Riforma Fondo salva-stati su misura per Germania e Francia, ecco quanto ci costa
La riforma del MES assegna a Germania e Francia poteri pressoché esclusivi e a fronte dei quali l'Italia si ritroverebbe a pagare altri 111 miliardi di euro. Da dove prenderemmo questi soldi?
di
Giuseppe Timpone , pubblicato il
28 Novembre 2019 alle ore
07:54
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La riforma del Fondo salva-stati europeo o anche Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) non sarà né indolore e né privo di costi per l’Italia.
Se da Bruxelles rassicurano sull’assenza di una qualche automaticità nell’imposizione di una ristrutturazione del debito pubblico per il caso di richiesta di assistenza finanziaria, il problema sta nel significato pregnante di questa riforma, che aldilà della punteggiatura
consegnerebbe quasi esclusivamente a Germania e Francia poteri decisionali, mentre
a pagare sarebbero tutti i membri-azionisti dell’ente, Italia compresa.
Tutte le decisioni vanno adottate all’unanimità, anche quando si tratta di votare sul se e come aiutare uno stato richiedente. In teoria, questo ci rassicurerebbe sulle condizioni che verrebbero poste in fase di sottoscrizione del memorandum d’intesa. Nella pratica, le cose stanno diversamente, perché
per adottare una qualsiasi decisione è necessaria la presenza di almeno i due terzi dei membri, in rappresentanza di almeno i due terzi del capitale.
Poteri decisionali in mano a Germania e Francia
Quest’ultimo è sottoscritto dagli stati membri sulla base delle proprie dimensioni economiche, così come accade per la BCE. Dunque, il voto non è capitario, ma funziona come in una società per azioni, cioè sulla base del capitale rappresentato. Per questo motivo, alla Germania spetta il 27%, alla Francia il 20%, all’Italia il 17%, etc.
Poiché serve almeno l’80% del consenso per la nomina del direttore generale (attualmente è il tedesco Klaus Regling), del presidente del Consiglio dei governatori e per l’approvazione dello Statuto del MES, nei fatti la Germania e la Francia da sole avrebbero diritto di veto. Ciascuno dei due paesi, infatti, votando contro bloccherebbe le nomine e lo Statuto.
Quanto alle decisioni d’urgenza, per le quali servirebbe l’85% del capitale, anche l’Italia avrebbe un diritto di veto, visto che senza il suo 17%, tutti gli altri arriverebbero al massimo all’83%. Infine, sommando Germania e Francia si arriverebbe al 47%, percentuale più che sufficiente invalidare una votazione e anche solo per impedire il raggiungimento del quorum.
In sostanza, l’asse franco-tedesco sarebbe un pigliatutto.
E all’Italia cosa spetta? Pagare. Quanto?
Si è impegnata a sottoscrivere capitale per 125,4 miliardi di euro, di cui 14,3 miliardi sono stati già versati.
A conti fatti, mancano all’appello 111 miliardi.
Da dove verrebbero presi questi soldi?
Non è detto che il loro versamento venga effettivamente richiesto, anche perché dopo il terzo salvataggio della Grecia nel 2015 per 86 miliardi, l’Eurozona non ha più avuto bisogno di assistere finanziariamente qualche suo stato membro.
Tuttavia, se qualcosa dovesse andare storto o se il MES decidesse che sarebbe saggio prepararsi in tempo a possibili bufere finanziarie, mostrandosi capiente, quei 111 miliardi, in tutto o in parte, l’Italia dovrebbe sborsarli emettendo titoli di stato.
Come pagheremo il capitale del MES?
Attenzione, perché sul punto vengono affermate diverse bugie.
Questi esborsi non equivarrebbero formalmente a un aumento del debito pubblico, perché si trasformerebbero immediatamente in un attivo patrimoniale italiano, cioè in capitale. Tuttavia,
queste emissioni aumenterebbero l’offerta di BTp e creerebbero pressioni al rialzo sui loro rendimenti, dato l’elevata mole di titoli già circolanti, ad oggi pari a circa 2.050 miliardi di euro di controvalore. In altre parole, finanziare il MES non aumenta il nostro debito formale, ma crea stress finanziari ai nostri danni, specie se le emissioni non venissero percepite, a seguito della riforma del Fondo salva-stati, come una forma di auto-tutela per
l’Italia, ma addirittura di suo commissariamento, incrementando le probabilità reali di ristrutturazione dei bond.
Riepilogando, l’Italia si troverebbe costretta
a pagare per un ente inutile e forse anche dannoso ai fini della stabilizzazione del suo debito sui mercati, ammanettandosi mani e piedi a Germania e Francia, le quali da sole deciderebbero su tutto, dalle nomine dei dirigenti del fondo all’utilizzo delle risorse. Tutto ciò non sarebbe saggio, un po’ come se si possedesse un immobile a Milano e si sottoscrivesse una polizza assicurativa per proteggerlo dai danni delle colate laviche.
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