Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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Cos'è una variante ricombinante

Scoperta in Gran Bretagna "Xe" nuova variante Covid


Dai primi dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità,
che l'ha messa sotto attento monitoraggio senza creare allarmismi,
Xe non è classificata come una nuova variante Covid-19 ma come una variante ricombinante.

Appartenente alla famiglia di Omicron, è un ceppo figlio di Omicron 1 e Omicron 2.


In Gran Bretagna, dove Omicron 2 rapprenta il 93,7% dei casi segnalati,
sono state recentemente scoperte con il sequenziamento tre ricombinanti degne di nota,
denominate XF, XE e XD.

Mentre XD e XF sono varianti di Delta e Omicron 1,
Xe è una variante di Omicron 1 e Omicron 2.

Per capire cosa significa essere una ricombinante, la variante Xd, ad esempio, ha la Spike di Omicron 1 nel genoma di Delta.


Secondo la letteratura scientifica una variante ricombinante si verifica
quando un individuo viene infettato con due o più varianti contemporaneamente,
che mixano il loro materiale genetico nel corpo del soggetto infetto.

Secondo l'Oms, fintanto che non emergeranno differenze significative rispetto ad Omicron
- nella trasmissione, nella gravità e nelle caratteristiche della malattia -
Xe viene pertanto considerata un sottotipo di Omicron,
più precisamente è frutto di una ricombinazione dei due principali sottotipi della Omicron BA.1 – BA.2 (Omicron 1 e Omicron 2).


Secondo le prime stime dell'Oms non è dato sapere allo stato attuale
quale sia l'impatto clinico ed epidemiologico di Xe,
perché non ci sono ancora sufficienti prove per trarre conclusioni sulla trasmissibilità, sulla gravità e sull'efficacia dei vaccini.

Quello che è emerso dalla prima indagine conoscitiva e statistica è che risulta certamente più contagiosa di Omicron.


Il tasso di contagiosità è maggiore del 10% rispetto a Omicron 2,
che già aveva surclassato la contagiosità del virus del morbillo,
considerato il più contagioso tra i virus noti.

Non sembra essere quindi più patogeno e letale, soltanto ancor più diffusivo.

Allo stato attuale delle conoscenze è emerso inoltre
che Xe presenta tre mutazioni non viste in altre varianti,
localizzate in due proteine non strutturali, diverse dalla proteina Spike, dette Nsp3 e Nsp12.


Il virus rivela una grande capacità di ricombinarsi, tra varianti diverse, quando c'è co-circolazione, spiega l'Oms.

E la circolazione del virus è importante, soprattutto in Europa, come emerge dalla mappa del contagio del Ecdc,
il centro europeo per il controllo delle malattie e delle infezioni.

Non è un caso che la ricombinante Xe - che tra le ricombinanti scoperte nel Regno Unito,
grazie alla grande capacità di sequenziare, è quella che desta maggiore preoccupazione –
sia emersa ancora una volta proprio in Gran Bretagna.


Secondo gli esperti sanitari,
il Regno Unito agevola la selezione naturale delle varianti, che girano nel mondo perché il paese
è un crocevia di scambi internazionali, un nodo geografico che è l'ombelico del mondo.

Da lì qualsiasi variante, che sia un nuovo ceppo o un sottotipo ricombinante, può raggiungere,
come è già capitato con Alfa Beta Delta e Omicron, qualsiasi parte del mondo.


In Italia il tasso di positività è costantemente del 15% con Omicron 2,
che risulta, secondo la nostra bassa capacità di sequenziamento, la più rappresentata nel Paese.

Il sommerso dei contagi è immenso come è enorme la diffusione che però non viene completamente registrata.

I tamponi sono pochi, si stima che i casi totali sarebbero ben oltre quelli segnalati dal bollettino dell'Istituto Superiore di Sanità, mediamente il doppio.


Sono ricominciati i cluster nei reparti ospedalieri, come nelle precedenti ondate stagionali.

Ma non sono i pazienti a contagiare, stavolta.

Sono gli operatori tra operatori, che si infettano.


Secondo il mio medico di base, che visita con la tuta Covid e tampona in modalità drive in
sotto casa mia e sotto il suo studio medico anche in questi giorni,
Sars-CoV2 è diventato così contagioso con Omicron 2 che sarà sempre più difficile sfuggire al contagio.


Inoltre, siccome si ritiene che di questo passo ci contageremo tutti prima o poi,

sostiene che sarebbe meglio capitasse adesso con questa variante meno patogena e letale piuttosto che con la prossima.


Sarebbe più opportuno adesso, se proprio ci tocca, fintanto che siamo ancora protetti dall'efficacia della terza dose. A


Sono qua nel suo studio, perché sintomatica da contatto con quattro colleghe positive.

Per l'ennesima volta sono contatto di positivo, per lavoro. Negativissimo. Resto in sorveglianza.

Del resto non ho mai preso neppure una malattia infettiva pediatrica.

Nemmeno la meningite in Pronto Soccorso, quando durante l'assistenza ne sono venuta a contatto in due occasioni diverse.

Ma del sistema immunitario non abbiamo certezza.
 
Ancora una volta, qualcuno fa finta di nulla, di non sapere.


Toni Capuozzo dice la sua sulla strage di Kramatorsk.

Il giornalista e storico inviato di guerra si pone diversi interrogativi in alcuni post su Facebook,
tracciando un quadro di quelle che possono essere le diverse verità
su chi ha lanciato il missile che ha causato le numerose vittime della stazione:


“Sono 39, e tra loro 4 bambini, le vittime del missile sulla stazione di Kramatorsk.

Sul motore del missile appare una scritta in russo che suona come ‘a causa dei bambini’.

È un'arma di produzione russa, ma non più in uso dal 2019 nell'esercito russo, e ora in dotazione dell'esercito ucraino.

La domanda più logica ‘perché?’
è sepolta dalla follia della guerra.

La seconda domanda ‘chi è stato?’
ha una risposta, se confidiamo nella lealtà di quella che non è una parte terza, nel conflitto.

La Nato sa, perché monitora tutti i lanci di missili e dunque sa da dove è partito”.
 
Come detto dopo il primo post sul social network Capuozzo va più a fondo nella questione:

“La stampa popolare inglese assegna la responsabilità della strage alla stazione alla Russia.
Zelensky su Instagram dice che ‘i russi stanno cinicamente colpendo la popolazione civile.
E' un male senza freni, se non verrà punito’.
Il sindaco Oleksander Honcharenko dice che c'erano quattromila persone alla stazione
quando è stata colpita da due missili.


La Nato tace.


C'è un'altra ipotesi:

si tratta di un missile ucraino diretto verso posizioni russe,
intercettato e caduto disgraziatamente proprio su civili innocenti.


PS. Un'altra ipotesi è un malfunzionamento del missile, dovuto a un'elettronica antiquata,
che l'ha fatto precipitare, più che esplodere.

Fosse esploso avrebbe fatto vittime nel raggio di un chilometro”.
 
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DOPO 44 GIORNI IL CREMLINO NOMINA UN COMANDANTE UNICO
PER L'OPERAZIONE SPECIALE IN UCRAINA:
SI TRATTA DI ALEXSANDR DVORNIKOV,
EX CAPO DEL CORPO DI SPEDIZIONE IN SIRIA -

IL TIMORE E' CHE POSSA ADOPERARE LA "TECNICA GROZNY":
BOMBARDAMENTI MASSICCI PER SPIANARE LA STRADA ALLE FORZE DI TERRA.

OBIETTIVO:
IL CONTROLLO DEI DUE PORTI DI MARIUPOL E ODESSA.
 
Per chiudere la partita IVA

bisogna presentare all’Agenzia delle entrate il modello AA9/12

entro 30 giorni dalla cessazione dell’attività.

Tenete presente che questo modulo è lo stesso che si presenta

nel momento in cui si apre la partita IVA,

la differenza fra le diverse pratiche è il modo in cui viene compilato.


Nel quadro A, relativo al tipo di dichiarazione,
nel vostro caso bisogna barrare la casella “cessazione attività“,
ed inserire il numero di Partita IVA che si vuole chiudere e la data di cessazione.

Si prosegue poi con la compilazione del modello seguendo le istruzioni che sono allegate allo stesso
(nel caso di cessazione attività, non bisogna compilare tutte le voci).


Vi consiglio in ogni caso di verificare se sono arrivate comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate,

che chiude automaticamente le partite IVA che risultano inattive da tre anni,

inviando uno specifico avviso al contribuente.
 
Kramatorsk, città ucraina nella regione del Donbass,
è diventata il nuovo teatro di scontri tra l’esercito russo e l'ucraina.

Lo scorso 8 aprile, la stazione ferroviaria della città assumeva un ruolo strategico decisivo nella guerra.

Infatti, rimaneva l’unica linea funzionante in grado di collegare la regione del Donbass
e l’ovest del territorio ucraino, ancora controllato dalle forze locali.

Mosca accusa Kiev, Kiev accusa Mosca.

Gli USA insistono sulla matrice russa dell’attacco,


la Cina chiede una “indagine indipendente,

mentre il Cremlino nega categoricamente qualsiasi responsabilità.


Il mistero continua ad avvolgere il reale mandante della strage.

Nelle ultime ore, però, sono sorti elementi decisivi che potrebbero far luce parziale sulle dinamiche dell’attacco.


Innanzitutto, si tratta di un missile balistico a corto raggio denominato “Tochka-U”,
sviluppato durante la metà degli anni Sessanta dall’Unione Sovietica
ed utilizzato in vari scenari di guerra – Yemen e Siria su tutti – dal decennio successivo.

La questione ruota attorno a due tesi principali.

Da una parte, secondo la versione del governo ucraino, sussistono due spiegazioni:

o il missile è dell’Armata russa

oppure si tratta di un ordigno recuperato dalle basi ucraine del territorio occupato,
proprio per mascherare la responsabilità dell’esercito occupante.


Dall’altra, per il Cremlino, si tratta di un ordigno di Kiev impiegato in tutte le altre città della resistenza.
Infatti i Tochka-U vengono utilizzati dall’esercito ucraino.


Il dibattito sulla provenienza del missile ruota attorno anche a due numeri essenziali: 91579 e 9M79-1.

Il primo rappresenta il numero specifico del missile che ha causato la strage;

il secondo accerta, senza alcun dubbio, l’origine “Tochka” dell’ordigno,
a differenza delle prime indiscrezioni ucraine che indicavano un missile Iskander.


Esistono video che dimostrano come missili con numeri di serie
vicini a quelli dell’ordigno di Kramatorsk siano stati utilizzati in passato dagli ucraini.

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Poveri di idee e dementi al lavoro


Cosa succederebbe qualora Vladimir Putin decidesse di chiudere da un giorno all’altro i rubinetti del gas?

Una domanda che si continuano a porre tanti italiani,
in questi giorni concitati in cui gli scenari dipinti da esperti ed economisti non sono proprio entusiastici, per usare un eufemismo.

E se lo sono chiesto anche gli esponenti di un governo mai così nel pallone, diviso praticamente su tutto.

A Palazzo Chigi si sono così riuniti
Roberto Garofoli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio,
Gabriele Franco, ministro dell’Economia,
il sottosegretario con delega ai Servizi Franco Gabrielli
e gli esperti del ministero della Transizione Ecologica.

Cercando di prendere in considerazione ogni scenario, anche il peggiore.


Dopo un lungo confronto è emersa la volontà di accelerare nella ricerca di soluzioni alternative per l’approvvigionamento di energia,
in modo da rendersi indipendenti dal gas russo.

Allo stesso tempo, però, si è parlato della necessità di “ottimizzare” i consumi dei cittadini.

Ovvero, il tanto temuto razionamento dei consumi.



Certo, al momento non è stata ancora presa nessuna decisione ufficiale.

Ma un eventuale “Piano B” sta prendendo sempre più forma,
pronto a scattare in caso l’Italia si trovasse di colpo
a non poter più contare sui 29 miliardi di metri cubi di gas provenienti ogni anno da Mosca.

A farsi strada in maniera sempre più convinta
è così l’idea di stringere i rubinetti e limitare i consumi di cittadini e imprese.


Fosse necessario, il governo sarebbe così pronto a procedere con il taglio dell’illuminazione di edifici e monumenti,
come previsto dal piano stilato da Cingolani.

L’idea è però quella di rimodulare anche l’attività di alcune filiere del nostro comparto industriale.

In particolare, si pensa di concentrare la produzione di settori come ceramiche e acciaio
a specifici periodi dell’anno, interrompendo la produzione a ciclo continuo.
 
Non vogliono mollare l'osso.


Mentre la crescita economica rallenta,
i vincoli di finanza pubblica cominciano a mordere.

Il Governo italiano è tra quelli che hanno meno spazio fiscale
per compensare il rallentamento dovuto sia agli alti prezzi dell’energia, sia alla guerra in Ucraina.

Comincia pertanto a sollevarsi il consueto coro:

servono “misure europee” che compensino gli Stati più colpiti e, in particolare, quelli maggiormente esposti verso la Russia.

Sottotitolo: l’Italia.


Purtroppo, non funziona così.

Peggio: se anche fosse così,
questa volta non ci sarebbe l’Italia al centro delle manovre di soccorso dell’Unione europea.

Da anni il nostro Paese approfitta di ogni occasione,
per evitare di rispettare gli obblighi che abbiamo assunto nei confronti dei partner europei.

Prima ci abbiamo provato con la flessibilità,
l’idea, cioè, che il rinvio del pareggio di bilancio avrebbe creato condizioni favorevoli alle riforme.
Sicché, il deficit ha continuato a galoppare,
mentre le riforme o non le abbiamo fatte, oppure le abbiamo disfatte il giorno dopo.

Poi è arrivato il Covid,
che ha messo in ginocchio l’economia italiana più del resto d’Europa:
e anche qui c’è stata una presa d’atto che un nostro default avrebbe avuto effetti devastanti per tutti.
È in questo contesto che è nato il Next Generation Eu,
un programma da oltre 700 miliardi di euro in teoria diretto a tutte le economie in crisi,
in pratica rivolto soprattutto a noi.

Ed infatti Roma è stata tra i pochissimi ad attivare integralmente

non solo i finanziamenti a fondo perduto

ma anche tutti i prestiti,

e anzi ad aggiungerci una trentina di miliardi di “fondo complementare”.


Ancora una volta, però, mentre siamo stati solleciti nel battere cassa,
gli investimenti promessi vanno a rilento mentre le riforme sembrano quasi uscite dal radar.


E, adesso, vorremmo altri soldi?

Rispetto al passato ci sono almeno tre difficoltà in più.

La prima
:
come possiamo pretendere la fiducia degli altri Stati membri,
se la stiamo tradendo così vistosamente persino sul Piano di “ripresa e resilienza
sul quale avevamo giurato che sarebbe stato diverso?

La seconda:
la crisi energetica sta colpendo praticamente tutta l’Europa allo stesso modo.
Non c’è alcuna eccezionalità italiana.
Come gli altri si rimboccano le maniche, così dovremmo fare anche noi:
invece di spendere a pioggia decine di miliardi nella speranza che le cose si risolvano da sé,
dovremmo focalizzare gli aiuti e orientarli al lungo termine.

Infine, è vero che l’Italia presenta fragilità aggiuntive
ma in gran parte dipendono da scelte che noi stessi abbiamo compiuto
e che continuiamo a compiere:
non è colpa dell’Europa o della globalizzazione

se abbiamo la burocrazia più lenta del Continente,

se da anni non rilasciamo permessi per la produzione di petrolio e gas,

se i conti delle imprese sono appesantiti da tasse e contributi proibitivi.


Prima di chiedere altri denari con atteggiamento sempre più vittimistico,

dovremmo forse interrogarci su cosa possiamo fare per cavarci d’impaccio.


La soluzione non può arrivare sempre da fuori.
 

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