SULLA GUERRA .. le 2 ipotesi in campo. (3 lettori)

giustiziere

Forumer attivo
genesta ha scritto:
Ragazzi, spero vivamente che qualcuno o qualcosa fermi Bush, prima che scateni una guerra di proporzioni molto più vaste di quelle che abbiamo sin qui osato immaginare.

Non avendo avuto l'appoggio europeo ora dove lo va a cercare?
Camerun, Guinea, Angola, Pakistan ...

:(

Mercoledì 12 Marzo 2003, 16:16


Iraq: Usa, Ci Manca Solo Un Voto Per Approvazione
Di (Ses/Gs/Adnkronos)

Washington, 12 mar. (Adnkronos) - L'amministrazione Bush ritiene di essere ad un passo dalla maggioranza all'interno del Consiglio di Sicurezza. Secondo una fonte del dipartimento di Stato, citata dal sito della Cnn, manca solo uno dei nove voti necessari all'approvazione della risoluzione che apre le porte all'intervento armato in Iraq. E gli sforzi diplomatici degli americani, si aggiunge, sono concentrati in queste ore con il Messico ed il Cile.
 

giustiziere

Forumer attivo
ecco chi abbiamo nell' ONU che non vuole la guerra ma preferisce farla in altri modi..

qui ci vorrebbero i veri pacifisti a fermare questo tipo di catastrofe.

Martedì 11 Marzo 2003, 17:21

Greenpeace: Bomba Nucleare Vagante In Partenza Dalla Francia

(AGI) - Roma, 11 mar. - Da Cherbourg, in Francia, sta per partire per il Giappone un carico di rifiuti nucleari ad alta attivita', proprio mentre l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) mette in guardia i paesi nuclearizzati sul rischio terrorismo. Secondo Greenpeace il carico dovrebbe partire tra il 17 ed il 23 marzo, nella settimana in cui potrebbe e' possibile che inizi l'attacco all'Iraq. "E' totalmente irresponsabile in tempo di guerra e dopo gli attentati dell'11 settembre organizzare un viaggio di 20.000 chilometri attraverso i mari di tutto il pianeta di un carico che rappresenta a tutti gli effetti una bomba nucleare galleggiante", afferma Domitilla Senni, direttore generale dell'oerganizzazione ecologista mondiale. Il trasporto doveva avvenire l'anno scorso ma e' stato rimandato proprio per ragioni di sicurezza. Il tragitto non e' ancora noto, ma le possibilita' sono: attraversare il mar dei Carabi ed il canale di Panama, doppiare capo Horn oppure passare al largo di Capo di Buona Speranza in Africa meridionale. La nave che trasportera' i rifiuti nucleari sara' probabilmente la Pacific Sandpiper, dell'azienda nucleare inglese "British Nuclear Fuels". Le scorie trasportate sono tra le materie piu' radioattive mai prodotte: una persona che dovesse trovarsi ad un metro da un blocco non protetto riceverebbe una dose mortale di radioattivita' in meno di un minuto. "Se anche una minima parte di questi rifiuti venisse dispersa nell'ambiente, sarebbe una catastrofe le cui conseguenze durerebbero centinaia di migliaia d'anni", spiega Domitilla Senni.
 

giustiziere

Forumer attivo
Mercoledì 12 Marzo 2003, 18:54

Il progetto di risoluzione rivisto sraà probabilmente presentato oggi

NEW YORK (Nazioni Unite), 12 mar (AFP-Internazionale) - La Gran Bretagna, la Spagna e gli Stati Uniti presenteranno molto probabilmente oggi agli altri membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu un progetto di risoluzione rivisto sull'Iraq, ha indicato l'ambasciatore del Messico all'Onu, Adolfo Aguilar Zinser.
 

giustiziere

Forumer attivo
giustiziere ha scritto:
....................
quello di cui rimango sconcertato è che se saddam rimane al suo posto senza fare una guerra, lasciandolo al suo potere gli si da leggittimità a continuare quello che ha fatto finora.

il ruolo dell' ONU non lo vedo sincero, forse troppo timido nelle sue decisioni e non considera che saddam deve essere rimosso e arrestato per crimini di guerra come fu fatto per Milosevic. Perchè non viene spiccato un mandato di cattura internazionale ?, o l' ONU pensa che i suoi crimini commessi alla sua popolazione sono cosa di poco conto ?, perche continuano a difenderlo con la scusa di "non guerra" ?.

che ben venga la "non guerra", ma vogliamo farlo giudicare da un tribunale internazionale ?.


Martedì 11 Marzo 2003,


Corte penale, si insediano i 18 giudici


L'AJA - Con l'insediamento di 18 giudici, undici uomini e sette donne, la Corte penale internazionale fa un altro passo importante sulla scena internazionale.

La Corte avrà il compito di processare chi si è macchiato di crimini di guerra, contro l'umanità e genocidio per delitti commessi prima del 2002.

Il tribunale era nato a Roma e istituito con un trattato firmato nel luglio del 1998 da 120 Paesi aderenti all'Onu. Oggi il giorno del giuramento dei giudici eletti a New York. Fra loro anche l'italiano Marco Politi, 58 anni, docente di diritto internazionale all'Università di Trento.

A differenza del Tribunale penale internazionale, che sta processando l'ex dittatore serbo Slobodan Milosevic, la Corte avrà una carattere permanente. Perché possa però cominciare a funzionare, bisognerà attendere la nomina del procuratore generale. Poi potranno partire le inchieste già nel cassetto dei giudici: i dossier si basano su oltre duecento denunce. I processi cominceranno così solo fra qualche mese.

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sembra che qualcuno ha accolto il mio appello di qualche giorno fa...
 

Argema

Administrator
Membro dello Staff
Voglio dare fiducia alla Corte Penale Internazionale.

occorre sempre dare fiducia .. o non si cambierà mai nulla
 

genesta

Forumer attivo
L'idea del tribunale va benissimo come "alternativa" alla guerra.

Tuttavia, penso che non vada altrettanto bene a Bush.
 

Aikman

Forumer attivo
Soros va giu' pesante su Bush

Bush's inflated sense of supremacy
By George Soros
Published: March 12 2003 20:02 | Last Updated: March 12 2003 20:02


With US and British troops poised to invade Iraq, the rest of the world is overwhelmingly opposed. Yet Saddam Hussein is generally seen as a tyrant who must be disarmed and the United Nations Security Council has unanimously demanded that he disclose and destroy his weapons of mass destruction. What has gone wrong?


Iraq is the first instance in which the Bush doctrine is being applied and it is provoking an allergic reaction. The doctrine is built on two pillars: first, the US will do everything in its power to maintain unquestioned military supremacy; second, it arrogates the right to pre-emptive action. These pillars support two classes of sovereignty: American sovereignty, which takes precedence over international treaties; and the sovereignty of all other states, which is subject to the Bush doctrine. This is reminiscent of George Orwell's Animal Farm: all animals are equal but some are more equal than others.

The Bush doctrine is grounded in the belief that international relations are relations of power; legality and legitimacy are decorations. This belief is not entirely false but it exaggerates one aspect of reality - military power - at the exclusion of others.

I see a parallel between the Bush administration's pursuit of American supremacy and a boom-bust process or bubble in the stock market. Bubbles do not grow out of thin air. They have a solid basis in reality but reality is distorted by misconception. In this case, the dominant position of the US is the reality, the pursuit of supremacy the misconception. Reality can reinforce the misconception but eventually the gap between reality and its false interpretation becomes unsustainable. During the self-reinforcing phase, the misconception may be tested and reinforced. This widens the gap leading to an eventual reversal. The later it comes, the more devastating the consequences.

This course of events seems inexorable but a boom-bust process can be aborted at any stage and few of them reach the extremes of the recent stock market bubble. The sooner the process is aborted, the better. This is how I view the Bush administration's pursuit of American supremacy.

President George W. Bush came into office with a coherent strategy based on market fundamentalism and military power. But before September 11 2001 he lacked a clear mandate or a well defined enemy. The terrorist attack changed all that. Terrorism is the ideal enemy. It is invisible and therefore never disappears. An enemy that poses a genuine and recognised threat can effectively hold a nation together. That is particularly useful when the prevailing ideology is based on the unabashed pursuit of self- interest. Mr Bush's administration deliberately fosters fear because it helps to keep the nation lined up behind the president. We have come a long way from Franklin D. Roosevelt's dictum that we have nothing to fear but fear itself.

But the war on terrorism cannot be accepted as the guiding principle of US foreign policy. What will happen to the world if the most powerful country on earth is solely preoccupied with self-preservation?

The Bush policies have already caused severe unintended adverse consequences. The Atlantic Alliance is in a shambles and the European Union divided. The US is a fearful giant throwing its weight around. Afghanistan has been liberated but law and order have not been established beyond Kabul. The Israeli-Palestinian conflict festers. Beyond Iraq, an even more dangerous threat looms in North Korea.

The global economy is in recession, stocks are in a bear market and the dollar is in decline. In the US, there has been a dramatic shift from budget surplus to deficit. It is difficult to find a time when political and economic conditions have deteriorated as rapidly.

The game is not yet over. A rapid victory in Iraq with little loss of life could cause a dramatic reversal. The price of oil could fall; the stock market could celebrate; consumers could overcome their anxieties and resume spending; and business could respond by stepping up capital expenditure. America would end its dependency on Saudi Arabian oil, the Israeli-Palestinian conflict could become more tractable and negotiations with North Korea could be started without a loss of face. This is what Mr Bush is counting on.

Military victory in Iraq would be the easy part. It is what follows that should give us pause. In a boom-bust process, passing an early test tends to reinforce the misconception that has given rise to it. That could happen here.

It is not too late to prevent the boom-bust process from getting out of hand. The Security Council could allow more time for weapons inspections. Military presence in the region could be reduced - and bolstered if Iraq balks. An invasion could be mounted at summer's end. The UN would score a victory. That is what the French propose and the British could still make it happen. But the chances are slim; Mr Bush has practically declared war.

Let us hope that if there is war, it will be swift and claim few lives. Removing Mr Hussein is a good thing, yet the way Mr Bush is going about it must be condemned. America must play a more constructive role if humanity is to make any progress.

The writer is chairman of Soros Fund Management
 

genesta

Forumer attivo
Questa sarebbe piaciuta a Giorgio Gaber. Ciao Giorgio.


Titolo: "Signor G."

signorg.jpg
 

fo64

Forumer storico
E adesso forse vedremo con chiarezza una volta per tutte cosa intende fare il nostro Governo... Bush chiede un aiuto pratico, non solo parole.

Fo64
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Da il Corriere della Sera odierno:

Bush chiede all’Italia un impegno nella guerra
Uomini e mezzi per la difesa da armi chimiche, forse anche aerei per le truppe. Preoccupazione nel governo

ROMA - Gli Stati Uniti stanno sondando la disponibilità dell’Italia a fornire un «supporto logistico» nell’eventualità di un conflitto in Iraq. Non è dato sapere quale sia la natura del supporto, è certo però che più fonti italiane autorevoli e accreditate ammettono l’esistenza della richiesta da parte di Washington, richiesta nella quale si farebbe riferimento a mezzi e addirittura a uomini da impegnare nelle zone delle operazioni.
E’ vero che finora Palazzo Chigi ha sempre smentito l’ipotesi di un qualsiasi coinvolgimento militare diretto, il fatto è che la domanda di «cooperazione» è giunta di recente, e ieri sera è stata sostanzialmente confermata da un funzionario dell’ambasciata statunitense a Roma.
Il funzionario ha spiegato che gli Usa hanno chiesto «a sessanta Paesi assistenza in capacità militari per le fasi del combattimento e per quelle successive», e pur non rivelando quali siano «le specifiche richieste» né quali siano «gli specifici Paesi», ha aggiunto che tra le varie esigenze di supporto c’è «la protezione Nbc».
La sigla «Nbc» è riferita alla difesa da armi chimiche e batteriologiche, e già in passato si era parlato dell’attenzione rivolta dagli Usa verso i blindati italiani preposti a tale compito: si tratta di un reparto speciale del reggimento «Cremona» di stanza a Civitavecchia. Ma c’è di più. Washington ha chiesto a Roma di concedere l’autorizzazione all’uso delle basi italiane. E non solo per il passaggio di armamenti. Stavolta si tratta di uomini, di alcune migliaia di soldati la cui destinazione è ignota, ma che certamente saranno dispiegati sul fronte della crisi. E’ difficile stabilire se per il trasferimento verrebbero utilizzati soltanto aerei americani, o se nella richiesta di «supporto logistico» verrebbero inseriti anche i G-222 dell’aviazione italiana, adatti proprio al trasporto di truppe in alta quota.
La comunicazione giunta dagli Stati Uniti è stata tenuta riservata dal presidente del Consiglio, e quasi certamente è stata valutata durante il vertice che si è concluso a notte fonda, e al quale hanno partecipato - oltre a Berlusconi - il vice premier Fini, il ministro degli Esteri Frattini, il ministro dell’Interno Pisanu e il ministro della Difesa Martino. Si tratta di una decisione delicatissima, perché se il governo dovesse accedere alle necessità degli Stati Uniti, in caso di guerra si tratterebbe di un coinvolgimento diretto dell’Italia nel conflitto.
Raccontano che il capo dell’esecutivo sia preoccupato: la scelta non è facile. Per dire di sì all’«amico Bush» sarebbe costretto a fronteggiare l’ostilità dell’opinione pubblica, trovare il modo di superare i possibili impedimenti costituzionali cui ha fatto indirettamente cenno in questi giorni Ciampi, e soprattutto andare in Parlamento a chiedere l’autorizzazione. E il rischio è altissimo, Berlusconi teme che «di fronte a un simile scenario la maggioranza non regga». La crisi di governo proprio sulla guerra sarebbe rovinosa. D’altronde, già fornire l’uso delle basi agli americani potrebbe creare un problema nel centrodestra, se la stessa decisione non fosse presa anche da altri Paesi europei. E’ vero che nei mesi scorsi anche la Germania - decisamente contraria all’intervento militare - ha dato l’autorizzazione, ma continuerebbe a farlo qualora si trattasse di un attacco unilaterale?
Al tempo stesso è difficile dire di no a Washington per le basi. Solo in due occasioni l’Italia negò l’assistenza agli alleati: nel 1973, all’epoca del conflitto arabo-israeliano, quando gli americani dovettero fare tappa nella penisola iberica; e nell’86, quando la Casa Bianca decise di bombardare Tripoli nel tentativo di far fuori Gheddafi, e gli aerei a stelle e strisce furono costretti a decollare dalla Gran Bretagna, visto che Palazzo Chigi aveva rifiutato di fornire il supporto logistico per i rifornimenti di carburante. Può Berlusconi comportarsi allo stesso modo, dopo aver ostentato i solidi rapporti che lo legano agli americani? Difficile.
Com’è difficile capire per quale motivo una «nave civile italiana con mezzi militari» sia transitata oggi dal canale di Suez in scia a un convoglio guidato dalla nave da guerra statunitense Usns Pililaau. Il convoglio, che secondo fonti delle autorità marittime egiziane «fa rotta verso il Golfo», era composto anche da due navi rifornitrici britanniche. Alle forze di opposizione non è sfuggita la notizia, e difatti il capogruppo dei Verdi a palazzo Madama, Stefano Del Boco, ha chiesto un immediato chiarimento da parte del governo. Il centrosinistra e Rifondazione attendono di sapere, mentre nella maggioranza sale la tensione.
Berlusconi spera che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna riescano a trovare nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu i voti necessari per far approvare la seconda risoluzione, ma teme ancora un rovescio, determinato probabilmente da una gestione diplomatica della crisi da parte degli americani che «non mi è parsa impeccabile». E che cioè è stata costellata di errori. Perciò il premier ancora ieri si è affidato alla speranza che il raìs di Bagdad accetti la via dell’esilio: «Sarebbe una cosa meravigliosa». «Sarebbe l’unico modo per evitare la guerra», ha sussurrato un ministro: «Peccato che nessuno ci creda. Saddam è consapevole che se decidesse di andare in esilio o di dimettersi la sua sorte sarebbe comunque segnata. In entrambi i casi verrebbe ucciso. E dunque non lo farà».
Se allora la guerra dovesse scoppiare, il governo avrebbe difficoltà a sfilarsi dall’alleanza con Bush, specie dopo la firma del famoso «documento degli Otto», alla cui stesura avrebbe collaborato anche Angelo Petroni, nominato da Pera e Casini nei giorni scorsi consigliere di amministrazione della Rai. Petroni, molto legato a Tremonti e divenuto anche consigliere di Berlusconi, è collaboratore del «Wall Street Journal», sulle cui colonne sarebbe in pratica nato il documento, maturato dopo una serie di articoli di prestigiosi collaboratori.
Il lavorìo diplomatico al Palazzo di Vetro, la possibilità che slitti ancora l’«ora X» dell’attacco, consentono al presidente del Consiglio di sperare in un approccio meno duro alla guerra, magari con l’appoggio dell’Onu. Piuttosto nei suoi colloqui riservati di questi giorni ha più volte criticato l’atteggiamento della Francia, lo ha colpito il modo in cui Chirac chiede che l’Europa sulle questioni di politica estera passi dall’unanimità alla maggioranza qualificata, mentre alle Nazioni Unite enfatizza la possibilità di porre il veto di cui dispone. Sia chiaro, mai e poi mai l’Italia potrà né vorrà modificare il suo posizionamento: non avrebbe alcun senso - sostiene Berlusconi - andare nella scia di Francia e Germania. Non c’è la volontà né l’interesse di farlo. Anche se si avverte nei suoi ragionamenti la paura di veder fallire il semestre di presidenza italiano dell’Ue.
Ma la linea intrapresa non prevede nessuna rottura con Bush da parte del premier, che manifesta il suo compiacimento «per le parole pronunciate dall’ambasciatore americano Sembler nei nostri confronti». No, la linea non si cambia. E su questo è d’accordo anche Fini, sebbene il leader di An abbia più volte esposto in via riservata i suoi dubbi sulla guerra: dubbi legati al rischio di una «destabilizzazione dell’area», ai timori di una «controffensiva terroristica», al pericolo di «uno scontro tra civiltà». Sono temi che ha affrontato durante alcuni colloqui riservati con rappresentanti americani. La loro risposta è stata che «lo scenario sarebbe peggiore se non si disarmasse definitivamente Saddam».
Ma ora che Washington ha avanzato le sue richieste, ora che il conflitto si avvicina, ora il governo deve fare i conti con la sua maggioranza, con l’opposizione e con il Paese. Certo, può anche dire di no a Bush. Nell’uno come nell’altro caso dovrà fronteggiare le conseguenze di una scelta

Francesco Verderami
 

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