Centeno (Eurogruppo) difende il MES. "Non cela la ristrutturazione del debito"

l'Europa come un ragno che ha costruito la sua ragnatela nella quale cado i piccoli insetti come l'Italia
La tela del ragno europea
 
insomma il PD vuole il MES contro gli italiani... vogliono la nostra morte... vogliono ridurci come la Grecia [bastardi traditori]

[sette+] 5 stelle in rivolta, governo in crisi e MES in arrivo
 
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Ristrutturare il debito sovrano: la pericolosa proposta franco-tedesca
di Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli

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Emmanuel Macron con Angela Merkel al vertice di Meseberg del 19 giugno scorso (Afp)
3' di lettura

Nella “Dichiarazione di Meseberg” riaffiorano alcune idee che, se recepite, sarebbero molto pericolose per l’Italia. Si tratta in sostanza dell’ipotesi della ristrutturazione ordinata di un debitore sovrano all’interno dell’area dell’euro, un tema su cui ci eravamo già soffermati in passato su queste colonne. Nelle intenzioni degli estensori, la ristrutturazione è la via per indurre i Paesi a una maggiore disciplina di bilancio e anche per limitare i rischi per i contribuenti europei derivanti da un default del debito pubblico italiano. Il Meccanismo di stabilità europeo (Esm) verrebbe potenziato, anche cambiandone il nome e facendolo diventare un vero e proprio Fondo monetario europeo. Il Fondo dovrebbe «avere la capacità di valutare la situazione economica in un Paese membro, contribuendo alla prevenzione delle crisi». Sino a che il malato non è grave sarebbe affidato alle cure amorevoli della Commissione, ma se la situazione si dovesse deteriorare entrerebbe in terapia intensiva.

Ebbene, in che cosa consisterebbe? Nel documento si dice esplicitamente: «Ricordiamo che qualsiasi decisione di fornire il sopporto per la stabilità da parte del Fondo ad uno stato membro deve includere l’Asd (Analisi sulla sostenibilità del debito). Qui si cela un messaggio molto chiaro. Se il debito pubblico di un Paese in difficoltà è dichiarato “non sostenibile” dal Fondo non vi sarebbe accesso agli aiuti a meno di una ristrutturazione del debito.

E qui si passa alla frase successiva, che appare un po’ criptica ma che in effetti non lo è: «Per migliorare l’attuale cornice finanziaria che promuove la sostenibilità del debito e migliorarne la sua efficacia, dovremmo iniziare a lavorare sulla possibile introduzione di Euro CaCs with single limb aggregation».

Questo può essere semplicemente tradotto dicendo che dovrebbero essere introdotte delle clausole che favoriscano una ristrutturazione concordata con i creditori.
Sono idee non nuove, più volte espresse da economisti francesi e tedeschi, ma per la prima volta affiorano in un documento che potrebbe divenire la base del comunicato del vertice europeo.

Come abbiamo già detto l’anno scorso, siamo assolutamente a favore della disciplina del mercato e anche della reintroduzione del principio di no bail-out, disatteso nel caso della Grecia.
Si introdurrebbero incentivi corretti per una politica di bilancio virtuosa, partendo però da una condizione di equilibrio finanziario. L’Italia invece è in condizioni di fragilità a causa di un debito pubblico molto elevato e queste iniziative produrrebbero enormi azzardi. Il rischio è quello di un’altra situazione “alla Deauville”, quando per la prima volta Sarkozy e Merkel prospettarono l’ipotesi di coinvolgere i privati nella ristrutturazione del debito greco. Le conseguenze le abbiamo viste tutti: la crisi dei debiti sovrani è improvvisamente peggiorata. Se tutti i Paesi europei fossero virtuosi, autoimporsi una disciplina ferrea aiuterebbe a mantenere la retta via.

Ma se la situazione di partenza è quella che sappiamo, l’introduzione di un meccanismo di ristrutturazione ordinata non farebbe altro che aumentare l’aspettativa che questo scenario effettivamente si realizzi. Aumenterebbero gli spread di rendimento, con gravi rischi di destabilizzazione finanziaria.

È il solito problema: quello di anteporre dei princìpi, sia pur validi e condivisibili, a una realistica analisi della fase di transizione. È come puntare la pistola alla tempia, sperando che chi si ostina a non capire l’importanza della disciplina di bilancio si adegui. Purtroppo quella che un anno fa sembrava una prospettiva rischiosa ma ancora lontana, sembra ora avvicinarsi sempre di più.
L’Italia può rispondere a questa minaccia in un solo modo: definendo un percorso graduale ma credibile di rientro dal debito pubblico, un sentiero che con il nuovo governo sembra essere di più difficile definizione.


Se poi qualcuno pensa che l’uscita dall’euro sia in definitiva inevitabile e che prima avviene meglio è, ovvero la politica del “tanto peggio tanto meglio” allora il mix diventa esplosivo.
 
ECONOMIA
Klaus Regling, l'uomo più potente d'Europa
10:23, 22 novembre 2019 dii Francesco Russo
Klaus Regling, l'uomo più potente d'Europa

Il capo del Mes, il fondo salva-Stati europeo, è da trent'anni uno dei registi dell'unione monetaria. Burocrate silente, abituato a lavorare dietro le quinte, ha in mano le chiavi della cassaforte dell'Eurozona. E il contestato progetto di riforma dell'organismo potrebbe conferirgli un potere ancora più grande

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Quando il ministro delle Finanze di Berlino, Olaf Scholz, illustrò la sua [URL='https://www.agi.it/economia/olaf_scholz_unione_bancaria_gualtieri-6511806/news/2019-11-08/']proposta
per il completamento dell'unione bancaria, il collega di Roma, Roberto Gualtieri, fu critico, sottolineando i rischi per il nostro Paese di uno schema che penalizzerebbe istituti, come quelli italiani, che detengono forti quote di debito pubblico nazionale.
Il governo non è stato però altrettanto critico con il disegno di riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), che alla proposta di Scholz è fortemente intrecciato e persegue un analogo obiettivo: limitare lo spazio di manovra della nuova presidente della Bce Christine Lagarde, che intende proseguire la politica accomodante di Mario Draghi ma non ha lo stesso capitale di credibilità, e mettere al riparo una Germania sull'orlo della recessione dalle possibili conseguenze di un tracollo di Deutsche Bank.

Non è però facile per nessuno dire no a Klaus Regling, il numero uno del Mes, che nel 2017 è stato confermato per altri cinque anni alla guida del "fondo salva-Stati" europeo, i cui poteri - se la riforma in discussione in questi giorni passerà - si estenderanno a un punto tale da sovrapporsi in parte a quelli della stessa Banca Centrale Europea.

Con un'Angela Merkel appannata e contestata all'interno del suo stesso partito, è tutto in mano ai burocrati l'onere di difendere la dottrina dell'austerità sulla quale si fonda, sovente a scapito dei partner comunitari, la competitività del modello tedesco. Perso l'ex segretario generale della Commissione Europea Martin Selmayr, che a Bruxelles fu il baluardo degli interessi del Reichstag, questo compito è ora tutto in mano a Regling: già burocrate più ptente del vecchio continente, con la riforma del Mes lo diventerà ancora di più.

Perché la proposta tedesca sull'unione bancaria farebbe male all'Italia

Una carriera in costante ascesa
Il volto di questo economista di Lubecca, classe 1950, sposato con due figli, non appare spesso sulle prime pagine dei giornali e la rete scarseggia di profili a lui dedicati. Uno dei pochi è quello tracciato da Politico, che lo descrive come una persona affabile e riservata, nei modi più accostabile a un Draghi che alle asprezze di altri cavalieri teutonici dell'austerity, come l'ex ministro delle Finanze Wolfgang Schauble o il presidente della Bundesbank Jens Weidmann. La fonte più ricca di notizie su di lui è il sito stesso del Mes, che raccoglie puntualmente le sue non frequenti interviste e i suoi interventi presso le più prestigiose istituzioni economiche internazionali, le stesse che lo hanno visto accumulare un curriculum impressionante.

Figlio di un falegname, Regling studia Economia all'università di Amburgo, la stessa frequentata qualche anno dopo da Scholz, e nel 1975 completa gli studi a Ratisbona. Subito dopo inizia la sua carriera al Fondo Monetario Internazionale, dove lavora cinque anni nel dipartimento Ricerca e si occupa dei programmi dedicati all'Africa. Non male come scuola di austerità: nella seconda metà degli anni '70 triplicano i prestiti del Fmi al continente nero, prestiti condizionati a duri tagli alla spesa e drastiche privatizzazioni, non sempre nell'interesse del Paese che ne era oggetto. Le stesse ricette che vedremo applicate decenni dopo in Grecia, il cui piano di "salvataggio" ebbe, soprattutto nelle sue ultime fasi, Regling come supervisore e regista.

Ritorno in Germania
Nel 1980, appena trentenne, Regling torna in patria e lavora al dipartimento economico dell'Associazione Bancaria Tedesca. Il ragazzo ha talento e si fa notare subito. Tempo un anno e viene assunto presso la Divisione Affari Monetari europei del ministero delle Finanze, allora retto da Hans Matthofer, un socialista vecchia scuola che si era fatto le ossa nel sindacato dei metalmeccanici. Era l'epoca in cui il progetto dell'euro stava prendendo forma e Regling la vive in prima linea. Il Sistema Monetario Europeo era nato nel '79 e il compito degli economisti di quel dipartimento era studiare come il solido marco si sarebbe fuso con la lira e la peseta, a quale tasso di cambio e a quali condizioni. Arriva l'82, il terzo governo Schmidt va in crisi, dopo tredici anni i democristiani riconquistano la cancelleria con Helmut Kohl. Regling rimane là fino all'85. Lo vogliono di nuovo a Washington.

In quattro anni Regling passa dal rango di economista a quello di senior economist fino a diventare vicedirettore della divisione Mercato dei Capitali del Fondo Monetario Internazionale. Le sue competenze in campo economico sono ormai variegate e poliedriche. Conosce il mondo delle banche, conosce la finanza pubblica, conosce le istituzioni internazionali, e nel 1999, come direttore esecutivo del Moore Capital Strategy Group, avrebbe conosciuto anche il settore privato. La sua unica lacuna è il fisco. Alla fine degli anni '80 è rappresentante del Fmi in Indonesia, ruolo prestigioso. Ma nel 1991 la patria chiama di nuovo.
Regling torna al ministero delle Finanze e si guadagna la fiducia personale del cancelliere, che lo invia come rappresentante economico della Germania nei consessi internazionali più disparati, dal G7 allo stesso Fmi, con il quale manterrà un rapporto stretto. Nel ruolo di capo della divisione Affari Economici Internazionali, Regling è anche uno dei protagonisti della stesura dei trattati di Maastricht. Insieme al futuro presidente Horst Kohler e all'allora presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer, fa parte del team di negoziatori tedeschi al tavolo che porrà le basi per la nascita dell'euro. In tutto questo, trova anche il tempo per il ruolo di lavorare ai vertici dell'Asian Development Bank e dell'Inter-American Development Bank e di sedere nel board di Hermès Credit Insurance.

Nel 1998 i socialisti tornano al potere. Regling, ormai in quota Cdu, lascia. La sua carriera nel settore privato dura però appena tre anni. Nel 2001 il Manuale Cencelli europeo assegna a Berlino la struttura burocratica della Commissione Europea più importante di tutte: la direzione generale per gli Affari Economici e Finanziari. Gerard Schroeder ha bisogno di un cavallo di razza per guidarla. E chiama Regling, che ci resterà fino al 2008. Per quasi trent'anni, questo funzionario affabile e riservato ha vissuto di ogni fase di sviluppo del progetto dell'euro, nel ruolo di protagonista e di garante degli interessi tedeschi. Il coronamento di una carriera così spettacolare non poteva che essere la presidenza della Bce. O almeno così sembrava.

Gli anni della grande crisi
La presidenza del francese Jean-Claude Trichet è la più disastrosa della storia dell'Eurotower: nel mezzo di una crisi del debito vengono alzati i tassi di interesse. Per salvare la moneta unica, Berlino deve fare un passo di lato e consentire alla Bce di allentare i cordoni della borsa, seppure non troppo e pur sempre in enorme ritardo rispetto alla Federal Reserve. Ma Angela Merkel non può certo mettere la faccia su un abbassamento dei tassi che avrebbe eroso i margini di profitto delle banche tedesche, abituate ad offrire ai correntisti rendimenti molto interessanti, né tantomeno su un possibile incremento dell'inflazione (che non avverrà). A Francoforte ci vuole un italiano. Ci vuole Mario Draghi.

Regling, dato inizialmente come possibile successore di Trichet, viene così dirottato nel 2010 alla presidenza dell'Efsf, il primo fondo salva-Stati europeo, che si occupa del salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo. Le chiavi della cassaforte rimangono così in mano alla Germania, mentre la Bce rimane quello che è: una banca centrale che non è davvero una banca centrale, mancando del ruolo di prestatore di ultima istanza. Quando, nel 2011, Draghi prende le redini dell'Eurotower, lo spettro del default minaccia l'Italia. L'Efsf non ha abbastanza fondi per salvare un'economia di queste dimensioni. Dopo un duro braccio di ferro con Schaeuble e Weidmann, Draghi lancia il piano Omt (prestiti in cambio di riforme) e poi, finalmente, il 'quantitative easing'. Nel frattempo all'Efsf si affianca l'Esm, o Mes, un organismo permanente che aumenta la sua dotazione a 700 miliardi e diventa un vero e proprio Fondo Monetario europeo. A cosa serve se c'è il piano Omt?

Un manager per l'Eurozona
Le azioni intraprese da Draghi erano blindate dalla copertura politica fornita da Angela Merkel la cui leadership europea, allora indiscussa, è oggi agli sgoccioli. Christine Lagarde, se uno Stato avesse di nuovo bisogno di aiuti, avrebbe molte difficoltà a far passare un piano Omt. Ciò perché nella Bce le decisioni si prendono per "consenso", cercando con fatica un compromesso tra le parti. Klaus Regling è invece un "direttore generale", ha un'autonomia maggiore e la Commissione Europea deve tener conto dei suoi pareri. Il suo ruolo nell'Efsf è quello di "Ceo", amministratore delegato. Un vero e proprio manager con una "mission": far sì che l'integrazione dell'Eurozona diventi più stretta solo al patto di seguire un disegno tedesco.

Il progetto di completamento dell'unione bancaria suggerito da Scholz e il piano di riforma del Mef procedono su binari paralleli e sono funzionali l'uno all'altro. Il primo intende spingere le banche che detengono forti quote di debito pubblico a dismetterle, eliminando il "rischio zero", scenario che avrebbe effetti devastanti per l'Italia. Il secondo, oltre a garantire copertura al fondo comune di garanzia per i depositi che ancora manca all'unione bancaria, evoca lo spettro della ristrutturazione del debito per i Paesi, come l'Italia, con i conti troppo in disordine per poter accedere agli aiuti. Ciò significherebbe che, una volta entrata in vigore la riforma, si scatenerebbe subito un attacco speculativo ai danni di Roma e, in assenza degli accantonamenti richiesti dal progetto Scholz, il sistema bancario italiano verrebbe travolto.

L'obiettivo di Berlino è il solito, quello richiamato più volte da Schaeuble: spezzare il legame tra banche e debito sovrano, per creare un'Eurozona virtuosa dove i rischi saranno diventati abbastanza bassi da rendere accettabile per gli elettori tedeschi condividerli. Un obiettivo che per l'Italia avrebbe costi così alti da apparire irrealizzabili, politicamente improponibili. La Germania intende comunque provarci e ha un piano molto chiaro. E l'unico che potrebbe riuscire a portarlo a termine è questo silente burocrate che, dietro le quinte, è stato sin dal principio il vero regista dell'unione monetaria.

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[URL='https://www.agi.it/economia/olaf_scholz_unione_bancaria_gualtieri-6511806/news/2019-11-08/']Perché la proposta tedesca sull'unione bancaria farebbe male all'Italia[/URL]
Al cuore del progetto dell'euro

 

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