Titoli di Stato Italia Trading Titoli di Stato (5 lettori)

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Il Coniglio Ue del 23 aprile e il Mes

Sullo sfondo c’è il Consiglio Ue di giovedì 23 aprile, durante il quale i capi di Stato e di governo dovranno dare il via libera ai quattro pilastri per la ripresa dopo il lockdown individuati dall’Eurogruppo (fondi Bei alle imprese, nuova linea del Mes, Sure e Recovery Fund) e dare l’indicazione politica su come finanziare il Fondo per la ripartenza e su quanto ammonterà. Sul Mes Centeno ha sgomberato il terreno da eventuali dubbi ancora persistenti in alcune parti politiche: la nuova linea di credito «non è legata a condizionalità specifiche per Paese» e «non c’è stigma, non c’è troika». Sono fondi che saranno operativi «entro due settimane» dal mandato dei leader. Il premier Giuseppe Conte, durante la sua audizione in Senato, ha detto che non si opporrà al Mes perché «ci sono Paesi in Ue che hanno dimostrato interesse» e «rifiutare questa nuova linea di credito significherebbe fare un torto a questi Paesi che ci affiancano nella battaglia».
 

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Il Recovery Fund
Il fatto che il debito crescerà ovunque «è molto chiaro e lo abbiamo in mente ogni giorno — ha proseguito Centeno —. Quindi dobbiamo trovare una soluzione a questo problema. È precisamente in questo che entra in gioco la politica: abbiamo la Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, tutte queste istituzioni dell’Ue che cercheranno una soluzione nelle prossime settimane». Il Consiglio Ue del 23 aprile non è più dunque il punto di svolta ma un passaggio intermedio (probabilmente non ci saranno conclusioni ma solo una dichiarazione di Charles Michel), benché fondamentale perché darà l’inidirizzo politico alla Commissione Ue per costruire una proposta di Recovery Fund, legato al prossimo bilancio dell’Ue 2021-27, in grado di ottenere un ampio sostegno. Quindi l’attenzione ora è rivolta al 29 aprile quando si conosceranno i contenuti della proposta e partirà il negoziato vero e proprio. Ma se giovedì tutto filerà liscio, l’accordo tra i 27 sul Recovery fund che si finanzia a debito (al di là dei tatticismi che potrebbero adottare i Paesi nordici per cercare di spostarlo più in là possibile) sarà un risultato importante, impensabile fino a poche settimane fa. Centeno, per spiegare la delicatezza del momento, ha sottolineato la necessità di «controllare le emozioni che circondano questo dibattito ed evitare che vadano fuori controllo, perché questo ostacolerebbe le possibilità di trovare nuove soluzioni innovative, che è precisamente ciò di cui abbiamo bisogno».



I nodi da sciogliere
I nodi da sciogliere sul nuovo Fondo, su cui sta lavorando l’Italia con i Paesi del Sud Europa, sono la dimensione (la presidente von der Leyen e il commissario Ue all’Economia Gentiloni hanno parlato di mille miliardi) e la tempistica (Roma punterebbe a un accordo definitivo per giugno e operatività da luglio). Il meccanismo alla base del Fondo per la ripresa dovrebbe essere quello utilizzato per lo schema Sure (il meccanismo Ue che sostiene i piani nazionali di lavoro a orario ridotto come la cassa integrazione), che si basa sull’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Ue: la Commissione, che gode della tripla A di rating, emette bond e poi conferisce i fondi raccolti agli Stati membri, sotto forma di prestiti back-to-back a lunga scadenza e a tassi bassi. Secondo la proposta italiana il Fondo avrà la garanzia del prossimo Bilancio Ue, che parte dal 2021, ma in attesa dovrà prevedere inizialmente garanzie comuni di tutti gli Stati membri, che dovranno anticiparle, per consentire l’operatività immediata e che saranno sostituite da quelle comuni che si troveranno alla voce «risorse proprie» del bilancio (altro punto tutto da negoziare).
 

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Panetta (board Bce) si sbilancia: no a risposte asimmetriche alla crisi
21 Aprile 2020

Il confronto europeo sul fondo per la ripresa (Recovery fund) e i coronabondnon è ancora concluso, ma dalla Bce arriva un messaggio chiaro ai leader europei più restii a soluzioni comuni: agite in fretta, o ne pagheranno le conseguenze tutti. Anche i Paesi ritenuti più forti. E’ la posizione espressa dal membro italiano del consiglio direttivo della Banca centrale europea, Fabio Panetta, in un articolo che suona come una netta presa di posizione.
Ridurre i costi di finanziamento per i Paesi che devono fronteggiare l’emergenza coronavirus, è la tesi dell’intervento di Panetta, non è solo una questione di solidarietà fra Paesi: è una valutazione razionale per contenere i costi della crisi per tutta l’Area euro.

“Gli svantaggi di una risposta asimmetrica sono evidenti”, ha scritto Panetta nel suo intervento pubblicato su Politico, “nell’ambito della salute pubblica, se i paesi sono costretti a revocare prematuramente le necessarie misure di sanità pubblica perché i costi economici del contenimento sono troppo elevati, il virus inizierà inevitabilmente a diffondersi di nuovo e danneggerà ulteriormente l’economia”.


Questo dovrebbe far rizzare le antenne anche a quei Paesi che attualmente ritengono una risposta condivisa non necessaria: “Le economie della zona euro sono strettamente interconnesse attraverso catene dell’offerta, connessioni finanziarie e relazioni commerciali.
Di conseguenza, un crollo in gran parte della zona euro deprimerà la crescita e l’occupazione in tutta la regione”, ha scritto Panetta.

Una crisi più pericolosa di quelle del passato
A peggiorare la situazione attuale, rispetto al contagio economico verificatosi nel 2011-12 con la crisi dell’euro, intervengono nuovi fattori. I paesi più forti non potrebbero sperare di bilanciare la minore domanda dai Paesi europei in crisi con quella proveniente da altre aree dell’economia globale (Usa o Cina).
Questo perché la crisi indotta dal coronavirus sulla domanda è globale. Secondo Panetta, questo impone ai Paesi europei di appoggiarsi più che mai al mercato interno Ue19, che rappresenta il 45% del Pil dell’Eurozona. Inoltre le catene dell’offerta, oggi, sono integrate “con percentuali di partecipazioni superiori del 60% rispetto alle imprese americane o cinesi”. Questo amplifica le connessioni fra le varie economie europee.


Secondo un’analisi Bce citata da Panetta un calo iniziale del Pil pari al 5% in una delle maggiori economie dell’Eurozona si tradurrebbe, per tutta l’area, in una caduta del 7% per tutta l’area.
Un calo localizzato del 15% in una grossa economia europea diventerebbe un -20% a livello di Eurozona.
“Solo se tutte le economie agiranno con la forza necessaria a contenere la recessione la perdita del Pil per l’intera Eurozona sarà minimizzata” ha sostenuto il membro italiano del board Bce.

Panetta, poi ha lanciato un messaggio velato a Olanda e Germania, i due Paesi finora più restii a creare un fondo per la ripresa finanziato da emissioni di debito comune europeo: “Se si fallisce nell’agire ora, ciò non isolerà i contribuenti dai costi di questa crisi. Piuttosto il contrario: amplificherà questi costi quando alla fine saranno da saldare”.

Per il momento le risposte della politica sono state insufficienti. Infatti, ha messo in luce Panetta, la risposta in termini di spesa pubblica è stata più forte nei paesi meno colpiti dalla pandemia.
Là dove il coronavirus ha fatto più male, invece, la risposta è stata inferiore: “Questo sembra essere avvenuto, in parte, perché questi ultimi Paesi temono di non essere in grado di sostenere il peso del debito che una risposta ottimale, invece, richiederebbe”.

E’ evidente che, senza nominarli direttamente, Panetta alluda ai piani di stimolo messi in campo in Germania, assai decisi, con quelli italiani relativamente meno audaci.

Le azioni da intraprendere
“Piuttosto che trasferimenti tra paesi membri o una mutualizzazione dei debiti esistenti, ora è necessario che i paesi utilizzino la loro forza collettiva per garantire che la risposta europea sia commisurata all’entità dello shock e che tutti i paesi possano beneficiare di bassi costi di finanziamento e zero rischio di rollover”, ha affermato Panetta, “qualunque sia la strada intrapresa, l’obiettivo della politica fiscale deve essere quello di spingere i costi di finanziamento di questa crisi in un futuro molto lontano. Il debito emesso a scadenze molto lunghe diventa più sostenibile nel tempo man mano che i tassi di crescita superano i tassi di interesse”.
 

stefanofabb

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