Una poesia al giorno leva il virus di torno

Amo le cose vecchie e imperfette, che hanno vissuto e portano addosso le tracce del tempo e delle vicissitudini.
Come le vecchie finestre rotte, segnate dal tempo e dalle intemperie, che hanno allentato ogni protezione e quando meno te l'aspetti si aprono con un semplice soffio di vento e lasciano entrare l'aria e la luce nella tua stanza buia
E con tua grande sorpresa la danza della vita riprende.
Agostino Degas
 
Cos'è necessario?
E' necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

E' d'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Aggiungi una foto con l'orecchio in vista.
E' la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.
-
Wisława Szymborska: Scrivere il curriculum (da Gente sul ponte, edizioni Scheiwiller)
 
Di Catullo, cantore dell'amore profano e dalla breve vita:

Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
e ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.

Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.

Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, ed altri cento.

E quando poi saranno mille e mille,
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l’invidioso
per un numero di baci così alto.
 
I suoni della Primavera
Di Yambo (Enrico Novelli)

Primavera, primavera,
dolcemente scendi giù;
ben ti avverte in su la sera
il cucù col suo: cù… cù…!


Ben ti avvertono nei prati,
dove l’erba rifiorì,
tanti grilli indaffarati
notte e giorno a far: crì… crì…!


A tal musica, le piante
metton fiori tutte quante.

Ed il virus letale
smette alfine di far male (*)

* aggiunta mia nella speranza che la bella stagione ci venga in soccorso,
 
Questo virus delinquente
non si vede e non si sente
se dai un bacio te lo pigli
e lo passi poi ai tuoi figli

Perciò esci dal portone
con la freccia o col lancione
ed infilzalo sul petto:
"Ooops, mi scusi sior Prefetto".

Storia che finisce male
ma propone una morale:
tu, se il virus vuoi colpire
la tua porta non aprire.

:piazzista:
 
21 marzo 2020: per noi inizia il secondo mese da reclusi in casa, ma per la Natura inizia la primavera, la stagione del risveglio dei sensi.
Festeggiamola con questa poesia birichina in dialetto ambrosiano di Carlo PORTA, con relativa traduzione per chi vive al di fuori della Cerchia dei Navigli.
Mentre scrivo sento la prima sirena di ambulanza del giorno.

Dormiven dò tosann tutt dò attaccaa
Alla stanza de lecc della mammina,
Vergin istess tutt dò, ma in quella etaa
che comenza a spiurigh la passarina;

Tant che a dispett della verginitaa
Faven tra lor di cunt ona mattina
Sul gust che pò dà on cazz bell e tiraa
E sulla forma che pò fagh pù mina.

Vuna la dava el vant al curt e al gross,
L'oltra al lungh e suttil, e in del descor
Diseven e prò e contra di bej coss;

Quand, stuffa, la mammina la se mett
A sbraggià a quanta vos: Cossa san lor?
Dur, e ch'el dura, e citto vessighett.

(Dormivano, due ragazze, tutt'e due accanto alla stanza da letto della mammina, vergini tutt'e due ugualmente, ma in quell'età che incomincia a prudergli la passerina;
Sicché a dispetto della verginità una mattina facevano dei conti tra loro sul gusto che può dare un cazzo bene in tiro e sulla forma che gli può dare più bel sembiante.
L'una dava il vanto al corto e grosso, l'altra al lungo e sottile, e nel discorrere dicevano delle belle cose pro e contro,
Quando, stufa, la mammina si mette a gridare a tutta voce: "Cosa ne sanno loro? duro e che duri, e zitte smorfiosette".)
 
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Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.

Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata

vede qual loco d’inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.

Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.

"O tu che vieni al doloroso ospizio",
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di cotanto offizio,

"guarda com’entri e di cui tu ti fide;
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!".
E ’l duca mio a lui: "Perché pur gride?

Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare".

Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.

Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.

La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.

E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali

di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.

E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai,

ombre portate da la detta briga;
per ch’i’ dissi: "Maestro, chi son quelle
genti che l’aura nera sì gastiga?".

"La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper", mi disse quelli allotta,
"fu imperadrice di molte favelle.

A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.

Ell’è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che ’l Soldan corregge.

L’altra è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.

Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.

Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch’amor di nostra vita dipartille.

Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

I’ cominciai: "Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri".

Ed elli a me: "Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno".

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: "O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!".

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido.

"O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?".

Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!".

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?".

E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".

Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.

E caddi come corpo morto cade.
 
Ragazzi, non so da voi, qui ho appena contato la sesta (sirena di ambulanza) e il giorno non è ancora finito. Il record finora è stato di otto, quando in un giorno normale può capitare anche di non sentirne, o di sentirne una o due. Per vincere l'angoscia che ciò mi procura (spero di non trasmetterla anche a voi) ecco una poesiola di quel bastardo di Hank Chinaski (almeno @sans souci dovrebbe conoscerlo, penso).

ko tecnico

dal mio letto
guardo 3 uccelli
su un cavo
del telefono.

uno vola
via.
poi
un altro.

ne rimane uno,
poi
se ne va
anche lui.

la mia macchina da scrivere
è morta
stecchita.

e io sono
ridotto a osservare
gli uccelli.

ho pensato di
fartelo
sapere,
bastardo.
 

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