Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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L'ho ancora il disco.

È morta all’età di 76 anni Jane Birkin, cantante e attrice britannica naturalizzata francese, icona di stile in tutto il mondo.

Secondo le prime notizie, è stata trovata senza vita nella sua casa parigina.

Fu moglie e musa di Serge Gainbourg con cui interpretò la maliziosissima hit Je T’aime... moi non plus.
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Come è noto, sono stati repentinamente tolti a Salvatore Parolisi,
che secondo la giustizia penale ha ucciso la moglie, Melania Rea,
alcuni permessi che si era conquistato attraverso una condotta carceraria irreprensibile e collaborativa,
tanto da svolgere un lavoro da centralinista nel carcere di Bollate, dove è detenuto da 12 anni.

La colpa che gli viene attribuita, se così vogliamo definirla,
è di aver rilasciato una intervista fuori dai denti a una giornalista di Chi l’ha visto?,

professando ancora una volta la sua innocenza.



Mossa molto incauta, visto che le sue parole sono state raccolte e rielaborate a dovere
da uno dei programmi televisivi più schiettamente colpevolisti,
soprattutto quando sul banco degli imputati c’è il marito o il compagno di una vittima di omicidio
(mi scuso, ma il termine “femminicidio” mi fa venire l’orticaria).


Sebbene, come ricorda il legale dell’ex caporal maggiore campano,
per godere di alcuni benefici non sia necessario che un condannato confessi,
al di là del chiacchiericcio femminista che si è scatenato intorno alle sue dichiarazioni,

il fatto che lui prosegua a raccontare di essere stato condannato
senza uno straccio di prova
viene preso molto male dal circo mediatico,
che tanto ha contribuito alla sua sorte.



In estrema sintesi, senza voler riepilogare una vicenda a mio avviso ancora avvolta in una densa nebbia,
Parolisi è stato condannato non con una prova schiacciante che lo collegasse in modo incontrovertibile al luogo del delitto,

bensì per una prova che non c’era:
l’assenza di un riscontro che dimostrasse la sua presenza
nel pianoro di Colle San Marco in un orario che, nel qual caso,
ne avrebbe confermato l’alibi.
 
Per il resto, al pari di molti altri casi analoghi,
solo congetture e tantissimi pettegolezzi televisivi,
che hanno costruito un classico nesso causale tra la l’infedeltà coniugale,
a cui si lega l’inevitabile propensione a raccontare frottole, e la volontà omicidiaria.

In pratica, anche in questa circostanza
si è avuta l’impressione di una lenta ma inesorabile costruzione di un colpevole predestinato
dove le prove indiziarie, assai stiracchiate, vengono adattate alla bisogna
con il sostanziale supporto del solito circo mediatico colpevolista.


Una sorta di giustizia teorematica, secondo una brillante definizione coniata da Alessandro Meluzzi,
in cui prima si stabilisce l’autore del delitto
e, successivamente, si vanno a cercare gli elementi,
molto spesso estremamente suggestivi, che servono a farlo condannare.


A tal proposito, vorrei segnalare un imbarazzante commento postato su YouTube
da parte della criminologa Roberta Bruzzone, all’epoca consulente della famiglia della vittima,
la quale ha usato parole pesantissime ai danni di Parolisi, fino a considerarlo socialmente irrecuperabile.



Non so perché, ma quando mi capita di ascoltare le requisitorie televisive di questa luminare delle Scienze forensi,
mi vengono spesso in mente quelle numerose popolane parigine che, dopo il massacro durante la presa delle Tuileries
– siamo nel 1792, in piena Rivoluzione francese – orinavano festanti sui cadaveri delle centinaia di guardie svizzere trucidate.

Una pura casualità.
 
"Spiragli" di libertà, ma non vogliono lasciarlo "LIBERO".
E sappiate che non è solo. Ci sono dei parenti stretti.

Nel corso dell’udienza è emerso che sarebbe aperto
un fascicolo penale nei confronti dell’avvocato Elena Barra, amministratore di sostegno,
e i difensori delle due imputate ne hanno chiesto l’acquisizione.

Successivamente il direttore sanitario della Rsa Andrea Millul ha ricostruito la vicenda Gilardi,
partendo dal 30 ottobre 2020, quando è arrivato nella struttura fino agli ultimi giorni.



Carlo Gilardi non ha accettato il ricovero in Rsa
e in più occasioni ha espresso la sua volontà:

“Voglio tornare nella mia casa del Cerè (frazione di Airuno, ndr)
dove ho una casa”, è la frase ripetuta più volte.


La risposta dal Pm:
non esistono le condizioni di abitabilità e la casa andrebbe completamente ristrutturata.
Il processo, tra il teste e le istanze delle difesa e della parte lesa si è protratto fino alla 19,
quando il giudice – dopo aver valutato le richieste delle parti –
ha fissato la nuova audizione al 15 settembre, a porte chiuse nella Rsa.

Poi il processo proseguirà il 19 gennaio 2024.


Purtroppo certe persone sono abituate al "lusso",
alla casa tutta bella e pulita dalle collaboratrici domestiche.
Una casa di campagna HA ALTRO. Non serve il "lusso".
Non serve la cucina moderna, non serve il bagno super-attrezzato.
Non serve il riscaldamento centralizzato.
LUI HA CASA SUA. HA (o aveva) I SUOI ANIMALI.
IL FIENO DA TAGLIARE. LA NATURA.
 
Eccoli qui i parassiti di oggi e di domani.
Con telefonino, cuffiette ed irrealtà virtuale.

Notizie preoccupanti arrivano dagli ultimi dati Istat.

I risultati statistici elaborati dall’Istituto mostrano come un giovane su quattro risulta inattivo, ovvero non cerca lavoro.

Sono quasi 1,7 milioni i giovani che non possono definirsi né disoccupati, né inoccupati
e né tantomeno risultano inseriti in percorsi di formazione o di orientamento lavorativo.

Una percentuale, quella di inattività, che si registra in Italia e che giunge alla soglia del 25,4 per cento,
conquistando la posizione più alta della classifica rispetto ai restanti Paesi europei, dove la media si ferma al 15 per cento.

Allarmante è, infatti, il tasso di abbandono scolastico
dove emerge una delle incidenze più elevate d’Europa (12,7 per cento)
dopo la Romania (15,3 per cento) e la Spagna (13,3 per cento).

Una situazione che sembra poi essere peggiorata rispetto al dato territoriale,
se si considera che il 55,6 per cento degli inattivi sotto i 35 anni si concentra nel Mezzogiorno.


Al Sud cresce la percentuale dei giovani
che dichiara di non avere interesse o bisogno di lavorare.
Perché se il modello di riferimento sociale
continua a essere dettato dai social network,
appare difficile che un giovane abbia il desiderio di sottoporsi a sacrifici, studiando o lavorando.


Lavorare ? Mica sono scemi. Meglio prendere i contributi a uffa.
Però fuori dai locali commerciali è pieno di cartelli di ricerca lavoratori.
 
Me l'avessero detto 50 anni fa, gli avrei riso in faccia.
Ora bisogna DIFENDERE LA LIBERTA'

In molti non hanno simpatia per Giuseppe Cruciani,
eppure va riconosciuto che spesso la sua è una voce ragionevole,
nell’appiattimento del pensiero unico e politicamente corretto.

Ora, a presunta emergenza Covid oramai alle spalle,
la narrazione dominante riguarda i presunti cambiamenti climatici.

Lo schema è sempre lo stesso, basti pensare agli ultimi tre anni:

si martellano le persone da mattina a sera, attraverso i media,
certa politica ed improbabili esperti,

sino a che la gente non si convinca di correre un pericolo,

per accettare la “soluzione”,

per di più incanalando l’odio verso il dissidente

o chi abbia un qualche legittimo dubbio.


Eleonora Evi
, deputata dei Verdi e co-portavoce nazionale di Europa Verde,
ha rilanciato l’assurda proposta del segretario del suo partito, Angelo Bonelli,
di introdurre il reato di “Negazionismo climatico”,
punendo chi osi negare le colpe dell’uomo per il cambiamento del clima.
 
“Non penso che questa proposta volesse introdurre un reato di opinione,
la trovo più una provocazione, onestamente.
Stiamo dicendo: sanzioniamo chi diffonde menzogne, chi dice cose sbagliate.
Chi deve fare un servizio pubblico e mente è passibile di essere sanzionato”.



È qui che Cruciani la ferma e irrompe a valanga:

“Il capo del suo partito fa provocazioni.
È ancora peggio quello che stai dicendo.
Lei sanzionerebbe il professor Franco Prodi“,

citando il fratello dell’ex premier, studioso di fisica dell’atmosfera
e, dunque, plausibilmente più ferrato di tale Eleonora Evi.

Ma quest’ultima non ci sta e, praticamente, dà ragione a Cruciani,
riguardo il famigerato reato d’opinione:

Innanzitutto, il professor Prodi non è un climatologo, è un fisico dell’atmosfera”.

E quindi non ha diritto a parlare, secondo Evi,
(che, invece, risulta laureata in design…).


“Quindi lei lo sanzionerebbe perché dice che la colpa non è dell’uomo?
Da che mondo è mondo ci sono 35 o 40 gradi a luglio e ad agosto.
Stiamo assistendo a una mobilitazione per il fatto che c’è caldo.
Ma siamo pazzi?
Il Paese deve andare avanti.”
 
Mettiamo qualche tassello al suo posto. Quello esatto.

Un popolo di santi, eroi, poeti e naviganti.

Mai come in questi giorni queste parole sono state così calzanti
nel sentire la narrazione di una certa stampa e Tv su Raul Gardini,
in occasione dei 30 anni dalla morte del manager ravvenate

Non è stata da meno la Rai, con l’apologetico docufilm «Raul Gardini» – andato in onda il 23 luglio –
nel rappresentare la vicenda umana e professionale del «Corsaro», così soprannominato per le sue scorribande in borsa.

Un protagonista temerario e certamente con idee innovative,
ma anche uno spericolato «gambler» con il gusto dell’azzardo
che è riuscito a distruggere uno dei più grandi player agro-industriali al mondo nello spazio di pochi mesi.


Anche nella tv di Stato la vicenda viene fatta passare per una faida di famiglia,
una sorta di Dynasty «acchiappa audience» che, peraltro, proprio sul terreno degli ascolti è stata un flop.


Mentre il Gruppo Ferruzzi era in realtà il progetto di una vita del patriarca Serafino,
lui sì visionario e all’avanguardia,
che si era sempre tenuto ben lontano da politica e finanza
e che aveva costruito un megapolo integrato
con una filiera rigorosamente “homemade” di trasporti, logistica, stoccaggio.



Solo per dare qualche numero,
parliamo di circa 170 chiatte da 1.000 tonnellate per il trasporto fluviale,
di una flotta di 16 navi per 752mila tonnellate di carico
e di enormi stoccaggi in silos giganteschi alla foce del Mississippi.

Tant’è che alla Borsa di Chicago, come si fa con i «grandi»,
quando entrava il cavalier Ferruzzi, veniva suonata la campanella.



Il patrimonio di Serafino Ferruzzi è stata la migliore «dote» in mano a Gardini,
utilizzata per l’acquisto non solo della Montedison, ma di tante altre realtà come Central Soia, Koipe,
Carapelli ed anche per la celebrata avventura de Il Moro di Venezia.



 

La falsità storica​


Tornando al docufilm,
bastano i primi minuti per capire la follia dello storytelling celebrativo a senso unico
non appena, al bravo Bentivoglio/Gardini, mettono in bocca una falsità storica:

gli fanno dire che non si sa chi sia più ricco tra suo padre Ivan e Serafino Ferruzzi.


La verità è che da una parte abbiamo Ivan Gardini,
un piccolo imprenditore che aveva come microcosmo Ferrara,
una famiglia che coltivava pesche e, quale attività complementare, quella del «sabiunat»,
ovvero dragava il fiume per raccogliere la sabbia.


Dall’altra parte abbiamo Serafino Ferruzzi,
una leggenda che per orizzonte aveva il mondo intero
e con una liquidità in tasca di migliaia di miliardi di lire.


La «pietas» per il tragico destino di Gardini non deve però farci dimenticare la verità
e dunque la sua distruttiva arroganza.

E questa volta chi postula «ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità»
resterà deluso perché un’altra verità sta emergendo da una domanda spontanea:

perché, dopo tutto questo tempo, si continua a rappresentare epicamente la storia di Gardini,
oramai smentita da carte e testimoni, come quella di un eroe senza macchia e peccato?


Le risposte possono essere molteplici:

forse per evitare di parlare del ruolo nefasto e malefico di Mediobanca
e di alcuni poteri forti che contribuirono in modo sostanziale a spolpare il gruppo Ferruzzi
a beneficio della Fiat.


O, più semplicemente, per spostare l’attenzione su partiti come il Pci
e personaggi finiti nel mirino della magistratura, come gli Agnelli, i De Benedetti e i Falck,
sfruttando e approfittando, con un grimaldello perfetto quale era il carattere impetuoso di Gardini,
delle divisioni nella famiglia di Ravenna.

O, forse, anche per evitare di aprire uno squarcio in seno alla stessa Procura di Milano,
che aveva bisogno di «crocifiggere» Sergio Cusani e i Ferruzzi
per lavarsi la coscienza dai suicidi dei vari Castellari, Moroni, Cagliari e dello stesso Gardini,
portando così avanti la tesi della corruzione nella vicenda Enimont.



Ricostruzioni e verità giudiziarie che tuttavia non sempre collimano con le verità reali.

Più che una corruzione sta diventando palese che si trattò dell’ennesimo sciagurato finanziamento illecito ai partiti
– un habitus a quei tempi di tutti i grandi gruppi industriali –
per mettere fine alla guerra personale che Gardini aveva dichiarato alla politica,
lanciando in campo provocazioni di ogni genere.


Leggendaria fu quella di mandare sotto la casa del ministro dell’epoca delle partecipazioni statali, Carlo Fracanzani,
truppe cammellate urlanti «la chimica sono io».


Oppure, ed è un mio ricordo personale ancora vivo, quando accompagnai il dottor Gardini dal presidente Andreotti
per perorare un beneficio fiscale osteggiato da parte della sinistra Dc e dal Pci.

Gardini spiegò le sue ragioni in maniera entusiasmante ma uscendo,
con un ghigno arrogante dei suoi, si congedò dicendo testualmente

«Se non me lo accordate, io i soldi me li faccio dare dai francesi».


Il Divo, allora, commentò sagacemente: «Questo è matto, che se li facesse dare dai francesi, cosa è venuto a fare».
 

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