Sharnin 2
Forumer storico
Le lezioni della crisi finanziaria
Alfonso Tuor
«I mercati finanziari sono diventati un mostro che ha causato una massiccia distruzione di ricchezza. Questo mostro deve essere rimesso in riga». Queste affermazioni del presidente della Germania, Horst Köhler, esprimono il legittimo auspicio di parte dell’opinione pubblica occidentale di non permettere che la crisi dei mutui subprime venga archiviata senza che si prendano provvedimenti per porre rimedio alle manchevolezze etiche ed economiche che ha portato alla luce. Le parole del presidente tedesco hanno avuto grande eco sulla stampa internazionale, anche perché non è solo un politico (vicino alla CDU), ma è soprattutto stato direttore del Fondo Monetario Internazionale ed è quindi una persona che parla con cognizione di causa. È quindi comprensibile che esse stiano dando il via ad un ampio dibattito che è di grande importanza per il futuro del mondo, poiché negli ultimi anni attorno ai principali attori della finanza mondiale si è verificata un’impressionante concentrazione di potere. Il tema è molto vasto. In questa sede cerchiamo solo di mettere in evidenza qualche punto.
Innanzitutto negli ultimi anni il mondo è stato assordato dalla ripetizione del ritornello che i mercati devono essere lasciati liberi, poiché sono in grado di autoregolamentarsi. Questa crisi ha messo in luce che i principali autori di queste affermazioni, ossia il mondo finanziario, sono corsi da governi e da banche centrali a chiedere aiuto. Ed è indiscutibile che questi interventi pubblici, che continuano ancora, hanno evitato una crisi dell’intero sistema finanziario che avrebbe con grande probabilità fatto sprofondare il mondo in una depressione. Dunque, i soldi dei contribuenti hanno salvato gruppi finanziari diretti da managers strapagati. Questi «strani» campioni del libero mercato erano perfettamente consapevoli che potevano assumere i rischi più assurdi perché in ogni caso i loro istituti sarebbero stati salvati per evitare una crisi sistemica e perché nel caso peggiore avrebbero potuto contare su buonuscite milionarie. È chiaro che gli Stati chiamati alla cassa abbiano oggi il diritto-dovere di rivedere le regole del gioco del sistema finanziario.
La nuova ingegneria finanziaria ha fallito anche dal punto di vista economico. È difficile sostenere che i miliardi persi nella sottoscrizione dei titoli legati al mercato immobiliare americano o investiti in prodotti strutturati, che spesso non hanno nemmeno un prezzo, corrispondano all’obiettivo del sistema finanziario di contribuire alla migliore allocazione delle risorse. Negli ultimi anni, grazie alla nuova ingegneria finanziaria, si è invece diffusa la convinzione che il settore finanziario fosse in grado di produrre autonomamente ricchezza creando sempre nuovi e più sofisticati prodotti. In realtà ha prodotto un’enorme «Catena di Sant Antonio» e ha dimenticato che il valore di un titolo può crescere solo se aumenta il valore del sottostante. In altre parole, il rialzo di un’azione è sano e duraturo solo se crescono fatturato e redditività della società. Il settimanale britannico «The Economist» sostiene che il sistema finanziario per la sua stessa natura è spesso preda di eccessi ed è spesso produttore di bolle speculative. La tesi può apparire convincente, ma trascura il fatto che negli ultimi anni questi eccessi si sono ripetuti a ritmi e con dimensioni preoccupanti. In poco più di dieci anni abbiamo vissuto la crisi asiatica, la crisi russa, il crollo dell’Hedge Fund Long Term Capital Management, lo scoppio della bolla formatasi nelle borse all’inizio di questo decennio e via dicendo. È facile prevedere che anche questa crisi verrà superata creando un’altra bolla o alimentando un’altra perversione economica, che forse si chiamerà inflazione e che decurterà il valore dei risparmi di milioni di persone.
Dunque, sia dal punto di vista etico sia dal punto di vista economico questa crisi non può essere archiviata senza alcun provvedimento. E dato che la finanza è veramente globale e dato che la crisi è anche originata dai crescenti e gravi squilibri dell’economia internazionale, appare indispensabile, come sostiene giustamente il ministro italiano dell’economia Giulio Tremonti, arrivare ad una nuova Bretton Woods, ossia alla definizione di nuove regole economiche, commerciali e finanziarie internazionali che, come venne fatto nel 1944 nella cittadina americana, creino le condizioni per una crescita forte, sana, equa e duratura dell’economia mondiale. E tutto ciò passa, come sostiene lo stesso Tremonti, anche dal superamento del liberismo ideologico (da lui definito «mercatismo») e dalla necessità delle popolazioni del mondo di proteggersi dai danni che altrimenti è destinata a riprodurre la nuova ingegneria finanziaria.
Alfonso Tuor
«I mercati finanziari sono diventati un mostro che ha causato una massiccia distruzione di ricchezza. Questo mostro deve essere rimesso in riga». Queste affermazioni del presidente della Germania, Horst Köhler, esprimono il legittimo auspicio di parte dell’opinione pubblica occidentale di non permettere che la crisi dei mutui subprime venga archiviata senza che si prendano provvedimenti per porre rimedio alle manchevolezze etiche ed economiche che ha portato alla luce. Le parole del presidente tedesco hanno avuto grande eco sulla stampa internazionale, anche perché non è solo un politico (vicino alla CDU), ma è soprattutto stato direttore del Fondo Monetario Internazionale ed è quindi una persona che parla con cognizione di causa. È quindi comprensibile che esse stiano dando il via ad un ampio dibattito che è di grande importanza per il futuro del mondo, poiché negli ultimi anni attorno ai principali attori della finanza mondiale si è verificata un’impressionante concentrazione di potere. Il tema è molto vasto. In questa sede cerchiamo solo di mettere in evidenza qualche punto.
Innanzitutto negli ultimi anni il mondo è stato assordato dalla ripetizione del ritornello che i mercati devono essere lasciati liberi, poiché sono in grado di autoregolamentarsi. Questa crisi ha messo in luce che i principali autori di queste affermazioni, ossia il mondo finanziario, sono corsi da governi e da banche centrali a chiedere aiuto. Ed è indiscutibile che questi interventi pubblici, che continuano ancora, hanno evitato una crisi dell’intero sistema finanziario che avrebbe con grande probabilità fatto sprofondare il mondo in una depressione. Dunque, i soldi dei contribuenti hanno salvato gruppi finanziari diretti da managers strapagati. Questi «strani» campioni del libero mercato erano perfettamente consapevoli che potevano assumere i rischi più assurdi perché in ogni caso i loro istituti sarebbero stati salvati per evitare una crisi sistemica e perché nel caso peggiore avrebbero potuto contare su buonuscite milionarie. È chiaro che gli Stati chiamati alla cassa abbiano oggi il diritto-dovere di rivedere le regole del gioco del sistema finanziario.
La nuova ingegneria finanziaria ha fallito anche dal punto di vista economico. È difficile sostenere che i miliardi persi nella sottoscrizione dei titoli legati al mercato immobiliare americano o investiti in prodotti strutturati, che spesso non hanno nemmeno un prezzo, corrispondano all’obiettivo del sistema finanziario di contribuire alla migliore allocazione delle risorse. Negli ultimi anni, grazie alla nuova ingegneria finanziaria, si è invece diffusa la convinzione che il settore finanziario fosse in grado di produrre autonomamente ricchezza creando sempre nuovi e più sofisticati prodotti. In realtà ha prodotto un’enorme «Catena di Sant Antonio» e ha dimenticato che il valore di un titolo può crescere solo se aumenta il valore del sottostante. In altre parole, il rialzo di un’azione è sano e duraturo solo se crescono fatturato e redditività della società. Il settimanale britannico «The Economist» sostiene che il sistema finanziario per la sua stessa natura è spesso preda di eccessi ed è spesso produttore di bolle speculative. La tesi può apparire convincente, ma trascura il fatto che negli ultimi anni questi eccessi si sono ripetuti a ritmi e con dimensioni preoccupanti. In poco più di dieci anni abbiamo vissuto la crisi asiatica, la crisi russa, il crollo dell’Hedge Fund Long Term Capital Management, lo scoppio della bolla formatasi nelle borse all’inizio di questo decennio e via dicendo. È facile prevedere che anche questa crisi verrà superata creando un’altra bolla o alimentando un’altra perversione economica, che forse si chiamerà inflazione e che decurterà il valore dei risparmi di milioni di persone.
Dunque, sia dal punto di vista etico sia dal punto di vista economico questa crisi non può essere archiviata senza alcun provvedimento. E dato che la finanza è veramente globale e dato che la crisi è anche originata dai crescenti e gravi squilibri dell’economia internazionale, appare indispensabile, come sostiene giustamente il ministro italiano dell’economia Giulio Tremonti, arrivare ad una nuova Bretton Woods, ossia alla definizione di nuove regole economiche, commerciali e finanziarie internazionali che, come venne fatto nel 1944 nella cittadina americana, creino le condizioni per una crescita forte, sana, equa e duratura dell’economia mondiale. E tutto ciò passa, come sostiene lo stesso Tremonti, anche dal superamento del liberismo ideologico (da lui definito «mercatismo») e dalla necessità delle popolazioni del mondo di proteggersi dai danni che altrimenti è destinata a riprodurre la nuova ingegneria finanziaria.