ieri sera hanno trasmesso il film su Hannah Arendt, un caro e vecchi ricordo dell'università. Era centrato sul suo libro più controverso, "La banalità del male". Libro che consiglio caldamente. Tratta del processo ad Eichmann, uno degli organizzatori dello sterminio di milioni di persone umane (non ebrei come tutti dicono, ma persone come me e voi, e non mi interessa nulla della loro professione religiosa: prima sono uomini donne e bambini!).
Il succo è questo: tutta la società occidentale, intesa come pensiero ai massimi sistemi dai presocratici in poi, individua nell'orgoglio l'origine del male. Ma l'esperienza del nazismo nega questa origine.
Si uccide non per soldi.
Si uccide non per odio.
Si uccide non per vendetta.
Si uccide non per paura.
Si uccide non per un ritorno politico e sociale.
Tutte motivazioni dove sotto sotto c'è l'orgoglio che muove.
Si uccide perché si esegue un ordine.
Si uccide perché si fa parte di un sistema.
Si uccide perché si arriva ai confini della vita
Si uccide perché non si pensa.
E questo fa concludere alla Arendt che:
"Il Male è banale perché i suoi, più o meno inconsapevoli, servitori altro non sono che dei piccoli, grigi, burocrati, simili in tutto e per tutto al nostro vicino di casa.
E' inutile e pericoloso aspettarsi dei "demoni": i macellai del '900 sono tra noi, in tutto simili a noi".