Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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La tassonomia dell’emergenza ci consente di rilevare da un lato
come al netto di alcune differenze e di alcune specificità,
ogni emergenza imponga la sua agenda,
i suoi strumenti di contrasto,
di collettivizzazione,
di privazione e limitazione della libertà,
di mobilitazione totale,

e dall’altro lato di poter asserire che l’emergenza stessa,

nel suo tratto comune e caratterizzante, si è fatta forma di governo.

Mi piace sempre ricordare che nel corso degli anni, se rimaniamo nell’alveo dell’analisi giuridica,
quello strano strumento che è il decreto-legge,
legittimato a Costituzione vigente solo da “casi straordinari di necessità e di urgenza”,


è divenuto nei fatti uno strumento ordinario di produzione legislativa:
questo ha importato non solo una stabilizzazione di uno strumento limite ed emergenziale
ma anche, in maniera più preoccupante, lo slittamento del processo legislativo dal Parlamento al governo.

L’abuso del decreto-legge,
stigmatizzato da dottrina giuridica e giurisprudenza della Corte costituzionale,
è un indicatore privilegiato di come stabilizzare gli strumenti dell’emergenza
incida radicalmente e drasticamente sugli assetti istituzionali;

d’altronde, il decreto-legge, in regime di Statuto albertino,
si prestò alla torsione autoritaria del regime fascista,
ragion per cui i Costituenti furono molto indecisi
se inserirlo nella nuova Carta costituzionale
ed è anche uno dei motivi per cui non venne
mai costituzionalizzato un diritto di governo dell’emergenza.
 
Durante la pandemia abbiamo assistito a un processo ancora più drastico e preoccupante:

la iper-verticalizzazione del processo di produzione normativa
in capo alla sola figura del presidente del Consiglio,
in combinato con il ministro della salute,
mediante lo strumento amministrativo del Dpcm
(il cui cappello di legittimazione dovevano essere i decreti-legge,
molto spesso materia inerte e muta nei presupposti fondanti,
demandando quasi come una cambiale in bianco tutto ai vari Dpcm).



E abbiamo assistito alla proliferazione di corpi tecnici,
del tutto scissi dal circuito di legittimazione sovrana,
e che però lungi dal rappresentare solo dei meri strumenti consulenziali
nei fatti dettavano l’agenda politica e legislativa e amministrativa,
limitando così sempre di più la libertà e le garanzie dei cittadini.



Lo stesso avviene nella irreggimentazione del costume, delle scelte,
dell’esistenza imposta dalla agenda green e dalla psicosi climatica,
per cui veniamo sottoposti a uno stillicidio di terrore
la cui funzione è quella di farci ingoiare il boccone amaro
della privazione della autodeterminazione individuale.



In città con servizi di trasporto pubblico allo sbando,
vengono imposte barriere e limitazioni come le Ztl
che costringono nei fatti ad acquistare costosissime autovetture ecologiche, d
el tutto fuori dalla portata economica del pendolare medio.

Non è difficile immaginare poi come
questi strumenti porteranno ad una desertificazione del tessuto economico,
commerciale e produttivo,
con attività commerciali spazzate via.


Il paradosso dell’emergenza, di ogni emergenza,
è che essa, in apparenza, cerca di salvare l’essere umano
ma in maniera talmente tirannica e brutale da asfissiarlo.

Le emergenze, come insegnava Hayek,
sono soltanto dei pretesti per erodere la libertà.
 
La Danza Macabra medievale è stato tema iconografico che,
fatta salva una breve parentesi storica,
ha rappresentato uno strumento di moralizzazione dei costumi,
una moralizzazione prettamente di matrice religiosa.

La rappresentazione della morte e del suo dilagare nel cuore dell’opinione pubblica in tempi emergenziali,
utilizzata spesso proprio per mobilitare le coscienze
e orientarle ad un certo elevato grado di sottomissione e di pronta obbedienza.



Dal “diritto della paura” di cui parla Sunstein alle magistrali riflessioni sulla malattia come metafora sociale di Susan Sontag,
la danza macabra emergenziale assurge al ruolo di instrumentum regni.

Ad un livello decisamente più basso di questi autori citati,
ma non meno incisivo e cristallino nelle sue intenzioni,
l’ex ministro Roberto Speranza nel suo volume, come noto poi ritirato dal commercio,
ha dedicato alcune illuminanti pagine al fenomeno della necessitata “cattura” della opinione pubblica
al fine di generare un autentico mantra della nazione intera, chiamata a mobilitarsi contro il virus.

Il punto è che quando tu monopolizzi la produzione della cultura e delle opinioni,
il dibattito stesso, facendo rifluire al silenzio tutte le opinioni e le opzioni dissonanti
(ciò che Elisabeth Neulle-Neumann definiva “la spirale del silenzio”),
proprio nel nome della paura (nel caso di specie, la paura della morte, risultante del dilagare della pandemia),
puoi sperimentare la tentazione di usare questo immane potere
per imporre una qualche egemonia politica, una qualche agenda istituzionale.

D’altronde, quando si è a rischio di morte,
non si discute,
non si dibatte,
ci si rassegna ad obbedire
.

Nell’ordinamento romano, il dictator era un magistrato eletto proprio in situazioni emergenziali,
e munito di poteri esorbitanti, per fronteggiare il rischio atroce della dissoluzione dell’ordinamento
e la minaccia di distruzione e di morte.

Lo spettro della morte, questo incubo, per come viene presentato e “venduto”,
è il miglior alleato della strutturazione di una società sempre meno libera.


Prima ho parlato di psicosi climatica;
già sentiamo parlare di eco-ansia,
e le parole d’ordine utilizzate per imporre una certa agenda
sono sempre tremende, orrorifiche, dalla casa in fiamme a un generalizzato “moriremo tutti”,
che già aveva caratterizzato i due anni abbondanti di pandemia.

E chi può dimenticare la conta mortuaria serale,
con gli alti burocrati sanitari che snocciolavano il rosario dei morti
e dei contagiati, ogni singolo giorno?
 
Il cittadino, per il fatto stesso di essere cittadino,
è già di suo propenso a limitare la propria libertà e a sottomettersi.

E nel corso degli anni abbiamo assistito a un oggettivo scadimento del senso critico,
del presidio della libertà, in realtà del riconoscere valore stesso alla libertà.


Vivere necesse est, insegnano i giuristi.

Tutto è sacrificabile se in gioco c’è la sopravvivenza.


Sulla base di questo assunto,
lo Stato ha iniziato, già prima e fuori dal perimetro della emergenza,
a sussidiare i cittadini,
a renderli dipendenti dalla sua mano,
a far loro credere che la sicurezza dipende soltanto dalla presenza dello Stato medesimo.


Ne consegue che in stato emergenziale,
di una vera emergenza
o di una emergenza esagerata nei suoi lineamenti,
gonfiata enfaticamente
per divenire pretesto per un complessivo giro di vite contro la libertà,
il cittadino si sottometterà del tutto,
cessando qualunque forma di “resistenza” critica contro ciò che subisce.


Anzi, in alcuni casi si renderà volenteroso carnefice,
mediante delazioni e segnalazioni varie,
come quanto avvenuto in tempo di pandemia ci ha insegnato.
 
I cittadini, mediante la finzione del patto sociale,
si spogliano della loro libertà
e stanno in società organizzata, sotto il maglio dello Stato.

In questa misura l’accettazione del potere salvifico dello Stato è già professione di sottomissione.

E la situazione in emergenza peggiora,
perché lo Stato finirà con l’esigere un grado ben maggiore di sottomissione.


Nei fatti, la protezione promessa dalla sfera pubblica sembra somigliare a un racket,
e in questo senso trovano conferma le analisi radicalmente critiche di Rothbard e Hoppe.

Olson polemizzava con gli anarco-capitalisti,
sostenendo che lo Stato bandito-stanziale avrebbe comunque prodotto qualcosa, oltre a depredare,
mentre i banditi erranti avrebbero solo distrutto e saccheggiato.

La funzione di protezione statale, in termini di sicurezza,
avrebbe dovuto tenere lontani tutti gli altri banditi,
lasciando il monopolio della forza in capo a un solo bandito, lo Stato.


Ma in questo caso, il bandito-stanziale, che opera in regime di monopolio,
avrà gioco facile a vessare sempre di più i suoi sottoposti,
e per paradosso un bandito errante potrebbe garantire condizioni di “sfruttamento” meno inumane.

Proprio per evitare che qualche cittadino possa iniziare a coltivare l’idea di riprendersi la libertà

e sottoporre a critica radicale il dogma chiamato Stato,
ogni tanto giunge una emergenza
funzionale ad azzerare le critiche e le strade organizzative alternative.


Per questo, il cittadino spesso non riesce nemmeno a immaginare
che lo Stato possa danneggiarlo.


E invece dovremmo sempre ragionare con spirito altamente, lucidamente critico.

Non credo di esagerare nel ricordare e asserire
che il governo della pandemia, a livello globale,
è quanto di più prossimo alla tirannia
che l’Occidente abbia sperimentato dalla fine del secondo conflitto mondiale.



Siamo stati reclusi in casa,
sorvegliati,
controllati,
si facevano le file davanti i supermercati,
come in una replica strutturale della DDR,
le forze di polizia
sono state lanciate dietro runner e passeggiatori su spiagge solitarie,

sono stati eretti meccanismi, come il Green Pass,
incidenti su libertà costituzionalmente tutelate,
siamo stati inondati da obblighi,
alcuni dei quali implicavano addirittura
se non ossequiati
la perdita del posto di lavoro,
divieti, limiti, barriere, graziose concessioni sovrane.
 
Per ironico paradosso,
la Commissione europea e l’Oms hanno annunciato,
con enfasi davvero degna di miglior causa,
che si sta lavorando a stabilizzare il Green Pass come strumento globale,
per contrastare ipotetiche pandemie future.


Il copione è standard.

Si immette nel circuito del dibattito e nell’ordinamento
uno strumento gravemente limitativo della libertà,
si dice che lo si sta facendo per il bene dei consociati
e che comunque sarà uno strumento rigorosamente temporaneo,
poi poco tempo dopo si finisce con lo stabilizzarlo.


La permanenza dell’emergenza e dei suoi strumenti di governo
rappresenta la sostanza più pura, e preoccupante, dello stato presente.

Del mondo in cui viviamo.

Non dobbiamo mai dimenticare come, dagli anni settanta in poi,
gran parte dei meccanismi,
degli strumenti,
degli istituti giuridici limitativi della libertà originati dal contrasto a una qualche emergenza
siano rimasti, spesso inerti ma pronti ad essere adeguatamente ricontestualizzati e utilizzati di nuovo.

Non sono mai stati cancellati del tutto, espunti e buttati a mare.

Ma anzi, spesso si ibridano tra di loro,
finendo con il generare dispositivi mostruosi di annichilimento della libertà.

Fino a qualche anno fa non avremmo mai potuto immaginare,

nemmeno nei nostri peggiori incubi,

che esseri umani,

nel cuore dell’Occidente

e di quelle che si rappresentavano come mature democrazie,

avrebbero perso il posto di lavoro,

e la fonte del loro sostentamento,

perché si sono rifiutati,

per motivazioni che non dovrebbero nemmeno interessarci

visto che attengono alla sfera individuale,

di vaccinarsi.


Alla luce di tutto questo,
qualcuno potrebbe davvero escludere,
escludere del tutto intendo,
la nascita che so di un Green Pass climatico?
 
Viviamo in un Paese che ha criminalizzato e vilipeso in ogni modo possibile l’iniziativa privata.

Ancora oggi sentiamo dire che il tracollo del nostro sistema è stato dettato dal neoliberismo,
dalle privatizzazioni,
una vulgata surreale considerando che viviamo in una roccaforte statalista e collettivista
che non fa altro che redistribuire risorse,
spesso per motivazioni neotribali di consolidamento del ceto politico.


Durante la pandemia, abbiamo sentito dire
che il nostro sistema sanitario è collassato
a causa della ingordigia dei privati e dei fenomeni di privatizzazione.

Qualche politico lo ha pure scritto.

Mi sembra notevole, perché ci dice chiaramente
che nulla di buono può provenire dalla politica,
se essa è arrivata a questo livello di inganno e di dissimulazione e di infingimento.


Bisognerebbe ricordare ad esempio che nei fatti
la politica locale molto spesso ha ingenerato fenomeni di autentico corporativismo e clientelismo;
basta scorrere le cronache giudiziarie per verificare come spesso questo fenomeno distorto
arrivi fin nelle aule di giustizia, è in fondo un metodo di consolidamento elettorale e di potere del ceto politico.

Non si tratta di “privati” che gestiscono con logica concorrenziale e di mercato un dato sistema,
sia esso quello della salute/sanità o altro,
ma di società spesso legate a doppio filo alla politica,
fino a determinare un processo osmotico da “capitalismo corporativo”,
che si alimenta pure di quell’autentico socialismo municipale
che passa attraverso le società (pubbliche) di gestione dei servizi.


Sulla sicurezza, funzione sovrana per eccellenza, il discorso è ancora più radicale.

Lo Stato pretende il monopolio assoluto,
qui non c’è nemmeno la giustificazione degli errori o della ingordigia dei privati.

Se la sicurezza non funziona, lo Stato non può che prendersela con se stesso.

Per questo in genere si è costruita la bizzarra categoria
della “percezione della sicurezza”:

vivi in una città che è un inferno,

ma io elaboro delle statistiche che comunicano sicurezza,

le faccio passare per giornali e tg,

ti convinco di essere protetto e sicuro,

anche se non lo sei per niente.
 
La soluzione non è, come invocano i politici, “più Stato”,
e in genere sono quei politici per cui i servizi pubblici sarebbero “gratis”.

La soluzione è “più individuo”.

Voglio ricordare che noi già oggi, con la sanità pubblica al collasso,
ricorriamo ad assicurazioni sanitarie private,
ci rivolgiamo a studi medici specialistici privati.

Nei fatti ci privatizziamo da soli la gestione della salute,
con l’aggravante però di dover sussidiare un sistema, quello statale,
mediante le tasse, sapendo che non lo utilizzeremo (quasi) mai.




E questo vale anche per la sicurezza.

Funzione sovrana o meno, sempre più cittadini fanno ricorso a vigilanza privata,
a case trasformate in bunker, o si armano, spendendo i loro soldi,
ma continuando a pagare le tasse per finanziare servizi di pubblica sicurezza
che ormai, specie nelle grandi città, garantiscono un livello di intervento sub-ottimale.

Oppure peggio ancora,

paghiamo le tasse per finanziare il servizio

di chi è costretto a inseguire i runner
 
Quanta VERITA' in questa dichiarazione.
Speriamo non molli.


"Quel che è patologico
è che molto spesso la politica abbia ceduto
alle pressioni della magistratura sulla formazione delle leggi.

Non è ammissibile,

il magistrato non può criticare le leggi,

come il politico non può criticare le sentenze.

È un principio elementare della divisione dei poteri."
 
Pura e semplice PAZZIA.
Altro che hitler. Altro che superiorità di razza.

Dalla fantascienza alla realtà.

Lo scrittore Philip Dick nei suoi celebri romanzi ipotizzava un'entità chiamata Fonte,
un cubo contenente "zigoti, bloccati e congelati, centinaia di miliardi.

Tutto il nostro seme e la nostra razza.

Una frazione minuscola di ciò che è racchiuso lì, le generazioni future".


Ebbene queste ipotesi immaginarie, adesso sono diventate la realtà.

La biologa Magdalena Zernicka-Goetz dell'Università di Cambridge e del California Institute of technology,
ha annunciato di aver creato

"una struttura embrionale umana sintetica",

più precisamente ha fatto sapere che lei e i suoi colleghi ricercatori possono

"creare modelli simili a embrioni umani riprogrammando le cellule staminali embrionali".
 

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