Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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Tra postfascismo e postcomunismo


A proposito di fantapolitica.

Ma davvero come intendono far credere oggi molti Gufi, Allocchi e Volpi
che stanno con un piede dentro e uno fuori dal Governo Draghi,
si vanno creando le premesse per un Nuovo Compromesso storico destra-sinistra
tra Fratelli d’Italia e partito democratico, dati entrambi sopra il 22 per cento secondo recenti sondaggi?

Ma il restante 10 per cento, per fare maggioranza sicura, chi lo metterebbe?

In merito all’assurdità della dittatura di Sua Maestà il Sondaggio,
sarà poi bene ricordare “La statistica del potere. Per un sondaggio in più”,
pubblicato di recente da L’Opinione.


Che cosa fa rassomigliare il possibile Compromesso storico di oggi a quello di ieri?

Se nel 1978 alla sua radice ci fu la linea Moro
(il cui sequestro non fece che accelerare il voto contestuale di fiducia,
con l’astensione costruttiva dei comunisti il 16 marzo del 1978),

quello di oggi avrebbe come sua storica motivazione l’aggressione di all’Ucraina?

Nemmeno a voler tirare l’elastico Vladimir Putin fino all’inverosimile
si ritrovano gli stessi caratteri emergenziali dell’allora crisi di sistema.

Questo perché, all’epoca, gli Anni di Piombo e soprattutto gli assassini mirati delle Brigate rosse
(di uomini dello Stato e semplici cittadini, come poliziotti, magistrati, docenti di diritto del lavoro, sindacalisti, e così via)
rappresentavano un fenomeno endemico, specificamente italiano, assieme all’emergenza sociale di industrializzazione selvaggia.


Oggi, invece, la guerra ucraina ci coinvolge solo indirettamente per via sia delle forniture di armi italiane all’Ucraina,
sia dell’embargo parziale sulle forniture energetiche russe e sugli scambi finanziari e commerciali con Mosca.

La vera differenza con quel lontano e infausto 1978 è dovuta al fatto che,
mentre Pci e Dc non si confrontavano con una crisi della rappresentanza
(restando ben saldi al loro rispettivo 30 per cento, che quindi sommati assieme li vedeva maggioranza assoluta in Parlamento),
oggi la somma di Fdi e Pd non farebbe la maggioranza!

Per di più, entrambi sono poi letteralmente immersi in una crisi gravissima di sistema
che riguarda il collasso della fiducia popolare nei Partiti post ideologici,
trovandosi quindi a fare i conti con un quadro istituzionale che è l’esatto opposto di quello del 1978.

Mosca allora era fortissima e aveva solidissime sponde nel Pci,
mentre lo stesso accadeva per gli Usa nei confronti della Dc.


Il Compromesso moroteo non era altro che un esperimento molto avanzato per quei tempi,
al fine di gestire l’allargamento della maggioranza a un partito che aveva guadagnato i crismi di potenziale alleato di governo
ed era giusto, pertanto, che superasse la famosa Conventio ad excludendum anti-Pci.

All’epoca, infatti, il partito di Berlinguer aveva scelto di stare nel Patto Atlantico e non in quello di ferro,
scelta non si sa quanto implicitamente funzionale agli interessi dell’Urss,
che avrebbe visto i comunisti italiani recitare la parte di “Cavallo di Troia”, in caso di un conflitto armato Est-Ovest.

Allora, l’attrazione fatale Dc-Pci si giustificava con la necessità di fare quelle grandi riforme politico-sociali,
che invece erano impedite e fortemente ostacolate dai veti incrociati dalle clientele della Dc, del Psi e degli altri partitini alleati storici dei democristiani.


Quando si parla oggi di “equilibri avanzati”, per la creazione di un “monstrum” destra-sinistra come quello attuale
(Giorgia Meloni + Enrico Letta) di che cosa si sta discutendo, quando tutti gli attori, senza eccezioni,
sono confrontati a una politica liquida?

Oggi, infatti, i leader di partito sono di fatto ostaggio di un consenso completamente fluido e destrutturato,
non più incasellabile in contenitori ideologici omogenei e separati.

Tutti costoro, in altri termini, sono costretti a stare all’interno di un unico processo di omologazione delle politiche di giornata,
come le uova fresche, continuamente covate nel catino sempre ribollente del consenso mutante,
che matura e cambia dinamicamente pelle soprattutto via social network.
 
Ed è proprio questa destrutturazione
a terrorizzare i creditori internazionali e Bruxelles,
nel timore di non poter controllare le politiche populiste antieuro e anti-Ue
che sicuramente riaffiorerebbero con le elezioni del 2023,
portando fuori rotta e direttamente sugli scogli del default
un’Italia indebitata a livello record in Europa, per un importo pari a 2.700 miliardi.

E questo soprattutto in presenza sia di un arretramento antinflazionistico del Quantitative Easing della Bce,
per raffreddare un’inflazione pericolosamente tre volte oltre la soglia di guardia del 2 per cento;

sia del ripristino non più rinviabile delle regole anti deficit spending
e dell’obbligo del pareggio di bilancio, contenute nel Patto europeo di stabilità.

L’Italia, dicono a Bruxelles e Wall Street, e quindi con loro i grandi investitori internazionali,
nel caso di adozione di politiche populiste dopo il 2023,
rischia seriamente la recessione e di dover restituire del tutto o in parte i finanziamenti del Next generation Eu.


Quindi, un tema serissimo da prendere in considerazione,
nel caso di scontata frammentazione e ingovernabilità del quadro politico,
dopo le prossime elezioni legislative, necessita in premessa della risposta alla seguente domanda:

“come si fa a sfilare il partito della Meloni (sicuramente vincente)
dal centro destra” che, nel caso di vittoria della coalizione Fdi-Lega-Fi,
per forza di cose dovrebbe proporre a Sergio Mattarella (che non potrebbe rifiutarsi)
di incaricare Giorgia per la formazione del nuovo Governo?

In pratica, la formula magica (impossibile?) da trovare è come,
con quali argomenti e programma fare lega tra postcomunismo e postfascismo,
dato che né l’ex democristiano Enrico Letta, né tantomeno la popolare Giorgia Meloni fanno parte di quella storia.


Forse la strada passa ancora per la ridefinizione dell’Europa delle sue istituzioni,
che sta a metà tra il discorso riformista di Emmanuel Macron
e di quello opposto, radicale della Marine Le Pen, in base alla formula meloniana della “Confederazione”
che detta così, o è una chimera o un modo per tornare indietro da Maastricht.

In realtà, se nel concetto ci sta, come in ogni unione volontaria di Stati confederativi,
il principio sacrosanto delle decisioni “a maggioranza” (qualificata solo in casi ristretti e ben individuati),
allora qui popolari e socialdemocratici europei potrebbero raggiungere un punto di convergenza,
per dare molta più forza all’Europa delle Nazioni che parla con una voce unica, difesa compresa.


L’altro grande asse di convergenza Fdi-Pd potrebbe essere orientato sulla de-globalizzazione morbida,
nel senso di valorizzare e rafforzare, attraverso gli incentivi alla re-localizzazione,
la spina dorsale delle Pmi italiane, mettendole molto più efficacemente a sistema,
ivi compreso il variegato mondo dell’artigianato, della formazione e dell’apprendistato di qualità.

Altro elemento solido di contatto, in materia di agricoltura, è la riforma della politica agricola comune
che, come si è visto nell’attuale emergenza del grano ucraino,
non può più essere vincolata al rispetto ridicolo delle “quote” di produzione dettate da Bruxelles
che, finora hanno fatto strage dell’agricoltura di qualità e del settore della pesca d’allevamento italiani.


Terzo eventuale punto di convergenza: l’abolizione dell’assurdo reddito di cittadinanza pentastellato,
per sostituirlo con un sistema pro-occupazionale decisamente più serio,
come quello della costituzione e del finanziamento di una banca dati unica nazionale
(eliminando così la palla al piede delle Regioni!) per incrociare in modo del tutto trasparente domanda e offerta sull’intero territorio.


Ecco, un programma di largo respiro e ambizioso di questo tenore potrebbe ben essere
un modello contemporaneo accettabile di Compromesso storico.
 
Mah....mi sembra che facciano a gara a chi è più fesso.

Salario minimo cos'è ?
E' la Paga Base ?

Perchè la paga base non è quanto viene pagato ad un dipendente.
C'è anche il resto.

E poi noi abbiamo già i contratti collettivi per tutti i settori economici.

Dove si vuole arrivare ?

E' palesemente chiaro che l'europa vuole mettere in difficoltà le nazioni
che creano il pil con il lavoro nelle piccole medie aziende e noi siamo
il fulcro di questo tipo di lavoro.
Abbiamo sempre dato fastidio ai tedeschi e - da sempre - hanno e stanno
cercando di metterci in difficoltà.....poi però vengono e comprano piccole
e medie aziende .....quando fa comodo a loro.

E noi FESSI, abbiamo il ministro che gongola pure......ahahahahah


E' arrivata l'intesa provvisoria tra Consiglio e Parlamento europeo sul salario minimo:

"Una volta adottata definitivamente
- viene chiarito nella nota ufficiale che la legge promuoverà l'adeguatezza dei salari minimi legali
e contribuirà a raggiungere condizioni di lavoro e di vita dignitose per i dipendenti europei".
i paesi membri avranno due anni di tempo per recepire la direttiva nel diritto nazionale.

In dettaglio, la direttiva stabilisce procedure per l'adeguatezza del salario minimo legale,
"promuove la contrattazione collettiva sulla determinazione del salario
e migliora
l'accesso effettivo alla protezione del salario minimo per quei lavoratori
che hanno diritto a un salario minimo ai sensi del diritto nazionale,
ad esempio da un salario minimo legale o da contratti collettivi".


La direttiva chiama gli Stati membri con salari minimi legali a mettere in atto
"un quadro procedurale per fissare e aggiornare questi salari minimi secondo una serie di criteri chiari".

Gli aggiornamenti dei salari minimi, avverranno almeno ogni due anni
(o al massimo ogni quattro anni per quei paesi che utilizzano un meccanismo di indicizzazione automatica).

Poiché la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari
"è uno strumento importante per garantire che i lavoratori possano beneficiare di salari minimi adeguati",
si mira ad estendere la copertura dei lavoratori, attraverso la contrattazione collettiva.


Il ministro del Lavoro Andrea Orlando lo ha definito "un assist per i lavoratori"
dove il dibattito politico sul tema si è riacceso in questi ultimi giorni fino a creare qualche tensione all'interno della maggioranza e del governo.


A Bruxelles, intanto ,sono certi che l'impatto della direttiva
non sarà "negativo per la creazione dei posti di lavoro e per l'occupazione",

come ha già avvertito il commissario Ue al Lavoro Nicolas Schmit,
ricordando che dopo l'introduzione in Germania l'occupazione è anzi aumentata
e che nell'Ue non saranno comunque previsti massimi e minimi salariali.

La direttiva punterà invece, secondo quanto già chiarito, a istituire un quadro per fissare salari minimi 'adeguati ed equi'.


L'Italia è tra i sei Paesi dell'Ue a non avere già una regolamentazione in materia,
con un dibattito del tutto aperto tra le parti sociali e all'interno del governo stesso.

L'idea delle tre istituzioni europee nell'accordo
è di rispettare le diverse tradizioni di welfare dei Ventisette,
arrivando però a garantire "un tenore di vita dignitoso",
a ridurre le disuguaglianze e a mettere un freno ai contratti precari e pirata.


Come detto, si mira poi a "rafforzare il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva".


Oltre all'Italia il salario minimo non è stato istituito anche in Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia.

Dove invece è già previsto, stando agli ultimi dati Eurostat,
viaggia tra i 332 euro mensili della Bulgaria e i 2.257 euro del Lussemburgo.

In Germania è pari a 1.621 euro.

(NDR: buffonata megagalattica. Il minimo di Paga Base che paghiamo noi - oggi - è 2.018)


Adesso l'accordo dovrà essere confermato dal Coreper
- Comitato dei rappresentanti permanenti, un organo del Consiglio dell'Unione europea -
una volta approvato, ci sarà la votazione formale sia in Consiglio che al Parlamento europeo.


Ed ora i commenti dei CERVELLI :

Proprio qualche ore fa, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha invitato a non ascoltare l'Europa
"solo quando ci dice di tagliare le pensioni o cancellare l'articolo 18 o tagliare la spesa sociale.
Se finalmente tutta l'Europa si rende conto che salari bassi
ed lavoratori precari senza diritti mettono in discussione la tenuta sociale, bisogna ascoltarla".


"Abbiamo un problema drammatico di lavoro povero",
la denuncia del segretario del Partito democratico Enrico Letta:
"Noi siamo a favore del salario minimo, nella logica della direttiva Ue.
Il salario minimo serve a togliere il più possibile dal tavolo le fattispecie di lavoro povero".


Giuseppe Conte ha definito "indegno" cercare di rimuovere il reddito di cittadinanza,
"anzi dobbiamo lavorare per allargare il fronte, introducendo anche il salario minimo".
 
Il 12 giugno è ormai alle porte e, con esso, la consultazione sui quesiti referendari in tema di giustizia.

Dopo essere stati (meritoriamente) promossi da alcune forze politiche, sui quesiti è calata una coltre di silenzio.

Solo in questi ultimi, trascinati giorni, si sta accennando a qualche dibattito, sia all’interno dei partiti, sia sui media: troppo poco, troppo tardi.


Si è detto che la complessità tecnica dei quesiti è stata di ostacolo alla campagna referendaria,
ma questo è un misero tentativo di autoassolversi.

A parte che nessun quesito, non importa quanto apparentemente cristallino, è in verità “facile”,
ma se anche i cinque quesiti sulla giustizia fossero davvero più complicati di altri,
non sarebbe stato questo un motivo per impegnarsi maggiormente nella campagna,
compiendo anzitutto un’adeguata opera di informazione?


Ciò che preoccupa maggiormente, giunti a questo punto,
è l’effetto boomerang che il probabilmente alto tasso di astensionismo potrà avere,
dal momento che è facile immaginare che il mancato conseguimento del quorum
verrà strumentalizzato come endorsement dello status quo da parte dell’elettorato.


Proprio per tale ragione, non resta che fare l’ultimo – sentito –

appello ad andare al mare solo dopo aver votato (i seggi sono aperti dalle 7!),

nonché spiegare – sinteticamente – le ragioni di cinque sì.
 
Sì al quesito della riforma del Consiglio superiore della magistratura,

perché la crisi dell’ordinamento giudiziario non ammette cautele o ritardi:
se viene meno la fiducia nell’integrità del terzo potere dello Stato,
le sentenze rischiano di restare una composizione di segni neri su pagina bianca.


Sì al quesito sull’equa valutazione dei magistrati.


Sì al quesito sulla separazione delle funzioni dei magistrati,

perché è necessario compiere il primo passo
per dar seguito alla promessa costituzionale di un giudice terzo non solo soggettivamente ma anche oggettivamente.


Sì al quesito sui limiti agli abusi del sistema cautelare,

perché la carcerazione preventiva come anticipo di pena,
o come sanzione extra ordinem imposta a chi poteva riconoscersi come innocente fin da principio,
è una pratica abominevole.


Sì al quesito sull’abolizione del decreto Severino,
perché è necessaria una nuova legge che corregga le criticità in punto di lesione,
per un verso, della presunzione di innocenza e del diritto di elettorato passivo,
e, per altro verso, del principio di rappresentanza democratica.


In definitiva, cinque volte sì ai quesiti referendari,
perché per insistere sul buon andamento e sulla conformità a Costituzione del sistema giudiziario
non c’è bisogno di essere eminenti giuristi o lettori appassionati dei manuali di diritto costituzionale:

è necessario essere cittadini che hanno il diritto di aspettarsi una “giustizia giusta”.
 
Referendum n. 1: scheda di colore rosso

Abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità

e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo

conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi;

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Referendum n. 2: scheda di colore arancione

Limitazione delle misure cautelari:

abrogazione dell'ultimo inciso dell'art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale,

in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale;


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Referendum n. 3: scheda di colore giallo

Separazione delle funzioni dei magistrati.

Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario

che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa

nella carriera dei magistrati;
1654588114632.png
 
Referendum n. 4 : scheda di colore grigio

Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari.

Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari

e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte;

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Referendum n. 5: scheda di colore verde

Abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura.

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