Val
Torniamo alla LIRA
E, ma non finisce qui.
Il rischio di reinfezione cresce nonostante la terza dose.
Malgrado le prime promesse di totale efficacia dei vaccini,
ecco che i dati a nostra disposizione oggi ci dicono ben altro.
Sono molti gli aspetti che sono stati disattesi dai primi proclami di Big Pharma,
a riprova del fatto di quanto sia importante e fondamentale l’iter di sperimentazione canonico,
che impiega anni prima di poter fornire delle certezze.
Cosa si è scoperto finora?
Ce lo dice Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, intervistato dal Corriere della Sera.
È possibile reinfettarsi dopo aver contratto il virus pochi mesi prima?
Sì, il rischio esiste anche con tre dosi di vaccino
soprattutto se l’infezione precedente era dovuta alla variante Alfa (la cosiddetta inglese) e Delta (indiana).
La variante Omicron, che presenta alcune mutazioni diverse sulla proteina Spike
e quindi è capace di eludere l’immunità precedentemente sviluppata, è oggi la predominante.
Se sono stato contagiato da Omicron è possibile contrarre una seconda volta l’infezione causata da Omicron 2, il sottotipo ora più diffuso?
Il rischio c’è.
Secondo Arnaldo Caruso «Omicron può contagiare una seconda volta ma con forme asintomatiche o pochi sintomi molto simili a quelli dell’influenza.
Tre dosi di vaccino garantiscono una buona protezione ed è importante non rinunciare al richiamo che è necessario per rafforzare l’immunità contro un virus così mutevole».
Quanto dura la protezione della terza dose di vaccino?
Si ipotizza che la durata sia di almeno quattro mesi ma il tempo varia da individuo a individuo.
La risposta allo stimolo vaccinale è soggettiva.
Gli attuali vaccini sono prodotti sul ceppo originario del Sars-CoV-2.
In oltre due anni il virus è cambiato molto e ha affinato la capacità di aggirare le difese.
Ecco perché il rischio di reinfezioni è sempre stato una realtà.
È nota l’incidenza delle reinfezioni?
Nell’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità viene messo in evidenza un aumento del rischio di reinfezione a partire dal 6 dicembre 2021,
data di riferimento per l’inizio della diffusione della variante Omicron.
Secondo il rapporto questo sembra avvenire nei non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni.
La possibilità di riammalarsi è maggiore nelle donne.
Questo a causa della maggiore presenza di insegnanti di sesso femminile in ambito scolastico,
dove viene effettuata un’intensa attività di screening.
Anche le fasce di età più giovani, 12-49 anni, rischiano maggiormente di contrarre di nuovo la malattia,
probabilmente a causa di comportamenti meno controllati.
Donato Greco, epidemiologo del Comitato tecnico scientifico, rileva che il rischio di reinfezioni è rimasto costante durante la pandemia: 3%.
L’infezione naturale protegge più del vaccino?
Secondo Caruso «chi si è vaccinato è più protetto di chi ha avuto l’infezione naturale
perché i vaccini a mRNA (Pfizer e Moderna) inducono un’immunità più ampia,
che riconosce vaste aree della proteina Spike a differenza di chi ha contratto il virus naturalmente, che sviluppa un’immunità selettiva».
Si è tanto parlato di quarta dose. Se il rischio di reinfezione esiste, perché non prevederla?
Così come l’agenzia europea Ema, anche l’Aifa ha espresso un parere non favorevole alla quarta dose.
Se messi sulla bilancia con lo sforzo organizzativo, i vantaggi di un altro richiamo sarebbero molto esigui.
Un team di ricercatori israeliani ha misurato la durata dell’immunità di una quarta dose nel personale sanitario: non supera i 2 mesi.
Perché è tramontata l’ipotesi quarta dose?
Secondo Caruso anziché procedere alla somministrazione di una quarta dose con vaccini «vecchi»,
sarebbe più logico prevedere una nuova vaccinazione prima del prossimo autunno quando potrebbe essere disponibile un vaccino costruito sulla variante Omicron, quindi più protettivo.
Il rischio di reinfezione cresce nonostante la terza dose.
Malgrado le prime promesse di totale efficacia dei vaccini,
ecco che i dati a nostra disposizione oggi ci dicono ben altro.
Sono molti gli aspetti che sono stati disattesi dai primi proclami di Big Pharma,
a riprova del fatto di quanto sia importante e fondamentale l’iter di sperimentazione canonico,
che impiega anni prima di poter fornire delle certezze.
Cosa si è scoperto finora?
Ce lo dice Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, intervistato dal Corriere della Sera.
È possibile reinfettarsi dopo aver contratto il virus pochi mesi prima?
Sì, il rischio esiste anche con tre dosi di vaccino
soprattutto se l’infezione precedente era dovuta alla variante Alfa (la cosiddetta inglese) e Delta (indiana).
La variante Omicron, che presenta alcune mutazioni diverse sulla proteina Spike
e quindi è capace di eludere l’immunità precedentemente sviluppata, è oggi la predominante.
Se sono stato contagiato da Omicron è possibile contrarre una seconda volta l’infezione causata da Omicron 2, il sottotipo ora più diffuso?
Il rischio c’è.
Secondo Arnaldo Caruso «Omicron può contagiare una seconda volta ma con forme asintomatiche o pochi sintomi molto simili a quelli dell’influenza.
Tre dosi di vaccino garantiscono una buona protezione ed è importante non rinunciare al richiamo che è necessario per rafforzare l’immunità contro un virus così mutevole».
Quanto dura la protezione della terza dose di vaccino?
Si ipotizza che la durata sia di almeno quattro mesi ma il tempo varia da individuo a individuo.
La risposta allo stimolo vaccinale è soggettiva.
Gli attuali vaccini sono prodotti sul ceppo originario del Sars-CoV-2.
In oltre due anni il virus è cambiato molto e ha affinato la capacità di aggirare le difese.
Ecco perché il rischio di reinfezioni è sempre stato una realtà.
È nota l’incidenza delle reinfezioni?
Nell’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità viene messo in evidenza un aumento del rischio di reinfezione a partire dal 6 dicembre 2021,
data di riferimento per l’inizio della diffusione della variante Omicron.
Secondo il rapporto questo sembra avvenire nei non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni.
La possibilità di riammalarsi è maggiore nelle donne.
Questo a causa della maggiore presenza di insegnanti di sesso femminile in ambito scolastico,
dove viene effettuata un’intensa attività di screening.
Anche le fasce di età più giovani, 12-49 anni, rischiano maggiormente di contrarre di nuovo la malattia,
probabilmente a causa di comportamenti meno controllati.
Donato Greco, epidemiologo del Comitato tecnico scientifico, rileva che il rischio di reinfezioni è rimasto costante durante la pandemia: 3%.
L’infezione naturale protegge più del vaccino?
Secondo Caruso «chi si è vaccinato è più protetto di chi ha avuto l’infezione naturale
perché i vaccini a mRNA (Pfizer e Moderna) inducono un’immunità più ampia,
che riconosce vaste aree della proteina Spike a differenza di chi ha contratto il virus naturalmente, che sviluppa un’immunità selettiva».
Si è tanto parlato di quarta dose. Se il rischio di reinfezione esiste, perché non prevederla?
Così come l’agenzia europea Ema, anche l’Aifa ha espresso un parere non favorevole alla quarta dose.
Se messi sulla bilancia con lo sforzo organizzativo, i vantaggi di un altro richiamo sarebbero molto esigui.
Un team di ricercatori israeliani ha misurato la durata dell’immunità di una quarta dose nel personale sanitario: non supera i 2 mesi.
Perché è tramontata l’ipotesi quarta dose?
Secondo Caruso anziché procedere alla somministrazione di una quarta dose con vaccini «vecchi»,
sarebbe più logico prevedere una nuova vaccinazione prima del prossimo autunno quando potrebbe essere disponibile un vaccino costruito sulla variante Omicron, quindi più protettivo.