TI CAMBIANO ANCHE LE COSE CHE NON SUCCEDONO

Cinque anni di carcere ed è già fuori.
Eppure nel gennaio 2012, quando non aveva ancora 18 anni, Remi Nikolic a bordo di un suv aveva travolto e brutalmente ammazzato l'agente di polizia locale Niccolò Savarino.

Una barbara esecuzione che si era consumata a Milano e che si era, poi, trascinata fino all'Ungheria dove il rom era stato poi arrestato.
Oggi il nomade ha ottenuto l'affidamento in prova ai servizi sociali, dopo appena cinque anni e mezzo di carcere minorile.
A deciderlo è stato il tribunale per i minorenni di Milano accogliendo l'istanza dell'avvocato David Russo.

Nikolic, che oggi ha 23 anni, era stato condannato in via definitiva per omicidio volontario a 9 anni e 8 mesi.
Ne ha trascorsi 5 anni e mezzo al carcere minorile Cesare Beccaria di Milano. Poco più della metà.

E, adesso, è stato affidato in prova ai servizi sociali. "Questo fatto potrebbe - scrive il Collegio del Tribunale per i minorenni di Milano, presieduto da Emanuela Gorra -
rivelarsi utile per favorire il processo di integrazione sociale del condannato e nel contempo impedire la commissione di ulteriori reati".
A detta del Collegio del Tribunale per i minorenni di Milano il rom 23enne avrebbe dimostrato la volontà di
"volersi distanziare dallo stile di vita del contesto familiare che in passato aveva fatto proprio e di voler effettuare in modo non strumentale scelte tali da esprimere la sua volontà di cambiamento".

Per avvalorare la decisione presa oggi, i giudici meneghini hanno voluto segnalare varie attività condotte dal nomade nei cinque anni e mezzo di carcere minorile,
tra cui la collaborazione con una compagnia teatrale.
 
La storia insegna che quando la miniera rivela una vena d’oro, i cercatori ci si fiondano.
Gli affari sono affari e vale anche per il business dell’immigrazione.
Gli 85mila profughi sbarcati in Italia quest’anno sono già nel circolo delle cooperative e altri ancora ne arriveranno.

Il piatto è ricco e fa gola a molti. E così alcune associazioni, più di altre, hanno capito che con l’emergenza migranti i fatturati si possono gonfiare.
Come? Partecipando ai bandi di più regioni contemporaneamente. Sono loro i veri “polipi dell’accoglienza”.
Un pugno di coop cui lo Stato assegna circa 100 milioni di euro all’anno.
 
Nel sistema malfermo dell’emergenza italiana, il vero pozzo senza fondo sono i Centri di accoglienza straordinari (Cas) coordinati dalle prefetture. Le coop più voraci nell’accaparrarsi i finanziamenti sono una quindicina. Impossibile citarle tutte. Prendete la Liberitutti di Torino: nata nel 1999, dice di aver come obiettivo “il rilancio di territori in forte crisi”. Sarà per questo che il suo nome appare sulle scrivanie di sette diversi prefetti. Gli incassi percepiti sono da capogiro. Da Torino, solo nel 2015, nelle sue tasche sono finiti 893.400 euro. Netti. L’importo nel 2016 si è fatto più grosso: 4.945.017 euro (in parte da spartire con la “sorella” Crescere Insieme). Ad oggi la prefettura dichiara di averne versati “solo” 237.322, ma per far lievitare il fatturato basta attendere. Oppure allargare i propri confini. Quest’anno infatti Liberitutti dal Nord è scesa fino a Palermo come Garibaldi con i Mille. Mille motivazioni per farlo, anzi: migliaia. Come i soldi che ruotano attorno ai centri profughi che ha sparsi in tutto il Paese: Alessandria (56.000 euro), Genova (267.597 euro) e Cuneo (218.396 euro). Il totale? In due anni 1.301.389 euro già incassati e ancora in ballo altri 7,6 milioni.
 
Per carità: ci sono anche le cooperative cui non serve spostarsi molto per generare fatturati invidiabili. La Pietra alta da Biella si è allargata solo a Cuneo e Torino e nel 2016 ha messo insieme appalti del valore di 2,2 milioni. Oppure Caleidos di Modena, che rimanendo legata al suo territorio si è vista assegnare 8.450.729 euro. Ma la strategia che paga di più è quella della Versoprobo di Vercelli. Il motto: puntare su “strutture che possano ospitare numeri considerevoli di persone” e rivolgersi a più regioni. Chi più profughi ha, più ne prenda. E così nel 2016 conquista appalti da Savona a Palermo, passando da Verbano, Biella e Asti. Poi ci sono gli importi stellari: 1,1 milioni a Torino, 1.6 milioni ad Alessandria, 444mila a Varese e 668mila euro incassati da Novara. Sommando solo i dati resi pubblici da alcune prefetture, Versoprobo l’anno scorso si è aggiudicata oltre 4,4 milioni di euro. Una vera fortuna.
 
La dea bendata da anni bacia senza sosta anche Domus Caritatis (investita da Mafia Capitale), Tre Fontane e Senis Hospes. Le prime due fanno parte del consorzio “Casa della Solidarietà”, che a sua volta rientra nel circuito di “La Cascina”. Un castello di società attorno a cui ruotano ancora diversi milioni di euro l’anno. Sono gli affari d’oro dei consorzi e delle loro consorziate. Codeal, per citarne uno, oltre all’importo da 1.406.590 vinto a Torino, con la sua rete ha messo le mani pure sull’accoglienza nei dintorni di Lodi e Asti e nel 2017 ha tentato la fortuna a Piacenza. Tra le associate spicca la Leone Rosso, coop di giovani che ad Aosta registra circa 133 migranti e che a Torino nel 2016 aveva una convenzione da 542mila euro. Per non farsi mancare nulla, la prefettura di Modena gli aveva riservato (in coppia con “L’Angolo”) 1milione e 360mila euro (518mila già liquidati). Il consorzio Agorà, invece, solo a Genova si è aggiudicata oltre 5,8 milioni di euro, incassandone per ora 2,8 milioni. L’anno precedente era stato altrettanto prolifico, con 2.505.513 euro portati a casa
 
E’ il magico potere dei profughi. Ne sa qualcosa la Lai Momo di Sasso Marconi, ridente cittadina alle porte di Bologna. La società nasce come casa editrice “di comunicazione sociale e educazione al dialogo interculturale”. Poi però da dieci anni “in modo progressivo” ha incrementato l’attività “nel campo dei servizi per l’immigrazione”. E che incremento! Nel 2016 coordinava (con altri) l’Hub Regionale “Centro Mattei”, gestiva 31 Cas nell’hinterland bolognese, collaborava con altre coop alla gestione di ulteriori due centri e partecipava pure al progetto Sprar. Facciamo i conti? L’anno scorso dalla prefettura ha ricevuto 832.339 euro e si è dovuta spartire con altre colleghe 6,8 milioni di euro. In fondo il bilancio parla chiaro: il fatturato è passato da 3,2 milioni di euro nel 2015 a 5,3 milioni nel 2016.
 
Buongiorno.
Se ricordate, circa 6 mesi fa ci sono stati gravi incendi boschivi e la polemica era montata
Pensate che in questo lasso di tempo qualcuno si sia mosso ? None.

“Su 32 elicotteri antincendio del Corpo Forestale solo 4 sono operativi a causa della disgraziata riforma Madia che ha accorpato la Forestale ad altre forze di polizia;
16 sono stati andati ai Vigili del Fuoco,
16 ai Carabinieri

ma a causa della riforma, per mancanza di brevetti e adeguamento degli stessi ai criteri dei nuovi Corpi a cui sono stati assegnati,
ben 28 elicotteri sono terra inutilizzati.”

“Inoltre degli 8.000 forestali,
in 360 sono andati ai Vigili del Fuoco,
circa 1.240 nella pubblica amministrazione
e 6.400 ai Carabinieri.

Ma la cosa più grave – continua Bonelli – è che le funzioni di Dos (Direttore Operatore Spegnimento) che prima erano esercitate dal Corpo Forestale
attraverso specifiche convenzioni con le Regioni, oggi non sono state ancora assegnate e manca proprio quel coordinamento eseguito da chi
ha costruito negli anni una professionalità nello spegnimento degli incendi.”

“A questo si aggiunga – prosegue Bonelli – che in quelle Regioni dove c’è un coordinamento e vige un piano antincendi di prossimità, reale e capillare
e che coinvolge anche la popolazione nel controllo attivo del territorio, vediamo che gli incendi sono ridotti praticamente a zero.”

“Questo serva da lezione alle Regioni inadempienti e a chi, con la scusa di voler far risparmiare, ha voluto l’accorpamento della Forestale
dimostrando una incompetenza
che oggi paghiamo in termini ambientali e sociali”, conclude il coordinatore nazionale dei Verdi.
 
La domanda che mi pongo e che dovremmo porci, tutti.
Ma c'era "qualcuno" che conduceva questi elicotteri quando erano della Forestale ?

Perchè se c'erano, il brevetto di prima e ancora quello di dopo, non è che cambiano i brevetti
perchè si cambia d'Arma. E allora bastava collegare quell'elicottero a quel pilota. Troppo difficile ?

"adeguamento degli stessi ai criteri dei nuovi Corpi". Cioè un elicottero "cambia" se cambia d'Arma ?
Si girano le pale,forse ? O si inverte il movimento del rotore ? Ah no, forse lo si deve ridipingere. Ecco qual'è il problema.
 
Leggere questo articolo e compiacersi della comparsa del lupo ...nel Parco del Ticino...quasi in pianura......mah. Chissà cosa ne pensano gli allevatori.

Grazie al foto –trappolaggio, lo scorso maggio, è stata accertata la presenza di un esemplare di lupo (Canis lupus L., 1758) nella zona centrale del Parco del Ticino.
Come accertato dal professor Alberto Meriggi dell’Università di Pavia e dalla dottoressa Olivia Dondina dell’Università Bicocca di Milano,
si tratta di un individuo ascrivibile, dalle caratteristiche morfologiche, alla sottospecie italiana (Canis lupus italicus Altobello, 1921), probabilmente in fase di dispersione, alla ricerca di nuovi territori.

Dal punto di vista scientifico, questa rappresenta una notizia di eccezionale importanza, soprattutto se inserita nel contesto più ampio della dinamica di distribuzione del lupo in Italia.

Il Parco del Ticino, a seguito della prima segnalazione, ha avviato la collaborazione con le Università di Pavia e Milano – Bicocca
e sta provvedendo alla formazione di tecnici, guardiaparco e volontari finalizzata al riconoscimento dei segni di presenza del lupo,
con l’obiettivo di stimare l’areale della specie nel Parco del Ticino e nelle aree limitrofe e di raccogliere campioni per le analisi genetiche.
E’ utile ricordare che stiamo parlando di uno, forse due, esemplari per cui al momento non siamo in presenza di una popolazione strutturata
e il suo permanere nel territorio del Parco del Ticino dovrà essere verificato nei prossimi mesi.

Resta il fatto che la presenza del lupo conferma il ruolo della Valle del Ticino come corridoio ecologico funzionale tra Alpi ed Appennini:
i boschi perifluviali sono infatti caratterizzati da livelli di naturalità tali da consentire ad un grande predatore come il lupo di utilizzarle nella fase di dispersione,
trovando una via di congiunzione fra le popolazioni dell’Appennino e quelle delle Alpi.
 

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