Cito ad esempio. Non credo - per quanto ne so io - che l'Istituto Luigi Sturzo - EDU - sia da considerare di emanazione fascista.
Sul sito troviamo un esempio di queste informazioni che sono "cultura" "conoscenza", non certo propaganda.
Uno degli obiettivi del fascismo sul piano della organizzazione economico-sociale dello Stato era la realizzazione di un sistema in grado di attenuare i contrasti tra capitale e lavoro al fine di armonizzare gli interessi dei diversi gruppi sociali e arrivare al superamento della lotta di classe. Questo indirizzò trovò una articolata elaborazione teorica in un documento dal titolo Carta del lavoro, emanata il 21 aprile 1927, che si ispirava ai seguenti principi basilari: la collaborazione tra le classi; la preminenza dell'iniziativa privata sull'intervento dello Stato; la contrattazione sindacale sulla base del sindacato unico; la magistratura del lavoro per la soluzione dei conflitti; il ricorso agli uffici di collocamento statale per l'assunzione dei lavoratori.
A partire dal 1925, con l'avvento di Giuseppe Volpi al ministero delle Finanze, cominciarono a pesare negli indirizzi economici del governo Mussolini nuovi orientamenti, che tendevano da un lato a favorire il potere d'acquisto della piccola e media borghesia, messo in pericolo dalle spinte inflazionistiche, e dall'altro a rafforzare il prestigio internazionale dell'Italia. Si deve a questo orientamento la decisione di Mussolini, annunciata in un discorso tenuto a Pesaro il 18 agosto 1926 (il discorso di "quota novanta"), di rivalutare il valore della lira rispetto alle altre divise estere equiparate all'oro. In particolare, con legge del 21 dicembre 1927 il valore della sterlina venne equiparato a 92,45 lire italiane, mentre il cambio del dollaro venne fissato a 19 lire. Gli effetti della rivalutazione forzata della lira furono diversi, favorendo il potere d'acquisto dei lavoratori a reddito fisso senza frenare le tendenze espansive di alcuni settori della grande industria in espansione, quali i gruppi elettrici, chimici e tessili. Conseguenze negative subirono invece quei settori (meccanici, automobilistici, delle sete artificiali, alimentari, ecc.) che producevano in gran parte anche per l'esportazione, che a seguito dell'aumento dei prezzi subirono consistenti contrazioni. Tuttavia la maggiore industria automobilistica, la Fiat, riuscì a superare le difficoltà grazie al rafforzamento del mercato interno e alla politica di sviluppo delle infrastrutture stradali e autostradali che favorì l'avvio della motorizzazione del paese.
Nel settore agricolo la politica del fascismo, ispirata dal ministro Serpieri, orientò i suoi obiettivi verso un aumento della produzione (tenendo conto che gli acquisti di grano all'estero costituivano il 15% del totale delle importazioni italiane); verso la cosiddetta "bonifica integrale", tendente a recuperare superfici agrarie improduttive attraverso opere di bonifica e di valorizzazione; infine, obiettivo del fascismo era la tranquillità sociale nelle campagne, favorendo, in particolare, quelle forme di conduzione agricola meno conflittuale tra capitale e lavoro, quali il piccolo affitto, la mezzadria e la colonia, cercando di favorire la riduzione del bracciantato agricolo e l'aumento della piccola proprietà
Le conseguenze che sia il settore agricolo che industriale subirono a seguito della crisi del 1929, che, tra l'altro, mise in pericolo il sistema bancario italiano, portò il governo a realizzare un intervento diretto dello Stato nella vita economica del paese. Nel novembre 1931 venne creato l'Istituto Mobiliare italiano (IMI), con il compito di integrare l'attività creditizia a favore delle industrie. Successivamente, il 23 gennaio 1933 venne creato l'Istituto per la Ricostruzione industriale (IRI), guidato da un gruppo di dirigenti qualificati, quali Alberto Beneduce e Donato Menichella, con l'obiettivo di sostituirsi alle grande banche nel sostegno alle imprese industriali in difficoltà, procedendo al salvataggio e alla riorganizzazione di numerose aziende.
L'IRI assunse il controllo delle più grandi banche e di numerose imprese industriali. Nel 1936 l'IRI divenne un ente permanente dello Stato con uno stanziamento di 285 milioni annui. Tra il 1936 e il 1942, l'Istituto riuscì a controllare il 44% del capitale azionario italiano, assorbendo e gestendo importanti industrie del settore meccanico, siderurgico e cantieristico. Alla fine degli anni Trenta l'IRI controllava il 77% della produzione di ghisa, il 45% di acciaio, il 75% della lavorazione dei minerali di ferro. L'IRI gestiva anche alcune società elettriche e le principali aziende telefoniche (quali la Sip) e il 90 % delle linee di navigazione.