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Gli errori della Bce chiudono i rubinetti del credito
16 MARZO 2020
DI ALESSANDRO PENATI
A volte un grafico è più eloquente di mille parole. Ai prezzi di chiusura di giovedì scorso, subito dopo la riunione della Bce, l’indice delle maggiori banche europee era crollato fino a valere poco più del 50% del loro patrimonio netto: meno del 2016, quando gli strascichi del default della Grecia, la svalutazione dello yuan, la fine del QE negli Usa e il referendum per la Brexit fecero crollare i mercati; meno del 2012, al culmine della crisi dell’euro; e vicino al minimo del 2008 (vedi grafico a pagina 9). Il rimbalzo di venerdì, anche se durasse, non cambierebbe la sostanza.
Si tratta di un chiaro segno del timore di un’ondata di insolvenze in conseguenza della crisi economica da coronavirus, che deprimerebbe il valore degli attivi bancari, indebolendone i bilanci. Le banche reagirebbero inevitabilmente riducendo i rischi in portafoglio, aggravando la crisi economica. Le misure adottate dalla Bce e la comunicazione che ne è seguita non mitigano questo rischio.
La Bce ha deciso di incrementare di 120 miliardi gli acquisti di titoli sul mercato (da 20 a circa 31 miliardi al mese) una cifra esigua rispetto alla gravità del momento (la Fed ha annunciato interventi per 1.500 miliardi). Ma ancor più colpisce che non vengano modificate le regole, ovvero non più di un terzo del debito di ogni Paese e nelle proporzioni dei rispettivi Pil. Poiché siamo già vicini al limite massimo per i titoli tedeschi, equivale a dire che la Bce non vuole intervenire a sostegno dei Btp che dovranno essere emessi per finanziare le misure per il Covid19. Nel caso qualcuno non avesse capito è arrivata la Lagarde a spiegare che «non siamo qui a ridurre gli spread». Nonostante la correzione arrivata dal suo capo economista e dalla von der Leyen, è un messaggio che non fa certo bene alle banche italiane con tanti Btp in portafoglio.
Gli acquisti Bce riguarderanno necessariamente corporate bonds investment grade, che non servono a mitigare la crisi di liquidità delle aziende colpite dal coronavirus, e neppure a sostenere i bilanci delle banche, perché emessi da aziende di grandi dimensioni, prevalentemente nei servizi di pubblica utilità. Per erogare il credito alle piccole medie imprese in crisi la Bce offre alle banche finanziamenti a tassi negativi (fino a -0,75%). Non credo che tale sussidio – di questo si tratta – riesca a compensare il rischio per le banche, già poco propense a rischi anche per via della stessa regolamentazione, di erogare credito ad aziende in difficoltà. Senza contare che le banche prediligono chi può offrire garanzie, che presumibilmente non sarà fra i più colpiti. Molto meglio ha fatto la Banca centrale cinese, che ha sospeso temporaneamente gli accantonamenti per i crediti che diventassero non performing a causa del Covid19: un vero incentivoa rifinanziare posizioni, ed estenderne di nuove, a fronte di una comprovata crisi a seguito del virus. E manca l’innovazione, come potevano essere le cartolarizzazioni di prestiti ad aziende colpite dal Covid19, con garanzie statali (modello Gacs), da scontare presso la Bce.
Invece la Bce, dando per scontato che le sofferenze aumenteranno, autorizza le banche a operare con ratio patrimoniali inferiori a quelli attualmente in vigore (P2G CCB e CCyB), a patto che non paghino dividendi. Riducendo così la propensione dei banchieri ad assumersi rischi nei confronti delle aziende in crisi, per evitare che gli scarsi dividendi affossino ulteriormente i titoli in Borsa. E permette di soddisfare altri requisiti patrimoniali (P2R) con una maggior quota di subordinati di nuova emissione, deprimendo il corso di quelli esistenti.
Dopo l’errore di Trichet che aumentò i tassi nel 2011 per correre dietro al fantasma dell’inflazione, non prevedendo la crisi dell’euro dietro l’angolo, speriamo che la Bce non conceda il bis. Errare è umano, perseverare diabolico.
16 MARZO 2020
DI ALESSANDRO PENATI
A volte un grafico è più eloquente di mille parole. Ai prezzi di chiusura di giovedì scorso, subito dopo la riunione della Bce, l’indice delle maggiori banche europee era crollato fino a valere poco più del 50% del loro patrimonio netto: meno del 2016, quando gli strascichi del default della Grecia, la svalutazione dello yuan, la fine del QE negli Usa e il referendum per la Brexit fecero crollare i mercati; meno del 2012, al culmine della crisi dell’euro; e vicino al minimo del 2008 (vedi grafico a pagina 9). Il rimbalzo di venerdì, anche se durasse, non cambierebbe la sostanza.
Si tratta di un chiaro segno del timore di un’ondata di insolvenze in conseguenza della crisi economica da coronavirus, che deprimerebbe il valore degli attivi bancari, indebolendone i bilanci. Le banche reagirebbero inevitabilmente riducendo i rischi in portafoglio, aggravando la crisi economica. Le misure adottate dalla Bce e la comunicazione che ne è seguita non mitigano questo rischio.
La Bce ha deciso di incrementare di 120 miliardi gli acquisti di titoli sul mercato (da 20 a circa 31 miliardi al mese) una cifra esigua rispetto alla gravità del momento (la Fed ha annunciato interventi per 1.500 miliardi). Ma ancor più colpisce che non vengano modificate le regole, ovvero non più di un terzo del debito di ogni Paese e nelle proporzioni dei rispettivi Pil. Poiché siamo già vicini al limite massimo per i titoli tedeschi, equivale a dire che la Bce non vuole intervenire a sostegno dei Btp che dovranno essere emessi per finanziare le misure per il Covid19. Nel caso qualcuno non avesse capito è arrivata la Lagarde a spiegare che «non siamo qui a ridurre gli spread». Nonostante la correzione arrivata dal suo capo economista e dalla von der Leyen, è un messaggio che non fa certo bene alle banche italiane con tanti Btp in portafoglio.
Gli acquisti Bce riguarderanno necessariamente corporate bonds investment grade, che non servono a mitigare la crisi di liquidità delle aziende colpite dal coronavirus, e neppure a sostenere i bilanci delle banche, perché emessi da aziende di grandi dimensioni, prevalentemente nei servizi di pubblica utilità. Per erogare il credito alle piccole medie imprese in crisi la Bce offre alle banche finanziamenti a tassi negativi (fino a -0,75%). Non credo che tale sussidio – di questo si tratta – riesca a compensare il rischio per le banche, già poco propense a rischi anche per via della stessa regolamentazione, di erogare credito ad aziende in difficoltà. Senza contare che le banche prediligono chi può offrire garanzie, che presumibilmente non sarà fra i più colpiti. Molto meglio ha fatto la Banca centrale cinese, che ha sospeso temporaneamente gli accantonamenti per i crediti che diventassero non performing a causa del Covid19: un vero incentivoa rifinanziare posizioni, ed estenderne di nuove, a fronte di una comprovata crisi a seguito del virus. E manca l’innovazione, come potevano essere le cartolarizzazioni di prestiti ad aziende colpite dal Covid19, con garanzie statali (modello Gacs), da scontare presso la Bce.
Invece la Bce, dando per scontato che le sofferenze aumenteranno, autorizza le banche a operare con ratio patrimoniali inferiori a quelli attualmente in vigore (P2G CCB e CCyB), a patto che non paghino dividendi. Riducendo così la propensione dei banchieri ad assumersi rischi nei confronti delle aziende in crisi, per evitare che gli scarsi dividendi affossino ulteriormente i titoli in Borsa. E permette di soddisfare altri requisiti patrimoniali (P2R) con una maggior quota di subordinati di nuova emissione, deprimendo il corso di quelli esistenti.
Dopo l’errore di Trichet che aumentò i tassi nel 2011 per correre dietro al fantasma dell’inflazione, non prevedendo la crisi dell’euro dietro l’angolo, speriamo che la Bce non conceda il bis. Errare è umano, perseverare diabolico.