Daee
Forumer storico
IL NOME DELLA COSA
Rimbalza qua e là la proposta lanciata sulla prestigiosa rivista Nature di riclassificare i tumori, non più secondo il tessuto di origine bensì secondo il profilo molecolare. I nuovi farmaci antitumorali, specie i biologici e le terapie geniche, infatti, hanno efficacia limitata e si cerca di identificare i biomarcatori che possano predire la risposta nella singola persona. Dietro alla proposta, in altri termini, c'è l'esigenza di spianare la strada a terapie con efficacia limitata in termini assoluti ma che potrebbero aiutare sottogruppi di soggetti con specifiche caratteristiche, in minima parte già identificate e in massima parte teoricamente plausibili. Una vicenda intressante per vari aspetti, tra l'altro perché appare precisamente speculare a quella dei vaccini covid a RNA, i quali - chiaramente differenti dai vaccini convenzionali - sono stati trattati come questi ultimi in fase di sviluppo, sperimentazione e autorizzazione, con il risultato di spianare loro la strada verso un mercato globale multimiliardario, travisando molteplici aspetti della loro sicurezza, ancor oggi negati per mancanza di dati. Al contrario, per questi prodotti sarebbe stato indispensabile adottare regole di valutazione che fossero in grado di accertarne la sicurezza, oltre che l'efficacia. Nulla di straordinario: sarebbe bastato applicare criteri e procedure in uso da sempre per i medicinali convenzionali come l'aspirina e infiniti altri. E forse oggi non dovremmo avere a che fare con prodotti malriusciti, approssimativi e rischiosi. Cosa hanno in comune le due vicende, la riclassificazione dei tumori e la mancata riclassificazione dei vaccini a RNA? Semplice: l'interesse economico e commerciale. In entrambi i casi si spiana la strada a prodotti che altrimenti faticherebbero ad affermarsi. In che cosa differiscono? Nel fatto che gli antitumorali in linea di principio salvano la vita a soggetti condannati, i quali indubbiamente sono spesso disponibili ad accettare un livello anche significativo di rischio. I vaccini al contrario vengono proposti e in questo caso anche aggressivamente imposti a persone sane che nutrirebbero il legittimo desiderio di restarlo, sane. E qui casca l'asino.
Rimbalza qua e là la proposta lanciata sulla prestigiosa rivista Nature di riclassificare i tumori, non più secondo il tessuto di origine bensì secondo il profilo molecolare. I nuovi farmaci antitumorali, specie i biologici e le terapie geniche, infatti, hanno efficacia limitata e si cerca di identificare i biomarcatori che possano predire la risposta nella singola persona. Dietro alla proposta, in altri termini, c'è l'esigenza di spianare la strada a terapie con efficacia limitata in termini assoluti ma che potrebbero aiutare sottogruppi di soggetti con specifiche caratteristiche, in minima parte già identificate e in massima parte teoricamente plausibili. Una vicenda intressante per vari aspetti, tra l'altro perché appare precisamente speculare a quella dei vaccini covid a RNA, i quali - chiaramente differenti dai vaccini convenzionali - sono stati trattati come questi ultimi in fase di sviluppo, sperimentazione e autorizzazione, con il risultato di spianare loro la strada verso un mercato globale multimiliardario, travisando molteplici aspetti della loro sicurezza, ancor oggi negati per mancanza di dati. Al contrario, per questi prodotti sarebbe stato indispensabile adottare regole di valutazione che fossero in grado di accertarne la sicurezza, oltre che l'efficacia. Nulla di straordinario: sarebbe bastato applicare criteri e procedure in uso da sempre per i medicinali convenzionali come l'aspirina e infiniti altri. E forse oggi non dovremmo avere a che fare con prodotti malriusciti, approssimativi e rischiosi. Cosa hanno in comune le due vicende, la riclassificazione dei tumori e la mancata riclassificazione dei vaccini a RNA? Semplice: l'interesse economico e commerciale. In entrambi i casi si spiana la strada a prodotti che altrimenti faticherebbero ad affermarsi. In che cosa differiscono? Nel fatto che gli antitumorali in linea di principio salvano la vita a soggetti condannati, i quali indubbiamente sono spesso disponibili ad accettare un livello anche significativo di rischio. I vaccini al contrario vengono proposti e in questo caso anche aggressivamente imposti a persone sane che nutrirebbero il legittimo desiderio di restarlo, sane. E qui casca l'asino.