Rivoluzione addio, in Venezuela è il dollaro a dettare legge
Il biglietto verde mangia il bolivar e l'intero Paese sembra sull'orlo della voragine, con una trasformazione quotidiana della propria moneta in quella dell'odiato nemico, quegli Stati Uniti che la stessa Cuba sta accogliendo: un'apertura che per il Venezuela, finora principale fornitore dell'isola insieme alla Cina, significa la prossima perdita di un mercato importante
di ALESSANDRA BADUEL
31 maggio 2015
ROMA - E' da molti mesi che in Venezuela non c'è merce negli scaffali, mentre i beni di prima necessità, calmierati, sono anche razionati. Il passo successivo era forse prevedibile, ma adesso è conclamato e si chiama "dollarizzazione", ben lontana dal sogno della rivoluzione. Le case si affittano preferibilmente in dollari, così come si acquistano automobili con il biglietto verde, ma lo stesso vale per prodotti sanitari e altri beni di uso quotidiano. Dollaro mangia bolivar e l'intero Paese sembra sull'orlo della voragine, con una trasformazione quotidiana della propria moneta in quella dell'odiato nemico, quegli Stati Uniti che la stessa Cuba sta accogliendo: un'apertura che per il Venezuela, finora principale fornitore dell'isola insieme alla Cina, significa la prossima perdita di un mercato importante.
Nel quartiere benestante di Altamira, a Caracas, una casa di sette camere da letto e rifiniture tutte in marmo vale tre milioni di bolivar d'affitto. Ma il proprietario, spiega al Wall Street Journal l'agente immobiliare, preferisce 10mila dollari. Nel frattempo l'Anauco, agenzia indipendente di protezione del consumatore, denuncia che i commercianti fanno i prezzi in dollari, in particolare in settori come gli elettrodomestici. Ogni genere di negozio, in realtà, spesso chiede l'equivalente in bolivar del cambio in nero della moneta Usa, attualmente a 350 con un cambio ufficiale fermo a 6,3 bolivar per dollaro. Lo stesso dollaro che il padre della rivoluzione bolivariana Hugo Chávez nel 2009 definiva "carta straccia". Ma oggi è proprio il suo successore Nicolás Maduro a mostrarsi "dollarizzato" e indeciso.
Gli esempi degli ultimi tempi sono chiari. Offrendo in pubblica cerimonia le chiavi di una casa statale da poco costruita a una famiglia povera, il presidente ha precisato: "Dandovi un appartamento, vi sto anche dando un assegno di 50mila dollari per i vostri figli". Un modo per dare valore alla moneta "nemica". All'inizio del mese, poi, i dirigenti sindacali del settore automobilistico hanno annunciato che il governo avrebbe presto permesso ai produttori come Ford Motor Co. di fissare i prezzi delle auto sempre in divisa Usa. All'inizio di questa settimana, però, Maduro ha ribadito che la situazione economica del Venezuela (al collasso, con inflazione a tre cifre) è sempre colpa di un innominato e innominabile "nemico straniero". Apparendo alla tv di Stato, il presidente ha precisato: "In Venezuela non c'è mai stata né mai ci sarà alcuna dollarizzazione. La nostra moneta è, e orgogliosamente resterà, il bolivar".
Mercato e negozianti però non sono d'accordo. È così chi ha solo bolivar si ritrova a fare la fame o quasi, come testimonia l'avvocato in pensione Juan Verde: riceve 20mila bolivar al mese, sono 50 dollari. E lui ci compra a stento il cibo. La realtà di un dollaro controllato dallo Stato, creata 12 anni fa e che per anni ha prodotto un mercato nero della divisa Usa, a suo modo contenuto, non regge più. Ma il governo sembra non volerne prendere atto. È di due settimane fa l'attacco contro il sito venezuelano Dolar Today, considerato complice della cospirazione straniera. La colpa del sito, punto di riferimento per le analisi sull'economia e sul "dollaro parallelo", è quella di aver segnalato lo sforamento oltre i 300 bolivar del cambio al mercato nero. Contro Caracas c'è ben altro, dal rafforzamento globale della moneta statunitense al ribasso del prezzo del petrolio, tramite cui entra in Venezuela il 96% dei dollari.
È di venerdì 29 maggio la risposta di Dolar Today a Maduro: da sette mesi, spiega la testata, l'industria manifatturiera non riceve i fondi in dollari necessari per le operazioni ordinarie. E fa parlare il presidente della Confindustria venezuelana Eduardo Garmendia secondo cui il governo deve al settore privato fra i nove e i dieci miliardi di dollari, aggiungendo che i ritardi nei pagamenti hanno favorito la chiusura dei crediti da parte dei fornitori esteri, i quali hanno sospeso l'invio di materie prime in un Venezuela
che notoriamente importa quasi tutto. Garmendia ricorda infine che in un ampio gruppo di imprese consultato di recente, il 41 per cento ha annunciato di non investire nel prossimo trimestre, mentre solo la metà affronterà le spese di ordinaria manutenzione.