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Il Natale non è una festa laica​

La grande premessa da fare, o meglio da ricordare,
è che il Natale non è una festa laica,
pertanto pretendere di laicizzarla a tutti i costi è sbagliato già in partenza.


Tralasciando l'errore strutturale - e storico - di eliminare da una festa il suo protagonista, resta una domanda.

È davvero necessario?

I sostenitori dell'inclusività risponderanno di sì,
in nome di valori importanti come rispetto e accoglienza,
tralasciandone altri, tra cui i concetti di tradizione e radici,
ultimamente troppo spesso politicizzati e accostati a ideologie del passato,
perciò etichettati come qualcosa di cui avere paura.


Quindi teniamoci il Natale, che è bello, con la sua importanza sociale, economica, e il posto di rilievo sul calendario,
ma svuotiamolo del suo vero significato.

Vanno bene le vacanze, i regali, i pranzi, le cene, gli elfi e Babbo Natale,
al limite anche le recite scolastiche (purché senza riferimenti religiosi),
occhio però a considerarlo per quello che è, ovvero una festa fondamentale per il cristianesimo.

Prenderne atto è pura costatazione della realtà, il rispetto non c'entra niente.

Anzi, viene calpestato al contrario da certe antitesi forzate.


 

Un'omologazione che nessuno ci ha chiesto​


Il problema è nostro,
che abbiamo portato all'esasperazione l'idea di inclusività,
fino a cambiarle i connotati, in alcuni casi ovattando le nostre radici
- innegabilmente cristiane, se parliamo di Natale -,
in altre addirittura estirpandole per un'omologazione che nessuno realmente ci ha chiesto,
ma su cui ci sentiamo costantemente tirati in causa.

E pure un po' stronzi, semmai dovesse mancare,
con l'ombra di questa presunta mancanza di rispetto che aleggia sulla coscienza collettiva.

Dovremmo imparare dagli inglesi.

Nessuno di loro si sognerebbe mai di mettere in discussione le proprie tradizioni
,
nonostante il Regno Unito sia il paese con il più alto tasso di crescita della migrazione.

Eppure, così distaccati e invalicabili, al massimo gli si arriva a dare degli snob e finisce là.
 

Cambiare la visione di inclusività​


Cos'è davvero l'inclusività ?

Questo termine di cui ci riempiamo la bocca
- e con cui qualcuno, più di qualcun altro, ci riempie spazi di opinione e agende politiche -,
non riguarda solo una maggioranza nei confronti di una minoranza.

Inclusività è quando l'accoglienza si incontra con l'adattamento.

Solo così una recita di Natale resterà una recita di Natale, non un ipocrita feticcio.
 
Incredibile....ma vero.

Una vicenda molto simile è accaduta a Caprese Michelangelo, tra le colline toscane, in provincia di Arezzo,
dove due bambini di 8 e 4 anni sono stati allontanati dai genitori
e portati in una comunità protetta dopo un intervento congiunto di carabinieri,
assistenti sociali e personale inviato dal Tribunale per i minorenni di Firenze.

Uno dei piccoli è stato portato fuori in braccio mentre gridava aiuto.

L’intervento, documentato dalle videocamere della famiglia, risalirebbe allo scorso 16 ottobre.

I genitori, Harald, perito elettronico originario di Bolzano e Nadia, di origine bielorussa,
affermano di non avere più notizie dei bambini da oltre un mese mezzo
e denunciano un intervento ritenuto sproporzionato.
 
La famiglia ”è finita prima sotto la lente dei servizi sociali” e
”poi del giudice del tribunale dei minori di Firenze, Nadia Todeschini, che ha firmato il decreto di allontanamento”.

”Per il Tribunale
i genitori non avrebbero eseguito correttamente
la procedura per l’insegnamento parentale.
Inoltre, avrebbero impedito ai servizi sociali di fare i controlli sanitari sui bambini”.
 
C H E S C H I F O E V E R G O G N A

"Alle 11 ci hanno suonato al cancello. Io sono uscito per andare ad aprire.
Due carabinieri mi hanno chiesto di far venire anche mia moglie,
perché dovevano notificarci un atto importante. Era una trappola.

Dal bosco sono spuntati oltre dieci agenti in tenuta antisommossa,
mentre un’altra decina ci ha circondato per impedirci di tornare in casa
.

A quel punto ho capito.
Ho cominciato a urlare a mio figlio più grande di non aprire.

Di tutta risposta, l’ispettore capo mi ha minacciato:

‘Se non gli fai aprire la porta, noi tanto la sfondiamo!’.

E me lo ha ripetuto:

‘Se non ci fai aprire la porta noi la sfondiamo”’.

”I nostri bimbi erano in casa.
Mio figlio ha pensato che fossi io. Ed ha aperto.

Il carabiniere, come si vede chiaramente nel video, ha spinto con forza la porta. E loro sono entrati”.
 
”Ho denunciato tutti .
Il decreto che mi hanno mostrato, e che mi sono rifiutato di ritirare, non aveva la firma in calce del giudice.

Con quale diritto ci hanno portato via i nostri bambini?

E dire che c’eravamo trasferiti qui un anno e mezzo fa, dalla Val Badia,
dopo aver gestito per dieci anni un albergo… Cercavamo solo un po’ di tranquillità.
E invece ci hanno distrutto la vita”.
 
Ma vi rendete conto con chi abbiamo a che fare ?
Per una cretinata simile, questi si permettono di togliere i bambini ai genitori.


La sindaca di Caprese Michelangelo, Marida Brogialdi,
conferma che il caso era già noto agli uffici comunali:

“Sono dispiaciuta per quanto accaduto. Io ho subito questa situazione.
L’operazione è stata disposta dal Tribunale dei minori di Firenze e coordinata con carabinieri e servizi sociali
.
Non conosco personalmente la famiglia; il padre venne una volta in Comune, ma ebbe un atteggiamento molto distaccato”.

Brogialdi precisa che nel territorio la scuola parentale è praticata da diverse famiglie,
soprattutto straniere, che vivono in casolari del bosco:

“È un fenomeno diffuso, ma queste famiglie procedono regolarmente con gli esami annuali.
In questo caso i due bambini non risultavano iscritti a nessuna procedura di istruzione parentale
e non avevano mai sostenuto le verifiche previste”.
 
Ultima modifica:
Dall'altra parte - invece - viene concesso l'incredibile.


In più occasioni i magistrati hanno rifiutato l’intervento: è la loro cultura, non vanno puniti​


Il bosco e il campo rom.

Due luoghi differenti e molto distanti ma che nel caso della famiglia di Palmoli, in provincia di Chieti,
si ritrovano vicinissimi perché fotografano perfettamente come la giustizia possa valutare in modo differente.

C’è chi lo chiama doppiopesismo,
chi normale interpretazione del magistrato giudicante.

Epperò, al netto delle disquisizioni terminologiche,
c’è un caso di cronaca che vale la pena rammentare per analizzare la vicenda da un’altra angolazione.
 
Periferia di Parma, anno 2011.
La Procura dei minori chiede di affidare una bambina di 12 anni ai servizi sociali
per darle una vita migliore in comunità rispetto al campo rom dalla “pessime condizioni igieniche” in cui vive,
così come riscontrato dalla Polizia municipale.

Lei va a scuola di rado e la famiglia ha problemi con la giustizia.

Ma la Corte d’Appello risponde con un perentorio no: “Normale modo di vita”.

Sì, avete letto bene:

la piccola anche senza scuola non è vittima di alcun “pregiudizio” e non subisce alcun nocumento.
Poco importa se il procuratore dei minori abbia richiamato le norme a tutela dei diritti dei minorenni,
dal codice penale fino alla convenzione di New York, per la Corte la piccola deve rimanere nel campo.


La condizione nomade e la stessa cultura di provenienza
non induce a ritenere la sussistenza di elementi di pregiudizio per la minore
“: questa la motivazione.

E ancora: "

non vi è prova di comportamenti dei genitori che non siano riferibili al normale modo di vita per condizione e per origine”.


Il caso passò inosservato, senza polemiche di sorta.
Quasi come se fosse normale vivere in determinate condizioni e rimanerci.


Ma non è l’unico episodio del genere.
 

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