Investimenti & Sviluppo (IES) 10% di Buy Back sul flottante e Novità (2 lettori)

Gico

Forumer attivo
Con lo stesso metodo nel XXXX comincia ad acquistare partecipazioni della XXXXXX, industria tessile in declino, fino ad acquisire il completo controllo. I suoi investimenti spaziano nei più variegati settori: dai servizi all’industria

di chi stiamo parlando?
 

Lorenzo P

Nuovo forumer
Con lo stesso metodo nel XXXX comincia ad acquistare partecipazioni della XXXXXX, industria tessile in declino, fino ad acquisire il completo controllo. I suoi investimenti spaziano nei più variegati settori: dai servizi all’industria

di chi stiamo parlando?

O Gico, vabbè che sei un utente Senior......ma non comprendo!! :)
 

DDUKE

Viva i popoli, Viva le Nazioni europee, fanculo U€
Allora, i 13K sono a portata di mano..........

A questo punto con oggi, se si mantiene così, abbiamo fatto un dì e domani si va lì...e finiamoli qui.
 

biedermeier

.........................
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Non tutti i cicli borsistici sono gli stessi, ma è invece possibile constatare che certi andamenti nei prezzi e certi comportamenti degli investitori tendono a ripetersi.
Durante un bear market, in particolare, una fase iniziale di rifiuto è seguito da una crescente paura e da vendite sempre più intense ed estese, prima di una capitolazione finale di massa.
Sia il trend corrente che quello del 2000-2003 hanno seguito lo stesso modello, come mostra questo grafico.


Ma che cosa succede dopo la capitolazione di massa? In generale, i minimi dei cicli borsistici sono caratterizzati da valutazioni azionarie spesso considerate come convenienti, ma, al tempo stesso, da un vero e proprio sconforto dei potenziali investitori.
In questi casi, il flusso di notizie giornaliere diventa la vera forza determinante del mercato, in grado, come si è visto nuovamente in queste ultime sedute, di dettare ritmi e direzione dei prezzi.
Sarebbe necessario che si produca un sostenuto flusso di notizie positive affinché un rally azionario possa prendere piede e guadagnare forza. Purtroppo ciò non potrà accadere - a mio avviso - finché dalle banche e dalle altre maggiori istituzioni finanziari internazionali (da ultimo, il caso del colosso assicurativo statunitense AIG) continueranno ad arrivare annunci di gravi difficoltà finanziarie e di bilanci a rischio. In questo momento, semmai, è probabile che i mercati azionari cercheranno ancora di testare nuovi minimi (a chi me lo chiede io rispondo - scherzando, ma non troppo - che il possibile minimo di un indice o di un’azione è senza dubbio lo zero!).

Il dibattito sulla questione se oggi le valutazioni dei mercati azionari siano o meno interessanti e convenienti è in corso. Molti partecipanti al mercato e commentatori economici puntano l’attenzione sul livello estremamente contenuto del rapporto prezzo-utili come un’indiscutibile evidenza di valore. Tuttavia, c’è da chiedersi: quanto sono attendibili le attuali stime di utili alla base del rapporto P/E?
Se si guarda ai c.d. forward earning (utili attesi nei prossimi 12 mesi) l’attendibilità sembra essere molto limitata, specie in questi ultimi trimestri, ed inoltre, le stime degli analisti non sembrano essere sufficientemente affidabili per fare delle previsioni, anche alla luce del fatto che, al momento, vi è una pressoché totale mancanza di consensus sulla stessa dinamica degli utili attesi, evento che, peraltro, non trova riscontri nel passato (cfr. grafico).

Si possono invece trovare altre misure di valore che, anche in occasione di precedenti recessioni, si sono dimostrate piuttosto affidabili, non già per individuare i punti di minimo esatti (e chi seriamente potrebbe mai dire di saperlo fare sistematicamente!), ma quanto meno per segnalare aree di acquisto relativamente convenienti, traguardando, ovviamente, un adeguato orizzonte d’investimento.
Una di queste misure mi sembra possa essere il P/E elaborato da Robert Shiller che, al numeratore, utilizza il livello di prezzo reale (aggiustato, cioè, per l’inflazione) dell’indice di mercato S&P500, ed al denominatore la media degli utili reali realizzati nei 10 anni precedenti. Il grafico seguente mette in relazione tale indicatore (invertito, in termini, quindi, di E/P, real earning yield) con la performance che il mercato azionario ha poi realizzato nel decennio successivo.

Dal 1880 in poi, mi sembra evidente che l’indicatore abbia fatto un lavoro se non perfetto, quanto meno buono!
Il P/E di Shiller è stato di 16,3 in media di lunghissimo termine, e di 19,3 negli ultimi 50 anni. Nel dicembre 1999 era a 44,2, ovvero ad un livello record che preannunciava un andamento negativo nel decennio successivo, ovvero tra il 2000 ed il 2009 (!).
Oggi è a 13,4 ovvero il livello più basso degli ultimi 21 anni, e per la prima volta al di sotto di quota 14 dal 1988. Lascio a voi ogni conclusione in merito.



articolo molto interessante che ho preso dalla home page
 

Gico

Forumer attivo
Hanno saputo, come molti del settore, che Trichet avrebbe tagliato anche i tassi. Butta cas l'ultomo taglio "previsto" è proprio a marzo. Si tratta di un ultimo atto dovuto per "rispettare" gli americani.
Morale. Il management è bene informato. ;)
Nessuna tecnica, solo strategia. La Tattica credo che l'applicheranno prima .... I'm hope

p.s.: C.A. Guido: io non posso comprare più azioni. Sono "border line".... nulla che fare con la psichiatria.

il Tricheco ha tagliato, ma ha fatto intendere che puo' tagliare ancora.
L'inflazione non lo spaventa piu'.
Che faranno i nostri eroi? aspetteranno anche l'eventuale prossimo?
saluti.
 

kayros

Guest
Vista la no par condicio (bannazione Chagans) ci si cancella. Saluti
 
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vdb61

Forumer attivo
La JpMorgan: è lo Stato più a rischio nell'Eurozona. Ma Grecia e Irlanda sono escluse
Rendimenti, tra i nostri titoli pubblici e i tedeschi ci sono 150 punti di differenza

"Quale Paese fallirà per primo?"
l'Italia in cima alle scommesse


di VITTORIA PULEDDA


MILANO - Con l'ingegneria finanziaria si può fare quasi tutto, anche scommettere su quante probabilità ha un paese di fallire. E l'Italia, secondo alcuni parametri, ne ha una piuttosto alta. Ma partiamo dall'inizio, dalla scommessa che implicitamente fanno gli investitori che acquisteranno i prodotti strutturati proposti Jp Morgan, chiamati appunto "First to default basket" a tre anni.

Il meccanismo è complesso, ma la logica tutto sommato è semplice: il prodotto è, nella sostanza, un'obbligazione con una sua cedola trimestrale, che paga gli interessi a meno che uno degli otto paesi compreso nell'elenco - nel basket, appunto - fallisca (vada in default). Basta che un solo paesi salti, e da quel momento in poi tutto quello che l'investitore porterà a casa sarà limitato a quanto si riesce a prendere dalla procedura post default; un po' come è successo con i bond argentini. Il paese più a rischio all'interno del basket proposto da Jp Morgan è l'Italia.
Il termometro che misura la febbre dei potenziali fallimenti si chiama Cds, Credit default swap: è una sorta di premio di assicurazione, quindi più si paga e più il rischio è alto (più è probabile che davvero un paese fallisca). Ebbene, il Cds dell'Italia - all'interno di questo paniere - è stato fissato a quota 130 mentre il paese più virtuoso, l'Olanda, ha una "febbre" solo di 60, meno della metà dell'Italia.

Il peggior indicatore del rischio-paese è dunque dell'Italia, ma fuori dal paniere scelto da Jp Morgan almeno altri due stanno decisamente peggio: la Grecia e l'Irlanda. Rispetto al Cds a tre anni, Atene infatti ha un grado di rischio di 263 e Dublino di 358. Se poi ci spostiamo sulla durata dei cinque anni (molto più "popolare" per questo tipo di strumenti) il grafico della febbre mostra sempre due ammalati gravissimi, l'Irlanda e la Grecia, mentre al terzo posto troviamo l'Austria - con una "temperatura" di 255 - ma poi si arriva inevitabilmente all'Italia, con un 191. La Spagna invece viene fotografata a quota 140, il Portogallo a 130, la Francia a 88 e la Germania a 86.


Un po' come c'è il termometro e il misuratore della pressione, ovviamente i Cds non sono l'unico modo di valutare la salute di un paese (o di una società). Un altro strumento molto usato dai mercati finanziari è il rendimento dei titoli di Stato, in particolare di quelli con una durata decennale. Ebbene, questi bond considerati appunto benchmark, valori di riferimento, si possono paragonare tra di loro, oppure si possono raffrontare con una specie di "pietra miliare", un tasso di riferimento di mercato particolarmente significativo (l'euro swap a 10 anni nel nostro caso). Ebbene, ieri questo valore - dopo il taglio dei tassi della Bce - era sceso al 3,386% ma chi volesse investire in un Bund tedesco guadagnerebbe di meno; 34 centesimi in meno per la precisione. Al contrario, un investimento in un titolo di Stato francese renderebbe 24 centesimi (punti base, nel gergo degli operatori) in più del tasso swap sull'euro; fino ad arrivare ai 116 punti base dell'Italia (passando per i 106 del Portogallo e i 72 del Belgio, a titolo di esempio). E gli ultimi della classe, Irlanda e Grecia? Il primo offre un rendimento aggiuntivo, sui suoi titoli, pari a 221 centesimi, il secondo arriva a 237. In fondo, è un solo un modo diverso di valutare il rischio-default.

(6 marzo 2009)

:help::titanic::ciao:
 
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vdb61

Forumer attivo
La favola del corvo
di Massimo Giannini



Ultimo venne il corvo. Alla fine anche Tremonti si è arreso all'uccello del malaugurio che già da settimane, secondo la vulgata governativa, volteggiava tra Confindustria e Bankitalia. Il 2009, dunque, sarà "un anno terribile". Noi lo sapevamo già. Come lo sapevano migliaia di cassintegrati rimasti senza lavoro, di precari rimasti senza sussidi, di piccole imprese rimaste senza ordinativi. Ora lo riconosce pubblicamente anche il ministro del Tesoro. La paura ha ceduto alla speranza. La resa di Giulio è verosimilmente dolorosa, e colpevolmente tardiva. Ma nessuno se ne può compiacere. Se anche lui ha capitolato, dopo mesi di cadornismo congiunturale, vuol dire che l'Italia è davvero messa male.

Resta da chiedersi il perché, di tanta prolungata "resistenza" di fronte all'inesorabile asprezza della crisi e di tanta ostinata "renitenza" di fronte all'ineludibile principio di realtà. L'ottimismo di facciata imposto da Berlusconi all'intera squadra di governo spiega il rebus solo in parte. Il vero problema di Tremonti è la tenuta dei conti pubblici, e quindi l'affidabilità del marchio Italia sui mercati. Con un Prodotto lordo in picchiata al - 2,6%, il deficit lievita inevitabilmente verso quota 4%. Ma quello che è peggio, è che il debito esplode oltre il tetto del 110%, già pericolosamente stimato dalla Commissione Ue. In due mesi siamo tornati indietro di dodici anni. Formalmente l'Italia non figura tra i "Pigs": il Portogallo e l'Irlanda stanno peggio per crescita insufficiente, la Grecia per instabilità politica, la Spagna per emorragia occupazionale. Ma sostanzialmente l'Italia può rivelarsi il primo dei "Pigs": sta peggio di tutti per indebitamento.


Per questo, a dispetto delle indubbie capacità previsive testimoniate dal suo fortunato bestseller pre-elettorale e al prezzo di un'apparente incoscienza dimostrata con il suo modesto pacchetto anti-crisi, Tremonti è stato così prudente e continua ad essere così restio ad aprire i cordoni della borsa. Proprio lui, il seducente modernizzatore della nuova destra politica, è diventato il sedicente conservatore del vecchio rigore contabile. Dice no al sussidio di disoccupazione proposto dal Pd, dice no all'aumento degli stanziamenti per nuovi ammortizzatori sociali, dice no a qualunque intervento sulle pensioni. Congela, ma non riforma. Ricama, ma non innova. Teme di non poterselo permettere. Se una sola posta di bilancio gli sfugge di mano, il Paese può imboccare il tunnel del default.

Tremonti ha due incubi: gli spread, cioè i differenziali di rendimento tra i nostri titoli pubblici e quelli tedeschi, e le aste dei titoli di Stato. Se per effetto di un drastico peggioramento della nostra situazione finanziaria i primi salgono troppo, o le seconde attirano poco, l'Italia rischia la bancarotta. In questi ultimi giorni, dopo una fase di relativa quiete, gli spread sono tornati ad aggirarsi intorno ai 150 punti base. Non è un dramma: ma un po' di tensione è tornata. La scorsa settimana, all'ultima asta dei Btp, il Tesoro è riuscito a collocare oltre 10 miliardi di titoli, con una domanda del mercato a livelli record. Un segnale confortante: ma legato essenzialmente al buon rendimento offerto. L'equilibrio del mercato è fragilissimo. Basta un niente, e tutto può saltare. Sui "Cds" (le polizze che coprono dall'ipotesi di crack dei singoli Paesi) e sugli "swap" (prodotti assimilati che investono sul rischio-default degli Stati Sovrani) l'Italia resta ai primissimi posti. Nel primo caso siamo a 173 punti base, subito dopo i 350 dell'Irlanda. Nel secondo caso a 116 punti base, subito dopo i 237 della Grecia e i 221 dell'Irlanda.

Camminare a lungo, sull'orlo di questo precipizio, non è facile per nessuno. Tremonti non può sperare neanche troppo nell'Europa. È in atto un tentativo, che parte da Roma e incrocia altre cancellerie europee, per verificare se si possa attribuire alla Bce la facoltà di trasformarsi in acquirente di ultima istanza dei titoli del debito pubblico rimasti eventualmente invenduti alle aste indette dagli Stati Sovrani. Ma una prima istruttoria fatta in questi giorni a Francoforte ha già dato esito negativo: occorrerebbe una modifica del Trattato, e questo sbarra la strada a qualunque ipotesi di accordo, visti i dissidi che già caratterizzano il rapporto franco-tedesco su una proposta come quella dell'emissione di un eurobond europeo. Come ha detto in questi giorni lo stesso ministro a un interlocutore autorevole: "Non troviamo un'intesa nemmeno sulle date delle riunioni, figuriamoci se possiamo trovarla su robe del genere...".

Insomma, l'Italia è senza rete. E come si dice in queste ore nel grattacielo dell'Eurotower, "praticamente non ha margini di manovra". Deve solo sperare che la crisi, benché così acuta, non sia troppo lunga. Che nel frattempo non crolli qualche banca, magari schiacciata dal macigno delle "zombie banks" dell'Est-Europa. Che il quadro sociale e politico regga, sotto il peso di un'emergenza occupazionale sempre più rovinosa. Tremonti lo sa, ma non può dirlo. Per questo sembra paralizzato, e vive come una minaccia ogni richiesta di "fare di più" contro la crisi. Per questo appare isolato, e vede come il fumo negli occhi Mario Draghi, l'ombra di Banco che incombe suo malgrado su Palazzo Chigi e su Via XX Settembre, nel malaugurato caso di un tracollo dell'economia. Ma per governare la madre di tutte le crisi servono realismo e coraggio. Il primo, finalmente, sembra arrivato. Il secondo, purtroppo, lo stiamo ancora aspettando.

(6 marzo 2009)
 

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