
rappresentano proprio questo:

un minimo sforzo per un minimo risultato.

Sciocco fu quindi Sollima, che negli anni ’70 costrinse la sua troupe a girare in Malesia, India, Thailandia,
e che si impegnò in un tour dell’Asia per cercare il suo protagonista guidato da aspirazioni di credibilità e verosimiglianza?
 
La cosa peggiore è aver attinto a piene mani ad una creazione altrui
con l’evidente intento di sfruttarne il successo, granitico e secolare,
non rinunciando però ad un’attenta manomissione
riconducibile all’appiattimento culturale e generalista che permea i nostri tempi
.

Tanto, chi vuoi che si ricordi del vecchio Salgari, già vituperato in vita e in morte da scopiazzatori ed editori senza scrupoli?
Tanto, i diritti d’autore sono da tempo scaduti, per cui la sua opera appartiene adesso a tutti, è un “bene comune”.

E come spesso succede, specialmente in Italia, cosa si fa di un bene che è di tutti? Lo si tutela?

No, lo si prende, lo si straccia, lo si asservisce, lo si sfrutta a proprio uso, consumo e guadagno.
 
Qualche voce (poche, in verità) si è alzata.

E' inaccettabile vedere sovvertire totalmente un caposaldo della letteratura classica,
l’essenza dei suoi protagonisti, e il senso stesso dell’opera per come era stata scritta da Salgari
.

Che, si badi bene, era ed è assolutamente all’avanguardia,
senza che necessiti di alcun riammodernamento, o adattamento o “svecchiamento
per mano di sedicenti sceneggiatori assolutamente impreparati
e, cosa più triste, privi di qualsiasi amore e passione.

Fossimo stati in un altro Paese, forse il coro degli “insorti”, sarebbe stato un po’ più nutrito.
Vedi cos’è successo in Gran Bretagna quando hanno annunciato un casting “sbagliato”, per il ruolo iconico di Severus Piton

Si sarebbero magari aggiunti quelli che, giustamente, si indignano per le ultime trovate in casa Disney
(una Sirenetta creola, una Fata Turchina nera o una Biancaneve mulatta),
ma sono disposti ad accettare che un principe dell’estremo oriente,
sia raffigurato sullo schermo da un attore che è praticamente europeo.


E invece siamo qui, ad assistere al massacro di un’epopea così cara al nostro immaginario,
ad un prodotto lanciato in pompa magna e difeso strenuamente, non nel merito beninteso,
da chi magari fino a ieri nemmeno sapeva chi fossero Sandokan o Emilio Salgari
.

Peccato, perché dopo cinquant’anni era giunto il momento che cinema e TV
si occupassero nuovamente dello scrittore veronese, però con garbo.

Perché se c’è una cosa peggiore di fare le cose male
è perdere l’occasione di farle bene.

E chi non fa le cose con rispetto,
dovrebbe quantomeno provare un po’ di vergogna.
 
Chiamalo scemo.
Scemi sono quelli che potevano comprarla prima, che l'hanno vista sull'annuncio prima
e che non l'hanno comperata, aspettando che ribassaste ulteriormente.

Circa 674 metri quadrati, 28 vani e due box situati nel cuore di uno dei più rinomati quartieri di Roma Nord,
la Camilluccia, pagati circa 1,35 milioni di euro.

Sarebbe questo il nuovo prezioso acquisto fatto dal leader del Carroccio Matteo Salvini
con la compagna Francesca Verdini, e su cui molti hanno già speculato a proposito di prezzo
e su chi avrebbe operato le trattative di vendita dell'immobile.

Nonostante 1,35 milioni di euro non siano affatto pochi,
pare che il vicepremier abbia pagato l'immobile al di sotto del suo effettivo valore di mercato:
poco più di 2.000 euro al metro quadrato, contro i 3.800 euro al metro quadrato
stimati dall'Agenzia dell'Entrata sugli immobili di quella zona.


Secondo ricostruzioni, la maxi villa era inizialmente di proprietà della società lussemburghese Valim,
ma - dopo la liquidazione avvenuta per mano dello stesso Acampora - la proprietà passò alle figlie di quest'ultimo.


Matteo Salvini però ha respinto qualsiasi speculazione,
spiegando che la villa è stata trovata sul sito immobiliare.it,
dunque all'oscuro della reale proprietà dell'immobile.

Anche il prezzo, replica Salvini, non sarebbe un prezzo "di favore", ma la cifra indicata dall'annuncio.
 

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