La falsità storica
Tornando al docufilm,
bastano i primi minuti per capire la follia dello storytelling celebrativo a senso unico
non appena, al bravo Bentivoglio/Gardini,
mettono in bocca una falsità storica:
gli fanno dire che non si sa chi sia più ricco tra suo padre Ivan e Serafino Ferruzzi.
La verità è che da una parte abbiamo
Ivan Gardini,
un piccolo imprenditore che aveva come microcosmo Ferrara,
una famiglia che coltivava pesche e, quale attività complementare, quella del «sabiunat»,
ovvero dragava il fiume per raccogliere la sabbia.
Dall’altra parte abbiamo
Serafino Ferruzzi,
una leggenda che per orizzonte aveva il mondo intero
e con una liquidità in tasca di migliaia di miliardi di lire.
La «pietas» per il tragico destino di Gardini non deve però farci dimenticare la verità
e dunque la sua distruttiva arroganza.
E questa volta chi postula «
ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità»
resterà deluso perché un’altra verità sta emergendo da una domanda spontanea:
perché, dopo tutto questo tempo, si continua a rappresentare epicamente la storia di Gardini,
oramai smentita da carte e testimoni, come quella di un eroe senza macchia e peccato?
Le risposte possono essere molteplici:
forse per evitare di parlare del ruolo nefasto e malefico di Mediobanca
e di alcuni poteri forti che contribuirono in modo sostanziale a spolpare il gruppo Ferruzzi
a beneficio della Fiat.
O, più semplicemente, per spostare l’attenzione su partiti come il Pci
e personaggi finiti nel mirino della magistratura, come gli Agnelli, i De Benedetti e i Falck,
sfruttando e approfittando, con un grimaldello perfetto quale era il carattere impetuoso di Gardini,
delle divisioni nella famiglia di Ravenna.
O, forse, anche per evitare di aprire uno squarcio in seno alla stessa Procura di Milano,
che aveva bisogno di «crocifiggere» Sergio Cusani e i Ferruzzi
per lavarsi la coscienza dai suicidi dei vari Castellari, Moroni, Cagliari e dello stesso Gardini,
portando così avanti la tesi della corruzione nella vicenda Enimont.
Ricostruzioni e verità giudiziarie che tuttavia non sempre collimano con le verità reali.
Più che una corruzione sta diventando palese che si trattò dell’ennesimo sciagurato finanziamento illecito ai partiti
– un habitus a quei tempi di tutti i grandi gruppi industriali –
per mettere fine alla guerra personale che Gardini aveva dichiarato alla politica,
lanciando in campo provocazioni di ogni genere.
Leggendaria fu quella di mandare sotto la casa del ministro dell’epoca delle partecipazioni statali, Carlo Fracanzani,
truppe cammellate urlanti «la chimica sono io».
Oppure, ed è un mio ricordo personale ancora vivo, quando
accompagnai il dottor Gardini dal presidente Andreotti
per perorare un beneficio fiscale osteggiato da parte della sinistra Dc e dal Pci.
Gardini spiegò le sue ragioni in maniera entusiasmante ma uscendo,
con un ghigno arrogante dei suoi, si congedò dicendo testualmente
«Se non me lo accordate, io i soldi me li faccio dare dai francesi».
Il Divo, allora, commentò sagacemente: «Questo è matto, che se li facesse dare dai francesi, cosa è venuto a fare».