Appunti di geopolitica (1 Viewer)

lorenzo63

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Turchia e Kazakistan: la nuova alleanza

RUBRICA TURCHIA/TURCHIE. I due Paesi verso un blocco strategico unico. Il Kazakistan, con le sue enormi riserve di petrolio, gas e uranio, attira l’attenzione della Turchia. La partita degli oleodotti e il ruolo della Russia. La cooperazione militare

La recente serie di accordi economici e militari tra Ankara e Astana potrebbe risultare nella creazione di un blocco strategico unico, se non unitario, in Eurasia centrale. Grazie anche alla diplomazia turca, il nuovo ruolo internazionale del Kazakistan potrebbe avere conseguenze inaspettate. Dalla soluzione della crisi nel Caucaso tra Armenia, Azerbaigian e Turchia, fino a un consolidamento delle relazioni con Mosca e Pechino. Senza però abbandonare la Nato.

La visita di questi giorni del primo ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu nella capitale kazaka Astana ha riconfermato la volontà di mantenere in politica estera una solida linea panturca, sebbene interna al concetto di “profondità strategica” e di “zero problemi con i vicini” (Paesi arabi, Caucaso meridionale e Iran su tutti), teorizzata dallo stesso Davutoğlu e fatta propria dall’Akp. Durante l’incontro con la sua controparte Kanat Saudabayev, il “neo-ottomano” Davutoğlu ha ribadito l’importanza che il Kazakistan ricopre per la creazione di un blocco strategico unitario eurasiatico in seno alla comunità internazionale. Nel suo incontro con il presidente del Senato kazako Kassym Zhomart Tokayev, Davutoğlu ha poi affrontato nello specifico la crisi in atto in Transcaucasia, insistendo sulla stabilità del Kazakhastan e sul ruolo che potrebbe svolgere per l’attuazione della proposta turca per la soluzione della crisi tra Armenia e Azerbaijan sul Nagorno-Karabagh.

Con il Kazakistan alla presidenza di turno dell’Osce e un rapporto più stretto di questo con la Turchia, anche il gruppo di Minsk e la Piattaforma per la Stabilità e la Cooperazione nel Caucaso proposta da Ankara potrebbero avere uno slancio. Questo inizio 2010 vede infatti la Turchia alla presidenza della Cica (Conference on interaction and confidence-building measures in Asia) e la Russia alla presidenza della Csi. Il Kazakistan poi è il primo Stato ex-sovietico ad assumere la presidenza dell’Osce, proprio con il ministro di Stato e ministro degli Esteri Saudabayev. Il più grande stato centro-asiatico (con i suoi 2,7 milioni di km² ha le dimensioni dell’Europa occidentale), dopo le recenti promesse di riforme democratiche, sembra essere destinato a diventare un alleato fondamentale della Turchia.

Questa collaborazione tra Turchia e Kazakistan, avviata già dal biennio 2005-2006, sembra rompere con la tradizione kemalista o islamico-nazionalista di semplice intesa commerciale (spesso poco più che di facciata) tipica dei governi turchi post-guerra fredda. Dal 16 dicembre 1991, data della dichiarazione d’indipendenza del Kazakistan, tutti i governi hanno infatti sempre avuto relazioni piuttosto formali con gli stati “fratelli” d’Asia centrale e del Caucaso. Dall’islamico Refah di Necmettin Erbakan (1996-1997), con la sua “visione nazionale” (Millî Görüş), al nazionalista Anavatan Partisi (Anap) di Mesut Yılmaz (1997-1999, sebbene le relazioni con i paesi “turchi” erano sostenute dal presidente Turgut Özal, fondatore dello stesso Anap, e poi da Süleyman Demirel), e al Chp di Bülent Ecevit (1999-2002) e del presidente Ahmet Necdet Sezer.

Questa nuova politica dell’Akp sembra invece essere finalizzata a creare un maggiore integrazione tra le nazioni “turciche”. Integrazione che, almeno da un punto di vista economico, significa molto per entrambi. Come parte dei suoi sforzi per diversificare l’economia e ridurre la sua dipendenza energetica, il Kazakistan sta infatti da qualche tempo valutando la possibilità di investimenti in settori alternativi. Attraverso tali politiche, la leadership kazaka vuole ridurre la sua dipendenza dalle importazioni e aumentare il potenziale di esportazione del Paese. In questo ha capito che ha molto da imparare dall’esperienza turca, valutando le misure drastiche che la Turchia ha adottato in materia di industrializzazione.

Già durante la sua visita del 21-24 ottobre il presidente Nursultan Nazarbayev, rivolgendosi al Parlamento turco, aveva ricordato che dal 1993 gli investimenti turchi in Kazakistan sono stati di circa 1 miliardo di dollari, mentre gli investimenti kazaki in Turchia durante lo stesso periodo di tempo sono stati di 4 miliardi. L’obiettivo primario dei due Paesi è di aumentare il volume di scambi annuali dall’attuale 2,5 a 5 miliardi di dollari. Accompagnato da 5 ministri e 300 uomini d’affari, Nazarbayev aveva visitato alcune aree industriali, partecipando al Turkish-Kazakh business forum a Istanbul (Türkiye-Kazakistan İş ve Yatırım Forumu). In quell’occasione il presidente aveva invitato gli industriali e gli uomini d’affari turchi a investire nell’economia kazaka. Al forum di ottobre parteciparono oltre 100 imprenditori kazaki della Kazka (Associazione degli imprenditori del Kazakhstan) e dell’Atameken (Unione nazionale degli imprenditori e impiegati del Kazakistan), oltre a 415 rappresentanti della Tuskon (Türkiye İşadamları ve Sanayiciler Konfederasyonu, Confederazione degli imprenditori e artigiani di Turchia).

I funzionari governativi turchi espressero in quell’occasione anche la necessità di aumentare il volume d’affari a 15 miliardi di dollari entro il 2012. Il fatto poi che Turchia e Kazakistan operano in zone diverse dell’Eurasia, fa sì che la cooperazione risulti più vantaggiosa di una potenziale concorrenza. Sta di fatto che per ora, forse anche grazie alla distanza geografica tra i due Stati “fratelli”, le relazioni tra Turchia e Kazakistan sono perfette, come sostenuto dallo stesso Gül in occasione degli incontri di ottobre.

Il Kazakistan in questo modo vuole anche entrare a pieno titolo nel nuovo blocco politico-culturale rappresentato dall’Assemblea parlamentare dei Paesi turcofoni (TurkPa), organizzazione nata a Baku a fine settembre 2009 con la benedizione di Azerbaijan e Turchia e a cui allora partecipò in qualità di semplice osservatore.

Visto l’impatto delle sempre più
intense relazioni con il Kazakistan, e con la Russia, questo tipo di accordi potrebbe estendersi ad altri Paesi. Di certo il Kazakistan, con le sue enormi riserve di petrolio, gas e uranio, attira l’attenzione della Turchia. Sia in quanto Paese emergente e protagonista nelle politiche energetiche, sia come consumatore e via di transito, questa si è precipitata a fare accordi energetici con il Kazakistan. Per quanto riguarda poi le recenti ambizioni della Turchia a diventare uno hub energetico globale, Nazarbayev già alcuni giorni prima della sua visita espresse la disponibilità per il trasporto di petrolio e gas kazako attraverso il Baku-Tiblisi-Ceyhan (Btc), aggirando così la Russia via Azerbaijan e Georgia. Una volta in Turchia, disse però che avrebbe sostenuto il progetto di oleodotto Samsun-Ceyhan insieme con la Russia (Trans-Anatolian pipeline).

Per riempire l’oleodotto italo-turco (la proprietà è divisa tra l’Eni e la turca Çalık Enerji) potrebbero essere utilizzati i giacimenti di Kashagan e Karachaganak in Kazakistan, cosicché l’oleodotto di 550 chilometri avrà una capienza massima di 1,5 milioni di barili al giorno. La dichiarazione di sostegno all’oleodotto Samsun-Ceyhan fatta allora da Nazarbayev venne accolta in Turchia come una mossa che avrebbe potuto rafforzare il ruolo di questa nella politica energetica internazionale e creare molte opportunità di lavoro. Tuttavia, l’impegno del Kazakistan nel Samsun-Ceyhan potrebbe avere un costo molto alto.

Il trasporto del greggio infatti dovrà necessariamente avvenire attraverso percorsi controllati dalla Russia. Non a caso il primo a parlare con certezza di disponibilità del Kazakistan a partecipare all’attivazione dell’oleodotto italo-turco fu il 22 ottobre lo stesso primo ministro russo Putin durante una videoconferenza da Mosca con il suo collega Erdoğan. Lo scorso 20 gennaio poi, sulla scia di questa serie di riunioni per la promozione del dialogo bilaterale, l’ambasciatore turco in Kazakistan, Atilla Günay, ha incontrato ad Astana il ministro della Difesa kazako Adilbek Zhaksybekov. L’incontro ha completato un primo accordo di partenariato strategico firmato ad ottobre, al fine di avviare una più stretta collaborazione militare tra i due Paesi. La riunione è culminata in un’offerta alla Turchia per tenere, per la prima volta nella storia dei due Paesi, delle esercitazioni militari congiunte come nuova caratteristica della loro cooperazione militare bilaterale. Secondo Zhaksybekov, la visita di Nazarbayev in Turchia ha fornito un impulso per il miglioramento delle relazioni tra i due Stati. “In precedenza abbiamo fatto un accordo simile, ma questa volta lo abbiamo ampliato e concretizzato. Esso punta al futuro”, dichiarò in ottobre Nazarbayev dopo i negoziati con Gül.

La cooperazione militare tra Turchia e Kazakistan si è sviluppata per oltre un decennio, ma i due Paesi non hanno mai organizzato esercitazioni militari congiunte. Zhaksybekov stava sottolineando questo punto quando ha suggerito l’iniziativa: “vogliamo effettuare manovre congiunte con le forze armate turche come nuovo aspetto nella nostra cooperazione militare. La Turchia è uno dei partner prioritari del Kazakistan nel settore della difesa”. In quell’occasione ha anche invitato una delegazione turca a partecipare al Kadex, prima esposizione internazionale di armamenti del Kazakistan, che si terrà a maggio 2010.

Secondo il ministro della Difesa, la Turchia assisterà il Kazakhstan nella riforma delle forze armate del Paese, dalla formazione personale alla preparazione delle sue forze speciali. Infatti la Turchia, oltre ad aver fornito al Kazakhstan attrezzature militari e addestrato circa 500 soldati, ha attualmente circa 60 soldati kazaki che ricevono un addestramento militare in Turchia. Roger McDermott, Senior Fellow in Eurasian Military Studies della Jamestown Foundation, firma del Journal of Slavic Military Studies e autore di “Russian Military Reform 1992-2002” (London;Portland: Frank Cass, 2003) - fondamentale per comprendere il sistema militare post-sovietico - ha osservato che Ankara ha assistito il Kazakhstan anche nella trasformazione di un battaglione di peacekeeping inviato in Iraq (KazBat) in brigata (KazBrig), sola unità di supporto centroasiatica presente nel Paese.

La Turchia si è già rivelata determinante nella creazione di un’unità di antiterrorismo kazaka, nella costruzione della base navale di Aqtau e del porto navale di Yeraliyevo. Provvede inoltre all’assistenza in addestramento delle forze speciali kazake e alla fornitura di veicoli militari. Gli esperti ritengono che il Kazakhstan sia uno dei tre Stati leader della Cis, e che il Paese abbia sviluppato le proprie forze armate in modo tale da avere uno degli eserciti più forti presenti oggi in Asia centrale.
Nel solo 2009 ha condotto 52 esercitazioni militari, 14 in più che nel 2008. L’interazione del 2009 è stata degna di nota dacché ha coinvolto le Collective operational reaction forces (Ksor) della Collective security treaty organization (Csto, o trattato di Tashkent), ad esclusione dell’Uzbekistan, che dal febbraio 2009 deve ancora ratificare il trattato. Il Kazakhstan ha partecipato poi sia ad esercitazioni interne al programma Nato partnership for eace (Pfp) che ad esercitazioni della Csi, incluso il Norak anti-terror 2009 (in Tajikistan), il Combat commonwealth 2009 (in Russia e Kazakhstan), come pure alla Steppe eagle 2009 con Stati Uniti e Regno Unito (in Kazakistan).

Quest’anno ospiterà inoltre le
esercitazioni della missione di pace della Shanghai cooperation organization (Sco), come ricordato dallo stesso presidente della Repubblica popolare cinese Hu Jintao durante la sua visita in Kazakistan dello scorso 13 dicembre. In quell’occasione è stato firmato un accordo per l’attivazione del gasdotto Cina-Kazakistan, parte del più ampio gasdotto Cina-Asia centrale (o gasdotto Turkmenistan-Cina, e vero motivo del tour centroasiatico del presidente cinese). Partendo dal confine tra Turkmenistan e Uzbekistan, il gasdotto attraversa Uzbekistan e Kazakistan prima di raggiungere la Cina in Xinjiang-Uyghur. Visto il volume d’affari con la Cina (nel solo 2008, il volume di scambi tra i due Paesi ha raggiunto 17,5 miliardi dollari, fino al 26 % in più dal 2007, facendo così del Kazakhstan il principale partner commerciale della Cina in Asia centrale), il Kazakistan vuole promuovere attivamente una politica estera “multidirezionale”, in modo da entrare in contatto con Paesi e organizzazioni diverse da Russia, Csto, Sco e Cis.

Così facendo si aspetta una più profonda collaborazione con gli Stati Uniti, come parte della sua nuova dottrina militare del 2007 e un maggiore impegno con la Nato nel quadro del Pfp, al fine di promuovere la cooperazione per la pace e il sostegno all’antiterrorismo. La Nato e il Kazakistan hanno in questo nuovo contesto avviato la seconda fase dell’Individual partnership action plan (Ipap) che, come nel biennio 2006-2008, punta a migliorare la sicurezza regionale e modernizzare le forze armate kazake. In questo contesto, l’offerta kazaka per compiere esercitazioni militari congiunte con la Turchia, Stato membro della Nato le cui forze armate sono le seconde più grandi tra i Paesi dell’Alleanza dopo quelle degli Stati Uniti (ma le prime per forze di terra), rappresenta gli sforzi del Kazakhstan a perseguire una politica estera “multidirezionale” efficace, legata al suo rafforzato ruolo geopolitico in una regione ricca di energia quale quella del Mar Caspio.

Da un lato una maggiore cooperazione militare con la Turchia potrebbe aiutare il Kazakistan a creare partenariati energetici e militari più efficaci con la Nato e l’Unione europea, aggiornare le proprie capacità di antiterrorismo e peacekeeping, e infine migliorare la prontezza delle sue forze armate in rapido cambiamento. Dall’altro, gli sforzi turchi per creare forti legami militari ed energetici e cercare la normalizzazione dei rapporti con le regioni vicine potrebbero completare la politica estera degli “zero-problemi” di Davutoğlu.

La cooperazione militare bilaterale tra
Ankara e Astana contribuisce ulteriormente a contenere le ambizioni di altre potenze regionali e consente ad entrambi i Paesi di fungere da interconnettori sicuri nei flussi commerciali ed energetici da oriente a occidente. In quanto poi attori regionali attivi, ma a cui ancora manca il “muscolo militare”, Kazakistan e Turchia sono quindi ben posizionati per beneficiare di una rafforzata cooperazione nel settore difesa. L’offerta kazaka di tenere delle esercitazioni congiunte potrebbe rivelarsi interessante per la Turchia, poiché i suoi interessi in Asia centrale sono stati a lungo oscurati dalla presenza della Russia e della Cina.

A questo proposito ci si potrebbe aspettare preoccupazione da parte della Russia, poiché la sua posizione strategica è sempre più influenzata dall’impegno regionale di Cina e Turchia in Asia centrale in generale, e in Kazakistan, maggiore economia della regione, in particolare
 

lorenzo63

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Turchia e Azerbaigian: Ankara non segue più Washington

RUBRICA TURCHIA/TURCHIE. La visita di Erdoğan e Davutoğlu a Washington del 7-8 dicembre ha sottolineato il declino degli Stati Uniti nell’influenzare la politica estera della Turchia. Il collegamento tra la normalizzazione dei rapporti turco-armeni e il ritiro delle truppe di Yerevan dal Karabagh


Nel Caucaso meridionale Washington e Ankara sembrano aver entrambe perso un preciso obiettivo strategico e una chiara definizione degli interessi comuni. La decisione di Ankara di riprendere il suo sostegno dell’Azerbaigian nel processo negoziale, nonostante gli Stati Uniti chiedano un accordo prematuro con l’Armenia, costituisce un caso esemplare. Una tale situazione fornisce implicitamente alla Turchia, oltre a un ampio potere contrattuale, anche una capacità di controbilanciamento, che in questo caso è stata impiegata in Azerbaigian.

Almeno per ora, la mossa di Ankara ha impedito l’isolamento dell’Azerbaigian nel processo di risoluzione del conflitto in Karabagh. Se Stati Uniti e Unione Europea dovessero rinnovare le pressioni sulla Turchia per aprire la frontiera con l’Armenia in modo incondizionato, a spese dell’Azerbaigian, il problema potrebbe ripresentarsi presto, prima che il prossimo aprile al Congresso sia apra il dibattito sulla risoluzione del genocidio armeno.

Il ritiro delle truppe e la normalizzazione delle relazioni turco-armene sono priorità nazionali per l’Azerbaigian, mentre sembrano costituire un fatto apparentemente scontato per l’amministrazione americana, che vede i gruppi di pressione armeni influenzare importanti correnti del Congresso. Chiedendo alla Turchia di svendere l’Azerbaigian, Washington ha di fatto compromesso il suo partenariato strategico con Baku e messo a rischio, sul lungo termine, gli obiettivi della politica statunitense nel Caucaso meridionale.

Questo processo di allontanamento ha acquisito un ulteriore slancio alla vigilia della visita di Erdoğan a Washington del 7-8 dicembre, dove il primo ministro ha ribadito chiaramente il collegamento esistente tra la normalizzazione dei rapporti turco-armeni e i primi progressi per la soluzione del conflitto tra Armenia e Azerbaigian. Ankara indica infatti tali progressi nel ritiro delle truppe armene dai distretti dell’Azerbaigian occupati oltre l’Alto Karabagh, in attesa di una determinazione del futuro status di quest’ultimo.

I tentativi fatti negli ultimi mesi da Stati Uniti e Unione Europea per spezzare questo collegamento e convincere Ankara a fare altrettanto, hanno ignorato e allo stesso tempo alienato l’Azerbaigian, facendo il gioco della Russia e mettendo in pericolo gli interessi strategici occidentali nel Caucaso meridionale. Washington e Bruxelles sembravano essere guidate principalmente da considerazioni di politica interna nell’adozione di tale linea. Ora dovranno riconsiderarla, sulla scia delle recenti dichiarazioni chiarificatrici di Erdoğan e del Ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu. La politica statunitense (distaccata da quella dell’Ue e Russia) ha in questi mesi spinto molto affinché il parlamento turco ratificasse i protocolli del 10 ottobre, finalizzati alla creazione di pieni rapporti diplomatici e all’apertura delle frontiere tra i due paesi, senza però legare questi obbiettivi al ritiro delle truppe armene dai distretti azeri occupati.

Nonostante siano poi state affrontate
su iniziativa di Erdoğan, le questioni legate al transito delle risorse energetiche e del conflitto in Karabagh, erano inizialmente state omesse dall’ordine del giorno della visita. Questo atteggiamento potrebbe esser visto come un segnale di Washington per relegare il Caspio e la sicurezza energetica europea ad un livello secondario nella lista delle sue priorità strategiche, riducendo ipso facto l’importanza dell’Azerbaigian nella politica estera dell’amministrazione Obama.

Come ricordato in altra sede però, lo stesso Obama ha richiesto il sostegno turco su temi come Afghanistan, Iran e Iraq, questioni prioritarie Usa, sollecitando allo stesso tempo la ratifica dei protocolli con l’Armenia. Alla conferenza stampa conclusiva tuttavia, Obama non aveva parlato del conflitto tra Armenia e Azerbaigian o di un processo di risoluzione del conflitto, ma era stato lo stesso Erdoğan a reintrodurre il problema, ribadendo che il processo di normalizzazione era legato proprio alla soluzione della situazione in Nagorno-Karabagh.

Comunque la posizione turca era divenuta chiara già alla vigilia della visita di inizio dicembre. Lo stesso Davutoğlu infatti, dopo l’incontro con le sue controparti Elmar Mammadyrov ed Edouard Nalbandian in occasione la Conferenza dell’Osce ad Atene dell’1-2 dicembre, aveva affermato che “il rispetto dell’integrità territoriale è alla base di qualsiasi accordo”. Se infatti da un lato la normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Armenia potrebbe migliorare notevolmente la situazione generale nel Caucaso meridionale, nel corso degli ultimi mesi Ankara è però stata lenta a chiarire la sua posizione.

Il governo turco si sta poi affidando sempre più alla Russia per trasformare la Turchia in uno “hub energetico”, ambizione che va contro gli interessi della sicurezza energetica occidentale e progetti appoggiati dagli Usa. Nel Mar Nero, la Turchia persegue la creazione di un condominio de facto con la Russia, accantonando gli alleati e partner della Nato e frustrando in questo processo gli Stati Uniti. Il disaccordo espresso dal governo turco su questo tema ha tuttavia creato nuove opportunità per sviluppare ulteriormente i rapporti tra Stati Uniti e Azerbaigian, sulla base delle lezioni apprese dagli incontri di Washington.

Questa serie di eventi non è senza ironia, dato che Ankara si sta distanziando strategicamente da Washington su una serie di questioni che gli Stati Uniti considerano priorità politiche. Ankara ha infatti rifiutato le richieste statunitensi di aumentare la presenza di truppe turche in Afghanistan oltre le circa 1.750 unità attualmente dispiegate, di cui solo 800 uomini sono parte dell’operazione Isaf.

Già durante l’incontro dei ministri degli esteri dei paesi Isaf a Brussels del 3-4 dicembre, Davutoğlu aveva riaffermato il caveat contro le operazioni militari e le missioni di combattimento, limitando l’impiego delle truppe turche a progetti di formazione e di ricostruzione, dove la Turchia ha dal 2002 investito oltre 200 milioni di dollari e costruito oltre 50 scuole. Il tutto dopo che il 1° dicembre Obama aveva annunciato, in un discorso ai cadetti di West Point, l’invio di altri 30.000 uomini in Afghanistan.

È significativo inoltre che la Turchia si sia astenuta dalla votazione dell’Aiea del 27 novembre per censurare l’Iran (mentre Russia e Cina hanno votato a favore a fianco degli Stati Uniti). Erdoğan e Davutoğlu avevano infatti visitato Teheran il 28 ottobre, sia per portare avanti la mediazione con Washington sul nucleare, che di sponda, per la firma di importanti accordi economici per lo sfruttamento del giacimento gasifero South Pars.

Gli accordi di intenti includono l’esplorazione, la produzione e il trasporto del gas naturale iraniano e, nonostante sanzioni statunitensi in questo settore, dovrebbero incrementare gli scambi bilaterali da 11 a 30 miliardi di dollari annui entro fine decennio. La posizione di Ankara per quanto riguarda il programma nucleare iraniano poi è molto diversa da quella di Washington, sebbene durante l’incontro alla Casa Bianca Obama abbia riconosciuto nella Turchia un attore importante nel dialogo con Teheran.

In seguito alle accuse di crimini di guerra rivolte da Erdoğan al Presidente di Israele Shimon Peres durante il [ame="http://www.youtube.com/watch?v=cR4zRbPy2kY&feature=related"]Forum economico mondiale[/ame] di Davos il 29 gennaio 2009, Ankara ha preso le distanze da Israele, il più stretto alleato mediorientale di Washington. Lo scorso ottobre, nella serie tv [ame="http://www.youtube.com/watch?v=M596Ga8-rmU"]Ayrılık[/ame] (Separazione), prodotta dalla televisione di stato Trt, si vedeva dei soldati israeliani uccidere a freddo dei bambini palestinesi.

Sempre in ottobre, la Turchia revocò a Israele l’invito all’esercitazione congiunta delle forze aeree dei paesi Nato Anatolia Eagle, richiedendo agli Stati Uniti prima di annullarne la partecipazione, e quindi lo stesso evento. A dispetto delle tensioni diplomatiche però, lo stesso Ehud Barak ricordò in quell’occasione l’importanza delle pluridecennali relazioni strategiche di Israele con la Turchia. Sebbene dal 2006 il governo dell’Akp abbia portato avanti un avvicinamento politico ad Hamas, al fine di agire da mediatore principe nella questione israelo-palestinese, invitando Khalid Mishal ad Ankara, l’incontro del 23 novembre tra il ministro della Difesa Vecdi Gönül e il ministro dell’Industria, lavoro e commercio Benyamin Eliazer, sembra abbia appianato almeno le divergenze circa la ripresa del dialogo con la Siria.

Al di là di qualsiasi giudizio di valore, tuttavia, queste tendenze dimostrano la capacità della Turchia di perseguire delle politiche contrapposte a quelle di Washington, quando la visione e gli interessi percepiti di Ankara lo richiedono. Nonostante i molti disaccordi su altre questioni, gran parte degli interessi che Stati Uniti e Turchia hanno in comune restano, principalmente riguardo l’Iraq e la questione curda
 

lorenzo63

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Turchia:Vacilla il pilastro della laicità?

Continuo con la Turchia che, come dai post già messi a suo tempo dimostra sempre piu' una spinta centrifuga rispetto all' Occidente... a compendio come ulteriore chiave di lettura dei fatti ultimi scorsi.

TURCHIA - 28 Maggio 2010

Durante l' incontro con la Stampa Internazionale avvenuto a Madrid il giorno 22 febbraio u.s., il Primo Ministro turco Recep Tayip Erdogan ha annunciato che quella stessa mattina "i...servizi di sicurezza (turchi, NdA) avevano...iniziato una retata" al fine di neutralizzare i presunti organizzatori di un colpo di Stato. Segue la precisazione del numero degli arrestati (40) e le generalità e ruoli dei più importanti di essi. Quella di far percorrere alla notizia canali di comunicazione esterni al Paese, rilasciandola in occasione di una visita del Primo Ministro ad uno Stato membro della Comunità Europea, è una scelta che dimostra in maniera evidente le finalità per la quale è avvenuta: darle la massima visibilità internazionale, soprattutto in Europa, e presentare il Governo in carica come soggetto idoneo a tutelare il Paese e garantirne l'ordine. Come ogni evento di tale portata il fallito golpe necessitava, per maturare, di profonde ragioni di carattere sociale e del risentimento di uno o più attori contro il bersaglio designato, in questo caso il Governo stesso. Ma perché questo è avvenuto?

Il retroterra storico della prima Repubblica

La situazione sociale e politica della Turchia è frutto di quegli enormi sconvolgimenti istituzionali che seguirono la caduta dell' Impero Ottomano e la creazione della Repubblica: anzi, la formazione della Repubblica è da considerarsi proprio come il primo degli eventi causati da quegli sconvolgimenti, il primo delle realizzazioni di carattere politico volute dopo la caduta del Sultanato. Il padre spirituale del Paese, Mustafa Kemal Ataturk, disegnò il nuovo Paese prendendo ispirazione dalla struttura che gli Stati Europei a lui contemporanei avevano modellato per essi stessi e tracciando una linea politica di lungo respiro che avrebbe dovuto portare la Turchia al traguardo di una completa europeizzazione. La nuova Turchia avrebbe dovuto presentarsi come un Paese laico e vantare istituzioni moderne disegnate sulla falsariga di strutture occidentali. La necessità di "rifarsi ad un modello", di aderire cioè ad un modus già esistente adattandolo alla realtà anatolica senza crearne uno nuovo, scegliere cioè di essere europea od asiatica, centralista o attenta alle diversità territoriali e culturali (o ammetterne addirittura l' esistenza) è sempre stato un tema di enorme importanza per un Paese eternamente in bilico fra realtà diverse, formatosi sotto l' influsso di correnti culturali eterogenee fra loro e che avevano costituito fino ad allora un mastodontico impero, quello ottomano, troppo grande e troppo complesso per poter sopravvivere alle dure prove della Grande Guerra, e sopratutto completamente antinazionale.

Nella visione islamica del mondo e delle istituzioni che caratterizzava l’ impero ottomano, infatti, le differenze di razza e cultura non avevano significato. Alla realizzazione di un ordinamento sotto una guida riconosciuta come religiosamente legittimata al governo della 'Umma, la comunità dei fedeli, l' opposizione di differenze di carattere culturale o storico di un popolo su un altro che ne siano parte è antireligioso, è irragionevole, essendo il divenire storico e la differenziazione dei popoli un mero evento fisico, materiale. A queste contingenze il messaggio salvifico della universalità della religione non solo pone rimedio, ma addirittura si oppone fortemente, nella proposizione di un sistema che abbatte e distrugge nel presente per ricostruire nell'impero universale. Ataturk guarda alla realtà del Paese per la prima volta dall' interno ed in senso moderno, rinunciando alla seduzione dell' unione fra il potere temporale e quello religioso. Le radici profonde e lontane degli avvenimenti odierni sono rintracciabili nelle conseguenze di un cambio radicale di vedute, una rivoluzione in senso etimologico del termine, che avrebbe portato non più gli ottomani ad essere tali in quanto musulmani sottomessi al Sultano, ma i turchi ad essere tali in uno stato nazionale dai confini definiti.

La nazionalità dello Stato turco, naturalmente, passa per una definizione di cosa possa essere turco e cosa no: la maggiore impresa dunque sta proprio nella definizione dei confini e nella determinazione del popolo che abiti al loro interno.

Fortissime presenze di Greci ("Rumlar", da “romaioi” ovvero "romano-orientali") erano parte importante delle popolazioni dell' Egeo e dell' anatolia Occidentale e costituivano la stragrande maggioranza della popolazione di Izmir (nient'altro che la antica Smyrne) ed una consistente comunità di Istanbul.
Altre Comunità, quali quella dei Curdi, omogenei ai Turchi per religione ma non per origini, lingua e cultura, erano situate agli opposti geografici ripetto ai Greci (in una sorta di quadrilatero tra Siria, Iraq e Persia).
Quanto avvenne ai fini di una determinazione nazionale, quindi definendo il limite interno dello Stato, il suo popolo, fu di selezione e distribuzione:i primi, i Greci, furono un vero e proprio oggetto politico di scambio con le popolazioni turche stabilitesi da tempo nelle zone europee dell' Impero. L’ assimilazione dei Rumlar sarebbe stata impossibile, il loro ostacolo alla omogeneizzazione culturale della Repubblica insormontabile. Una sorta di enorme inconveniente. Avvenne quindi una sorta di trasferimento incrociato, col rientro dei Turchi residenti in Europa, e sopratutto in Grecia (come era il caso della famiglia dello stesso Ataturk), che avrebbe evitato futuri imbarazzi e motivi di ricatto con le potenze europee, ed il rinsaldarsi di una comunità una ed unica nell' essere e nel sentire. Diverso il discorso dei Curdi: essi furono negati a se stessi. Ovvero, se ne negò l' esistenza.La definizione di "turco di montagna" prevalse su quella naturale, il divieto dell'uso della lingua curda (una evoluzione di un dialetto del persiano medio) in luoghi pubblici e dell' ostentazione di simboli propriamente curdi furono presi a rimedio contro un eventuale rinascita nazionalista nelle zone orientali.

I veri, grandi motori di esportazione dell' ideale kemalista furono però l' istruzione pubblica e la strutturazione del ruolo e delle funzioni delle Forze Armate: la grande sfida del passaggio dall' uso dell' alfabeto arabo a quello latino e l' addestramento di masse di insegnanti che (come accade oggi) venivano inviate dal moderno ovest al più tradizionalista est per influenzarlo culturalmente e costruire dalle basi la coscienza di un Paese nuovo.

A vigilare su questo, un esercito forte militarmente e spiritualmente, identificato quale tutore dello Stato e guardiano della Costituzione, tanto profondamente laico da essere spesso considerato come elemento di diametrale opposizione alle forze religiose mai sopite completamente e da ispirare un motto secondo cui in Turchia “chi va in moschea non lo si può trovare in una caserma”. Alle forze armate turche vengono poi attribuite funzioni in verità eterodosse alla tradizione occidentale, e tali da influire in maniera diretta sull'andamento delle istituzioni e le scelte politiche del Governo: tra queste il MGK (Millî Güvenlik Kurulu, Consiglio di Sicurezza Nazionale), in principio sotto il controllo dello Stato Maggiore della Difesa, fonte di non trascurabili "raccomandazioni" al Governo in materia di società e scelte politiche che potessero influire negativamente sulla laicità dello Stato.

Turchia: who is who

Le premesse storiche sopra esposte sono propedeutiche a comprendere la situazione attuale: possiamo facilmente immaginare come un Paese costruito sulle basi di una trasformazione tanto forte non abbia potuto vivere il suo ingresso nella modernità senza scossoni ed incidenti di percorso: nel caso di specie, i principali attori sociali e politici a dare vita alla politica turca possono identificarsi in 3 grandi soggetti:

- I Kemalisti, ovvero coloro che vogliono conservare l' azione dello Stato improntata alla via tracciata dal Padre della Patria, espressi in Parlamento dal Partito popolare repubblicano (Cumhuriyet Halk Partisi, CHP).A questa fazione possono inoltre, nel senso esposto poco sopra, includersi le Forze Armate nel loro ruolo di difensori e tutori dell' Ordinamento dello Stato definito, dall' articolo 1 della Costituzione turca, di ispirazione kemalista;
- I gruppi di estrema Destra nazionalisti, dei quali una famosa fazione sono i "Lupi Grigi"(Bozkurtlar), espressi in Parlamento dal Partito di azione nazionale (Millyetçi Hareket Partisi, MHP).Essi si riconoscono figli di una originale idea politica plasmata negli anni '70 da Alparslan Türke#1; rifacentesi al Panturchismo (identificazione di una grande Patria turca accomunante tutti i popoli turchi - turkic, o "turanici" - dall' Anatolia al Turkestan Orientale) e ad una palese opposizione alle minoranze.
- Gli Islamici Moderati, vera novità del panorama politico turco, rappresentati in Parlamento dal Partito per la giustizia e lo sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi, AKP), liberali in economia e di certa ispirazione islamica, detentori di 341 seggi in Parlamento dalle ultime elezioni del 2007 e Partito di maggioranza. Riconoscono come leader Recep Tayyp Erdogan.

Le tre forze non hanno, sostanzialmente, alcun punto in comune.Si ispirano a modelli differenti. Di questi, il primo ha certamente giocato un ruolo da egemone indiscusso fino, possiamo dire, ai primissimi anni del 2000. Questo non perchè non fossero esistite forze a lui contrarie, ma perchè sempre capace di opporvisi in modo determinante, identificando se stesso come "corretto" mezzo di gestione dello Stato (addirittura l' iniziale impianto dello Stato era monopartitico, essendo l' introduzione del multipartitismo in Turchia risalente al 1952, e quindi successiva alla morte di Ataturk e dovuta al suo successore, Ismet Inonu).

La dinamica dello scontro, del riproporsi, dell’ affrontarsi delle tre forze all’ interno del Paese ha marcato in maniera continua la vita turca. Nell’ ottica di reagire a derive eterodosse dell’ impianto e delle politiche pubbliche, al fine di salvaguardare l' impianto occidentale del Paese, nel 1961, 71 e 80 tre furono i colpi di Stato organizzati e messi in opera dalle Forze Armate.


L’incidente di Susurulk ed Ergenekon

La Turchia ha vissuto pienamente il suo ruolo di partner Nato nella difficile posizione di Paese orientale e musulmano durante tutto il periodo dello scontro della Guerra Fredda. Come molti Paesi gravanti nell’orbita Nato, è stato interessato dall’ istituzione di forze e milizie di tipo stay-behind, finanziate dai governi dal Patto ed utilizzate dallo stesso come eventuale strumento di resistenza in caso di attacco sovietico (o mobilitazione popolare o partitica interna in favore del Patto di Varsavia).
In ogni singolo Paese l’individuazione di questi soggetti è avvenuta tenendo conto delle peculiarità storiche e degli attori sociali, coinvolgendo coloro che, per propria posizione ideologica, sarebbero stati naturalmente portati ad opporsi ad una deriva comunista dello Stato. Nel caso di specie, questo ha portato all’unione di forze radicalmente diverse, disomogenee per convinzione ed origine, ed accomunate dalla sola funzione antisovietica. Si tratta sia dei kemalisti più radicali che degli estremisti di destra ultra-nazionalisti.
Queste forze, nel corso della propria latente attività, hanno strutturato le imponenti architetture di uno Stato parallelo. Questo scenario è stato portato alla luce da un incidente automobilistico avvenuto il 3 novembre 1996 presso la cittadina di Susurluk. Nell’incidente rimasero coinvolti il capo della Polizia Huseyin Kocadag, Abdullah Catli (un mafioso al soldo dei servizi deviati cui era stato dato un falso passaporto diplomatico allo stesso nome di copertura che si attribuiva a Mehmet Agca attentatore del Papa legato ai “Lupi Grigi”), un deputato di destra di nome Sedat Bucak e una modella, Gonca Us. L’incidente, per via del materiale trovato all’interno della vettura, portò alla luce connivenze impensabili ed attività, sostenute in massima parte grazie al traffico di eroina fra l’Asia Centrale e l’Europa, volte alla riorganizzazione dello Stato in senso autoritario e nazionalista, ed alla partecipazione ad un colpo di Stato in Azerbaijan, Paese molto vicino alla Turchia, per il capovolgimento del governo di Alyev e l’instaurazione di uno amico.
Il nome di questa organizzazione è Ergenekon, dal nome della località dell’ Asia Centrale dalla quale i Turchi, secondo la propria mitologia, avrebbero cominciato la loro migrazione verso occidente guidati da un lupo grigio (il che spiega il nome del gruppo terroristico nazionalista).

L’organizzazione avrebbe dovuto essere, nelle previsioni della Nato che la aveva ideata, di tipo latente, ovvero, come detto, volta alla sollevazione contro derive comuniste qualora queste fossero venute in atto. L’efficienza delle linee si sarebbe tenuta attraverso addestramento continuo e disponibilità di armamenti tramite collegamenti non ufficiali con le Forze Armate ed i Servizi di Sicurezza, cose tutte svoltesi continuamente almeno fino all’ insediamento al governo del Partito filo-islamico AKP.

L’affaire odierno di Balyoz

Gli arresti recenti sono per l’appunto motivati da questo: l’appartenenza dei fermati ad Ergenekon. Per tutti gli indagati l'accusa è la partecipazione al piano "Balyoz" (“martello”: anche questo un elemento risalente alla mitologia turca arcaica e di carattere pan-turanico) risalente al 2003, subito dopo l’insediamento del Governo. Il piano avrebbe avuto lo scopo di rovesciarlo attraverso una serie di attentati, tra i quali due diretti contro moschee, l'abbattimento di un jet turco da attribuire alla Grecia o l'attacco al museo dell'Aeronautica (non è un caso: l’ Aeronautica è una istituzione intesa come “moderna e laica” e idealmente riconducibile allo Stato di Ataturk ) a Istanbul da parte di "integralisti islamici" vestiti di indumenti orientali.
Evidente come i fatti in previsione avrebbero dovuto far riprendere una via di gestione autonoma del Paese da parte delle Forze Armate, anche a causa delle inevitabili fortissime ricadute che avrebbe, in negativo, avuto il processo di avvicinamento alla Comunità Europea a seguito delle frizioni con la Grecia, che si sarebbero naturalmente inasprite. Secondo il PM Turan Çolakkadı il piano avrebbe viste coinvolte anche alcune organizzazioni della società civile e sarebbe stato composto da singoli piani d'azione:"Çar#1;af", "Sakal", "Suga" e "Oraj". Evidente quindi la capillare struttura del piano, la sua solida strutturazione e la sua realizzabilità sul territorio.

Gli sconvolgimenti interni

Quanto sopra aiuta a descrivere la situazione odierna della Turchia: un Paese di impianto costituzionale fortemente occidentale in cui, alla iniziale spinta propulsiva verso l’Europa, nata e sospinta dall’ immenso carisma del Padre della Patria, il tempo ha saputo trovare opposizione con il risorgere di sentimenti religiosi cui l’Esercito ha, negli ultimi tempi, potuto fare fronte sempre meno. Una piccola ma continua opera di demolizione della laicità dello Stato da parte del nuovo entourage delle massime cariche dello Stato, avallato almeno inizialmente dal voto delle popolazioni provenienti dall’est Anatolia, di cui sono noti i sentimenti religiosi, e delle classi meno istruite della società, più volte portato in giudizio di fronte alla Corte Costituzionale per “attività antilaiche”, ma mai definitivamente estromesso dalla vita politica. L’Akp ha saputo abituare i turchi al ritrovamento della tradizione religiosa e de-sensibilizzare il loro senso di laicità, aiutata anche dal percorso di avvicinamento del Paese alla Comunità Europea, che fondando la propria visione delle libertà religiose come improntata alla massima libertà, identifica la forte laicità e le sue regole di stretta osservanza in Turchia come lesive dei diritti umani.

Il combinato disposto di fattori endogeni ed esogeni ha reso più efficace l’azione del governo: è recente l’ abolizione del protocollo EMASYA, che prevedeva la possibilità, da parte dello Stato Maggiore Difesa, di autorizzare azioni di intelligence e di polizia anche autonomamente senza l’autorizzazione delle Autorità civili per ragioni di sicurezza pubblica e con finalità anti-terroristiche. Ora, naturalmente, saranno enti dipendenti dal Governo filo islamico a dover autorizzare le misure di contrasto al terrorismo islamico. Un ulteriore segnale del vigore dell’iniziativa dell’esecutivo, che scompagina ancor più le carte: Bruxelles, intanto, manda segnali contraddittori.
 

lorenzo63

Age quod Agis
Ieri in volo ho letto questo articolo .... interessatissimo per le ripercussioni a medio termine che avrà ...


Sì all'export di gas dagli Stati Uniti, ma solo in favore degli alleati della Nato. L'idea è del senatore Richard Lugar, esponente di spicco dei Repubblicani e membro del Foreign Relations Committee, che l'ha trasferita in un progetto di legge. Con l'obiettivo di usare la nuova potenza energetica statunitense in chiave di politica estera: una svolta significativa, comunque vada a finire. Finora, infatti, il dibattito sollevato dal successo dello shale gas si era concentrato su considerazioni economiche: il boom delle estrazioni ha depresso i prezzi locali del gas fino ai minimi da dieci anni, contrapponendo gli interessi dei produttori con quelli degli utilizzatori industriali, che temono di perdere il vantaggio in caso di esportazioni più libere. Queste vengono oggi autorizzate in modo semiautomatico solo se dirette verso Paesi con accordi di libero scambio con gli Usa, come il Canada o il Messico. Lugar vorrebbe estendere lo stesso diritto ai membri della Nato.
Il senatore – che dopo 35 anni di carriera è stato sconfitto alle primarie e tra breve si dimetterà – ha perorato il suo progetto con una lettera e un lungo rapporto preparato dal suo staff. L'idea sembra in grado di convogliare consensi, anche se il Senato è a maggioranza democratica: esportando in seno alla Nato il Gas naturale liquefatto (Gnl), gli Usa potranno ridurre le eccedenze e allo stesso tempo aiutare i Paesi europei ad affrancarsi dalla Russia, che utilizza i contratti di fornitura di gas come strumento per «politiche estremamente antagoniste». Inoltre, poiché anche la Turchia è nella Nato, le si potrebbe offrire un'alternativa al gas iraniano, che copre ancora il 20% del suo fabbisogno.
Lugar sottolinea che non verrebbe meno l'opportunità di costruire il cosiddetto Corridoio Sud, la pipeline per trasportare in Europa il gas del Caspio, perché le forniture Usa sarebbero più care. Washinghton, sostiene il senatore, dovrebbe anzi impegnarsi di più per sostenere il progetto, spingendo per il Nabucco West piuttosto che per la Trans Adriatic Pipeline (Tap). Il primo servirebbe meglio gli obiettivi strategici degli Usa, portando gas non russo a Paesi dell'Europa centrale che sono molto dipendenti da Mosca, mentre il secondo – pur presentando «indubbi» vantaggi – rischia di produrre «principalmente un eccesso di gas in Italia». «Per promuovere davvero la competizione di prezzi – osserva Lugar – servono riforme strutturali sul mercato interno italiano e non semplicemente forniture aggiuntive». Inoltre, il nostro Paese, e più in generale l'Europa occidentale, hanno già fornitori alternativi alla Russia, grazie alla vicinanza col Nordafrica.


Export di gas agli alleati Nato - Il Sole 24 ORE
 

lorenzo63

Age quod Agis
Ieri in volo ho letto questo articolo .... interessatissimo per le ripercussioni a medio termine che avrà ...


Sì all'export di gas dagli Stati Uniti, ma solo in favore degli alleati della Nato. L'idea è del senatore Richard Lugar, esponente di spicco dei Repubblicani e membro del Foreign Relations Committee, che l'ha trasferita in un progetto di legge. Con l'obiettivo di usare la nuova potenza energetica statunitense in chiave di politica estera: una svolta significativa, comunque vada a finire. Finora, infatti, il dibattito sollevato dal successo dello shale gas si era concentrato su considerazioni economiche: il boom delle estrazioni ha depresso i prezzi locali del gas fino ai minimi da dieci anni, contrapponendo gli interessi dei produttori con quelli degli utilizzatori industriali, che temono di perdere il vantaggio in caso di esportazioni più libere. Queste vengono oggi autorizzate in modo semiautomatico solo se dirette verso Paesi con accordi di libero scambio con gli Usa, come il Canada o il Messico. Lugar vorrebbe estendere lo stesso diritto ai membri della Nato.
Il senatore – che dopo 35 anni di carriera è stato sconfitto alle primarie e tra breve si dimetterà – ha perorato il suo progetto con una lettera e un lungo rapporto preparato dal suo staff. L'idea sembra in grado di convogliare consensi, anche se il Senato è a maggioranza democratica: esportando in seno alla Nato il Gas naturale liquefatto (Gnl), gli Usa potranno ridurre le eccedenze e allo stesso tempo aiutare i Paesi europei ad affrancarsi dalla Russia, che utilizza i contratti di fornitura di gas come strumento per «politiche estremamente antagoniste». Inoltre, poiché anche la Turchia è nella Nato, le si potrebbe offrire un'alternativa al gas iraniano, che copre ancora il 20% del suo fabbisogno.
Lugar sottolinea che non verrebbe meno l'opportunità di costruire il cosiddetto Corridoio Sud, la pipeline per trasportare in Europa il gas del Caspio, perché le forniture Usa sarebbero più care. Washinghton, sostiene il senatore, dovrebbe anzi impegnarsi di più per sostenere il progetto, spingendo per il Nabucco West piuttosto che per la Trans Adriatic Pipeline (Tap). Il primo servirebbe meglio gli obiettivi strategici degli Usa, portando gas non russo a Paesi dell'Europa centrale che sono molto dipendenti da Mosca, mentre il secondo – pur presentando «indubbi» vantaggi – rischia di produrre «principalmente un eccesso di gas in Italia». «Per promuovere davvero la competizione di prezzi – osserva Lugar – servono riforme strutturali sul mercato interno italiano e non semplicemente forniture aggiuntive». Inoltre, il nostro Paese, e più in generale l'Europa occidentale, hanno già fornitori alternativi alla Russia, grazie alla vicinanza col Nordafrica.


Export di gas agli alleati Nato - Il Sole 24 ORE

Riflettendo questo pone anche in una certa luce la caduta del governo berlusconi, stante le sue prefeenze energetiche e la fonte nonchè le frequentazioni: ovvero ciò che è permesso a germania, nn lo è all' italia stante la sua posizione particolare ... in + aggiungiamoci la rottura con la UE tutta ... partita mi sto riferendo adesso a ger/ussia particolarmente complessa che ha molto da dire ancora ...
 

lorenzo63

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TURCHIA. Ankara lancia domani suo primo satellite spia

Il primo satellite turco di ricognizione, Gokturk-2, sara’ lanciato nello spazio domani dal territorio cinese. Lo ha annunciato il Consiglio turco per la ricerca scientifica e tecnologica (Tubitak), spiegando che il sapellite e’ di produzione interna e il suo lancio sara’ seguito in diretta dalla sede del Consiglio ad Ankara, in una cerimonia a cui prendera’ parte anche il premier Recep Tayyip Erdogan. Il Gokturk-2 sara’ lanciato in orbita, a una quota di 686 km dalla superficie terrestre, dalla base cinese di Jiuquan, vicino al confine con la Mongolia. E’ stato creato dal Tubitak e dalle Industrie aerospaziali turche – solo gli strumetni ottici sono stati importati dalla Corea del Sud – per scattare immagini che saranno utilizzate dalle Forze armate, ma anche da altri soggetti che operano nel settore agricolo, del trasporto e dello sviluppo urbano. (Rzz/Ct/Adnkronos) 17-DIC-12 12:06 NNNN
 

lorenzo63

Age quod Agis
IRAN. Presidente Ahmadinejad annulla visita ufficiale in Turchia

Pochissimo tempo fa andai in una città che distava meno di 50 km dal confine siriano e c'erano cartelli ove c'era scritto NATO e Patriot - nn so se fossero di protesta o altro ... ma:

Mahmoud Ahmadinejad ha annullato una visita ufficiale in Turchia prevista per oggi. Lo hanno annunciato i servizi del presidente iraniano, all’indomani del monito lanciato da Teheran ad Ankara sul dispiegamento di missili Patriot lungo la frontiera siriana. Ahmadinejad era stato invitato dalla Turchia a partecipare alla commemorazione delle morte del teologo e poeta persiano del tredicesimo secolo, Djalal al Din Roumi, a Konya (centro), la città dove è morto. A margine delle cerimonie, erano in agenda dei colloqui con il premier turco Recep Tayyip Erdogan, secondo gli organi di informazione iraniani. La visita è stata annullata a causa della “fitta agenda” di Ahmadinejad, ha precisato l’agenzia Mehr, che ha citato il responsabile della sezione Affari internazionali della presidenza, Mohammad Reza Forghani.
L’annuncio dell’annullamento della visita arriva all’indomani di un avvertimento alla Turchia del capo della diplomazia iraniana, Ali Akbar Salehi, che ha definito una provocazione il dispiegamento di batterie di missili Patriot americani alla frontiera siriana e ha minacciato esiti “imprevedibili”. Due giorni fa il capo di stato maggiore dell’esercito iraniano, il generale Hassan Firouzabadi, aveva già giudicato che il dispiegamento faceva parte di “progetti per una guerra mondiale” orditi dai “Paesi occidentali”. Su richiesta della Turchia, gli Stati Uniti, la Germania e l’Olanda dispiegheranno batterie di missili Patriot – nel quadro della Nato – per rafforzare le difese del Paese alla frontiera con la Siria, da ventuno mesi in preda a un conflitto mortale. I rapporti tra Teheran e Ankara si sono deteriorati negli ultimi mesi per il conflitto in Siria.

Insomma: tutto quanto sopra, satellite compreso, va iscritto sotto la voce prove (con la benedizione USA) di superpotenza regionale
 

lorenzo63

Age quod Agis
La Turchia vuole isolare Israele

“Israele è uno Stato terrorista”: con queste parole, che parrebbero quelle di un fondamentalista o di un estremista anti-sionista, si è espresso il presidente turco Erdogan, nel commentare gli ultimi bombardamenti su Gaza. Se è pur vero che le relazioni tra Israele e la Turchia sono ormai interrotte da quasi due anni, ieri per la prima volta il democratico e laico paese di Ankara si è schierato per bocca del suo presidente apertamente con la Palestina e con la sua causa. Erdogan, ha sferrato anche un duro attacco alle Nazioni Unite, verso cui, come ha detto “non nutro più nessuna fiducia”.
L’appoggio della Turchia al piano egiziano appare sempre più come un sigillo ad una nuova alleanza, dove nuovi equilibri e scenari geopolitici potrebbero definitivamente isolare Israele.

PAre abbastanza ambigua la posizione USA ...
 

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