Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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La classifica di Forbes che mette in fila i più ricchi al mondo
ha visto entrare per la prima volta nel 2024 ben 265 miliardari:
tra questi ce ne sono anche 10 italiani.


I nuovi miliardari italiani: chi sono​


La new entry italiana che occupa il primo posto nella graduatoria dedicata ai nuovi miliardari del nostro Paese
è Andrea Pignataro: si tratta di un ex trader di Salomon Brothers che nel 1999 ha fondato Ion Group.

Definito da ‘Il Foglio’ come ‘il Bloomberg italiano’, Andrea Pignataro vanta un patrimonio di 27,5 miliardi di dollari
che gli vale anche la seconda posizione nella classifica dei miliardari più ricchi d’Italia,
dietro a Giovanni Ferrero e davanti a Giorgio Armani.

Dopo Pignataro troviamo Giancarlo Devasini: patrimonio di 9,2 miliardi di dollari grazie alle criptovalute.
Laureato in medicina, Pignataro ha lavorato come chirurgo plastico
prima di iniziare la carriera imprenditoriale nel campo dell’elettronica
e diventare direttore finanziario e principale azionista di Tether, azienda attiva nel settore delle monete digitali.

Al terzo posto della classifica dedicata ai nuovi miliardari italiani
troviamo un’altra figura legata a Tether: Paolo Ardoino che della società,
oltre a essere amministratore delegato, possiede anche il 20%
e vanta un patrimonio stimato da Forbes in 3,9 miliardi di dollari secondo i dati aggiornati al mese di marzo 2024.

Posizione numero quattro per Ugo Gussalli Beretta, imprenditore di quattordicesima generazione
alla guida della Fabbrica d’Armi Pietro Beretta, insieme ai figli Pietro e Franco:
il patrimonio del numero uno del gruppo di Gardone Val Trompia è di 2,4 miliardi di dollari.

Seguono i primi due figli di Silvio Berlusconi, entrambi in quinta posizione con 2,1 miliardi di dollari a testa:
Marina e Pier Silvio.
 
La settima posizione della classifica di Forbes dedicata ai nuovi miliardari più ricchi d’Italia
è occupata da Alessandro Rosano: si tratta del fondatore di HeyDude, azienda che produce mocassini.
Il patrimonio di Alessandro Rosano è di 1,4 miliardi di dollari:
in passato aveva creato anche un distributore di scarpe, un’azienda di orologi di legno e una di zoccoli con molle nei tacchi.

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Bontà sua, Giovanni Rezza almeno un errore (uno) lo ammette:

“Insistere con il Green pass quando si era capito che i vaccini
non proteggevano più dall’infezione”.

Posizione analoga a quella che (privatamente) circolava
al Robert Koch Institut in Germania.

Quindi la gente che ha perso il lavoro,
i professionisti sospesi e i manifestanti caricati
o investiti dai cannoni d’acqua avevano ragione.
 
06 aprile 2024

Nulla di quanto fa parte della tradizione della Chiesa è a caso.
Anche nei rituali più antichi e apparentemente anacronistici
c’è sempre una motivazione che conserva una ratio valida ancor oggi.

Allo stesso modo, nulla di quello che fa l’antipapa Francesco per demolire la tradizione della Chiesa è casuale:
c’è sempre una motivazione, o di ordine spirituale, nel senso di rovesciare la dottrina o la devozione in senso gnostico,
oppure di ordine pratico-strategico.


Abbiamo visto QUI come nell’ultimo libro scritto con il suo vaticanista Javier Martinez Brocal,
(già attivo collaboratore di ingenue messinscene propagandistiche come quella del negozio di dischi QUI)
Bergoglio attacchi i cardinali italiani e Mons. Gaenswein cercando di screditarli agli occhi dell’opinione pubblica.

Costoro sanno tutto della sede impedita, e basta una loro parola per far saltare il banco.

L’operazione di Bergoglio si è però rivelata un boomerang,
dato che anche i giornaloni mainstream non hanno gradito il bullismo verso il mite Monsignore già segretario di papa Benedetto XVI
il quale, ovviamente non può replicare a tono al suo superiore.
Allo stesso modo non è piaciuta questa rivelazione delle dinamiche del conclave 2005
dato che, anche ammettendo il papa come “legibus solutus”,
i cardinali sono certamente vincolati al segreto e non possono rispondere a Francesco.

C’è poi il fuoco di sbarramento delle tv generaliste che continuano a spingere, in modo compulsivo,
o la narrativa legittimista, oppure un ridicolo e posticcio dibattito sui “due papi”, secondo il quale
o era papa solo Francesco o erano entrambi papi.


La terza soluzione, cioè che il papa fosse solo Benedetto, perché impedito,
è chirurgicamente evitata o dileggiata come “complottismo”.



Ma una delle cose più interessanti è sfuggita all’analisi degli addetti ai lavori.

Ecco cosa scrive Bergoglio in El Sucesor:
Ho disposto di essere vegliato e sepolto con dignità, come per qualsiasi altro cristiano,
e non con una salma esposta su cuscini per giorni. Secondo me, il rituale attuale era troppo caricato.
Che si faccia una sola veglia e CON IL PAPA GIÀ DENTRO LA BARA, come avviene in tutte le famiglie.
Ho parlato con il maestro di cerimonie e abbiamo eliminato questo e molte altre cose. S
to rivedendo il rituale in modo che i Papi siano sepolti come qualsiasi figlio della Chiesa”.



Nessuno si è chiesto il perché di tale provvedimento,
ma la risposta è decisamente prevedibile e va ben al di là delle facili giustificazioni pauperistico-demagogiche del Nostro.

Come mai il papa morto è sempre stato esposto alla devozione dei fedeli ?

L’obiettivo di questa operazione è sempre stato quello della massima chiarezza e trasparenza,
per far vedere a tutti che “vere papa mortuus est”, cioè che il papa era davvero morto e non era stato rapito,
imprigionato, non era scappato o chissà cos’altro.

Proprio perché il munus petrino può essere concesso da Dio a un nuovo papa
solo se il precedente è regolarmente abdicatario o E’ MORTO.

(Infatti sappiamo che Bergoglio non è il papa perché è stato eletto con Benedetto non abdicatario, ma impedito).



Clero e fedeli potevano così constatare la morte del Pontefice
e in questo modo non ci sarebbe stato dubbio alcuno sulla legittimità del venturo conclave.

Con il provvedimento di Bergoglio, almeno nelle sue intenzioni, questa chiarezza e trasparenza non ci sarà più.

Considerando anche che le foto del papa defunto prima dell’esposizione pubblica in alcun modo possono essere diffuse,
i fedeli non avranno ALCUNA CERTEZZA che Francesco sia VERAMENTE passato “ad altra vita”.

E quindi, chi potrà garantire, tra il pubblico, che in quella cassa
ci sia davvero il corpo di Jorge Mario Bergoglio e che sia davvero defunto?

Oppure, nel caso di vera morte, chi potrà garantire che il suo corpo venga sepolto davvero in Santa Maria Maggiore,
dove, pure, c’è la sua amata icona della Salus Publica Populi Romani?

Le tombe dei papi non possono essere aperte, se non in rarissimi casi.

Abbiamo già visto come questa antica icona mariana, che si chiamava inizialmente Regina coeli,
fosse stata risemantizzata dai Gesuiti gnostici nell’800 con il nome della antica dea Salus,
raffigurata, secondo la tipica iconografia della Grande Madre,
come una donna che dà da mangiare a un serpente. QUI








Ma se ci fosse stato un cambiamento nei programmi,
magari frutto di una trattativa con alcuni cardinali avversari, anche in questa ultima volontà?

Ma quello che è oggettivo è che,
nonostante la preparazione del corpo del papa avvenga con l’intervento di diversi incaricati,
oggettivamente l’esposizione di una bara chiusa al pubblico offre la possibilità di simulazioni e inganni.

Complottismo?

Nient’affatto.

Da uno che per otto anni è riuscito a farsi passare come il vero papa,
e che forse non è mai stato nemmeno validamente un ecclesiastico
dato che, come spiega bene il libro - mai smentito dalla Chiesa -
di don Fernando Cornet “Habemus antipapam?”,
non si è mai riuscito a trovare il suo certificato di diaconato,
simulare la propria morte sarebbe un gioco da ragazzi.



Le possibilità di un’ennesima simulazione sono tante:
una fuga, contrattata o meno con fazioni avversarie, oppure il seppellimento in un altro luogo rispetto a S. Maria Maggiore,
o chissà quale altro colpo di teatro.

Non bisogna scartare nessuna ipotesi: l’inganno che abbiamo vissuto in questi dieci anni
è talmente surreale che non ci si può stupire più di nulla.



E, ripetiamo, oggettivamente il corpo del papa, o dell’antipapa,
chiuso in una cassa non permetterà ai fedeli di verificare la vera morte del papa.
 
Ahahahahahahahahah

In ambito scientifico, è di fondamentale importanza stabilire sempre se sia nato prima l’uovo o la gallina,
cioè quale sia la causa e quale l’effetto, in un dato fenomeno osservato,
perché questo può fare tutta la differenza del mondo in termini di comprensione del fenomeno stesso
ed eventualmente in termini di soluzioni, laddove questo si palesi come un problema per l’umanità
e possa essere affrontato e risolto dall’uomo.

Uno dei casi in cui è quanto mai indispensabile discernere causa ed effetto
è quello della teoria climatica oggi in voga,
quella cioè che asserisce che il riscaldamento globale sia dovuto alle emissioni di gas serra
(CO2 in primis ed altri gas) di origine antropica (cioè, originate dall’uomo)
e specificatamente causate dall’utilizzo dei combustibili fossili.

Partendo da un modello semplificato di assorbimento dei raggi solari da parte dei gas serra
e assimilando la Terra a un corpo nero
– modello invero estremamente rudimentale che non tiene conto di una miriade di fattori,
primo tra i quali l’effetto delle nubi e, in generale, del vapore acqueo –

questa teoria prevede infatti che la temperatura globale media GMT (Global Mean Temperature)
cresca come conseguenza della crescita della concentrazione in atmosfera dei gas serra,
prevalentemente dell’anidride carbonica (CO2).
 
Ebbene, lo scorso settembre
il professor Demetris Koutsoyiannis dell’Università Tecnica di Atene,
coadiuvato dai proff. Antonis Christofides della medesima università,
Christian Onof dell’Imperial College di Londra
e Zbigniew Kundzewicz dell’Università di Poznań,
hanno pubblicato un interessantissimo articolo scientifico dal titolo

On Hens, Eggs, Temperatures and CO2: Causal Links in Earth’s Atmosphere

che dimostra di là da ogni ragionevole dubbio

che non è l’incremento di concentrazione della CO2 in atmosfera
che provoca l’incremento della temperatura media globale
ma è l’esatto opposto:

è l’incremento della temperatura media globale
che provoca l’incremento della concentrazione della CO2 in atmosfera.


In altre parole, il lavoro del prof. Koutsoyiannis
rovescia il paradigma supinamente accettato
come verità scientifica indiscutibile a tutti i livelli

circa la causa del riscaldamento globale e

– cosa che ha dell’incredibile per come la climatologia
è stata purtroppo intesa nel corso degli ultimi anni –

non lo fa attraverso differenti, arzigogolati
o stravaganti modelli numerici alternativi a quelli “ufficiali”
ma – udite udite! –

utilizzando lo stesso insieme di dati sperimentali grezzi
relativi alle temperature e alle concentrazioni di CO2
raccolti dalla climatologia “ufficiale”,
analizzati però alla luce di una metodologia teorica statistica
idonea a testare la bontà e l’esistenza di un nesso di causalità tra due processi.
 
Supponiamo che la teoria in voga sul riscaldamento globale sia vera,
e cioè che l’incremento di concentrazione di CO2 in atmosfera
sia la causa dell’incremento della temperatura media globale.

In tal caso, poiché il pianeta può essere immaginato come un enorme sistema causale,
dovremmo trovare una stretta correlazione tra le concentrazioni di CO2 misurate in un certo intervallo di tempo
e le temperature osservate traslando l’intervallo di osservazione di un certo tempo di risposta,
come accade in ogni sistema causale.

Mettendo poi in grafico le variazioni di concentrazione di CO2
(per la precisione, le variazioni dei logaritmi naturali della concentrazione)
con le variazioni di temperatura misurate con quel ritardo,
dovremmo quindi essere in grado di valutare la correlazione tra i due insiemi di grandezze.

Variando inoltre opportunamente il tempo di ritardo,
potremmo infine determinare quello che massimizza la correlazione tra le grandezze in questione.

Ebbene, per nessun valore di ritardo tra misure della concentrazione di CO2
e quelle corrispondenti della temperatura il coefficiente di correlazione “R”

(NdR: coefficiente di correlazione: numero compreso tra 0 e 1
che esprime la misura della correlazione tra due insiemi di grandezze sperimentali,
0: “nessuna correlazione”, 1: “correlazione massima”
)

si discosta dal valore R = 0,01,
cioè dal fatto che non vi sia praticamente alcuna correlazione
tra i due set di grandezze.
 
Viceversa, facendo l’opposto,
cioè, considerando le misure di temperatura come la causa
e le misure di concentrazione di CO2 come l’effetto,
prese con un certo tempo di ritardo,
facendo variare opportunamente quest’ultimo per massimizzare la correlazione,
è emerso che, prendendo le misure di concentrazione della CO2 sei mesi dopo le corrispondenti misure di temperatura,
la correlazione tra le grandezze così considerate vale R = 0,75,
numero che corrisponde a una correlazione più che buona tra i due set di grandezze.


Ciò ci dice quindi in maniera inequivocabile
che l’aumento di concentrazione della CO2 in atmosfera
è l’effetto dell’aumento della temperatura media globale
e non la sua causa.
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Consideriamo in particolare la CO2 contenuta negli oceani.

È noto che la solubilità in acqua della CO2 alla temperatura media degli oceani (5 °C)
valga all’incirca 2,5 g/ 100 g di acqua e che essa si riduca drasticamente
con l’aumentare della temperatura fino a dimezzarsi a circa 25 °C
secondo lo stesso fenomeno della “bibita sgasata” ben noto a tutti.

Ebbene, anche solo considerando che la temperatura dei primi 20 centimetri degli oceani
si innalzi dai 5 °C in inverno ai 25 °C in estate, il rilascio di CO2 in atmosfera
equivale a ben 50 miliardi di tonnellate di CO2,
cioè circa una volta e mezzo la produzione annuale globale di CO2 di origine antropica
(37 miliardi di tonnellate) e il 2,5 percento circa di tutta la CO2 contenuta in atmosfera
.

In realtà, l’innalzamento di temperatura interessa di solito strati più profondi di acqua;
sicché, il rilascio periodico di CO2 dagli oceani in atmosfera e, quindi,
l’innalzamento della sua concentrazione, assume rilievo ancora maggiore.

Lo scambio gassoso tra oceani e atmosfera (e viceversa)
spiega poi bene anche il tempo di ritardo di sei mesi
tra incremento di temperatura e incremento di concentrazione della CO2 in atmosfera,
considerate le masse in gioco e la stagionalità delle variazioni di temperatura.

Inoltre, lo scenario di crescita della temperatura media globale in cui ci muoviamo dalla metà dell’Ottocento,
cioè dal termine dell’ultima piccola glaciazione, pari oggi a circa +2 °C rispetto alla temperatura di allora
presa arbitrariamente dai climatologi come temperatura ottimale di riferimento – non si sa bene per qual motivo –
su cui calcolare la cosiddetta “anomalia di temperatura”,
spiega inoltre come mai la concentrazione di CO2 in atmosfera
sia anch’essa via via cresciuta nel tempo da allora, da 280 a 410 ppm.

Crescita che è stata erroneamente interpretata dai climatologi
come dovuta all’utilizzo su vasta scala dei combustibili fossili
a causa della perversa coincidenza temporale
tra la fine dell’ultima piccola glaciazione
e l’inizio della Rivoluzione industriale:

tipico errore di “correlazione non è causazione”, se sapete cosa intendo.
 
L’articolo scientifico del professor Koutsoyiannis
spiega bene quello che non è,
cioè non è l’aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera responsabile dell’aumento della temperatura globale media.


Diciamo pure che, considerando che il sole è da sempre il motore primo di ogni fenomeno che avviene sulla Terra,
con ogni probabilità esso è dovuto all’attività solare più intensa che 150 anni fa
ha peraltro consentito l’uscita del pianeta dall’ultima piccola glaciazione.

A tal proposito, è interessante osservare che, nel corso degli ultimi 65 anni,
l’intensità della radiazione solare media è cresciuta di circa 0,12 W/m2,
una quantità all’apparenza insignificante ma che, trasposta sull’intera estensione del disco della Terra
(la sezione della Terra ortogonale ai raggi solari), 127.516.118 km2,
equivale a una potenza di irraggiamento aggiuntiva media di 15,3 TW (15,3 miliardi di kW)
che porta a una maggiore energia annua di irraggiamento in arrivo sulla Terra di 134.120 TWh:
come si vede, numeri niente affatto trascurabili
che potrebbero aver contribuito al lento incremento della temperatura media globale.
 

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