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Non tutti i cicli borsistici sono gli stessi, ma è invece possibile constatare che certi andamenti nei prezzi e certi comportamenti degli investitori tendono a ripetersi.
Durante un bear market, in particolare, una fase iniziale di rifiuto è seguito da una crescente paura e da vendite sempre più intense ed estese, prima di una capitolazione finale di massa.
Sia il trend corrente che quello del 2000-2003 hanno seguito lo stesso modello, come mostra questo grafico.

Ma che cosa succede dopo la capitolazione di massa?
In generale, i minimi dei cicli borsistici sono caratterizzati da valutazioni azionarie spesso considerate come convenienti, ma, al tempo stesso, da un vero e proprio sconforto dei potenziali investitori.
In questi casi, il flusso di notizie giornaliere diventa la vera forza determinante del mercato, in grado, come si è visto nuovamente in queste ultime sedute, di dettare ritmi e direzione dei prezzi.
Sarebbe necessario che si produca un sostenuto flusso di notizie positive affinché un rally azionario possa prendere piede e guadagnare forza. Purtroppo ciò non potrà accadere - a mio avviso - finché dalle banche e dalle altre maggiori istituzioni finanziari internazionali (da ultimo, il caso del colosso assicurativo statunitense AIG) continueranno ad arrivare annunci di gravi difficoltà finanziarie e di bilanci a rischio. In questo momento, semmai, è probabile che i mercati azionari cercheranno ancora di testare nuovi minimi (a chi me lo chiede io rispondo - scherzando, ma non troppo - che il possibile minimo di un indice o di un’azione è senza dubbio lo zero!).
Il dibattito sulla questione se oggi le valutazioni dei mercati azionari siano o meno interessanti e convenienti è in corso. Molti partecipanti al mercato e commentatori economici puntano l’attenzione sul livello estremamente contenuto del rapporto prezzo-utili come un’indiscutibile evidenza di valore. Tuttavia, c’è da chiedersi:
quanto sono attendibili le attuali stime di utili alla base del rapporto P/E?
Se si guarda ai c.d.
forward earning (utili attesi nei prossimi 12 mesi) l’attendibilità sembra essere molto limitata, specie in questi ultimi trimestri, ed inoltre, le stime degli analisti non sembrano essere sufficientemente affidabili per fare delle previsioni, anche alla luce del fatto che, al momento, vi è una pressoché totale mancanza di consensus sulla stessa dinamica degli utili attesi, evento che, peraltro, non trova riscontri nel passato (cfr. grafico).

Si possono invece trovare
altre misure di valore che, anche in occasione di precedenti recessioni, si sono dimostrate piuttosto affidabili, non già per individuare i punti di minimo esatti (e chi seriamente potrebbe mai dire di saperlo fare sistematicamente!), ma quanto meno per segnalare aree di acquisto relativamente convenienti, traguardando, ovviamente, un adeguato orizzonte d’investimento.
Una di queste misure mi sembra possa essere il
P/E elaborato da Robert Shiller che, al numeratore, utilizza il livello di prezzo reale (aggiustato, cioè, per l’inflazione) dell’indice di mercato S&P500, ed al denominatore la media degli utili reali realizzati nei 10 anni precedenti. Il grafico seguente mette in relazione tale indicatore (invertito, in termini, quindi, di E/P,
real earning yield) con la performance che il mercato azionario ha poi realizzato nel decennio successivo.

Dal 1880 in poi, mi sembra evidente che l’indicatore abbia fatto un lavoro se non perfetto, quanto meno buono!
Il P/E di Shiller è stato di 16,3 in media di lunghissimo termine, e di 19,3 negli ultimi 50 anni. Nel dicembre 1999 era a 44,2, ovvero ad un livello record che preannunciava un andamento negativo nel decennio successivo, ovvero tra il 2000 ed il 2009 (!).
Oggi è a 13,4 ovvero il livello più basso degli ultimi 21 anni, e per la prima volta al di sotto di quota 14 dal 1988. Lascio a voi ogni conclusione in merito.
articolo molto interessante che ho preso dalla home page